Sommario: Introduzione. – 2. Breve inquadramento sistematico dell’istituto e significato della soglia temporale. – 3. La confusione giurisprudenziale sull’oggetto della condotta riparatoria. – 4. Volontarietà versus spontaneità della condotta riparatoria. – 5. Le peculiarità dell’istituto rispetto alla c.d. giustizia riparativa e l’offerta reale. – 6. La questione dell’estensione ai concorrenti dell’effetto della condotta riparativa. – 7. Conclusioni e proposte.
ABSTRACT
Il saggio propone una analisi critica della giurisprudenza di legittimità sulla causa di non punibilità delle condotte riparatorie (art. 162 ter c.p.), analizzando il fondamento delle soluzioni applicative adottate e l’uso del precedente giudiziale.
The essay proposes a critical analysis of the jurisprudence on the cause of “non punibility” of restorative conducts (art. 162 ter c.p.), analyzing the basis of the adopted application solutions and the use of judicial precedent.
1. Introduzione. – L’istituto previsto dall’art. 162 ter c.p., di cui mi sono già occupato allo scopo di offrire un inquadramento dogmatico e soluzioni applicative [1], presenta ormai una significativa giurisprudenza di legittimità, la quale appare consolidarsi su alcune soluzioni relative alla disciplina che tendono a restringerne l’applicazione anche con assimilazioni a figure di differente natura e che sembrano indicare un difetto di comprensione della natura peculiare e innovativa del rilievo attribuito alle condotte riparatorie dalla previsione.
Oltre al difetto di un puntuale inquadramento dogmatico dell’istituto e dei suoi corollari applicativi, dalla analisi delle soluzioni adottate su alcuni aspetti centrali, emerge per la nuova materia un uso improprio del precedente e, in particolare, dei principi massimati, la cui “autorevolezza” – diversamente da quanto riduttivamente si teorizza in Italia – è nella pratica talvolta eccessiva, fino al punto che l’applicazione del vecchio precedente ai nuovi istituti non pare l’effetto di una attenta analisi di questi ultimi, ma al contrario l’autorità attribuita alle massime giunge a far assimilare forzatamente istituti differenti nella struttura e negli effetti [2]. Insomma, la nuova materia costituisce un interessante osservatorio su come si valorizzi il precedente nella nostra giurisprudenza, nella specie evidenziando che talvolta si ribadiscano in modo scarsamente meditato massime e principi affermatisi con riferimento a differenti istituti.
2. Breve inquadramento sistematico dell’istituto e significato della soglia temporale. – Un breve inquadramento dell’istituto si impone per l’autosufficienza del contributo e deve ricordare, in particolare, le istanze riformatrici – pur senza successo – del Progetto alternativo sulla cd. Wiedergutmachung (riparazione o risarcimento del danno) costituente, nell’ultimo mezzo secolo, il primo significativo riconoscimento del ruolo della riparazione in sede penale, considerata come terzo binario sanzionatorio (unitamente a pene e misure di sicurezza). In Italia, oltre a qualche studio che poneva la questione della riparazione come causa di non punibilità, fu per prima la Commissione Grosso per la riforma del codice penale (1999) [3] a riconoscere la possibilità di attribuire rilievo a comportamenti successivi al reato, pur nella limitata prospettiva della teoria dell’incentivo, risalente alla celebre formula di von Listzt: a delinquente che fugge ponti d’oro, tradizionale spiegazione della disciplina della desistenza volontaria nel tentativo, costituente in definitiva il modello seguito per l’approccio alla tematica. In particolare, la Commissione Grosso ritenne compatibile con la tenuta generalpreventiva del sistema penale la previsione di cause di non punibilità sopravvenuta collegate «a condotte di riparazione dell’offesa realizzate entro soglie temporali che assicurino una reintegrazione utile, perché tempestiva, dell’interesse offeso dal reato, e consentano di ravvisare nella condotta riparatrice un ritorno all’osservanza del precetto violato» [4]. Ne seguì l’introduzione dell’istituto della estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie per i reati di competenza del Giudice di Pace (art. 35, d. lgs. n. 274/2000), che collega la estinzione del reato alla riparazione del danno cagionato mediante le restituzioni o il risarcimento e alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose, in origine prima dell’udienza di comparizione davanti al giudice, seppure con la presenza di forti ambiguità dovute al rilievo riconosciuto non solo alle finalità general-preventive ma anche a quelle special-preventive, con l’attribuzione al giudice dell’accertamento del soddisfacimento di entrambe [5].
Il percorso riformatore, in cui si sono inserite le istanze politico-criminali della c.d. giustizia riparativa [6], ha prodotto in tema negli anni più recenti diversi nuovi istituti, tra cui l’introduzione all’art. 162 ter c.p., ad opera della legge n. 103/2017, dell’istituto di carattere generale della estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie [7], che ritengo vada inquadrato tra gli istituti della non punibilità sopravvenuta per fondamento e struttura, nonché per la pacifica estraneità alle istanze conciliative proprie della giustizia riparativa in senso stretto, come rimarcato seppur criticamente dai primi commentatori [8].
L’istituto correla la non punibilità alle restituzioni o alla mera integrale riparazione del danno provocato e alla eventuale restaurazione del bene leso in termini piuttosto stringenti con riferimento ai reati perseguibili a querela per i quali è ammessa la remissione [9], in cui ciò è certamente possibile, pare univoca espressione del principio di sussidiarietà esterna [10]. Infatti, secondo il principio di sussidiarietà esterna – che entra in gioco superato il vaglio del principio di extrema ratio-frammentarietà – il diritto penale può utilizzarsi a tutela dei beni giuridici solo quando gli altri sistemi di tutela falliscono, e nella specie, con la previsione della non punibilità a seguito del comportamento restaurativo post delittuoso, vi è la presa d’atto della sufficienza per la tutela del sistema extra-penale.
Lo stesso assoggettamento a querela, pur istituto di carattere ambivalente sostanziale-processuale, pare espressione del detto principio di sussidiarietà esterna con riguardo a reati dei quali si riconosce un interesse pubblico al perseguimento, anche in ragione della natura del bene tutelato, esclusivamente su impulso della persona offesa, presupponendo dunque la utile composizione in sede extrapenale tra offensore e offeso o, comunque, una complessiva valutazione di irrilevanza penale dell’offesa effettuata da chi ne vittima, in sostanza riconoscendo un ruolo al diritto penale solo quando la persona offesa non trovi vie di soddisfazione extrapenali o, comunque, ne reputi essenziale l’intervento.
Particolarmente significativo per individuare la natura dell’istituto è il termine posto alla condotta riparatoria che costituisce un carattere tipico della non punibilità sopravvenuta, la quale, nel riconoscere il valore della regressione offensiva, per rispondere al principio di ragionevolezza – diversamente scardinandosi il sistema penale – deve subordinarne e di regola ne subordina la rilevanza a precisi limiti temporali, espliciti – come, ad esempio, negli artt. 308, 309, 376 co. 1 e 2, 387 co. 2 e 463 c.p. – o impliciti, che assicurino la reintegrazione utile dell’offesa o la eliminazione del pericolo ricollegabili alla minaccia edittale in modo che le relative condotte possano apparire come osservanza, sia pure tardiva, del precetto violato, con l’effettiva salvaguardia della esigenza di prevenzione generale [11].
Termine la cui importanza è ribadita anche dalla previsione di una proroga assoggettata a rigide condizioni, all’esito positivo della quale il giudice dichiara l’estinzione del reato (co. 2 e 3) [12]. Peraltro, una volta effettuata nei termini la condotta riparatoria, il giudice può valutarla congrua all’esito del dibattimento così come in sede di gravame [13].
Insomma, il legislatore penale affianca alla perseguibilità a querela le condotte riparatorie quale causa di non punibilità, ambedue le figure basate sul principio di sussidiarietà esterna, determinando per i reati interessati uno status del tutto peculiare, molto prossimo alla depenalizzazione (in astratto) tout court.
3. La confusione giurisprudenziale sull’oggetto della condotta riparatoria. – Conferma la collocazione dogmatica anche l’oggetto della condotta riparatoria consistente nell’integrale riparazione del danno cagionato dal fatto di reato mediante le restituzioni – cioè con la reintegrazione dello status quo ante delictum del patrimonio della persona offesa o del danneggiato in genere – o, congiunzione disgiuntiva che significa in alternativa al primo, con il risarcimento.
Ritengo che l’alternativa e l’equivalenza tra restituzione, sufficiente di per sé a soddisfare l’integrale riparazione, e risarcimento del danno, cioè del danno che deriva dalla impossibilità delle restituzioni, poiché la restituzione costituisce una mera reintegrazione patrimoniale [14], escluda che assuma rilievo il cd. danno non patrimoniale che caratterizza il danno risarcibile ex delicto ai sensi dell’art. 185 co. 2 c.p., confermando la collocazione dogmatica riconosciuta all’istituto giacché l’integrazione della fattispecie di non punibilità esclude la stessa esistenza di un reato in tutte le sue componenti [15].
Tuttavia, pare che la giurisprudenza vada attestandosi sulla pretesa del risarcimento anche del danno morale [16], riprendendo massime/principi affermati con riferimento a specifici contesti di fatto, in cui non si riconosce rilievo alle restituzioni non perché insufficienti ma perché non spontanee [17]. Si manifesta, dunque, il problema dell’utilizzo espansivo di massime fortemente legate al caso concreto, offrendo soluzioni in ipotesi condivisibili per quel caso ma inidonee a costituire un valido precedente per le decisioni future, ovvero incapaci di guardare oltre il caso esaminato verso l’intera classe di casi delimitati dalla descrizione legislativa, affinché la interpretazione proposta attribuisca un significato al testo normativo in grado di renderlo più preciso e determinato ovvero certo in termini generali e astratti.
Può rilevarsi, infatti, che in un gruppo di decisioni l’affermazione dell’insufficienza della mera restituzione del bene, espressa nella massima secondo cui l’istituto «presuppone condotte restitutorie o risarcitorie spontanee e non coartate, nonché destinate definitivamente ad incrementare la sfera economica e giuridica della persona offesa, non essendo configurabile nel caso di sola restituzione del bene sottratto», è in realtà legata al tema della volontarietà della riparazione in ambiti in cui il comportamento dell’agente ne pare privo [18], anch’esso peraltro affrontato in termini non puntuali, come vedremo in seguito [19].
D’altra parte, pare evidentemente estranea alla previsione normativa la lettura della formula utilizzata nella massima «incrementare la sfera economica e giuridica della persona offesa» come riferita della necessità di un quid pluris (dunque, pretesa del danno morale) rispetto alla restituzione del bene sottratto (o al risarcimento) che si limita a reintegrare il patrimonio: il punto è che la previsione normativa espressamente pretende e si limita a pretendere la riparazione mediante restituzione e che è del tutto arbitraria ogni ulteriore pretesa.
Ma andando a verificare l’originario uso dell’espressione «incrementare definitivamente il patrimonio della persona offesa» si comprende come sia riferita a ben differenti situazioni, come è chiaro nella decisione del 2018 in cui appare, presumibilmente per la prima volta [20], riferita al fatto di un imputato che versa delle somme a titolo di risarcimento perché costretto dall’efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado (di qui anche il riferimento alla spontaneità), senza però fare acquiescenza ai capi civili della sentenza, e, pertanto, solo in via provvisoria e con diritto alla ripetizione in caso di esito favorevole dell’impugnazione svolta in sede di legittimità, laddove il senso della pretesa dell’incremento definitivo è chiaramente in contrapposizione alla provvisorietà del versamento in questione. Insomma, l’affermarsi del riferimento nei principi massimati a condotte restitutorie «destinate definitivamente ad incrementare la sfera economica e giuridica della persona offesa», pare sottolineare esclusivamente la necessità che si tratti di prestazioni patrimoniali irripetibili, ma la non chiarezza (in particolare per chi ignora il linguaggio civilistico) della massima evidentemente induce in errore.
La previsione della causa di estinzione (recte: di non punibilità) in questione, d’altra parte, esclude a mio avviso la risarcibilità del danno non patrimoniale anche in sede civile perché, escludendo la sussistenza del reato in un suo elemento essenziale, impedisce l’applicabilità dell’art. 185 c.p. che la presuppone, ancorché l’agente per difetto della colpevolezza non sia punibile. Come accade, del resto, per i casi di depenalizzazione con la previsione della sanzione pecuniaria civile. Diversamente ragionando, l’istituto escluderebbe il reato pretendendo l’effettuazione di un risarcimento che ne implica la esistenza, scelta legislativa possibile ma che deve essere espressa, mentre nella specie sono previste esclusivamente le restituzioni o l’equivalente e non è proponibile alcuna interpretazione estensiva.
Netta, dunque, la differenza con la attenuante ex art. 62, n. 6 c.p., a cui arbitrariamente l’istituto in esame viene spesso assimilato in giurisprudenza, che richiede l’integrale riparazione del danno mediante il risarcimento e, quando possibile, mediante le restituzioni, la quale si riferisce al danno ex art. 185 c.p., infatti per definizione la circostanza attenuante concerne un reato che non viene meno malgrado la sua integrazione, pertanto, a dover essere riparato è il danno da reato.
Con la circostanza attenuante non può in effetti proporsi alcun parallelismo nemmeno per affermare l’inapplicabilità dell’istituto alle ipotesi di tentativo [21], poiché non vi sono ragioni letterali o sistematiche per escludere l’applicabilità della previsione in esame alle ipotesi tentate [22].
Coerente con fondamento e natura dell’istituto è la pretesa legislativa, in aggiunta alla reintegrazione risarcitoria, dell’eliminazione ove possibile delle conseguenze dannose o pericolose del fatto di reato [23], anch’esse certamente non ricollegabili al danno morale, riguardo alle quali è sufficiente che l’imputato abbia fatto quanto possibile per eliderle.
In tema, ai fini di una corretta interpretazione della pretesa, si può proporre anche un interessante riferimento sistematico alla immediatamente precedente previsione della oblazione discrezionale ex art. 162 bis c.p. [24], in cui l’espressione si riferisce all’offesa o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice e lo stesso va affermato con riguardo a quella commentata, differenziandole dal danno materiale arrecato alla persona offesa del reato ancorché possano coincidere con esso, non contemplato nel caso dell’oblazione dalla fattispecie estintiva. Va da sé che quando il danno arrecato alla persona offesa e l’offesa al bene giuridico coincidano null’altro è richiesto all’autore dell’illecito ai fini della non punibilità se non la riparazione praticabile [25].
Si può, pertanto, concludere che nella figura in esame a causare la non punibilità del reato non è il risarcimento del danno da reato ai sensi dell’art. 185 c.p., a cui la previsione non fa alcun riferimento esplicito o implicito; al contrario puntualmente descrivendo l’oggetto della condotta riparatoria, costituita dalla mera restituzione o, quando non possibile, dal risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, necessariamente integrale, in unione all’eventuale eliminazione dell’offesa o della messa in pericolo del bene giuridico tutelato, ove possibile.
D’altra parte, il riconoscimento della congruità da parte del giudice penale di restituzioni e risarcimenti ai fini dell’estinzione del reato, ancorché si parli di integralità, ma evidentemente su un piano squisitamente interno al diritto e al processo penale, non ha autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile di cui non è necessario il consenso, come afferma anche la giurisprudenza [26].
Coerente con la natura del riconoscimento dell’estinzione (recte: non punibilità) per intervenuta riparazione del danno è la esclusione della condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali [27], invece contemplata dall’art. 340, co. 4 c.p.p., a carico del querelato per il caso di remissione della querela. Un evidente differente trattamento per due istituti a cui il legislatore ricollega la estinzione del reato, ma che sono di natura evidentemente differente a riprova della limitata valenza della definizione legislativa.
Con il chiarimento del significato delle restituzioni e del risarcimento del danno rilevanti ai fini dell’interazione dell’istituto, peraltro imposto dalla lettera della previsione, vengono meno anche i problemi collegati alla diversità di condizioni economiche degli autori dei reati [28], i quali debbono semplicemente rinunciare agli indebiti vantaggi frutto della condotta illecita e, dunque, perde rilievo la loro condizione economica di partenza.
4. Volontarietà versus spontaneità della condotta riparatoria. – Tipicamente, nelle cause di non punibilità sopravvenute a cui è assimilabile la figura è sufficiente e necessario che la condotta riparatoria sia volontaria [29], ovvero che l’agente possa tenere un comportamento differente in assenza di costrizioni che lo inducano alla condotta sopravvenuta, perché altrimenti la restaurazione del bene leso non potrebbe essere ascritta alla efficacia generalpreventiva, seppure tardiva, della comminatoria edittale [30].
Le previsioni di non punibilità fanno leva anche sui calcoli utilitaristici del soggetto agente, sebbene questi non ne costituiscano il fondamento, e necessitano di una condotta volontaria correlata alla natura riparatoria delle stesse nonché all’abituale previsione di un limite temporale da osservarsi, così come del resto la stessa finalità generalpreventiva della previsione incriminatrice
Non è necessario invece, di norma, che la condotta esprima ravvedimento, inteso come trasformazione in senso socialmente o moralmente apprezzabile della personalità dell’agente [31].
La previsione univocamente si adegua al tipo comune, eliminando dal testo ogni ambiguità esistente nell’art. 35, d. lgs. n. 274/2000, cosicché la pretesa della spontaneità del comportamento contenuta nella massima già citata, oltre ad utilizzare una espressione del tutto inusuale e inappropriata in materia, è palesemente contraddittoria con la natura e la struttura dello specifico istituto, che attribuisce rilievo al comportamento tenuto entro l’apertura del dibattimento di primo grado, cioè a un comportamento tenuto in presenza e, inevitabilmente, sotto la spinta dell’avvio di un procedimento penale, pertanto e per definizione nient’affatto spontaneo.
In verità il principio massimato si afferma, come ho già rilevato per altro aspetto, in un contesto del tutto peculiare ed è costruito sulla soluzione offerta ad uno specifico caso, di conseguenza è privo di quel carattere generalizzante capace di fornire adeguata soluzione ad una ampia gamma di casi [32]. Oltretutto, la questione decisa è cronologicamente limitata alle prime applicazioni dell’istituto in esame ai processi in itinere al momento della sua introduzione, in particolare ne esclude l’applicazione quando il reo abbia agito costretto dall’efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado [33], in cui il riferimento alla assenza di spontaneità è evidentemente improprio perché semmai si tratta di assenza di volontarietà, ma soprattutto a rendere un semplice ed irrilevante obiter il riferimento alla spontaneità è la circostanza, già in precedenza evidenziata con riferimento alla nozione di definitivo incremento del patrimonio della persona offesa, dell’assenza nelle condotte riparatorie in questione del carattere della definitività.
Insomma, si tratta di un principio/massima privo della proprietà transitiva, che fotografa la decisione massimata ma non è utilizzabile come precedente se non in limitatissimi casi, legato com’è, anche nei suoi limiti e financo negli errori espressivi e contenutistici, al peculiare fatto sub iudice.
Accade, invece, che venga sistematicamente acriticamente ripreso, apparentemente nemmeno comprendendone l’effettivo significato, a riprova dell’importanza di una corretta massimazione dei principi e della necessaria correlazione della massima con il caso deciso [34], inevitabilmente producendo lo stravolgimento dell’istituto, che rappresenta una modalità peculiare di depenalizzazione in astratto, come in definitiva sono tutte le cause di non punibilità in senso stretto, legate a un comportamento privo di ogni peculiare valenza soggettiva se non il requisito minimo della volontarietà, in un contesto per definizione estraneo all’attribuzione di rilievo alla spontaneità della contro condotta, ed anche sul piano oggettivo di estremamente limitato contenuto, pretendendosi la mera restituzione.
Un esempio significativo degli effetti distorsivi dell’applicazione della massima/principio senza tenere conto del fatto che la origina nonché della incomprensione, in definitiva, dell’istituto è emblematicamente rappresentato dalla questione del furto nei supermercati, la cui depenalizzazione già si auspicava mezzo secolo fa nella elaborazione dell’Alternativ-Entwurf eines Strafgesetzbuches [35]. Il legislatore italiano contemporaneo non ha optato per la depenalizzazione secca di questa tipologia di condotta, tuttavia per il furto semplice di cui all’art. 624, e più recentemente anche per il furto aggravato, per i quali è prevista la procedibilità a querela, prevede la non punibilità in presenza della condotta riparatoria prima dell’apertura del dibattimento: insomma è sufficiente che l’agente, pur scoperto ed avviata l’azione penale, restituisca il maltolto nel termine detto.
Non sono, pertanto, comprensibili le resistenze giurisprudenziali all’applicazione dell’istituto che emergono proprio con riferimento alla fattispecie concreta in questione, da cinquant’anni in testa alla lista dei reati da depenalizzare. In particolare, non si comprende per quale ragione non si riconosca la integrazione della causa di non punibilità in presenza della restituzione del maltolto a seguito della scoperta della sottrazione in un supermercato, come fa quella giurisprudenza che utilizza la nota massima che richiede erratamente la spontaneità [36] ed aggiunge che la restituzione non è sufficiente, sempre riprendendo la stessa massima che fa riferimento all’incremento il patrimonio dell’offeso, malamente letto invece che con riferimento alla necessità di una reintegrazione definitiva dello stesso, per affermare, contro il chiaro ed insuperabile tenore letterale della previsione, che l’istituto non è configurabile nel caso di mera restituzione del bene sottratto [37].
Il comportamento in questione rappresenta con tutta evidenza, invece, proprio la ideale integrazione dell’istituto, il quale espressamente richiede la sola volontaria restituzione, come già detto, ed è certo ben più utile e non meno volontaria l’immediata restituzione del bene rispetto a quella che avvenga successivamente a seguito del rinvio a giudizio prima della apertura del dibattimento, con un inutile aggravio dell’amministrazione della giustizia.
In altri giudizi, è evidente che si confonde spontaneità con volontarietà, giacché l’arresto in flagranza laddove comportante ipso facto e senza il contributo del reo il recupero del bene illecitamente sottratto esclude evidentemente la sussistenza di una condotta riparatoria [38]: va da sé che il recupero operato dalle forze dell’ordine, non per iniziativa degli autori della sottrazione, è irrilevante ai fini dell’art. 162-ter c.p. [39].
Del resto, va ribadito che è del tutto forzata l’analogia anche a tal fine proposta, considerandoli espressione della medesima ratio, tra l’istituto che esclude la punibilità e la circostanza attenuante del reato di cui all’art. 62, co. 1, n. 6 c.p. [40], per applicare anche in tema di condotte riparatorie il principio espresso sull’attenuante dalle Sezioni unite, 22.1.2009, n. 5941 [41], secondo cui il legislatore privilegia non il concreto soddisfacimento degli interessi della persona offesa del reato, bensì l’aspetto psicologico e volontaristico della riparazione, ossia «la condotta del colpevole dopo il reato, come sintomo della sua attenuata capacità a delinquere». In vero, la causa di non punibilità in esame espressamente e nettamente si distacca da tale impostazione, come ho già più volte rilevato ed è evidente, non mutuando la formulazione del citato art. 35, d. lgs. n. 274/2000, relativo ai reati di competenza del Giudice di pace [42], perché non contiene alcun riferimento a valutazioni del giudice relative al soddisfacimento delle esigenze di riprovazione del reato e di quelle special-preventive, ma ricollega tout court la estinzione (recte: non punibilità) del reato alla sussistenza delle condotte riparatorie. D’altro canto, non è discutibile sotto ogni altro profilo la differenza tra una circostanza attenuante e una condotta che esclude la punibilità del reato.
5. Le peculiarità dell’istituto rispetto alla c.d. giustizia riparativa e l’offerta reale. – L’istituto in esame è, dunque, applicabile esclusivamente in ragione della presa d’atto da parte dell’ordinamento della restaurazione del patrimonio del danneggiato. Va ribadita, infatti, la evidente irrilevanza nell’art. 162 ter c.p. delle tematiche conciliative e vittimologiche ed ancor più di quelle specialpreventive concernenti il riconoscimento di una minore capacità a delinquere e della risocializzazione del reo, opportunamente escluse da ogni rilievo dal suo tenore letterale, che oltretutto attribuisce alle parti un ruolo marginale: debbono essere solo sentite. La previsione opportunamente supera, tra l’altro, proprio l’impasse in cui potrebbero trovarsi le parti riguardo alla conclusione di accordi conciliativi finalizzati alla remissione della querela [43].
Va detto che le restituzioni non ammettono un sindacato giudiziale in senso proprio, ma esclusivamente il mero accertamento del fatto; in difetto delle restituzioni, l’alternativa integrale riparazione del danno può essere riconosciuta dal giudice (co. 1, parte 2), sussistendo in tal caso una componente valutativa più pregnante, anche a seguito di offerta reale ex artt. 1208 c.c. e seguenti formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa.
La lettera della previsione, che fa riferimento agli articoli 1208 e seguenti del codice civile, attribuisce rilievo alle offerte formali e non-formali ex art. 1220 c.c., ovvero a qualsiasi condotta del debitore idonea a manifestare il serio intento di effettuare la prestazione, che deve essere posta a disposizione del creditore con modalità tali da consentirne concretamente la fruibilità [44]. Anche sul punto in giurisprudenza sembra però affermarsi una lettura restrittiva, con la pretesa della presenza dei requisiti previsti dagli artt. 1208 e 1209 c.c. [45], letteralmente contrastante con il riferimento agli articoli seguenti il 1208 c.c. e dunque non ai soli 1208 e 1209 c.c..
È interessante rilevare, oltretutto, che, malgrado i continui riferimenti già stigmatizzati all’art. 62, n. 6 c.p. [46], per negare un ampio riconoscimento del beneficio del 162 ter c.p., la giurisprudenza sembra distaccarsene proprio sulla questione in esame, in cui il riferimento potrebbe sortire effetti positivi per il reo, riconoscendosi in tema di circostanza attenuante il rilievo anche di offerte non-formali ex art. 1220 c.c. [47].
L’irrilevanza nell’istituto in esame dei profili specialpreventivi comporta anche l’irrilevanza dell’origine dei mezzi necessari alla riparazione, perché la condotta riparatoria non deve esprimere un soggettivo ravvedimento del reo desumibile dal suo sacrificio patrimoniale, nonché delle modalità di formalizzazione della attività di reintegrazione, a cui può provvedere anche un terzo purché nell’interesse dell’imputato [48]. Correttamente, in particolare, si afferma in giurisprudenza che l’art. 162 ter c.p. «è applicabile anche nel caso in cui il danno sia integralmente risarcito dalla compagnia assicuratrice dell’imputato» [49].
Non v’è dubbio, invece, che la ricezione da parte della vittima di un risarcimento del danno, nei cui confronti si sia assicurato, da parte della propria assicurazione privata o pubblica sia irrilevante ai fini dell’applicazione dell’istituto in esame [50].
È comunque necessario in caso di risarcimento, l’accertamento giudiziale della congruità della somma offerta nel contraddittorio delle parti [51]. Valutazione di congruità che è richiesta dalla previsione anche nel caso dell’accettazione da parte della persona offesa, competendo ovviamente al giudice la verifica della sussistenza degli elementi integranti la causa di non punibilità sopravvenuta e, dunque, anche dell’integrale riparazione del danno cagionato dal fatto illecito [52]. Fermo restando che la persona offesa può con la remissione della querela, che se non è ricusata dal reo estingue il reato (152 c.p., 155 c.p.), escludere ogni interferenza giudiziale sulla valutazione della congruità del risarcimento.
Conseguentemente, va consolidandosi in giurisprudenza la esclusione della subordinazione della dichiarazione dell’estinzione del reato per condotta riparatoria intervenuta prima del dibattimento alla mancata opposizione del pubblico ministero e dell’imputato, come invece richiesto dalla procedura prevista dall’art. 469 c.p.p., che riguarda le ipotesi di proscioglimento predibattimentale, tra le quali compare la declaratoria di intervenuta estinzione del reato, assoggettata alla condizione, a pena di nullità di ordine generale, della citata non opposizione di pubblico ministero e imputato previamente consultati [53].
Insomma, anche sotto i profili sopra esaminati, il nuovo istituto costituisce un importante riconoscimento della non punibilità sopravvenuta espressione del principio di sussidiarietà esterna, quale presa d’atto del successo conseguito dalla previsione incriminatrice in termini di tutela dei beni giuridici.
6. La questione dell’estensione ai concorrenti dell’effetto della condotta riparativa. Al collocamento dogmatico e alla comprensione della ratio dell’istituto segue la risposta all’interrogativo sulla estensione a tutti i concorrenti degli effetti di non punibilità del reato a causa della condotta riparatoria posta in essere solo da taluno di essi, evidentemente positiva proprio perché non assumono alcuna valenza i profili soggettivi del pentimento e riconciliazione, ma esclusivamente la restituzione o la riparazione integrale del danno, di valenza chiaramente oggettiva ed esclusivo oggetto di valutazione giudiziale, pertanto non v’è alcuna ragione per inquadrare l’istituto tra le cause soggettive di esclusione della pena ai sensi dell’art. 119 c.p. [54]; d’altra parte, l’art. 182 c.p. non dice nulla circa coloro ai quali la causa di estinzione del reato si riferisca lasciando all’interprete la sua individuazione, e ciò a prescindere dalla peculiarità della figura in esame rispetto alle cause di estinzione del reato in genere.
In senso contrario la giurisprudenza rinnova ancora una volta l’abusato ed errato parallelismo con la circostanza di cui all’art. 62, co. 1, n. 6 c.p., nonché con l’art. 35, d. lgs. n. 274/2000, e afferma il principio secondo cui l’istituto ha natura soggettiva, sicché ha effetto, ai sensi art. 182 c.p., nei soli confronti di colui al quale si riferisce, non estendendosi ai correi [55].
Per comprendere che non v’è alcuna analogia dell’istituto in esame con la circostanza attenuante di cui all’art. 62, co. 1 n. 6 [56], in particolare con riferimento alla estensione degli effetti ai concorrenti nel reato, basta riesaminare l’argomento centrale utilizzato dalla richiamata decisione dalle Sezioni unite 22.1.2009, n. 5941 [57], per individuarne la ratio: il legislatore privilegia «la condotta del colpevole dopo il reato, come sintomo della sua attenuata capacità a delinquere», che esprime compiutamente la differenza di ratio con la formulazione dell’art. 162 ter c.p., che si distacca proprio sul punto dalla formulazione dell’art. 35 , d. lgs. n. 274/2000, e che si riferisce ai reati perseguibili a querela di parte, non lasciando adito a dubbi sull’obiettivo di dare soddisfazione proprio agli interessi della persona offesa del reato, peraltro oggettivati per soddisfare anche l’obiettivo della fuoriuscita dal diritto penale delle fattispecie considerate, prosaicamente riconosciuto dalla stessa giurisprudenza con riferimento alla conseguente deflazione processuale.
Inoltre, è intrinsecamente contraddittoria la valorizzazione della finalità del nuovo istituto come teso primariamente a favorire il risarcimento del danno da reato, dunque eminentemente oggettiva, per poi evincerne che «non possa essere ragionevolmente posta in discussione la natura schiettamente soggettiva» [58]. Anche l’analogia con l’oblazione è del tutto inappropriata, essendo quest’ultimo un istituto che si basa sul pagamento di una somma a titolo di sanzione, il quale produce l’effetto estintivo con una sorta di degradazione da illecito penale a illecito amministrativo [59], cosicché è chiaro che l’effetto estintivo concerne esclusivamente chi effettua il pagamento. Mentre palesemente arbitrario è il riferimento alla sospensione del processo con messa alla prova, che riguarda solo il richiedente per ragioni così evidenti che non è utile approfondirle in questa sede.
Per contro, è ingiustificata l’esclusione della analogia con la causa di estinzione (recte: non punibilità) della concessione di sanatoria c.d. di regime, essendo irrilevante a tal fine la natura formale (rectius: funzionale) del bene protetto [60], mentre ai fini dell’ascrizione a un’unica categoria è significativa la natura restaurabile della lesione del bene tutelato di natura funzionale esattamente come nel caso dei reati contro il patrimonio che vengono in rilievo con riferimento all’istituto in esame.
Mentre, per il richiamo all’efficacia soggettiva del condono edilizio [61], i cui effetti estintivi sono ricollegati all’integrale versamento dell’oblazione ai sensi dell’art. 38 co. 2 l. n. 47/1985, vale quanto già sinteticamente osservato per l’oblazione codicistica a cui in effetti i condoni sono per molti versi assimilabili [62], distinguendosi invece nettamente dall’istituto in esame così come dalla concessione in sanatoria c.d. di regime; senza peraltro dimenticare che anche in materia di condono edilizio «qualora l’immobile appartenga a più proprietari, l’oblazione versata da uno di essi estingue il reato anche nei confronti degli altri comproprietari» [63].
Del resto, è necessario l’integrale risarcimento del danno e non è sufficiente quello pro-quota in caso di obbligazione in solido [64], per cui il risarcimento individuale che soddisfi per l’intero il danno impedisce ulteriori analoghe attività, salvo pretendere la moltiplicazione dei risarcimenti integrali o accontentarsi del rimborso pro quota al reo più tempestivo a tenere la condotta riparatoria, comportamenti, in vero, che oltre ad essere evidentemente differenti da quello richiesto dalla previsione, costituiscono un post-fatto rispetto alla integrazione della fattispecie di non punibilità o estintiva che dir si voglia, pertanto, del tutto irrilevanti.
7. Conclusioni e proposte. – Dopo decenni di sollecitazioni volte ad una significativa depenalizzazione, non sono giustificati i limiti e gli aggravi giurisprudenziali e, talvolta, persino dottrinali posti all’applicazione di un istituto che svolge un ruolo assimilabile alla depenalizzazione secca, salvaguardando però gli interessi essenziali (ma solo quelli) delle persone offese, pur lontano dai modelli della giustizia riparativa.
L’esito ‘depenalizzante’ è l’evidente, legittimo e perseguito obiettivo della speciale nuova figura, rispettosa del principio di legalità e pur utile alla persona offesa, di cui va sottolineata la preferibilità rispetto all’istituto previsto dell’art. 131 bis c.p., i cui contorni sono demandati alla creatività giurisprudenziale, che prevedeva nella struttura originaria una depenalizzazione in concreto già per questo meno rispettosa del principio di legalità ed incurante della riparazione della vittima.
Peraltro, opportunamente la riforma della particolare tenuità del fatto introdotta dal d. lgs. 150/2022 (in attuazione della legge delega n. 134/2021, c.d. Cartabia) attribuisce rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa [65], finalmente intravvedendosi la soluzione di sistema più valida. Più radicalmente sarebbe opportuno legare il riconoscimento della non punibilità alla particolare tenuità del fatto, oltre che a una puntuale definizione normativa del concetto, alla riparazione del danno o alla eliminazione del pericolo, liquidando anche il complesso armamentario normativo e teorico [66] che equipara la sentenza di proscioglimento per non punibilità ex art. 131-bis c.p. a una sentenza di condanna ai fini civili [67] e sanzionatori amministrativi [68] e prevede la iscrizione nel casellario giudiziario ex art. 3 co. 1, lett. f) d.P.R. n. 313/2002.
D’altra parte, sembra essere l’assenza di una qualche sanzione (amministrativa) aggiuntiva rispetto alla mera restituzione o all’equivalente risarcimento del danno, pur esclusivamente previsti dall’art. 162 ter c.p., ad indurre una giurisprudenza ancora poco in sintonia con siffatti istituti ad adottare in materia soluzioni interpretative sostanzialmente creative, ampliando forzatamente la nozione di restituzione al risarcimento del danno da reato. In effetti, una più puntuale disciplina dell’istituto, potrebbe contemperare le varie esigenze in campo, in particolare quella di una sanzione pur amministrativa per il comportamento illecito [69].
È, dunque, auspicabile una sorta di fusione tra gli istituti dell’oblazione e delle condotte riparatorie, con la creazione di un istituto applicabile ad un’ampia gamma di delitti – selezionati per tipologia (ad esempio i reati perseguibili a querela di parte), ma anche per la gravità della violazione relativamente a reati di maggiore rilievo (con adozione di soglie di punibilità, aut similia, di carattere generale) – e alle contravvenzioni tutte, incentrato sulla riparazione integrale del danno e l’eventuale eliminazione dell’offesa o del pericolo per il bene giuridico tutelato, nonché il pagamento di una sanzione amministrativa fissata in concreto nell’ambito di un minimo e massimo edittale, che può certo soddisfare anche le problematiche della scarsa offensività del fatto concreto superando auspicabilmente l’istituto dell’art. 131 bis c.p., a maggior ragione per il suo successo, che si perde però nei meandri dei palazzi di giustizia con il serio pericolo di ingenerare difformità di trattamento.
L’obiettivo dovrebbe essere, insomma, dopo la fin troppo ricca elaborazione di istituti volti alla depenalizzazione in astratto e in concreto di questi ultimi anni, generatori di diseguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giungere per un’ampia gamma di illeciti, selezionati per tipo e per livello d’offesa, ad un unico agile ed efficiente strumento che ne preveda la non punibilità in conseguenza della riparazione del danno l’eventuale eliminazione dell’offesa o del pericolo per il bene giuridico tutelato, a cui si può aggiungere il pagamento (immediato) di una sanzione amministrativa, in vece dell’abusata sanzione penale.
[1] Ho trattato i profili teorici e applicativi della figura in COCCO, Una messa a punto sulle condotte riparatorie di cui all’art. 162-ter c.p. quale causa di non punibilità, in Penale diritto e procedura, 2022, 1, 43 ss.; COCCO, L’autonomia della punibilità e la giustizia riparativa a confronto verso le riforme, in Indice Penale 2/2023, 3 ss.; COCCO, Le condotte riparatorie (162ter), in Cocco, Ambrosetti, Trattato di diritto penale. Parte generale. – II. Punibilità e pene, Padova, 4 ed., 2025, in corso di stampa. Più in generale, ho affrontato il tema nei volumi: COCCO, La punibilità quarto elemento del reato, Padova, 2017; COCCO, L’uso della punibilità nella modernizzazione del diritto penale, Cagliari, novembre 2001. Peraltro, già nella monografia: COCCO, L’atto amministrativo invalido nelle fattispecie penali, Cagliari, 1996, affrontavo il tema dell’inquadramento dogmatico della concessione in sanatoria c.d. di regime. Ovviamente, molti argomenti generali attinenti all’inquadramento dogmatico e alle conseguenze applicative, che riprenderò in sintesi in questo scritto per quanto necessario per illustrare i problemi che pongono le soluzioni adottate dalla giurisprudenza, sono stati già trattati nei miei precedenti studi che per non appesantire il testo eviterò di citare ulteriormente.
[2] Il problema non avrà una trattazione a sé stante, ma verrà analizzato con la valutazione della giurisprudenza sui singoli problemi. Seppure con alcune differenziazioni, si ripropone il tema che ho trattato in COCCO, L’interpretazione giudiziale deve guardare oltre la soluzione del caso concreto. Alcune vicende esemplari, in DPC-RT, 4/2023, 16 ss., con riferimento, in particolare, alla necessità di una attenta massimazione dei principi giurisprudenziali che non consenta – per la sua capacità di andare oltre la soluzione del caso concreto – lo sfruttamento dell’autorità del precedente per l’applicazione delle sue soluzioni a istituti e casi per le quali non sono appropriate.
[3] In GROSSO (cur.), Per un nuovo codice penale II, Padova, 2000.
[4] Un punto fermo venne individuato nella introduzione di una norma generale escludente la sanzione di chi impedisce volontariamente la verificazione dell’evento dannoso nei reati a consumazione anticipata e, dunque, anche con riferimento al recesso attivo, diversamente dalla Commissione Pagliaro. Inoltre, si propose di attribuire rilievo – in particolare con riguardo ai reati contro il patrimonio – alla condotta del reo che, prima che l’autorità abbia avuto notizia del fatto (sul modello del § 167 öStGB) risarcisca o si obblighi a risarcire interamente il danno cagionato; nonché alle condotte riparatorie successive alla scoperta della responsabilità con l’aggiunta di qualche ulteriore costo. Infine – sul modello dell’art. 74 c.p. portoghese (ricondotto alla terza tipologia di sanzione penale del già citato progetto alternativo della Wiedergutmachung) – propose che per i reati meno gravi il giudice possa dichiarare il reo colpevole senza applicare la pena, quando l’illiceità del fatto e la colpevolezza appaiano diminuite, il danno sia risarcito e non vi si oppongano ragioni preventive.
[5] Per rilevarne le significative differenze con l’istituto in esame si riproduce il testo dell’art. 35 co. 1 e 2, d. lgs. n. 274/2000:«Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie. – 1. Il giudice di pace, sentite le parti e l’eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l’imputato dimostra di aver proceduto, [prima della dichiarazione di apertura del dibattimento *], alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. – 2.Il giudice di pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al comma 1, solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione».
* La Corte cost. n. 45/2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, co. 1, in questione, «nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’estinzione del reato, le condotte riparatorie debbano essere realizzate “prima dell’udienza di comparizione”, anziché “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento” di cui all’art. 29, comma 7, del medesimo decreto legislativo».
[6] Cfr. SEMINARA, Perseguibilità a querela ed estinzione del danno per condotte riparatorie: spunti di riflessione, in Criminalia 2018, 396 s.
[7] La previsione recita: «Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato …». La legge n. 172/2017, che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. n. 148/2017, ha aggiunto alla previsione in esame un comma che esclude espressamente dalla sua applicazione i casi ex art. 612 bis c.p. (cd. stalking).
[8] SEMINARA, Perseguibilità a querela ed estinzione del danno, cit., 396 s.; DEMURO, L’incerta parabola della riparazione del danno nel sistema penale, in Studi Dolcini, II, Milano, 2018, 717; PERINI, Condotte riparatorie ed estinzione del reato ex art. 162 ter c.p.: deflazione senza Restorative Justice, in Dir. Pen. Proc., 10/2017, 1282; GRANDI, L’estinzione del reato per condotte riparatorie. Profili di diritto sostanziale, in Leg. Pen.,2017, 3.
[9] Va precisato, secondo condivisibile giurisprudenza, che l’istituto può applicarsi anche nel caso in cui vi sia stata, da parte del giudice, la riqualificazione del reato procedibile d’ufficio in una fattispecie procedibile a querela, a condizione che l’offerta riparatoria o risarcitoria sia tempestivamente formulata, così da consentire al giudice di verificarne la congruità e salva la possibilità di concessione, su richiesta dell’imputato impossibilitato ad adempiervi per causa a lui non addebitabile, di un termine per provvedervi anche ratealmente (in tal senso vedi C. IV, 29.11.2023, n. 640/2024, ced rv 285631–01; C. V, 6.12.2024, n. 7263/2025).
[10] Oltre ai miei saggi citati in n. 1, cfr. MANCA, La riparazione del danno tra diritto penale e diritto punitivo, Padova, 2020, 88 ss.
[11] In particolare, il termine tende di norma a riconnettere il conseguimento del risultato utile alla minaccia iniziale e, dunque, a farlo apparire come effetto dell’osservanza dello stesso precetto violato, che così si dimostra efficace e convalidato con l’effettiva salvaguardia della esigenza di prevenzione generale, benché un risultato utile possa ottenersi anche dopo il suo superamento, ad esempio dopo qualche tempo dall’ingiunzione dell’autorità nella banda armata o dopo che la notizia è pervenuta all’autorità nel falso nummario. Cfr. anche PADOVANI, Il traffico delle indulgenze. ‘Premio’ e ‘corrispettivo’ nella dinamica della punibilità, in RIDPP, 1986, 398 ss., in part. 408 s..
[12] «Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma».
[13] In tal senso vedi C. V, 10.6.2024, n. 26894.
[14] In effetti, in giurisprudenza non manca che esclude rilievo a «un’offerta di risarcimento inferiore al danno patrimoniale» ai fini della valutazione dell’applicabilità dell’istituto (C. II, 4.6.2024, n. 27170).
[15] Conf. MANCA, La riparazione del danno, cit., 117 s., che parla di riparazione algebrica (114 ss., e passim), con riferimento a C. S.U. 23.4.2015, n. 33864, ced rv 264238-01; contra MARINUCCI, DOLCINI, GATTA, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 13 ed., 2024, 538, che però non approfondiscono il tema e, in definitiva, rinviano alla giurisprudenza; analogamente FIANDACA, MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 8 ed., 2019, 847, non motivano e non considerano la sufficienza delle restituzioni. Cfr., in generale, sul tema TOSCANO, Post crimen patratum. Contributo ad uno studio sistematico sulle ipotesi di ravvedimento postdelittuoso, Torino, 2022, 114.
[16] Espressamente in tal senso vedi C. VII, 22.10.2024, n. 43299. Non si accontenta della mera reintegrazione patrimoniale anche C. V, 14.2.2025, n. 7993, che annulla una decisione che riconosce integrato l’istituto in esame in un caso in cui il quantum offerto a titolo di risarcimento del danno corrisponde al prezzo dei beni sottratti, asserendo la necessità del soddisfacimento per intero (!) della pretesa restitutoria e risarcitoria della persona offesa, rinviando a una massima tratta da C. V, 13.11.2020, n. 2490/2021, ced rv 280253-01, che riprende a sua volta la massima tratta da C. V, 25.2.2020, n. 14030, ced rv 279082-01, su tutt’altro genere di fatto. In letteratura, in tal senso v. CANESTRARI, CORNACCHIA, DE SIMONE, Le principali modifiche introdotte dalla c.d. ‘riforma Orlando’ al diritto penale sostanziale, aggiornamento del Manuale di diritto penale, parte generale, 2 ed., Bologna, 2017, 2 s.
[17] La questione verrà approfondita nel paragrafo seguente.
[18] Così C. V, 13.11.2020, n. 2490/2021, ced rv 280253-01, che riprende la massima da C. V, 25.2.2020, n. 14030, ced rv 279082-01, con riferimento a una fattispecie in tema di furto in cui l’autore, una volta scoperto, restituisce la merce asportata agli addetti alla vigilanza dell’esercizio commerciale (conf. C. VII, 17.4.2024, n. 19442).
[19] Il tema della volontarietà versus spontaneità è specificamente affrontato nel § 4.
[20] C. V, 3.4.2018, n. 21922, ced rv 273187-01.
[21] Proposte da SEMINARA, Perseguibilità a querela ed estinzione del danno per condotte riparatorie, cit., 399 s., ribadendo la esclusione affermata in giurisprudenza in materia di circostanza attenuante ex art. 62 co. 6 c.p., e paventando che si darebbe altrimenti vita ad una ipotesi sostanzialmente di depenalizzazione, cui si può opporre che effettivamente si tratta di una peculiare forma di depenalizzazione.
[22] Per una applicazione dell’istituto alle figure tentate degli artt. 628 c.p., 629 c.p. e 630 c.p., assoggettate a querela di parte dall’art. 649 c.p., vedi C. II, 17.10.2019, n. 44863. In tema v. anche MANCA, La riparazione del danno, cit., 119 s..
[23] Cfr. C. V, 25.2.2020, n. 14030, secondo cui la causa estintiva del reato per riparazione del danno, ex art. 162-ter c.p., richiede, ove possibile, anche l’eliminazione del cd. danno criminale, per cui, se tra le conseguenze del reato rientra anche il mancato reintegro nell’abitazione coniugale, il beneficio può essere conseguito solo se l’imputato consenta il libero e pieno godimento dell’immobile.
[24] In cui comportano l’estinzione del reato il pagamento di una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda, prevista alternativamente all’arresto dalla contravvenzione, e l’eliminazione delle ‘conseguenze dannose o pericolose del reato’ quando possibile.
[25] GRANDI, L’estinzione del reato per condotte riparatorie. Profili di diritto sostanziale, in Leg. Pen.,2017, 19.
[26] Vedi C. V, 14.2.2019, n. 10390, ced rv 276028–01; C. II, 15.12.2022, n. 16714/2023, che richiama C. S.U., 23.4.2015, n. 33864, ced rv 264238-01, in tema di art. 35, d. lgs. n. 274/2000; C. II, 22.6.2021, n. 39252, ced rv 282133; C. V, 9.1.2024, n. 5349.
[27] Così C. IV, 19.9.2024, n. 42949; C. IV, 24.1.2012, n. 9472, ced rv 251987, quest’ultima in tema di art. 35, d.lgs. n. 274/2000.
[28] Sollevati, ad es., da CANESTRARI, CORNACCHIA, DE SIMONE, Le principali modifiche introdotte dalla c.d. ‘riforma Orlando’ al diritto penale sostanziale, cit., 2 s.; SEMINARA, Perseguibilità a querela ed estinzione del danno per condotte riparatorie, cit., 398.
[29] Per tutti BRAUNS, Die Wiedergutmachung der Folgen der Straftat durch den Täter, Berlin, 1996, 215 s.; FARALDO CABANA, Las causas de levantamiento de la pena, Valencia, 2000, 28 s.; Alternativ-Entwurf Wiedergutmachung (AE-WGM), München, 1992, 25 e 39 s.
[30] Amplius COCCO, La punibilità quarto elemento del reato, cit., cap. IV, § 7; PADOVANI, Il traffico delle indulgenze, cit., 409.
[31] CONTENTO, La condotta susseguente al reato, Bari, 1965114; FLORA, Il ravvedimento del concorrente, Padova, 1984, 1 s.; PADOVANI, La soave inquisizione. Osservazioni e rilievi a proposito delle nuove ipotesi di ravvedimento, in RIDPP, 1981, 429 535; PROSDOCIMI, Il recesso dal reato consumato: profili di diritto penale comparato, in La legislazione premiale, Milano, 1987, 134; C. S.U., 23.11.1985, n. 2816.
[32] Sul tema mi sono diffuso in COCCO, L’interpretazione giudiziale deve guardare oltre la soluzione del caso concreto, cit., passim, in effetti la massima, divenuta oggetto di sistematico richiamo nella giurisprudenza in materia, appare eccessivamente legata al caso in cui viene in origine formulata.
[33] Si veda la già citata C. II, 17.5.2018, n. 21922; inoltre C. V, 25.2.2020, n. 14030, ced rv 279082, relativa al versamento da parte dell’imputato delle somme a titolo di risarcimento e rimborsi le spese legali, a cui è condannato dalla sentenza oggetto di impugnazione.
[34] Rinvio, per qualche approfondimento sulla attività di massimazione, al volume COCCO (cur.), L’interpretazione per un giudice liberale, Padova, 2025, e, in particolare, per quanto riguardo i problemi attinenti l’uso dei precedenti al contributo di Maria MELONI, Il ruolo del precedente nella corte di cassazione, [già pubblicato in Cocco (cur.), Interpretazione e precedente giudiziale in diritto penale, Padova, 2005, 163-189], la quale, tra l’altro, evidenzia che «anche quando i precedenti sono citati, spesso si fa riferimento solo alla massima estratta dalla decisione, non già alla fattispecie o al caso deciso nel precedente, la quale non viene posta, secondo gli insegnamenti di Gorla, in relazione al caso che si sta per decidere. Correlativamente non si ha alcuna possibilità di controllare in virtù del testo della decisione se e come i due casi siano diversi e fino a che punto tale diversità possa incidere sulla regola da adottare. In tutte queste ipotesi può essere estremamente complesso estrarre la massima e collocare correttamente la decisione nei filoni giurisprudenziali esistenti» (p. 301).
[35] Entwurf eines Gesetzes gegen Ladendiebstahl (AE-GLD), in Recht und Staat, 1974, Heft 439; nonché il contributo di ARZT, Entkriminalisierung des Ladendiebstahls – Zum Vorschlag des Entwurfs eines Gesetzes gegen Ladendiebstahl, in: Schoreit [cur.], Problem Ladendiebstahl, Heidelberg 1979, s. 9-17
[36] Così C. IV, 29.11.2023, n. 640/2024, che concerne il caso in cui l’autore scoperto restituisca la merce asportata (del valore di euro 127,24) agli addetti alla vigilanza dell’esercizio commerciale (e prima ancora dell’arrivo delle forze dell’ordine), la quale riprende la massima tratta da C. V, 13.11.2020, n. 2490/2021, ced rv 280253–01, che in un caso analogo specifica che «l’avvenuta restituzione al personale addetto alla vigilanza dell’esercizio commerciale dove il furto per cui si è proceduto è stato consumato, non può certo ritenersi il frutto di una scelta spontanea, perché l’imputato non poteva sottrarsi alla restituzione della merce illecitamente sottratta una volta scoperto». Si tratta evidentemente in ambedue i casi di condotta, per come descritta, chiaramente volontaria, giacché si parla di restituzione e non di riappropriazione di fatto da parte del citato personale.
[37] Ho già riferito della pretesa del risarcimento del danno da reato nel precedente paragrafo.
[38] Invoca la pretesa della spontaneità con riferimento a un caso di arresto in flagranza, in cui è comunque l’autore dell’illecito a fare immediatamente ritrovare il portafogli sottratto alla persona offesa e, dunque, non vi è il recupero autonomo da parte delle forze dell’ordine, C. IV, 4.6.2021, n. 34333, peraltro una delle più approfondite nella ricostruzione dell’istituto, che ne sintetizza così la ratio: «il venir meno dell’esigenza punitiva, a fronte della piena restaurazione dell’interesse leso, dall’altro, si persegue un intento deflattivo, giustificato dall’insussistenza della necessità rieducativa a mezzo di ulteriori condotte risocializzanti, stante la neutralizzazione del danno arrecato alla vittima, in attuazione del principio dell’extrema ratio del diritto penale». Aggiunge anche, puntualmente, che la natura dell’istituto «implica che la condotta riparatoria debba precedere la celebrazione del processo, non realizzandosi altrimenti l’effetto deflattivo che condiziona l’istituto e che coniuga la neutralizzazione del danno e la rilevanza penale concreta del fatto con la necessità di evitare il processo, laddove il suo accertamento e l’applicazione della sanzione penale si dimostrino non solo un irragionevole spreco di risorse, ma una sproporzionata reazione dello Stato rispetto ad una condotta violativa di un interesse esclusivamente privato e ad un soggetto che ha volontariamente provveduto alla sua riparazione». Conclude che in tal caso la restituzione «non sia frutto di una scelta spontanea, bensì coartata, per il tempestivo intervento delle forze dell’ordine. Essendo chiaro che in una simile situazione la restituzione non è una facoltà del reo, ma l’effetto di provvedimenti dell’autorità». La conclusione, tuttavia, non è affatto coerente con il fatto, giacché non è sufficiente l’arresto degli autori dell’illecito (come evidenziano numerosi casi di cronaca) per far restituire il maltolto e non si vede quale differenza vi sia anche nel caso di specie tra il recupero effettuato con la collaborazione del reo assoggettato a misura cautelare e la stessa restituzione effettuata dal reo ormai in libertà prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
[39] Vedi C. I, 12.1.2021, n. 17541.
[40] Vedi C. IV, 12.11.2019, n. 10107/2020, ced rv 278607; C. II, 31.3.2023, n. 20210, secondo cui «il legislatore del 2017, per il nuovo istituto (di natura inequivocabilmente premiale), si è ispirato dunque alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., nonché alla struttura procedimentale delineata dall’art. 35, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che disciplina l’analogo meccanismo estintivo per intervenuta riparazione del danno nel procedimento dinanzi al giudice di pace»; essendo al contrario evidente che il legislatore del 2017 supera le precedenti previsioni costruendo un istituto originale per ratio,struttura ed effetti, inquadrabile in differenti e consolidati schemi facilmente individuabili.
[41] C. S.U., 22.1.2009, n. 5941, ced rv 242215.
[42] A cui, peraltro, non è applicabile, data la peculiarità del sistema sostanziale e processuale relativo a tali reati (C. V, 10.6.2019, n. 47221, ced rv 277256; C. IV, 15.3.2019, n. 25843, ced rv 276370; C. S.U, 22.6.2017, n. 53683, ced rv 271587).
[43] Per tutti PALAZZO, La riforma penale alza il tiro?, in DPC-RT, 1/2016, 54; nella manualistica MARINUCCI, DOLCINI, GATTA, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., 538.
[44] Ad esempio, in sede civile, si reputa idonea la offerta non formale di pagamento del prezzo di cessione in proprietà di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, giudizialmente determinato, effettuata mediante intestazione di un libretto bancario all’ente e deposito dello stesso presso il tribunale sin dall’iscrizione della causa a ruolo (C. VI-2 civ., 27.10.2014, n. 22734).
[45] Per quanto spesso il principio si ribadisca solo tuzioristicamente: C. V, 11.4.2024, n. 28089 (in cui è sostanzialmente irrilevante ai fini decisori); C. II, 19.1.2024, n. 13546 (si afferma che non è sufficiente l’esibizione di un assegno circolare in udienza e si fa generico riferimento all’assenza di un’offerta reale ex artt. 1208 e ss. cod. civ); C. IV, 16.11.2023, n. 48058 (si fa generico riferimento ai canoni previsti dall’art. 1208 cod. civ.).
[46] Analogia tra i due istituti che, in presenza di valutazione giudiziale positiva con riferimento all’attenuante ex art. 62, n. 6 c.p., porta la giurisprudenza a considerare il risarcimento che lo integra equipollente a quello che sostiene la causa estintiva (C. IV, 20.11.2024, n. 46572; C. V, 9.1.2024, n. 10861), sebbene potrebbe più correttamente dirsi che lo integra per eccesso.
[47] Secondo una consolidata massima sull’attenuante, la riparazione del danno deve essere effettiva nel senso che «la somma di danaro proposta dall’imputato come risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale deve essere offerta alla parte lesa in modo da consentire alla medesima di conseguirne la disponibilità concretamente e senza condizioni di sorta, nel rispetto delle prescrizioni civilistiche relative al versamento diretto del danaro o a forme equipollenti che rivelano la reale volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso» (così C. V, 8.2.2018, n. 21517, ced rv 273021; C. II, 7.11.2017, n. 56380, ced rv 271556; C. II, 24.1.2013 n. 9143, ced rv 254880; C. II, 6.7.2011, n. 36037, ced rv 251073. Fa riferimento, invece, al 1209 c.c. C. I, 23.2.2024, n. 16493, ced rv 286309).
[48] GRANDI, L’estinzione del reato per condotte riparatorie, cit., 22; MANCA, La riparazione del danno, cit., 127.
[49] In tal senso: C. IV, 12.11.2019, n. 10107/2020, ced rv 278607-01, che richiede la sollecitazione dell’imputato; mentre per C. IV, 29.2.2024 n. 11379, è sufficiente che l’imputato mostri di voler fare proprio il risarcimento dalla compagnia assicurativa.
[50] Cfr. MANCA, La riparazione del danno, cit., 126 s.
[51] Vedi C. V, 14.3.2025, n. 17243; C. V, 14.11.2023, n. 7362/2024, ced rv 286078-01; C. III, 2.3.2021, n. 16674, ced rv 281204-01.
[52] Vedi C. V, 14.2.2025, n. 7992; C. VI, 23.10.2018, n. 52671, ced rv 274579; diversamente argomentando dalla lettera della previsione: CANESTRARI, CORNACCHIA, DE SIMONE, Le principali modifiche introdotte dalla c.d. ‘riforma Orlando’ al diritto penale sostanziale, cit., 4 s.. Analogamente la giurisprudenza in tema di circostanza attenuante ex art. 62, n. 6 c.p., afferma che il giudice «può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa» (C. IV, 14.7.2011, n. 34380; C. V, 4.11.2015, n. 44562, ced rv 251508).
[53] C. V, 25.9.2024, n. 41899; C. V, 19.6.2024, n. 29669, che rinvia a C. S.U., 23.4.2015, n. 33864, ced rv 264240-01, in tema di art. 35 co. 1, d.lgs. n. 274/2000. In senso contrario, per l’applicazione pedissequa dell’art. 469 c.p.p., vedi C. II, 22.6.2021, n. 39252, ced rv 282133; conf. C. V, 10.6.2024, n. 26894, che però evidenzia che la causa di non punibilità può comunque essere riconosciuta all’esito del dibattimento anche in presenza di opposizione.
[54] Amplius, in generale sulla questione della estensione della non punibilità ai concorrenti nel reato COCCO, La punibilità quarto elemento del reato, cit., 157 ss.; cfr., inoltre, FASANI, L’estinzione della punibilità, Torino, 2024, 13 ss.; e TOSCANO, Post crimen patratum, cit., 108. Sul tema specifico, conf. MANCA, La riparazione del danno, cit., 128; contra GRANDI, L’estinzione del reato per condotte riparatorie, cit., 22, argomentando ex art. 182 c.p..
[55] Così C. II, 31.3.2023, n. 20210, ced rv 284712-01; conf. C. VII, 7.5.2024, n. 25102.
[56] Affermata da C. II, 31.3.2023, n. 20210, che così si esprime: «la consolidata linea ermeneutica in materia dell’attenuante del risarcimento del danno era netta nell’affermare che, quando il danno sia stato cagionato da più persone concorrenti nel reato, la circostanza non può essere riconosciuta al singolo che non abbia contribuito all’adempimento, di modo che, qualora uno solo dei còrrei abbia provveduto, in modo integrale, al risarcimento stesso, l’altro concorrente, per fruire della menzionata attenuante, deve almeno dimostrare la sua concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno cagionato, non più direttamente verso la parte lesa – ormai priva di titolo a ricevere altro – ma indirettamente, provando di avere rimborsato al complice più diligente la propria quota, prima del giudizio (Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, dep. 2004, Balsano, Rv. 227102. Cfr. Sez. U, n. 5941 del 22/01/2009, Pagani, Rv. 242215, secondo cui, ove un solo concorrente abbia provveduto all’integrale risarcimento del danno, la relativa circostanza attenuante non si estende ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno). Anche il Giudice delle leggi, con sentenza n. 138 del 20 aprile 1998, in merito alla medesima circostanza di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., ha affermato la necessaria riferibilità dell’evento risarcitorio all’imputato, sia pure in chiave non meramente soggettiva, anche valorizzando l’istituto dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti».
[57] Vedi C. S.U., 22.1.2009, n. 5941, ced rv 242215, che peraltro si limita a richiedere ai compartecipi che manifestino una concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno.
[58] Vedi C. II, 31.3.2023, n. 20210, secondo cui non può «essere ragionevolmente posta in discussione la natura schiettamente soggettiva della causa estintiva di cui all’art. 162-ter cod. pen., che opera in favore di chi voglia sottrarsi rapidamente al circuito penale, riparando le conseguenze negative delle proprie azioni od omissioni e dando mostra in qualche modo di un comportamento sintomatico di ravvedimento e di minore pericolosità sociale (al pari, ad esempio dell’oblazione obbligatoria o facoltativa ex artt. 162 e 162-bis cod. pen. o di quanto previsto dall’art. 168-ter cod. pen. in caso di esito positivo della messa alla prova)».
[59] Per quanto anche la oblazione (in particolare quella discrezionale codicistica) possa dare rilievo ad obiettivi di tutela dei beni giuridici, che però non ne costituiscono il fondamento.
[60] C. II, 31.3.2023, n. 20210, esclude possa assimilarsi all’istituto in esame la concessione della sanatoria ordinaria ex artt. 36 e 45, d.P.R. n. 380/2001 (già artt. 13 e 22, l. n. 47/1985) perché si fonda, «al contrario dei delitti contro il patrimonio che qui vengono in rilievo, sulla natura meramente formale dell’offesa al bene protetto (il rilascio della sanatoria presuppone il doppio accertamento di conformità dell’opera abusiva agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione sia in quello della richiesta, che – in forza di apposita disposizione – consente un omologo trattamento penale tra tutti gli autori della violazione, senza che, per fruire del beneficio, occorra che la domanda sia proposta da tutti costoro».
[61] Vedi C. II, 31.3.2023, n. 20210.
[62] Il c.d. condono edilizio, infatti, di norma non richiede il rispetto delle regole edilizie e urbanistichee, dunque, il ristabilimento del bene giuridico sostanziale leso, né si ricollega anche cronologicamente alla comminatoria edittale, elementi che caratterizzano gli istituti della non punibilità, categoria a cui non può dunque ascriversi, differenziandosi nettamente dall’istituto in esame.
[63] Cfr. art. 38, co. 2, come modificato dall’art. 6, d. l. n. 2/1988, convertito con modificazioni nella l. n. 68/1988.
[64] Vedi C. II, 3.12.2020, n. 4038/2021.
[65] Su cui recentemente PIERDONATI, Verso una tenuità ‘allargata’. L’introduzione della condotta susseguente al reato nell’art.131 bis c.p. e il nuovo assetto dell’irrilevanza penale del fatto, in AP, 3/2024.
[66] Su cui C. cost. n. 173/2022.
[67] Fino a richiedere al giudice penale di pronunciarsi anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile: C. cost. n. 173/2022.
[68] V. C. S.U., 25.2.2016: applicabilità della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.
[69] Così verrebbe meno anche l’incongruenza (segnalata, tra gli altri, da PADOVANI, Diritto penale, 12 ed., 2019, 456 s.) del diverso trattamento dei delitti perseguibili a querela in questione rispetto agli illeciti già perseguibili a querela depenalizzati ed assoggettati ad una sanzione pecuniaria civile che si aggiunge al risarcimento del classico danno compensativo, come l’ingiuria (594 c.p.).