Il principio di proporzionalità nel giudizio patrimoniale di confisca: in attesa della pronuncia della Corte E.D.U. sul “Caso Cavallotti”

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il principio di proporzionalità e lo spirito europeo. 3. In attesa della sentenza della Corte E.D.U. sul “Caso Cavallotti”. 4. Proporzionalità e prevenzione antimafia: prospettive de iure condendo.

  1. Introduzione

In chiave diacronica è dato riscontrare il mutamento del modello di ragionamento giuridico e giudiziario, con il passaggio da un diritto di regole per procedere verso un diritto di principi bilanciabili tra di loro[1].

La necessità di contrastare l’illecito arricchimento delle organizzazioni criminali, possibilmente reinvestito in attività imprenditoriali e professionali, determina complesse ed articolate investigazioni, che si devono basare su una disamina della documentazione amministrativo – contabile, procedendo alla ricostruzione dei flussi finanziari ed al riscontro della congruità della situazione patrimoniale effettiva con quella reddituale dichiarata.

Le misure ablatorie previste nel sistema di prevenzione antimafia possono determinare l’apprensione non solamente dei beni, che hanno un rapporto di diretta derivazione dalle attività delittuose, ma anche ciò che, seppur sia stato oggetto di lecita acquisizione, possa considerarsi pertinenziale al patrimonio illecitamente reimpiegato.

L’esperienza giurisprudenziale ha evidenziato come il modello ablatorio de quo si avvicina al concetto sostanziale di pena, posto che può mancare una connessione tra il bene eventualmente proposto per il sequestro e l’ipotesi delittuosa alla base del giudizio di pericolosità sociale.

In tal senso, il vaglio di proporzione per l’emissione di provvedimenti cautelari di natura reale nell’ambito della prevenzione antimafia, può perseguire lo scopo di ripristinare la situazione economica precedente alla commissione degli illeciti, al fine di non incrinare l’equilibrio fra la gravità dell’illecito e la reazione sanzionatoria.

A fianco al costante intervento dell’autorità giudiziaria requirente, emerge l’impegno politico in ambito europeo per intervenire a contrasto della criminalità organizzata, la quale, mediante la commissione di reati economico-finanziari, produce ricchezza illecita. Nello specifico, massima propulsione è provenuta dal Parlamento e del Consiglio europeo per rinnovare le disposizioni legislative a suo tempo emanate con la direttiva (UE) n. 2014/42/UE, in materia di congelamento, confisca e gestione dei beni di origine criminale.

Infatti, la relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 02.06.2020 relativamente al tema “Recupero e confisca dei beni: garantire che “il crimine non paghi” [2], ha evidenziato le criticità sussistenti per allineare le legislazioni dei differenti Stati membri, nello specifico per il recupero dei beni, attesa la sempre crescente dimensione internazionale dell’argomento. Nello specifico, il prefato rapporto evidenzia come “la criminalità organizzata rappresenta una delle principali minacce per la sicurezza dell’Unione europea [3].

Il 12 aprile 2024, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato la Direttiva (UE) n. 2024/1260 inerente al recupero ed alla confisca dei beni, affinché si possa procedere ad una concreta armonizzazione dei diversi ordinamenti legislativi nazionali, la cui conformazione è prevista entro il 23 novembre del 2026, al fine di promuovere la cooperazione internazionale nella fase di individuazione ed esecuzione dei provvedimenti di confisca.

In tal senso, gli organi unionali mirano a contrastare il proliferarsi di sistemi finanziari paralleli a quelli legali, perché possono costituire “una minaccia significativa per l’integrità dell’economia e della società, che erode lo Stato di diritto e i diritti fondamentali” [4].

Lo scopo del presidio di prevenzione antimafia consente l’aggressione di patrimoni e risorse illecite, le quali inquinano il sistema finanziario ed economico, prescindendo dall’accertamento delle responsabilità penali del proposto, quale doppio ed autonomo binario.

Le misure cautelari reali previste dalla legislazione di prevenzione costituiscono uno strumento fondamentale per contrastare la criminalità organizzata ed ipotesi delinquenziali possibilmente correlate ad infiltrazioni mafiose nel tessuto sociale ed imprenditoriale legale, posto che possono essere applicate indipendentemente dalla definizione del contesto penale tramite l’emissione di una sentenza di condanna e prescindendo dall’esistenza di una correlazione diretta tra il reato e il bene oggetto di valutazione nel procedimento di prevenzione. 

Nel delineato contesto l’intervento riformista del Legislatore della sicurezza ha inteso rafforzare l’efficacia delle misure di prevenzione patrimoniali, promuovere la legalità urbanistica e migliorare l’efficienza gestionale del patrimonio sequestrato e confiscato. L’attenzione è rivolta alla sostenibilità economica delle imprese e alla trasparenza nella fase successiva alla confisca[5].

Medio tempore La Commissione Ue ha avviato una procedura di infrazione sull’Italia inviando una lettera di costituzione in mora, per il mancato recepimento della direttiva sul rafforzamento della presunzione di innocenza e il diritto di presenziare al processo nei giudizi penali[6].

  • Lo sviluppo del principio di proporzionalità e lo spirito europeo.

Le prime elaborazioni del principio di proporzionalità si rintracciano nel diritto tedesco del XIX secolo, in particolare nella giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale tedesca). Nello specifico sono stati individuati tre elementi, quali l’idoneità, la necessarietà e la proporzionalità in senso stretto, finalizzati a perimetrare l’istituto oggetto di disamina nel corso della presente dissertazione.

Per comprenderne in modo intuitivo la portata, si può citare la metafora elaborata già nel 1912 da parte di Fritz Fleiner, amministrativista tedesco: “La polizia non deve sparare ai passeri con i cannoni[7].

Tale espressione, consente di cogliere il significato del principio di proporzionalità, in quanto si evince la necessità contemperare l’interesse pubblico con i diritti individuali, vagliando la possibilità di comprimere le tutele dei singoli in caso di effettiva necessità, legata ad un idoneo interesse generale.

L’istituto de quo è diventato nel tempo un canone interpretativo comune a molteplici ordinamenti europei.

Sul piano sovranazionale, la proporzionalità è un pilastro dell’ordinamento dell’Unione Europea, anche grazie all’opera di esegesi svolta della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Dalla disamina dell’articolo 5 del Trattato sull’Unione Europea emerge come tale istituto si pone quale limite alle competenze degli Stati membri e delle istituzioni unionali.

Nella stessa direzione si inserisce la Corte EDU, la quale richiama costantemente la necessità di attuare un bilanciamento proporzionato tra i diritti individuali e le esigenze collettive di protezione dell’ordine pubblico[8].

Per quanto attiene allo specifico settore delle misure di prevenzione antimafia, la Corte di Strasburgo si è espressa censurando il nostro Paese per violazione alla CEDU, relativamente all’articolo 2 protocollo n. 4 sulla libertà di circolazione ed all’articolo 8 sulla vita privata, in quanto i provvedimenti antimafiadi natura ablatoriadovrebbero fondarsi su parametri precisi e prevedibili, vagliati in concreto dall’Autorità requirente.

Nello specifico, la Corte EDU monitora costantemente l’evoluzione l’applicativa delle misure di prevenzione negli Stati membri dell’Unione Europea ed ha ribadito, nel corso di specifiche pronunce, come la natura di tali strumenti antimafia non sia punitiva e, comunque, nella fase applicativa si renda necessario adottare idonee garanzie procedurali e sostanziali.

Nel diritto italiano, il principio di proporzionalità, pur non essendo menzionato espressamente nella Carta Costituzione, si è affermato grazie all’intervento dottrinale e giurisprudenziale[9].

Storicamente, il sindacato costituzionale sulle pene veniva svolto procedendo ad un confronto fra fattispecie simili, secondo il principio del tertium comparationis o delle cosiddette geometrie triadiche[10].

Attualmente la Corte costituzionale[11], come peraltro avviene in ambito sovranazionale europeo, riscontra direttamente l’eventuale manifesta irragionevolezza della pena, rapportandola al fatto commesso ed al suo disvalore, per riscontrare l’eventuale sproporzione intrinseca[12].

  • In attesa della sentenza della Corte E.D.U. sul “Caso Cavallotti”.

La giurisprudenza interna ed europea in materia  in diverse pronunce giudiziarie l’importanza di una valutazione attuale e concreta della pericolosità sociale di un individuo. In tal senso, un caso emblematico riguarda l’imprenditore siciliano Antonino Giordano.

La pericolosità qualificata del proposto era emersa a seguito del provvedimento di arresto avvenuto nel 2000 e dalla conseguente sentenza di condanna intervenuta nel 2002, in quanto il prefato risultava aver costituito, unitamente ad un esponente di Cosa Nostra, un meccanismo fraudolento per il controllo degli appalti nella provincia di Palermo.

In materia di prevenzione antimafia, venivano parallelamente confiscati all’imprenditore beni per milioni di euro.

Tuttavia, nel 2023, a seguito di revisione del processo, interveniva l’assoluzione di Antonino Giordano per non aver commesso il fatto, atteso un errore di identificazione del soggetto in alcune conversazioni captate nel corso delle attività di indagine.

Conseguentemente, il Tribunale di Palermo revocava la confisca precedentemente disposta, per aver ritenuto prevalente l’assoluzione definitiva di Giordano in sede penale.

In tal senso si è orientata, altresì, la Corte di cassazione[13], che ha recentemente evidenziato come nessuna misura di prevenzione possa essere imposta nei confronti di colui il quale ha beneficato di un’assoluzione in ambito penale.

Infatti, è stato sancito come il giudicato assolutorio, quale negazione penale irrevocabile, prevale sull’applicazione di eventuali provvedimenti ablatori antimafia[14].

Tale posizione si allinea al principio aristotelico di non contraddizione, “nol consente”, che permea l’ordinamento giuridico nazionale[15].

Tuttavia, si rileva come la Corte, in tale pronuncia relativa ad un caso di pericolosità generica, argomenta come debba essere differenziato il settore della contiguità mafiosa, per il quale giudice deve vagliare soggetti indiziati di appartenere alla criminalità organizzata di stampo mafioso e, pertanto, tale giudizio si fonda già di per sé su un quadro indiziario[16].

In pregresse pronunce della Suprema Corte è stato, invece, ribadito il principio di autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione, per il quale il giudice può vagliare i fatti accertati in sede penale, anche in caso di assoluzione dell’imputato, qualora risultino delineati gli elementi fondanti il giudizio di pericolosità relativamente al soggetto investigato[17].

Dagli sviluppi giurisprudenziali esaminati emerge un progressivo cambiamento, che risente di plurimi influssi determinati dal delicato contesto antimafia, atteso che si mira a raggiungere un equilibrio tra la sicurezza sociale e la protezione dei diritti fondamentali degli individui, basando il vaglio giudiziario delle misure su valutazioni concrete, senza vanificare il necessario presidio, che deve sussistere a contrasto della criminalità organizzata.

Nel 2016, Cavallotti + altri, nei cui confronti è stato avviato un procedimento di prevenzione patrimoniale con la confisca di numerosi beni, hanno proposto un ricorso dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, preso atto dei motivi di doglianza, ha posto alle parti in causa tre quesiti:

1) Si chiede se l’applicazione della confisca in assenza di un accertamento formale di colpevolezza, e dopo che i destinatari della stessa erano stati assolti in sede penale dall’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa, integri una violazione della presunzione di innocenza, garantita dall’art. 6 § 2 CEDU.

2) Si chiede quale sia la natura giuridica della confisca in questione e, in particolare, se essa debba esser considerata una  “sanzione penale” ai sensi dell’art. 7 § 1 CEDU, tenendo conto del suo scopo, del suo procedimento applicativo e della sua gravità, anche alla luce delle sue caratteristiche specifiche ai sensi del diritto e della giurisprudenza nazionali. In caso affermativo, si chiede se vi sia stata una violazione dell’art. 7 della Convenzione in ragione del fatto che la confisca è stata disposta nonostante la pregressa assoluzione nel processo penale dall’accusa di partecipazione alla medesima associazione mafiosa.

3) Si chiede sia se l’interferenza nel diritto di proprietà risulti fondata su una base legale sufficientemente precisa e rispettosa del parametro della prevedibilità, sia se tale interferenza appaia anche necessaria e proporzionata, in particolare considerando i seguenti cinque aspetti:

a) se, alla luce dell’assoluzione del primo gruppo di ricorrenti dall’accusa di partecipazione a un’organizzazione criminale di stampo mafioso, l’accertamento della particolare pericolosità e la conseguente confisca dei beni fossero giustificati;

b) se le autorità nazionali abbiano dimostrato che i beni formalmente di proprietà del secondo gruppo di ricorrenti

appartenevano in realtà al primo gruppo di ricorrenti in modo motivato, sulla base di una valutazione obiettiva delle prove fattuali, e senza basarsi su un mero sospetto;

c) se le autorità nazionali abbiano dimostrato che i beni confiscati potessero avere un’origine illecita attraverso una motivazione adeguata, sulla base di una valutazione obiettiva delle prove fattuali e senza basarsi su un mero sospetto, tenendo altresì conto del periodo di tempo in cui quei bene sono stati acquistati;

d) se l’inversione dell’onere della prova sull’origine lecita dei beni acquisiti molti anni prima abbia imposto un onere eccessivo ai ricorrenti;

e) se ai ricorrenti sia stata concessa una ragionevole opportunità di esporre le proprie argomentazioni dinanzi ai giudici nazionali e se questi ultimi abbiano debitamente esaminato le prove presentate dai ricorrenti.

I quesiti posti dalla Corte di Strasburgo vanno dritti al cuore dei problemi che da tempo sono al centro del confronto tra il legislatore, gli studiosi della materia, la dottrina e la giurisprudenza, nazionale e sovranazionale, che, con sensibilità diverse, pongono l’accento, ora sulla necessità di strumenti comuni per la lotta alla criminalità economica, ora sulla pari – e forse preliminare – necessità di armonizzare il loro utilizzo, nell’alveo di una matrice penale, con  i diritti fondamentali della persona.

La pronuncia della Corte di Strasburgo del 13 febbraio 2025,   “Garofalo c./Italia” assume una rilevanza fondamentale perché verte sulla natura giuridica della confisca di prevenzione del codice antimafia italiano.

È, infatti, la prima sentenza con cui la Corte Edu afferma la natura ripristinatoria della confisca di prevenzione disciplinata dall’art. 24 del Codice antimafia (D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, d’ora in poi CAM): “la misura in questione, così come risulta dalle modifiche legislative del 2008-2009 e dai chiarimenti forniti dalla successiva giurisprudenza di interna, presenta diversi elementi che la rendono più assimilabile alla restituzione di un arricchimento ingiustificato di diritto civile che a una sanzione pecuniaria di diritto penale”.

La precisazione circa l’affermazione della natura ripristinatoria della “confisca di prevenzione” ex art. 24 CAM è necessaria in quanto la “sentenza Garofalo” è di pochi mesi successiva ad un’altra pronuncia dei giudici di Strasburgo.

Trattasi della sentenza “Episcopo e Bassani c./Italia”del 19 dicembre 2024, avente ad oggetto un caso di confisca, non “di prevenzione”, bensì disposta in sede penale e avente ad oggetto il profitto del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640-bis cp (rubricato, appunto, “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”); confisca adottata ai sensi  dell’articolo 322-ter del codice penale (la norma è inserita nell’ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione), che disciplina la confisca obbligatoria per determinati reati.

Con la “sentenza Episcopo e Bassani”, la Corte, se da un lato, nel caso specifico sottoposto al suo esame, pur muovendo da premesse teoriche non dissimili da quelle contenute nella “sentenza Garofalo”, ha riscontrato tuttavia una violazione dell’art. 6 §2 CEDU (presunzione d’innocenza) e dell’art. 1 Prot. add. CEDU (tutela del diritto di proprietà), dall’altro, in sintesi, ha riconosciuto alla confisca del profitto natura ripristinatoria, affermando che essa è maggiormente assimilabile agli istituti civilistici restitutori volti ad evitare l’ingiusto arricchimento piuttosto che alle sanzioni penali.

La Corte, con espressioni del tutto simili a quelle che ritroveremo nella “sentenza Garofalo” (fatta eccezione per le locuzioni “alcuni elementi”, presente nella “sentenza Episcopo e Bassani”, e “diversi elementi”, presente nella pronuncia in commento), testualmente afferma: “il suo scopo principale sembra essere stato quello di privare i ricorrenti dei profitti derivanti dai loro crimini” e “la misura in questione presenta alcuni elementi che la rendono più assimilabile alla restituzione di un arricchimento ingiustificato di diritto civile che a una sanzione pecuniaria di diritto penale”.

Per tale motivo, nella “sentenza Episcopo”, ha riconosciuto che essa non va considerata una “pena” ai sensi dell’art. 7 C.E.D.U. (nulla poena sine lege), che risulta di conseguenza inapplicabile ratione materiae.

Nel delineato contesto, è con la “sentenza Garofalo” che la Corte E.D.U. afferma, per la prima volta, la natura ripristinatoria della confisca di prevenzione ex art. 24 CAM.

Trattasi di una pronuncia estremamente importante perché, in tutte le precedenti occasioni in cui è stata chiamata a pronunciarsi sulla confisca di prevenzione italiana, la Corte di Strasburgo ha sempre affermato: che la misura non rientra nella materia penale; che la stessa ha natura di misura carattere preventivo; che la sua legittimità convenzionale (rispetto alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) va verificata alla luce dell’articolo 1 del protocollo addizionale C.E.D.U., posto a tutela della proprietà privata.

Partendo da tale inquadramento, la Corte E.D.U. ha ritenuto la nostra confisca di prevenzione conforme al principio di legalità (conditions provided for by law: inteso come base legale accessibile e prevedibile nei suoi effetti) e a quello di proporzionalità  (rispetto al fine perseguito) richiesti dal suddetto articolo 1. Più precisamente, la Corte E.D.U. ha affermato che, in considerazione dell’estrema pericolosità della criminalità mafiosa e delle criticità legate ad un efficace contrasto della stessa, la misura in parola costituisce un effettivo e necessario strumento per contrastare il fenomeno, come tale proporzionato rispetto al fine perseguito.

L’importanza delle pronuncia in commento va sottolineata anche sotto un diverso profilo.

Infatti, con la “sentenza Garofalo”, la Corte E.D.U. affronta, per la prima volta, un caso italiano di confisca di prevenzione applicata ad un caso di criminalità ordinaria, ben diversa e distante da quella di stampo mafioso da cui muove l’evoluzione delle misure di prevenzione patrimoniali nel nostro ordinamento giuridico.

A tale fine, è utile segnalare anche un precedente della Corte EDU del 12 maggio  2015 (sentenza Gogitidze c./Georgia), che, in un caso di applicazione della misura della confisca a soggetti diversi da quelli appartenenti ad un’associazione criminale di stampo mafioso, vede confermate la natura preventiva della misura e la conformità all’art. 1 Prot. add. CEDU di un modello di confisca in assenza di condanna introdotto dal legislatore georgiano del 2024 nell’ambito di un progetto di riforma teso a contrastare il fenomeno della corruzione nel paese. Questo strumento, definito dalla legislazione georgiana come “administrative confiscation” e affidato al processo civile, non presuppone un accertamento della responsabilità penale per i reati confiscati e prevede un riparto dell’onere della prova molto simile a quello previsto dall’art. 24 C.A.M..

Inoltre, allargando lo sguardo alla normativa sovranazionale, la “sentenza Garofalo” rappresenta la prima pronuncia della Corte di Strasburgo sulla confisca di prevenzione all’indomani dell’adozione della nuova direttiva UE n. 1260/2024/UE, che sostituisce quella la precedente del 2014 (n. 42), riguardante il “recupero e la confisca dei beni”[18].

Da ultimo le Sezioni Unite, ud. 27 marzo 2025, informazione provvisoria n. 3/2025 Presidente Cassano, Relatore Ariolli hanno affermato il seguente principi di diritto: «In caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati. A tale fine può dedurre ogni elemento utile in relazione al thema probandum»[19].

  • Proporzionalità e prevenzione antimafia: prospettive de iure condendo.

La lotta alla criminalità organizzata in Italia si avvale di un articolato sistema normativo, che combina misure di natura patrimoniale e personale con istituti preventivi.

Gli articoli 34 (“L’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende”), 34-bis (“Controllo giudiziario delle aziende”) e 79 (“Verifiche fiscali economiche e patrimoniali a carico di soggetti sottoposti a misure di prevenzione”) del Codice Antimafia e l’articolo 25 della L. 13 settembre 1982, n. 646 rappresentano strumenti complementari ed essenziali per il contrasto alla mafia ed agli altri gravi delitti.

Infatti, qualora non emergano reinvestimenti illeciti nelle attività economiche esaminate ovvero elementi probanti una strumentalizzazione dei complessi imprenditoriali per finalità illeciti condotte dalla criminalità organizzata,  risulta auspicabile vagliare l’applicazione delle misure dell’amministrazione giudiziaria o del controllo giudiziario, atteso che un graduale intervento pubblico può consentire un riallineamento dell’impresa per recuperare legalità e competitività, al fine di procedere al disinquinamento mafioso, salvaguardando, al contempo, la continuità produttiva e gestionale delle imprese monitorate[20].

Dal punto di vista del principio di proporzionalità, tali misure rappresentano una valvola di sfogo rispetto alla confisca: consentono infatti di intervenire in modo progressivo, evitando di colpire in modo irreparabile un complesso aziendale, soprattutto quando non vi siano prove granitiche di un coinvolgimento attivo del rappresentante legale in attività illecite.

In dottrina si sottolinea come l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario possano diversificare gli interventi svolti nell’ambito del sistema antimafia, mirando a bilanciare gli obiettivi della prevenzione con la tutela del tessuto economico[21].

Dalla prassi operativa, come confermato con il caso Cavallotti, le vicende giudiziarie coinvolgenti contesti imprenditoriali contigui alla criminalità organizzata attengono a situazioni di indiretta derivazione mafiosa ovvero imposizioni di trasporto di merci ovvero forniture di prodotti, quali indiretti collegamenti relativi al controllo del territorio da parte delle organizzazioni criminali.

Pertanto, risulta fondamentale ricostruire le relazioni fra gli individui coinvolti nei contesti investigativi, con particolare focus alle fonti di finanziamento ed alla reale operatività dei contesti aziendali ed a tal proposito è possibile svolgere le cosiddette “verifiche antimafia”, che verranno di seguito delineate.

La sinergia tra i differenti strumenti previsti nel sistema di prevenzione antimafia, supportata dall’orientamento giurisprudenziale e dottrinale, nonché dall’azione operativa della Guardia di Finanza, crea un sistema integrato ed efficace per prevenire e reprimere le attività illecite condotte delle organizzazioni criminali, preservando parallelamente i diritti fondamentali e l’economia legale.

L’obiettivo della disamina dei citati istituti è quello di fornire un quadro esaustivo di come il principio di proporzionalità possa fungere da riferimento per il Legislatore, l’Autorità Giudiziaria e gli organi investigativi nel tentativo di contemperare due valori ugualmente fondamentali: la sicurezza collettiva e la difesa dei diritti fondamentali.


[1] ARBOTTI M., La proporzionalità sanzionatoria al cospetto delle confische dei proventi: legalità della pena, vecchie geometrie, nuove vocazioni funzionali, Milano, Sistema Penale, fasc. 6/2024, p. 65 e ss.

[2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020DC0217

[3] “Secondo Europol più di 5 000 gruppi della criminalità organizzata sono attualmente oggetto di indagini in Europa. La criminalità organizzata mira all’accumulo di profitti e le sue attività illecite generano utili ingenti: si calcola che i suoi proventi all’interno dell’UE siano attualmente pari a circa 110 miliardi di EUR l’anno. Europol calcola che nell’UE i provvedimenti di congelamento e confisca riguardino, rispettivamente, appena il 2 % e l’1 % dei proventi di reato. Ciò permette ai gruppi della criminalità di investire per espandere le proprie attività criminose e infiltrarsi nell’economia legale. Secondo i calcoli di Europol, la quota del PIL annuo dell’UE coinvolta in attività finanziarie sospette è compresa tra lo 0,7 e l’1.28 %”.

[4] Primo considerando della Direttiva UE 2024/1260 del 12.04.2024. ANTINUCCI M. – FIARE’ S., La recente direttiva del parlamento europeo e del Consiglio in materia di recupero dei beni, in Sicurezza e Giustizia, n. I/MMXXIV, 2024.

[5] ANTINUCCI M., Art. 7, in SPANGHER G. (a cura di) , Il Pacchetto Sicurezza, Milano, 2025, in corso di pubblicazione

[6] Bisostri S., Giustizia: Italia sotto tiro Ue su recepimento norme diritto a equo processo, in Il Sole 24Ore, 18.06.25.

[7] FLEINER, F., Institutionen des Deutschen Verwaltungsrechts, Tübingen, 1912, pag. 354.

[8] Cfr. CEDU, sentenza De Tommaso c. Italia, 2017.

[9] Cfr. Corte costituzionale sentenza n. 236/2016.

[10] COTTU E., Giudizio di ragionevolezza e vaglio di proporzionalità della pena: verso un superamento del modello triadico?, in Diritto penale e Processo, 2017, pag. 473 ss.

DODARO G., Uguaglianza e diritto penale. Uno studio sulla giurisprudenza costituzionale, Milano, 2012, pag. 139 ss.

[11] Cfr. Corte costituzionale sentenza n. 236/2016 secondo la quale “l’art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali”. La Consulta richiama, altresì, precedente giurisprudenza stratificata nel tempo, come la pronuncia n. 251/2012 e n. 341/1994, relativamente al valore rieducativo della pena sancito all’articolo 27 della Carta Costituzionale.

[12] MANES V., Proporzione senza geometrie, Giurisprudenza costituzionale, 2016, pag. 2105 ss.

VIGANÒ F., Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in Diritto Penale Contemporaneo, 2017, n. 2, pag. 61 ss..

[13] Cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 45280/2024.

[14] Cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 31209/2015 e n. 182/2021.

[15] Cfr. FILIPPI L., Nessuna misura di prevenzione può essere imposta a chi è assolto in sede penale, in Giurisprudenza Penale Web, 2025, pag. 2.

[16]Cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 45280/2024:“il principio dell’autonoma valutazione dei fatti accertati si è affermato, quasi in via esclusiva, nel settore della contiguità mafiosa ed in riferimento ad una descrizione della categoria criminologica (il soggetto indiziato di appartenenza all’organismo mafioso), categoria che tollera, per la sua diversità ontologica dalla prova della condotta partecipativa in senso pieno (art. 416-bis) la diversità di apprezzamento, nei due settori dell’ordinamento, delle medesime circostanze di fatto (le frequentazioni stabili con il soggetto mafioso, ad esempio, ben possono rappresentare indice rivelatore di contiguità – ove accertate – pur se ritenute insufficienti a fondare una decisione affermativa di penale responsabilità)” laddove “nel settore della pericolosità “semplice” (…)di cui all’art. 1 d.lgs. n.159 del 2011, ed in particolare per quanto riguarda l’ipotesi della lettera b… molto minore, per non dire assente, è la possibilità di porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla mediata osservanza del principio di tassatività prima descritta, una simile operazione”, posto che “la norma di riferimento, come si è detto, impone di constatare la  ricorrente commissione di un delitto (attività delittuose) produttivo di reddito”, sicché “se la realizzazione del delitto è esclusa in sede penale – e ciò sia in  rapporto all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo  sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo – manca  uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della fattispecie” (Sez. 1, n. 43826/2018)”.

[17] Cfr. Corte di cassazione n.  31549/2019, n. 33533/2021, n. 4191/2022 e n. 15704/2023.

[18] ANTINUCCI M. – FIARE’ S., La recente direttiva del parlamento europeo e del Consiglio in materia di recupero dei beni, cit.

[19] Cass., Sez. V, Ordinanza, 27 novembre 2024 (ud. 7 novembre 2024), n. 43160 Presidente Miccoli, Relatore Cananzi, è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: “se, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo possa rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni confiscati ovvero sia legittimato a contestare anche i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso“.

[20] Cfr. Commissione Fiandaca, finalizzata ad elaborare una proposta di interventi in tema di criminalità organizzata (30 novembre 2013).

[21] BALATO F., Su alcuni aspetti funzionali del controllo giudiziario delle aziende, in Sistema Penale, 2025, pag. 1 e ss.

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