Cassazione Penale, Sez. IV, 3 ottobre 2024 (dep. 9 novembre 2024) n. 40682

Abstract:

Il commento alla sentenza de quo evidenzia l’interesse espresso dalla Corte di Cassazione sui vari livelli di rischio riscontrabili all’interno delle organizzazioni complesse sul tema della sicurezza sul lavoro: un primo livello organizzativo e procedurale ed un secondo livello meramente esecutivo. In particolare nel caso di specie la decisione sottolinea, sulla base del dato normativo ed esperienziale, l’accettazione nel nostro sistema di un modello multidatoriale in funzione dei rischi oggetto di presidio in cui possono coesistere appunto più datori di lavoro in funzione delle singole unità produttive. Tale concetto di “competenza per il rischio” in materia di sicurezza sul lavoro che si è delineato in giurisprudenza a partire dai famosi casi ThissenKrupp e Viareggio considera il sistema preventivo più ampio rispetto alla disciplina dell’art. 40 comma 2 c.p. proprio perché fondato su diverse aree di rischio e su diversi livelli di responsabilità che quei rischi sono chiamati a presidiare. Nel caso di specie nell’affermare la penale responsabilità di tutto il CdA della società P spa in considerazione dei gravi vizi organizzativi e procedurali riscontrati e nonostante la contemporanea presenza di valide deleghe in materia di sicurezza, i giudici si sono brevemente soffermati sul tema delle deleghe all’interno delle strutture complesse per poi approfondire l’istituto delle deleghe gestorie ex art. 2381 cod. civ. e l’istituto delle deleghe di funzioni ex art. 16 D.Lgs. 81/08. Sottolineando le differenze fra questi due istituti la decisione in commento, ponendosi nella medesima linea già tracciata per la verità da altra precedente sentenza della Corte nel 2022, evidenzia le modalità di conferimento della delega gestoria e della delega di funzione, la portata liberatoria di ciascuna di esse nonché gli obblighi di controllo residuali in capo ai soggetti deleganti. Come si evince nella decisione con la delega di gestione, a differenza di quanto avviene nella delega di funzioni, non si assiste ad un trasferimento delle funzioni dal datore di lavoro ad un soggetto terzo che rimane privo di qualifica datoriale, bensì ad un riparto dei poteri decisionali e di spesa che appartengono a titolo originario a tutto il CdA, e che con tale strumento vengono attribuiti solamente ad uno o più componenti, sui quali si concentrerà la posizione di garanzia a titolo originario. La delega di gestione costituisce un prius logico rispetto alla delega di funzioni; l’amministratore delegato con delega gestoria anche in tema di sicurezza sul lavoro potrà, nell’adempimento dei propri compiti assegnare con delega di funzioni a dei garanti “derivati” solamente alcuni obblighi che la legge pone a suo carico quale datore di lavoro. Il commento de quo sottolinea prima di tutto la portata innovativa della sentenza che ha pronunciato la responsabilità penale del consiglio di Amministrazione pur in presenza di valida delega gestoria tenuto conto dei gravi difetti organizzativi riscontrati, nonchè la responsabilità dell’amministratore delegato quale datore di lavoro e dei suoi delegati tramite delega di funzioni, per i vizi esecutivi dell’attività produttiva. La posizione assunta dalla Corte apre un ulteriore spazio di riflessione cui il contributo cerca di fornire una prima risposta. Ci si deve chiedere se l’approfondimento dei temi organizzativi in materia di sicurezza sul lavoro oggetto di approfondimento da parte dell’ODV a supporto delle decisioni del Consiglio di Amministrazione non ne evidenzi anche profili di rilevanza penale, non perché tale organo sia chiamato ad impedire il verificarsi di eventi singoli, quanto piuttosto perché obbligato attraverso il Modello 231 a valutare l’adeguatezza dell’organizzazione per il contenimento dei rischi di infortunio. E successivamente se tale conclusione possa essere estesa anche ad altri organi interni alla compagine sociale, chiamati a supportare le decisioni dell’organo gestorio.

This article undescores the attention showed by the Italian Supreme Court on a different risk levels embodied in the company procedures when they refer to the safety at work matters: a first level regards the organization structure and the other one which regards operative processes. In particular this sentence shows based on the law and the safety practice applied by the companies the existence of the multi employer approach grounded on the risks evaluation model where many employers may indeed coexist among different business units. This definition used by the judge and called “competence for the risk” has been framed during other famous criminal proceeding like ThissenKrupp and Viareggio where was being tackled safety at work aspects and in which the prevention policies are considered more wide than the provision of the article 40/2 c.p. The reason stand on the largeness of the prevention system based on different risks area and a different managing levels which preside over this type of risks. In this case the Supreme Court affirmed a board of Directors criminal responsability which has been based on the evidences that have showed the existing disorganized process of the company despite the presence of the proxy athorizations correctly issued on the safety at work aspects. In so doing the judges have described the differences between the two different type of proxy authorizations, one based on the article 2381 of the italian civil code and called “managing proxy authorization” and the other one based on the article 16 of the D.Lgs. 81/08 called “functional proxy authorization”.   The judge’s decision is aligned to the previous ruling pronounced in the 2022 and describes regarding this two type of proxy authorizations their delivery process, their relief of burden in regards to the delegating subject and his remaining duty of check. As the ruling shows taking managing proxy authorization doesn’t happen a relocation of the employer’s duty to others lacking of this type of competence and responsability on the safety at work matters but rather it attribuits spending and deciding powers of the Board of Directors to one of them only. The managing proxy authorization comes first while functional proxy authorization arises next. The CEO who receives managing proxy authorization can issue a functional proxy authorization to the safety at work Directors confering to them only few linked duties. A the end this comment targets the innovation part of the ruling which had pronounced the criminal charge of the Board despite several issued proxy authorizations and based it on the proved disorganized process of the company. At the same way this ruling affirmed the criminal responsability of the CEO and the others who were selected by him to be involved in many safety at work duties considering the proved operational shortcomings. Supreme Court’s approach is a new stance and starts a preliminary discussion where we have to demand whether ODV activities and evaluations on the organizational safety at work aspects already signaled to the Board shows or not even a criminal relevance, not because this body has a duty to prevent any crime but why it has a duty of care on the organizational safety at work matters. And then ask whether this conclusion could be extended to others internal bodies.

Ritenuto in fatto.

1.     La Corte d’Appello di Milano, con la pronuncia indicata in epigrafe e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la responsabilità per omicidio colposo di OB, lavoratore alle dipendenze di P spa (di seguito anche “P”) tra gli altri di GP, LP e CPM, rispettivamente, presidente e membri del Consiglio di Amministrazione di P (di seguito anche “P costruzioni”).  Trattasi di società costruttrice e posatrice, in forza di contratto di “fornitura e posa”, di lastre di cemento armato per l’esecuzione di una vasca di raccolta delle acque del torrente Lura da parte della citata P, appaltatrice dei lavori di realizzazione della terza corsia dell’autostrada A9 (Lainate-Como-Chiasso) nonché committente la realizzazione e la posa delle dette lastre.

Quanto alle circostanze del sinistro, in estrema sintesi, i giudici di merito hanno accertato l’evento come verificatosi nel mentre OB era intento, insieme ad altri lavoratori alle dipendenze di P, nell’esecuzione del “getto di calcestruzzo tra la vasca di contenimento delle acque e le (nove) lastre prefabbricate e precedentemente istallate da P essendo stato travolto da una di esse improvvisamente rovesciatasi a causa di gravissimi errori nelle fasi di produzione e istallazione da parte della società da ultimo citata.

2.     Avverso alla sentenza, negli interessi degli imputati, sono stati proposti ricorsi fondati sulle censure di seguito enunciate nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen.).

3.     Nell’interesse di GP, con motivo unico, si deduce la violazione di legge per aver la Corte territoriale confermato la condanna dell’imputato per l’omicidio colposo, peraltro omettendo di confrontarsi con gli specifici motivi d’appello, solo in ragione di una comunicazione, da egli effettuata e diretta a P, attestante la comprensione delle lingua italiana e la capacità di parlarla da parte dei lavoratori che avrebbero dovuto eseguire il montaggio delle lastre per l’esecuzione della vasca di raccolta delle acque del Torrente Lura.

Quella ritenuta sussistente in capo al ricorrente sarebbe altresì una mera responsabilità di posizione, in violazione del principio di necessaria personalità della responsabilità penale. Il giudizio si sarebbe fondato sulla mera carica di presidente del consiglio di amministrazione, nonostante l’assenza di deleghe a lui conferite e il conferimento di deleghe ad altri, con riferimento a un’organizzazione aziendale particolarmente complessa in seno alla quale a GP sarebbe invece spettata la mera rappresentanza legale e l’elaborazione di indirizzi strategici e delle politiche generali societarie. Le circostanze da ultimo evidenziate circa i limiti della posizione di garanzia in capo al prevenuto, per il ricorrente, in considerazione anche dell’imprevedibilità da parte dell’imputato dell’evento verificatosi, si intersecherebbero con il necessario affidamento derivante dalla concorrenza, nella specie, trattandosi di organizzazione complessa, di plurime posizioni di garanzia, ciascuna in grado di interrompere la catena causale.

4.     Con il motivo unico di ricorso proposto nell’interesse di LP si deduce la violazione di legge per avere la Corte territoriale confermato la condanna dell’imputato per l’omicidio colposo, nonostante specifiche deduzioni difensive d’appello, solo in ragione dei suoi compiti inerenti alla gestione del controllo qualità, invece non rilevante in materia di fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Oltre ai detti limiti della posizione di garanzia in capo all’imputato, per il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare, trattandosi di organizzazione complessa, la rilevanza delle plurime posizioni di garanzia in seno a P invero ascritte in rubrica a diversi soggetti. Ciò con particolare riferimento al responsabile di stabilimento, DA, al responsabile del montaggio delle lastre, EF, e agli addetti del controllo qualità (VM e il citato A).

Non sarebbe stato infine vagliato il fattore eccezionale, quindi idoneo, per la sua imprevedibilità, a interrompere la seriazione causale dell’evento, costituito dalla condotta di MP, lavoratore dipendente di P, accertato dallo stesso giudicante come causalmente collegato al ribaltamento, consistente nell’inserimento di tasselli previa foratura con trapano del prefabbricato, per sopperire all’assenza delle previste e progettate boccole da inglobare in fase di fabbricazione.

5.     Nell’interesse di CPM, con i tre motivi nei quali si articola il ricorso, si deducono violazioni sottese alla conferma da parte della Corte territoriale della condanna dell’imputato per l’omicidio colposo, peraltro omettendo di confrontarsi con gli specifici motivi d’appello.

Sarebbe stata sostanzialmente riconosciuta una mera responsabilità di posizione, in violazione del principio di necessaria personalità della responsabilità penale. Il giudizio si sarebbe fondato sulla mera carica di membro del consiglio di amministrazione con delega in materia antinfortunistica ma non implicante il controllo di procedure finalizzate a garantire la produzione e il montaggio dei prodotti conformi al progetto e sicuri per l’incolumità. Di qui, peraltro, per il ricorrente, la posizione di garanzia, anche in termini di formazione e informazione dei lavoratori, si sarebbe dovuta ritenere sussistente solo con riferimento ai rischi presenti negli ambienti di lavoro e nei confronti dei propri dipendenti, senza potersi estendere alle fasi sia di produzione che di successivo montaggio delle lastre.

Il giudice di merito nel riconoscere una posizione di garanzia in capo all’imputato, in ragione della sua qualifica di membro del consiglio di amministrazione, avrebbe fatto riferimento ai principi sanciti dalla Suprema Corte (tra cui Sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021, dep. 2022, Baccalini, Rv 282568) ma con riferimento a fattispecie diversa dalla presente, in quanto caratterizzata da assenza di deleghe conferite dai membri del consiglio di amministrazione ad altri soggetti, nella specie invece sussistenti. Al pari di quanto dedotto nell’interesse del coimputato LP, oltre ai detti limiti della posizione di garanzia in capo all’imputato, per il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto difatti considerare, trattandosi di organizzazione complessa, la rilevanza delle plurime posizioni di garanzia in seno a P Costruzioni, invero ascritte in rubrica a diversi soggetti. Ciò con particolare riferimento al responsabile di stabilimento, DA, al responsabile del montaggio delle lastre EF, e agli addetti al controllo qualità (VM e il citato A).

Non sarebbe stato infine vagliato il fattore eccezionale, quindi idoneo, per la sua imprevedibilità, a interrompere la seriazione causale dell’evento, costituito dalla condotta di MP, lavoratore dipendente di P. Il riferimento è al pari di quanto dedotto nell’interesse del coimputato LP, all’intervento implicante la modifica delle lastre già costruite per P.

6.     Le parti hanno discusso e concluso nei termini di cui in epigrafe.

Considerato in diritto

1.     I ricorsi, suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle sottese questioni, complessivamente considerati, sono infondati.

2.     Come sintetizzato in sede di ricostruzione dei fatti processuali, la Corte d’appello ha confermato la responsabilità per l’omicidio colposo di OB, lavoratore alle dipendenze di P, tra gli altri, di GP, LP, e CPM, rispettivamente presidente e membri del Consiglio di amministrazione di P. Trattasi di società costruttrice e posatrice, in forza di contratto di “fornitura e posa”, di lastre in cemento armato per l’esecuzione di una vasca di raccolta delle acque del Torrente Lura da parte della citata P, appaltatrice dei lavori di realizzazione della terza corsia dell’autostrada A9 (Lainate, Como, Chiasso) nonché committente la realizzazione e la posa delle dette lastre.

2.1.  Dal giudizio di merito sono emerse le seguenti circostanze del sinistro, qui esposte nella parte non controversa.

L’evento si è verificato nel mentre OB era intento, insieme ad altri lavoratori alle dipendenze di P, nell’esecuzione del “getto” di calcestruzzo tra la vasca di contenimento delle acque e le (nove) lastre prefabbricate e precedentemente istallate da P, essendo stato travolto da una di esse improvvisamente rovesciatasi a causa di gravissimi errori nelle fasi di produzione e istallazione da parte della società da ultimo citata. Il rovesciamento del prefabbricato è stato causato dal cedimento dei vincoli superiori di ancoraggio, perché non eseguiti in fase di costruzione, e, quindi, non inglobati nella lastra, come invece previsto dal progetto. Essi erano stati realizzati a posteriori, mediante inserti apposti previa trapanatura del manufatto da MP, dipendente di P, addetto anche al controllo dei manufatti prima del loro trasporto, accortosi del difetto di costruzione in sede di consegna.  A ciò si è aggiunta, sempre per i giudici di merito, l’errata posa, da parte dei dipendenti di P, dello stesso prefabbricato presso la vasca di contenimento. Esso, in particolare, è stato ritenuto non correttamente ancorato tramite idonei bulloni di fissaggio e destinatario di un intervento, non previsto dal progetto, di sostituzione di uno dei due ancoraggi monoblocco della lastra al muro perimetrale della vasca di contenimento con un ancoraggio composto da due pezzi uniti da un bullone.

2.2   All’esito è stata accertata dai giudici di merito la responsabilità del vertice societario, costituito dagli attuali ricorrenti, nonché di altri soggetti operanti per P in ragione dei descritti gravi errori nelle fasi di costruzione e istallazione del prefabbricato. Il riferimento è al responsabile di stabilimento, all’addetto della produzione e caporeparto, al lavoratore dipendente esecutore delle modifiche (condannati in primo grado non appellanti) nonché al responsabile del servizio qualità e al capocantiere-direttore tecnico di cantiere responsabile nella specie del montaggio delle lastre (appellanti non ricorrenti).

Quanto al consiglio di amministrazione è stata confermata la responsabilità di GP, LP e CLM.

In particolare, GP è stato ritenuto responsabile quale presidente del consiglio di amministrazione, costruttore della lastra in oggetto nonché datore di lavoro dei soggetti operanti per P tra cui l’esecutore della modifica a essa apportata dopo la costruzione, e gli istallatori delle lastre, con modalità ritenute tra loro concause del relativo cedimento, dei quali aveva direttamente garantito a P l’idoneità ad operare presso lo specifico cantiere (in quanto in grado di comprendere la lingua italiane e quindi di eseguire le istruzioni). LP è stato ritenuto responsabile quale membro del consiglio di amministrazione nonché delegato con compiti e poteri di gestione dell’intero ciclo produttivo della società P e curatore della qualità dei manufatti prodotti e commercializzati e della loro rispondenza ai prescritti requisiti di legge. L’imputato è stato quindi ritenuto responsabile anche della rispondenza alle specifiche tecniche progettuali del manufatto in oggetto, fornito a P e istallato nel bacino di contenimento in costanza di un POS, da lui sottoscritto, inidoneo, all’esito di una valutazione ex ante, alla gestione dello specifico rischio di ribaltamento poi concretizzatosi. CPM, infine è stato ritenuto responsabile quale membro del consiglio di amministrazione nonché delegato, con illimitati poteri di spesa, in materia antinfortunistica e quindi garante dell’applicazione della normativa relativa alla sicurezza in tutte le fasi, compresa quella del montaggio dei prefabbricati.

2.3   I giudici di merito hanno fatto specifico riferimento a gravissime carenze organizzative imputabili ai vertici societari e, in particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, ai tre membri del consiglio di amministrazione di P. Ciò in ragione dell’accertata assenza di programmazione dell’attività volta tanto alla produzione delle lastre in oggetto in termini di conformità al progetto specificamente predisposto per la loro creazione, in vista della realizzazione del muro di contenimento della vasca di raccolta delle acque, quanto alla successiva installazione con tecniche tali da gestire il rischio di ribaltamento.

La totale assenza di programmazione è stata accertata con particolare riferimento alle procedure di controllo della qualità in termini non di mera conformità necessaria per la marcatura “CE”, pur formalmente presente, ma di effettiva idoneità tecnica del prefabbricato nell’ottica della gestione dello specifico rischio. Ciò in ragione dell’accertata prassi, questa, sì, sostanzialmente ritenuta procedimentalizzata dalla Corte territoriale, quale aspetto, ritenuto dal giudice di merito, più sconcertante della vicenda, al fine di rendere fittizio il controllo del rispetto delle specifiche tecniche necessarie per evitare il rischio di ribaltamento. Il controllo era difatti solo astrattamente previsto come bifasico, cioè da svolgersi sia prima che dopo la realizzazione dei prefabbricati, ma preordinatamente omesso. I certificati di conformità, come peraltro avvenuto nella specie, erano difatti abitualmente predisposti e controfirmati prima della produzione dei manufatti e successivamente apposti sugli stessi in assenza di alcuna effettiva verifica del prodotto, anche in ragione della sistematica violazione delle procedure di controllo, solo formalmente previste dal responsabile SM, in forza della concreta organizzazione dell’attività lavorativa. Il vizio organizzativo è stato ritenuto tale da investire non solo la produzione dello specifico prefabbricato di fatto ribaltatosi ma l’intero processo produttivo, così da impedire, di fatto, il controllo demandato al caporeparto che, peraltro, per forza di cose, non avrebbe potuto coprire turni consecutivi di 16 ore, come invece avrebbe preteso il concreto formale aspetto organizzativo.

Proprio la totale carenza di procedimentalizzazione dell’attività produttiva, nei termini appena sintetizzati, sempre per quanto chiarito dal giudice di merito, ha nella specie fondato l’intervento di MP, lavoratore dipendente di P, implicante la modifica delle lastre già costruite per P, accertato come causalmente collegato al ribaltamento. Trattasi di intervento consistente nell’inserimento di tasselli previa foratura con trapano del prefabbricato, per sopperire all’assenza delle previste e progettate boccole da inglobare in fase di fabbricazione. Il controllo solo visivo, meramente occasionale e rimesso all’iniziativa dei lavoratori dipendenti, nella specie MP, oltre a dimostrare le contestate carenze formative e informative, essendo il detto operaio ignaro di non poter modificare il manufatto, è stato peraltro accertato essere il frutto di una “chiara politica aziendale”. Politica, a cui l’operaio avrebbe dovuto conformarsi, volta a dare prevalenza alla puntualità dei tempi di consegna rispetto alla qualità del prodotto finito, anche in termini di idoneità dello stesso nella gestione del rischio di ribaltamento, con conseguente subordinazione delle esigenze della sicurezza a quelle sottese al profitto.

Oltre a quanto innanzi, la Corte territoriale ha posto a fondamento della decisione le accertate gravi carenze del Piano Operativo di Sicurezza (POS), elaborato da P, per la fornitura e posa in opera dei prefabbricati per l’esecuzione del muro della vasca di contenimento delle acque del torrente Lura da parte di P che, all’esito del montaggio, avrebbe provveduto all’esecuzione del “getto” di calcestruzzo tra la vasca e le (nove) lastre prefabbricate. Trattasi di carenze sostanzialmente ritenute tali da rendere inidoneo lo stesso POS alla gestione dello specifico rischio di ribaltamento connesso anche alla procedura di montaggio. Ciò in ragione della mancata specifica previsione della fase di posa delle opere tralicciate e quindi dalla procedura di ancoraggio superiore delle lastre, prevista dal progetto, essendo contemplata la sola procedura di fissaggio laterale delle lastre tra loro. La mancanza di indicazioni relative alla posa in opera e alla corretta procedura da eseguire durante la fase di montaggio, funzionale a garantire l’ancoraggio delle lastre al muro retrostante è stata in particolare ritenuta, all’esito degli apporti scientifici forniti dai tecnici in dibattimento, determinante l’incompleto serraggio dei bulloni, con conseguente mancata attivazione dei tasselli. L’intervento sui tralicci e l’utilizzo di staffe di ancoraggio diverse fra loro, in uno con le carenze delle procedure di ancoraggio, e gli errori in fase di fabbricazione, in definitiva, sono stati ritenuti concause del ribaltamento determinante il decesso di OB.

3.     La principale doglianza mossa dai ricorrenti alla sentenza impugnata si sostanzia nell’aver attribuito a GP, LP e CPM una mera responsabilità di posizione, in quanto derivante, nonostante la sussistenza di altri garanti e di deleghe, dall’essere, rispettivamente, presidente e membri del consiglio di amministrazione di P (gli ultimi due con deleghe). Ne sarebbe poi derivata la mancata considerazione dell’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, comunque coinvolgente un soggetto non alle dipendenze di P in ragione della presenza di altri garanti, in virtù di deleghe caratterizzanti la specifica organizzazione societaria complessa, oltre che del comportamento abnorme del lavoratore della stessa società, concretizzatosi nella modifica della lastra, dopo la sua costruzione, avendone egli accertata la relativa difformità dal progetto consustanziale alla gestione del rischio di ribaltamento.

4.     Le censure non hanno pregio.

5.     In ragione della presenza, nella specie, di deleghe, si deduce l’inconferenza del principio di diritto che la Corte territoriale avrebbe sostanzialmente posto a base della ritenuta responsabilità dei membri del consiglio di amministrazione, quello per cui gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni sul lavoro gravano su tutti i componenti del consiglio di amministrazione.

5.1   La questione cardine sottoposta dai ricorrenti alla Suprema Corte inerisce la rilevanza, sul giudizio di responsabilità in capo ai membri del consiglio di amministrazione, di deleghe, di gestione o di funzioni, nel caso in cui, come accertato dai giudici di merito con motivazione non sindacabile in sede di legittimità in quanto coerente e non manifestamente illogica, l’evento sia risultato la concretizzazione della totale carenza di effettiva procedimentalizzazione dell’attività produttiva quale politica aziendale volta a subordinare le esigenze di sicurezza rispetto al profitto.

(Omissis)

La responsabilità del datore di lavoro fra deleghe gestorie e deleghe di funzione. La Suprema Corte ritorna sull’attività di vigilanza del soggetto delegante con alcuni spunti di riflessione.

SOMMARIO: 1. L’evento infortunistico ed i temi richiamati dalla Corte di Cassazione. – 2. Il datore di lavoro nelle organizzazioni complesse ed il concetto di multidatorialità – 3. L’importanza delle deleghe di funzione in materia di sicurezza. – 4. Le deleghe gestorie ex art. 2381 cod. civ. – 5. Il dovere di controllo ex art. 16 del D.Lgs. 81/2008 ed il dovere di controllo del consiglio di amministrazione ai sensi degli artt. 2381 e 2392 cod. civ. – 6. Il ruolo dell’ODV e degli altri organi di controllo interno nella prevenzione degli infortuni sul lavoro. – 7. Conclusioni.

1 – La decisione in commento pone l’accento su alcuni temi di sicura rilevanza fra i quali, l’importanza di un adeguato assetto organizzativo in considerazione dell’attività svolta e dei rischi ad essa connessi, l’attività di vigilanza del datore di lavoro delegante ed infine, ma non meno importante, il permanere all’interno delle organizzazioni complesse ed in presenza di difetti organizzativi, di una responsabilità dell’intero organo gestorio.[1]

Secondo quanto emerge in motivazione l’evento mortale del lavoratore OB (dipendente della società P) si sarebbe verificato durante i lavori per la realizzazione della terza corsia dell’autostrada A9 (Lainate-Como-Chiasso) in particolare nel corso dell’esecuzione di un getto di calcestruzzo tra la vasca di contenimento delle acque del torrente Lura e le nove lastre prefabbricate e precedentemente istallate da P.

OB veniva travolto durante i predetti lavori dal rovesciamento di una delle predette lastre causato, secondo gli accertamenti processuali, dal cedimento dei vincoli superiori di ancoraggio, perché non eseguiti in fase di costruzione e quindi non inglobati nella lastra come invece era previsto dal progetto. Essi erano stati realizzati a posteriori, mediante inserti apposti previa trapanatura del manufatto dal lavoratore MP.[2]

L’approfondimento dei fatti di causa ha consentito i giudici territoriali di rilevare “gravi carenze organizzative” sia al momento della produzione delle lastre in oggetto che avrebbero dovuto essere conformi al progetto, sia al momento della loro installazione, fase questa che avrebbe dovuto considerare e gestire il rischio di ribaltamento.

Tali carenze si sono ulteriormente estrinsecate nelle procedure di controllo della qualità dei manufatti in termini non solo di mera conformità per ottenere la marcatura CE bensì di effettiva idoneità tecnica del prefabbricato per una corretta gestione del rischio. L’accertata prassi – continuano i giudici – quale aspetto “più sconcertante della vicenda” rendeva la fase di controllo, prevista come bifasica ossia prima e dopo la realizzazione dei fabbricati, sostanzialmente inutile perché sistematicamente omessa.[3]

I certificati di conformità erano infatti predisposti e controfirmati prima della produzione dei manufatti e successivamente apposti sugli stessi in assenza di una effettiva verifica del prodotto anche in ragione della sistematica violazione delle procedure di controllo.

E tale inadeguata procedimentalizzazione ha poi consentito MP di realizzare dei tasselli previa foratura con trapano nella fase di cantiere al fine di sopperire alla mancanza delle boccole che invece avrebbero dovuto essere inglobate nel manufatto.

Il controllo solo visivo, meramente occasionale e rimesso all’iniziativa dei lavoratori presenti non correttamente formati ed informati, è risultato il frutto di “una chiara politica aziendale”.

Di tali “gravi” carenze organizzative i giudici territoriali hanno ritenuto responsabili tutti i vertici societari quali componenti del Consiglio di Amministrazione di P, pur in presenza sia di deleghe gestorie che di deleghe di funzione.[4]

In altre parole nell’impostazione accolta dalla Suprema Corte alla carenza organizzativa viene assegnato il ruolo di antecedente fattuale causale principale rispetto alle successive condotte causali che hanno determinato l’evento mortale.

La riconosciuta responsabilità anche di altri soggetti operanti per P e cioè del responsabile dello stabilimento DA, del responsabile montaggio lastre EF, degli addetti al controllo qualità VM e A ed infine del lavoratore MP è stata ritenuta meramente concorrente.

Medesima rilevanza viene assegnata all’inidoneità del POS nella gestione dello specifico rischio di ribaltamento del prefabbricato (fase esecutiva).

Si legge infatti che, la mancanza di indicazioni relative alla posa in opera e alla corretta procedura da eseguire durante la fase di montaggio, funzionale a garantire l’ancoraggio delle lastre al muro retrostante è stata ritenuta determinante rispetto l’incompleto serraggio dei bulloni, con conseguente mancata attivazione dei tasselli. L’intervento sui tralicci e l’utilizzo di staffe di ancoraggio diverse fra loro, in uno con le carenze della procedura di ancoraggio, e gli errori in fase di fabbricazione, sono stati ritenuti anch’essi concause del ribaltamento determinante il decesso di OB.

Tali gravissimi errori erano nitidamente emersi durante le fasi di merito del procedimento, laddove veniva riscontrato che il rovesciamento della lastra era conseguenza del cedimento dei vincoli superiori di ancoraggio, non eseguiti in conformità al progetto già in fase di produzione.

Allo stato pertanto il vizio organizzativo e di programmazione dell’attività è stato accertato essere tale da aver investito non solo la fase di realizzazione del prefabbricato di fatto ribaltatosi, ma l’intero processo produttivo.

2 – L’impostazione accolta dalla Cassazione nel caso di interesse evidenzia una particolare attenzione dei giudici sui livelli di rischio riscontrabili in genere all’interno delle organizzazioni complesse: un primo livello organizzativo e procedurale ed un secondo livello prettamente esecutivo.

Questo doppio livello di rischio per così dire si “aggancia” perfettamente al tema di chi debba essere considerato garante e quindi “datore di lavoro” all’interno delle strutture societarie particolarmente articolate.

Storicamente la figura dell’imprenditore ex art. 2087 cod civ.  al quale vengono assegnati obblighi di sicurezza sul lavoro è stato individuato nell’organo gestorio cui spetta ex lege la gestione dell’impresa (art. 2380-bis cod. civ.). [5]

Senonchè è stato giustamente rilevato che proprio l’articolazione dell’impresa non consente di individuare sempre e comunque nel suo vertice, l’effettivo titolare di tali doveri idonei ad evitare il verificarsi del concreto evento lesivo. Ragione per cui si era avvertita l’esigenza di attribuire la responsabilità penale nel rispetto dell’art. 27 Cost solo a colui il quale, all’interno dell’impresa, fosse stato davvero in grado di affrontare, neutralizzare o ridurre al minimo la specifica fonte di rischio.[6]

Riflessione questa che rispecchia la definizione di datore di lavoro contenuta nell’art. 2 del D.Lgs. 81/08: “il soggetto titolare del rapporto di lavoro o comunque il soggetto che, secondo il tipo o l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Non più solamente un riferimento al rapporto di lavoro la cui titolarità (appartenente all’ente) obbliga ad individuare la figura datoriale nell’organo gestorio, bensì un approccio sostanziale attraverso cui in funzione dell’assetto organizzativo specifico, datore di lavoro può essere individuato il soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva su cui esercita i poteri decisionali e di spesa.[7]

Seguendo tale definizione nelle organizzazioni complesse sembra ammettersi un modello multidatoriale ossia la contemporanea presenza di un responsabile della struttura organizzativa e dell’organizzazione societaria nel suo complesso ad un livello più elevato e un livello sottostante in cui possono coesistere uno o più responsabili (datori di lavoro) a seconda del numero delle singole unità produttive.[8]

Una conferma di tale approccio si rinviene nella definizione di unità produttiva (art. 2 comma 1 lett. t D.Lgs. 81/08) ossia, “uno stabilimento o una struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale” laddove la principale caratteristica consiste nell’essere impresa in via autonoma nonostante l’appartenenza ad una struttura societaria più ampia e  complessa.[9]

Attribuire al datore di lavoro di vertice, responsabile dell’organizzazione nella sua interezza, la responsabilità di ciò che può accadere ai lavoratori delle unità produttive decentrate, stride con la necessità di avere un effettivo dominio dei rischi a livello prevenzionistico e quindi un effettivo presidio realmente impeditivo.

Si discute infatti, non tanto sulla giustezza di tale approccio, quanto piuttosto su come le rispettive competenze multidatoriali vadano ripartite all’interno dell’organizzazione societaria: se in altre parole sia più utile e maggiormente efficiente una competenza concorrente, e cioè se sia più utile una sovraordinazione del datore di lavoro di vertice rispetto al datore di lavoro dell’unità produttiva oppure se non sia meglio adottare una separazione delle aree di competenza fra datori di lavoro in funzione del rischio da governare.[10]

Impostazione accolta dalla decisione in commento laddove in un percorso motivazionale certamente apprezzabile essa enuclea una responsabilità dei vertici societari per tutte le disfunzioni organizzative e carenze procedurali quando fa rierimento alla produzione ed al controllo qualità del manufatto, mantenendo una responsabilità penale concorrente ad un livello più basso per le porzioni di condotta attribuibili a responsabili sottostanti e cioè, al responsabile dello stabilimento, all’addetto alla produzione nonché capo reparto, al capocantiere e direttore tecnico responsabile del montaggio delle lastre ed infine al lavoratore che ha di fatto realizzato durante la fase di cantiere dei tasselli totalmente inadeguati al contenimento del rischio di ribaltamento.

In precedenza anche la sentenza sul disastro di Viareggio[11], aveva molto puntualmente precisato la necessità di individuare l’area di provenienza del rischio concretizzatosi nel caso concreto in modo da poter stabilire a chi e a quale livello, centrale oppure di singola unità produttiva, tale rischio avrebbe dovuto essere gestito.[12]

In altre parole se si tratta di un rischio legato ad aspetti gestionali ed organizzativi dell’impresa allora l’evento infortunistico sarebbe da ascrivere al datore di lavoro di vertice. Viceversa se si tratta di un rischio specifico legato a mere operazioni esecutive e di cantiere, allora la responsabilità dell’evento sarebbe da ricercarsi nella figura datoriale posta a capo della singola unità produttiva o nelle figure di responsabilità a lui dipendenti.

Rifacendosi ai dettami della sentenza a Sezioni Unite sul caso Thyssenkrupp i giudici della strage di Viareggio avevano inteso rimarcare la distinzione fra la disciplina dell’art. 40 comma 2 c.p. e l’istituto del garante nell’ambito del diritto penale del lavoro (D.Lgs. 81/2008).

Tale ultimo approccio considera il sistema preventivo di sicurezza sul lavoro più ampio perchè fondato su diverse aree di rischio e su diversi piani di responsabilità che quei rischi sono chiamati a governare. Ciò suggerisce che sul piano dell’imputazione oggettiva bisogna separare le varie responsabilità gestionali in considerazione dei rischi presidiati.[13] Così facendo l’imputazione penale dell’evento potrà limitarsi oppure estendersi secondo i casi a colui o coloro i quali risultano gestore/gestori del rischio o di una singola frazione di esso. In altre parole soprattutto nei contesti lavorativi più complessi capita spesso di essere in presenza di diversi soggetti investiti ciascuno di ruoli gestionali autonomi ed a diversi livelli in considerazione delle diverse manifestazioni di rischio.

Tale concetto di “competenza per il rischio” ha consentito i giudici sul disastro di Viareggio di raggiungere conclusioni a carattere “extra societario”.

Chiamati a valutare l’esistenza di profili di responsabilità colposa in capo all’amministratore della società controllante per l’esercizio dei poteri di indirizzo e coordinamento sugli amministratori delle controllate, essi hanno evidenziato un altro importante aspetto in riferimento alla disposizione di cui all’art. 299 D.Lgs. 81/08 ossia l’acquisizione della veste di garante attraverso il mero esercizio di tale funzione. Per dirla in altro modo, l’assenza di una vera e propria posizione di garanzia ex art. 40 comma 2 c.p. non è da sola sufficiente ad escludere che l’amministratore della capogruppo possa rispondere dell’evento lesivo occorso nell’attività delle controllate. Occorrerà verificare che egli possieda una competenza rispetto al rischio (“competenza per il rischio”) concretizzatosi nel caso di specie ed in caso di risposta affermativa dovrà essere considerato garante ossia “gestore” di tale rischio.[14] La Cassazione in questo caso specifico sembra aver fatto implicita applicazione dell’art. 299 estendendo tale norma al rapporto fra società infra-gruppo e senza assimilare tale fattispecie a quella dell’amministratore di fatto ex art. 2639 cod. civ.

Se tali poteri di indirizzo strategico ed intervento sulla gestione delle controllate vengono esercitati in modo negligente, imprudente o imperito e ciò abbia cagionato o contribuito a cagionare l’evento lesivo, allora potranno dirsi concretizzati i presupposti della responsabilità colposa nei confronti dell’amministratore della capogruppo.[15]

Nel giungere a questa conclusione e cioè nell’estendere la responsabilità penale anche a un soggetto “esterno” la compagine societaria, la Cassazione non ha fatto riferimento né al concetto di datore di lavoro né ha chiarito a quale figura in materia di sicurezza possa essere equiparato l’amministratore della capogruppo. Sembra piuttosto che il riferimento a tali conclusioni sia stato riscontrato nell’esistenza di plurimi indicatori fattuali da cui siano emerse significative competenze gestorie e di dominio di quel particolare rischio.

L’impostazione sopra descritta seppure foriera di condivisibili critiche[16] in considerazione della portata espansiva (extra societaria) del principio di matrice giurisprudenziale del garante perchè “gestore del relativo rischio” appare a parere di chi scrive, pienamente in linea con il concetto di dominio e di multidatorialità ex artt. 2 e 299 TUSL cui anche la decisione in commento sembra aver fatto riferimento.

3 – I giudici nel caso che ci occupa si sono spinti in una puntuale analisi della fenomenologia della delega di funzioni e della distinzione fra quest’ultima e la delega gestoria esercitata dal consiglio di amministrazione che approfondiremo nel successivo paragrafo.

Sotto il genus “delega” nelle organizzazioni complesse si possono individuare infatti due species: la delega gestoria ex art-. 2381 cod. civ. e la delega di funzioni ex art. 16 D.Lgs. 81/08.

Si tratta di istituti che seppur animati da medesime finalità presentano differenti strutture ontologiche, differenti contenuti e – come sottolineato dalla Corte – differenti doveri di vigilanza in capo al soggetto delegante. Prima di procedere su tali aspetti ci siano consentite alcune precisazioni di carattere preliminare.

Capire l’organizzazione di una impresa significa conoscerne la complessità e comprendere che spesso, soprattutto per le realtà societarie più grandi, si realizza non solo una spersonalizzazione dei processi aziendali ma anche una loro frammentazione a seconda dei temi operativi, amministrativi, contabili e gestionali sottesi.[17] Questo processo di spersonalizzazione ha richiesto lo sviluppo di sistemi di corporate governance e la ripartizione verticale ed orizzontale di poteri e responsabilità.

A supporto di tale processo è venuto ad affermarsi sia in dottrina che in giurisprudenza il concetto di necessaria prossimità del “garante” ai fattori di rischio, posto che spesso la lontananza del soggetto apicale dall’ambito aziendale in cui si era realizzato l’evento lesivo, aveva evidenziato l’ineffettività del suo potere di intervento per la tutela dei beni giuridici in rilievo.[18]

Come giustamente rilevato da importante dottrina l’impresa moderna è oggi una realtà articolata per il cui funzionamento è necessario che il vertice demandi ad altri la gestione di singole attività, settori produttivi o ambiti gestionali. Più la struttura è ramificata e più il ruolo del datore di lavoro assume contenuti organizzativi, concentrandosi sui rischi legati all’assetto e all’organizzazione dell’impresa[19]: non si tratta più di seguire le singole attività o unità produttive ma di creare parallelamente un sistema interno in grado di seguirle e supervisionarle affinchè si svolgano in maniera coerente con direttive e procedure.

L’esigenza del vertice non sarà più quella di spogliarsi in maniera semplice e sbrigativa delle troppe incombenze legate ai rischi, bensì quella di affidarle a chi si trova nella posizione migliore per occuparsene perché ad esempio dotato di maggiori conoscenze tecniche.[20]

Pur in mancanza di specifiche indicazioni normative, l’affidamento da parte dei vertici aziendali ad altri soggetti interni di dirette competenze in materia di sicurezza sul lavoro è diventato il motivo sottostante la delega di funzioni.[21]

Si tratta come sappiamo di un istituto nato dalla prassi delle imprese e messo a punto dalla prassi giurisprudenziale.[22] Quest’ultima per lungo tempo ha guardato con diffidenza alla delega di funzioni perché ha continuato a vedere in tale strumento prasseologico il tentativo di scaricare verso il basso quei doveri previsti dall’art. 2087 cod. civ.

Sussiste cioè il rischio a che, tale strumento possa trasformarsi in un vero e proprio meccanismo elusivo ideato dal datore di lavoro di vertice al fine di addossare ad un suo subalterno i rischi di responsabilità penale legati al verificarsi di un evento infortunistico e di mantenere nel contempo ogni potere decisionale e di spesa.

Per tali ragioni sia la giurisprudenza e che il legislatore hanno richiesto nel corso degli anni particolari cautele ed il rispetto di determinate condizioni per il rilascio di una valida ed efficace delega di funzioni.[23]

La giurisprudenza ad esempio ha sempre posto particolare attenzione ai requisiti formali e sostanziali della delega.[24] Non è questa la sede per approfondire i singoli temi sottesi già ampiamente trattati in dottrina.[25]

Ricordiamo qui brevemente come l’art. 16 del D.Lgs. 81/08 stabilisca che: a) la delega risulti da atto scritto avente data certa; b) il delegato abbia tutti i requisiti di professionalità ed esperienza necessari per lo svolgimento delle funzioni e dei compiti che gli sono stati delegati; c) al delegato siano assegnati poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla natura delle funzioni delegate; d) al delegato sia attribuita l’autonomia di spesa necessaria; e) alla delega segua espressa accettazione da parte del soggetto delegato. A tali requisiti si deve aggiungere la necessaria e adeguata pubblicità dell’atto di delega.

Tali requisiti possono poi essere distinti in requisiti formali quali, la data certa, l’accettazione, la pubblicità e la forma scritta e requisiti sostanziali quali la competenza, l’autonomia gestionale e gli adeguati poteri di spesa.[26] Questi ultimi, soprattutto l’autonomia decisionale e i poteri di spesa sono così importanti da implicare la possibilità del soggetto delegato di intervenire direttamente nella gestione dei relativi rischi senza passare dal soggetto delegante.

Un recente lavoro ha riproposto la questione di validità della delega quando “conferita” con modalità irrituali, per mancanza di alcuni requisiti richiesti dall’art. 16, oppure perché sprovvista di forma documentale e dunque mera espressione di prassi aziendali. Pur ricordando la posizione della giurisprudenza che storicamente aveva risolto in maniera molto netta e forse anche sbrigativa il tema, negando sia alla delega informale, sia alla delega irrituale in senso stretto ed a quella priva di qualsiasi requisito di forma, una qualche valenza liberatoria degli obblighi in capo al soggetto delegante, il ricordato approfondimento è giunto, sulla base del principio contenuto nell’art. 299 (D.Lgs. 81/08), a riconoscere una posizione di garanzia anche a soggetti delegati di fatto, individuati cioè con delega informale oppure con modalità irrituali.[27]

Entrambe le deleghe, siano esse gestorie o di funzioni, sono ricondotte al medesimo fenomeno secondo cui il delegante-datore di lavoro non si spoglia della propria posizione di garanzia, che semplicemente cambia di contenuto. In entrambi i casi sussiste un residuo dovere di vigilanza che parrebbe doversi ricondurre ad un livello macro organizzativo.[28]

Sulla posizione di datore di lavoro e sulla efficacia liberatoria della delega di funzioni si sono succedute nel corso degli anni diverse interpretazioni.

Secondo un primo approccio formalistico[29] la veste di datore di lavoro essendo imposta dalla legge risulterebbe non derogabile e quindi pur in presenza di valida delega dal delegante al delegato il datore di lavoro non estingue la propria posizione di garanzia e simmetricamente il delegato non può diventare un nuovo garante. Il datore di lavoro è in ogni caso tenuto a vigilare sul soggetto delegato. Tale lettura formalistica risulta però in contrasto con la disciplina prevista dall’art. 16 del D.Lgs. 81/08 che ha espressamente previsto come la delega di funzioni determini la traslazione del ruolo di garanzia dal delegante al delegato nei limiti segnati dall’accordo.[30]

Secondo altro approccio per così dire “funzionale”[31] la delega estingue in radice il ruolo di garanzia del datore di lavoro, che viene conseguentemente esonerato da ogni responsabilità. Così interpretando quindi il delegato assume su di sé ed in via esclusiva, tutti i tratti tipici del garante primario: ha l’esclusivo governo della sicurezza e ne risponde penalmente. Per contro al datore di lavoro non residua neppure un obbligo di vigilanza. Margini di attribuzione di responsabilità in capo al delegante potrebbero configurarsi solo nel caso in cui sia stato scelto un delegato non idoneo o di inerzie di fronte a comportamenti illeciti del delegato di cui il delegante sia venuto a conoscenza.

Senonchè anche tale approccio è stato sottoposto a vistose critiche: da un lato perché la ritenuta cesura tra delegante e delegato trascura il fatto che la delega è uno strumento al servizio di una migliore efficienza d’impresa proprio in termini prevenzionistici e dall’altro in considerazione delle funzioni trasferite al delegato quali specifiche direttive impartite dal delegante il quale non potrà essere completamente escluso quantomeno nei termini di un doveroso controllo sulla loro esecuzione. Ammettere l’esclusione del dovere di vigilanza del delegante sul delegato, peraltro normativamente previsto, potrebbe finire per allentare la tenuta complessiva del sistema.[32]

Per le ragioni esposte che tendono a negare efficacia sia all’approccio formalistico sia a quello funzionale è andato emergendo un approccio per così dire “ecclettico” più in linea con le finalità del sistema prevenzionistico.

Con tale soluzione si ha un ridimensionamento della posizione di garanzia del datore di lavoro il quale è tenuto a selezionare adeguatamente il delegato e ad esercitare l’opportuno controllo in considerazione delle caratteristiche dell’impresa e del rischio.

Il delegato assume una propria posizione di garanzia e risponde in via esclusiva dei propri comportamenti entro la sfera dei poteri e doveri cui la delega inerisce.[33] Il D.Lgs. 81/08 ha adottato questo approccio affermando a chiare lettere che la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro per quanto concerne il corretto adempimento da parte del delegato delle funzioni a lui trasferite. Quello che non chiarisce sono le modalità con cui tale controllo dovrà esplicarsi. Viene tuttavia fornito un prezioso elemento di raffronto secondo cui il controllo si considera assolto attraverso l’adozione e attuazione di un efficace modello di verifica e controllo di cui all’art. 30 comma 4 (D.Lgs. 81/08). Il delegante dovrà quindi adottare un sistema di controllo, più o meno complesso al fine di riscontrare fra l’altro, che i compiti assegnati al delegato vengano correttamente eseguiti.

Come evidenziato in dottrina, l’attività di vigilanza intesa dal legislatore all’art. 16 comma 3 non richiede un controllo quotidiano, azione per azione, bensì una sorveglianza sintetica e periodica sui profili inclusi nella delega attraverso una organizzazione interna e con efficaci presidi di vigilanza che fanno capo al datore di lavoro delegante.[34]

Il perimetro di intervento del buon delegante è fra il suo dovere di vigilanza ed il divieto di ingerenza.[35]

Con riguardo alle concrete modalità di esecuzione della vigilanza ritorneremo più oltre.

4 – I giudici della Suprema Corte hanno affermato la responsabilità dell’intero Consiglio di Amministrazione della società P nonostante fosse stata disposta valida delega gestoria a CPM quale membro del CdA con illimitati poteri di spesa in materia antinfortunistica. All’intero consiglio di amministrazione era stato imputato il grave difetto organizzativo mentre al membro delegato era stato imputato il difetto di vigilanza ex art. 16 TUSL in presenza di valide deleghe di funzioni rilasciate al responsabile dello stabilimento DA, al responsabile montaggio lastre EF, agli addetti al controllo qualità VM e A.

Tali conclusioni raggiunte in fase di merito sono state condivise dalla Suprema Corte in ragione dell’accertata assenza di programmazione dell’attività svolta, non solo con riguardo alla produzione delle lastre, che avrebbero dovuto essere realizzate in conformità al progetto predisposto ed essere idonee alla realizzazione del muro di contenimento della vasca di raccolta delle acque, ma anche con riguardo alla successiva fase di installazione delle stesse con tecniche inadeguate a gestire il rischio di ribaltamento.

Assenza di programmazione che era emersa con particolare riferimento alle procedure di controllo qualità del manufatto, che avrebbe dovuto essere non di mera idoneità formale per l’ottenimento della marcatura CE, quanto piuttosto di effettiva idoneità tecnica per la gestione dello specifico rischio (ribaltamento). Il controllo bifasico era risultato sistematicamente omesso: i certificati di conformità venivano predisposti e controfirmati prima della produzione e successivamente apposti senza alcuna idonea verifica.

Pur non facendone menzione nel caso di specie sembra che i giudici abbiano riscontrato la totale assenza di un Modello di verifica e controllo sull’operatività dei delegati così come previsto dall’art. 30 comma 4 D.Lgs. 81/08. Parimenti sembra siano mancati nei confronti del Consiglio di Amministrazione di P quei flussi informativi relativi all’assetto organizzativo e all’andamento della gestione cui era onerato il consigliere delegato CPM.

Riscontrate le responsabilità nei termini descritti, i giudici si sono opportunamente dedicati ad un tema assai delicato ossia la differenza fra deleghe gestorie e deleghe di funzioni cui spesso ci si imbatte all’interno di strutture societarie complesse. Tema questo per la verità già ampiamente trattato da altra recentissima decisione, ma che prima di allora – per usare le parole dei giudici della Corte – non era stato sufficientemente enucleato, con conseguente confusioni di piani che invece necessitano di rimanere distinti.[36]

Oggetto della delega di funzioni ex art. 16 D.Lgs. 81/08 è la traslazione verso il basso di alcuni poteri e doveri di natura prevenzionistica del datore di lavoro  (non anche del dirigente), ad esclusione della nomina dell’RSPP e della valutazione dei rischi e redazione del DVR, da un soggetto che ne è garante a titolo originario verso un altro soggetto che lo diviene a titolo derivativo (delegato), con conseguente riduzione e mutazione dei relativi doveri.

Questo trasferimento di poteri e correlati obblighi dal datore di lavoro ad altre figure – è bene ribadirlo – non consente poi di qualificare tali soggetti delegati anch’essi come datori di lavoro.[37] 

Nelle compagini societarie più complesse l’orientamento costante della giurisprudenza della Cassazione – riproposto dalla sentenza in commento – è quello di ritenere datore di lavoro l’intero Consiglio di Amministrazione della società.[38]  

Frequentemente accade che il CdA concentri le proprie attribuzioni o solo alcune di esse ad uno o più membri oppure ancora ad un comitato esecutivo attraverso apposita delega gestoria di cui all’art. 2381 comma 2 cod. civ., semprechè l’assemblea e lo statuto lo consentano.

Il Consiglio di Amministrazione determina il contenuto, i limiti e le modalità di esercizio della delega; può impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute, valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; valuta poi sulla base della relazione predisposta dagli organi delegati il generale andamento della gestione (art. 2381 comma 3 cod. civ.).

Tali requisiti costituiscono la condizione necessaria ma non sufficiente per la piena operatività della delega come affermato dalla sentenza Thyssen la quale ha richiesto la verifica di effettività della delega al consigliere delegato ossia l’esercizio in concreto di poteri decisionali e di spesa.[39]

Gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e riferiscono al Consiglio con la periodicità prevista nello statuto o almeno ogni sei mesi sul generale andamento della gestione (art. 2381 comma 5 cod. civ.).

Questa conclusione ha come presupposto il fatto che l’amministratore delegato sia titolare di un effettivo potere decisionale; laddove invece succeda una costante ingerenza degli amministratori deleganti, tale da dissolvere il senso della delega gestoria allora la posizione di garanzia originaria del datore di lavoro tornerebbe ad espandersi all’intero Consiglio.

Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni sulla gestione della società (art. 2381 comma 6 cod. civ.).

Tutti gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminare o attenuarne le conseguenze dannose (art. 2392 comma 2 cod. civ.).

Secondo la decisione in commento[40] quindi, la delega gestoria non ha carattere abdicativo e fra deleganti e delegato si viene a creare una sorta di competenza concorrente come previsto dall’art. 2381 comma 3 cod. civ.:[41] il Consiglio di Amministrazione può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega.

Con le concentrazioni dei poteri e delle attribuzioni in capo all’amministratore delegato o ai consiglieri delegati, giustificata dalla necessità di un loro più proficuo esercizio, dovrà poi corrispondere una responsabilità esclusiva degli stessi, semprechè il Consiglio di Amministrazione abbia assicurato il necessario flusso informativo ed esercitato il dovere di controllo sull’assetto organizzativo adottato.

In altre parole nella delega di gestione non si assiste – come invece avviene nella delega di funzioni – ad un trasferimento di funzioni dal datore di lavoro ad un soggetto terzo privo di qualifica datoriale bensì ad un riparto dei poteri decisionali e di spesa che appartengono già al Consiglio, ma che con tale strumento vengono appunto attribuiti ad uno o più componenti, sui quali si concentrerà la posizione di garanzia a titolo originario, spettante altrimenti all’intero Consiglio di Amministrazione.[42]

In termini generali dunque con quest’ultimo tipo di delega, l’obbligo di adottare le misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal Consiglio di Amministrazione al consigliere delegato, rimanendo in capo al Consiglio (artt. 2381 comma 3 e 2392 comma 2 cod. civ) sulla base dei flussi informativi – concludono i giudici – residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e sull’assetto organizzativo adottato (anche con riguardo alla sicurezza) nonchè di intervento sostitutivo per l’adozione di singole misure specifiche nel caso in cui vengano a conoscenza di fatti pregiudizievoli o di situazioni di rischio non sufficientemente governate.[43]

In conseguenza della violazione di tali obblighi (verifica, controllo e potere di intervento), i membri del Consiglio di Amministrazione potranno essere ritenuti responsabili di violazione della normativa antinfortunistica e degli eventi causalmente collegati.[44]

Come avremo modo di approfondire la decisione in commento introduce sul punto – ed è qui la sua caratteristica peculiare – un ulteriore elemento di riflessione, in considerazione del “vizio” organizzativo” riscontrato.

La delega di gestione costituisce dunque un prius logico rispetto alla delega di funzioni. L’amministratore delegato poi nell’adempimento dei propri compiti in materia prevenzionistica potrà assegnare, con delega di funzioni e a dei garanti derivati, solamente alcuni degli obblighi che la legge pone a suo carico quale datore di lavoro.[45]

Accade poi che ai sensi dell’art. 2381 e sulla base delle informazioni ricevute dagli organi delegati, il Consiglio di Amministrazione in funzione della necessaria adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile alla natura e alle dimensioni dell’impresa, disponga che il soggetto posto a capo di ciascuna unità produttiva rivesta anche la qualifica di datore di lavoro. Sarà proprio la necessaria adeguatezza dell’assetto a rendere obbligatorio l’intervento dell’organo gestorio in tutte quelle situazioni ad esempio, in cui sia richiesta la creazione di una nuova linea datoriale e la definizione della sua struttura operativa. Definita la linea datoriale e la sua struttura verrà di conseguenza predisposto il sistema di controllo interno nel rispetto degli obblighi di sicurezza ex art. 30 TUSL. Il che però è diverso dall’affermare che unico datore di lavoro a titolo originario possa essere un soggetto che non ricopre la carica di amministratore. [46]

5 – Veniamo ora a definire i doveri di controllo in capo al soggetto delegante nel caso in cui venga esercitata delega gestoria oppure delega di funzioni. Quanto alle concrete modalità con cui il citato controllo dovrà essere effettuato abbiamo già avuto modo di evidenziare che non dovrà trattarsi di una vigilanza quotidiana, bensì in un controllo di tipo sintetico e periodico.

Dopo l’esercizio della delega gestoria il Consiglio di Amministrazione nell’ambito dei suoi poteri di controllo e sulla base dei flussi informativi interni,  può valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e l’andamento della gestione. Potrà avocare a sé operazioni rientranti nella delega gestoria impartita. Ed avrà infine un potere di intervento per impedire o attenuare gli effetti di atti pregiudizievoli commessi nell’esercizio della delega e di cui siano venuti a conoscenza (art. 2381 comma 3 cod. civ. e art. 2392 comma 2 cod. civ.). [47]

Nella decisione in commento il difetto organizzativo è imputato all’intero Consiglio di Amministrazione di P nonostante l’esistenza di valida delega gestoria al consigliere delegato CPM.  Si legge nella motivazione che, “trattasi dell’accertata assenza di programmazione dell’attività volta tanto alla produzione delle lastre in oggetto in termini di conformità al progetto specificamente predisposto (…)quanto alla successiva fase di installazione con tecniche tali da gestire il detto rischio di ribaltamento”. Ed ancora, “il vizio organizzativo è stato ritenuto tale da investire (…)  l’intero processo produttivo, in termini di chiara politica aziendale, cui gli operai avrebbero dovuto conformarsi, volta a dare prevalenza alla puntualità dei tempi di consegna rispetto alla qualità del prodotto finito (..) con conseguente subordinazione delle esigenze della sicurezza a quelle sottese al profitto”.[48]

Conclusioni quelle appena ricordate del tutto in linea con altra precedente decisione della Corte di Cassazione la n. 4968 del 2014 in cui era stato evidenziato che, “in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se sono il frutto di occasionali disfunzioni; quando invece sono determinate da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, permane la responsabilità dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione”[49]

Come a dire che in presenza di un vizio organizzativo che ha generato l’evento infortunistico il CdA ben avrebbe potuto e dovuto intervenire per porvi rimedio nonostante l’esistenza di deleghe gestorie.

Più complicato il tema del controllo nell’ambito di una delega di funzioni. L’art. 16 comma 3 D.Lgs. 81/08 prescrive che l’obbligo di vigilanza si intende assolto con l’adozione ed efficace attuazione di un Modello ex art. 30 comma 4.

L’art. 2 comma 1 lett. dd) del medesimo decreto definisce tale strumento “un modello organizzativo e gestionale per la definizione ed attuazione di una politica aziendale per la salute e sicurezza ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett a) del D.Lgs. 231/01 idoneo a prevenire i reati di cui agli artt. 589 e 590 comma 3 c.p. commessi con la violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro”.  Sembra trattarsi quindi di una parte specifica del Modello 231 finalizzata alla prevenzione degli infortuni sul lavoro.[50]

Ai fini del riconoscimento dell’esimente ex art. 6 D.Lgs. 231/01 tale parte del Modello dovrà assicurare la presenza di un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi relativi previsti in materia di sicurezza: a) il rispetto degli standard tecnici di legge per attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, etc; b) il rispetto della valutazione dei rischi e delle misure di prevenzione conseguenti; c) l’effettuazione di attività di natura organizzativa quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, etc; d) la sorveglianza sanitaria; e) la formazione ed informazione dei lavoratori; f) le attività di vigilanza circa il rispetto da parte dei lavoratori di procedure e istruzioni operative; g) l’acquisizione di documenti e certificazioni obbligatori per legge (art. 30 D.Lgs. 81/08). [51]

Peraltro non potrà essere concepita come un mero adempimento astratto o formale ma dovrà essere costruita tenendo conto di tutte le articolazioni aziendali, della loro organizzazione, dei presidi di sicurezza predisposti, delle procedure di controllo etc.

Gli adempimenti di assesment legati alla prevenzione degli infortuni dovranno avere ad oggetto gli ambiti operativi ed i rischi correlati, l’entità degli infortuni occorsi per ciascun ambito, l’esistenza delle figure di responsabilità ai sensi del D.Lgs. 81/08 ed i loro curricula, l’attuazione di tutte le prescrizioni del TUSL, la presenza di un DVR e di tutta la documentazione di sicurezza necessaria per il controllo e la gestione dei rischi (DUVRI, PSC, POS etc).[52]

Dovrà prevedere la registrazione dell’attività sopra descritta (art. 30 comma 2 TUSL), una articolazione delle varie funzioni in un ottica di dominio sul rischio ed infine un sistema disciplinare interno (art. 30 comma 3 TUSL).

Secondo taluni questo sistema aziendale di controllo della sicurezza seppur parte integrante del Modello 231 avrà la capacità di incidere direttamente sui rischi specifici di infortunio insiti nel processo produttivo, mentre il MOG si dovrà concentrare nella prevenzione del rischio di commissione da parte di soggetti apicali o da persone a questi sottoposti, dei reati di omicidio colposo o lesioni colpose in violazione delle norme di sicurezza sul lavoro.[53]

Un doppio livello di vigilanza quindi, il primo (proprio del sistema aziendale) più vicino ai rischi legati all’esecuzione dell’attività di lavoro dove i vari garanti della sicurezza presiedono il rispetto di tutte le regole antinfortunistiche approntate dall’azienda ai fini di impedimento di singoli eventi lesivi ed un secondo livello (in capo all’ente) cui spetta attraverso un meta controllo sull’attuazione e funzionalità dell’intero Modello 231, la valutazione circa l’efficacia dei presidi procedurali ed organizzativi adottati. 

Altri hanno attribuito al MOG la funzione di sistema organizzativo, gestionale e di controllo di secondo livello di cui è onerato l’ente, che richiede inoltre ai garanti individuali interni di creare come parte di esso un adeguato sistema aziendale per l’organizzazione, la gestione e il controllo di primo livello, vale a dire un sistema integrato comprensivo di azioni e misure cautelari che risultino concretamente idonee a prevenire rischi di infortunio legati all’attività d’impresa.[54]

Sulla base di queste considerazioni ci sembra di poter evidenziare che gli obblighi di vigilanza si muoveranno su piani diversi a seconda del tipo di delega.

Con l’esercizio di delega gestoria, la vigilanza si svolgerà ad un livello più elevato da parte del Consiglio di Amministrazione attraverso flussi informativi circa l’adeguatezza organizzativa adottata dalla società.

Con la delega di funzioni invece, trattandosi di uno spostamento in verticale ma verso il basso di alcuni poteri datoriali, la vigilanza del delegante verrà assicurata attraverso l’applicazione del Modello ex art. 30 comma 4 D.Lgs. 81/08 e quindi con un sistema aziendale a garanzia del corretto adempimento di tutti gli obblighi di sicurezza. Se nell’ente sono istituiti meccanismi per il controllo sulla gestione delle deleghe e di monitoraggio delle prestazioni del delegato riportanti al datore di lavoro, attraverso audit periodici, flussi informativi, reporting dati, Riesami HSE etc ed è assicurata una vigilanza autonoma e indipendente su tali strumenti, allora il datore di lavoro delegante ha fatto tutto quanto è concretamente esigibile e potrà andare esente da responsabilità.[55]

Giunti a questo punto nell’ambito dell’attività di vigilanza del soggetto delegante rimane da affrontare un ulteriore spunto di riflessione.

Tenuto conto del richiamo contenuto nell’art. 30 D.Lgs. 81/08 al MOG 231 ci si chiede se l’attività di vigilanza del datore di lavoro delegante possa considerarsi inclusa nell’attività che l’ODV è chiamato a svolgere sul funzionamento, sull’osservanza e sull’aggiornamento del Modello ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett. b) D.Lgs. 231/01.[56]

Senonchè ampliare le competenze dell’OdV includendo anche il controllo del datore di lavoro delegante non appare prima facie condivisibile per almeno tre ordini di ragioni.

Prima di tutto il dato normativo utilizzato dal legislatore del 2008 rende non trasferibile ad altri il dovere di vigilanza sul soggetto delegato. La presunzione dell’art. 16 comma 3 opererebbe non perché il delegante abbia spostato il compito di vigilare nei confronti del delegato sull’OdV, quanto piuttosto perché egli ha adempiuto il suo dovere di vigilanza riscontrando attraverso il Modello ex art. 30 comma 4 l’attività da quest’ultimo svolta.[57]

Secondariamente i principi alla base di una efficace delega di funzioni ossia la ripartizione delle competenze all’interno dell’impresa nell’ottica di una migliore e più completa valutazione dei rischi, del loro effettivo presidio anche in ottica impeditiva, rendono non percorribile l’attribuzione dell’attività di vigilanza del datore di lavoro ad un organo “esterno” alla compagine aziendale. Infatti potrebbe risultare difficile per l’OdV, senza il necessario supporto di altre funzioni aziendali, individuare all’interno di una compagine aziendale i soggetti delegati responsabili dell’attività lavorativa concretamente svolta.

Infine è bene ricordare che, non è certamente compito dell’OdV intervenire in ottica impeditiva, compito invece difficilmente eliminabile se agisse in sostituzione del datore di lavoro delegante. Importante dottrina è più volte intervenuta sul tema commentando alcune recenti pronunce giurisprudenziali sui casi Impregilo[58] e Monte dei Paschi[59] per citarne alcuni, sottolineando come in capo a tale organo si possano delineare solamente compiti di prevenzione organizzativa, cosicchè in assenza di poteri amministrativi e gestori all’interno della compagine aziendale, i suoi componenti saranno impossibilitati ad assumere qualsivoglia ruolo nell’impedimento di uno specifico reato.[60]

6 – Avendo escluso un qualsivoglia ruolo dell’ODV nello svolgimento dell’attività di vigilanza del datore di lavoro delegante è giusto chiedersi quale ruolo possa mai rivestire l’ODV nell’ambito della prevenzione degli infortuni sul lavoro in presenza del Modello 231 e del Modello ex art. 30 comma 4 TUSL.

Come già ricordato, nell’evidenziare questo doppio livello di controllo a valenza probatoria, attenta dottrina aveva parlato da un lato di un primo livello endoaziendale attraverso un sistema (interno a riporto del datore di lavoro delegante) a garanzia del corretto adempimento di tutti gli obblighi e comprensivo di un sistema di registrazione delle attività e di controllo periodico delle stesse, di una articolazione delle funzioni per un effettivo dominio dei rischi, di un sistema disciplinare ed infine di un sistema di aggiornamento del Modello ex art. 30, in funzione degli accadimenti occorsi e delle modifiche organizzative adottate.[61]

Dall’altro lato di un secondo livello in capo all’ente orientato non tanto all’efficacia del precedente sistema quanto piuttosto alla corretta individuazione dei presidi di vigilanza e gestione del rischio 231. L’ODV sarà tenuto in questo caso ad agire con riguardo ai profili organizzativi di controllo del rischio, concentrandosi sulla funzionalità dei protocolli cautelari, sul controllo sistemico volto ad impedire il verificarsi di classi di eventi infortunistici o comportamenti illeciti dei vari garanti della sicurezza.

In altre parole l’ODV non dovrà verificare nel dettaglio la bontà o la correttezza tecnica e impeditiva delle misure adottate dai vari soggetti competenti (datore di lavoro, dirigente, preposto etc) quanto piuttosto verificare la correttezza della procedura organizzativa che ne ha disciplinato l’adempimento e ne ha curato l’aggiornamento.[62]

A questo punto si delineano ulteriori riflessioni: prima di tutto ci si deve chiedere se l’attività di aggiornamento del Modello 231 svolta dall’ODV in ragione dei mutamenti organizzativi a supporto delle decisioni del Consiglio di Amministrazione non ne evidenzi anche profili di rilevanza penale, non perché tale organo sia chiamato ad impedire il verificarsi di eventi singoli, quanto piuttosto perché obbligato attraverso il Modello 231 a valutare l’adeguatezza dell’organizzazione per il contenimento dei rischi di infortunio. Secondariamente se tale conclusione possa essere estesa anche ad altri organi interni alla compagine sociale, chiamati a supportare le decisioni dell’organo gestorio.[63]

Per la verità una prima valutazione sul punto, fra compiti dell’Organismo di Vigilanza, obblighi di sicurezza sul lavoro e rilevanza penale delle misure adottate, era stato affrontato dalla Cassazione in una decisione del 2016. Si trattava di un caso in cui il PM procedente aveva contestato il delitto ex art. 437 c.p. Ad escludere ogni dubbio su una qualsivoglia ipotesi di concorso omissivo da parte dell’ODV era stata nel caso di specie la constatazione della totale assenza di poteri impeditivi e gestori in capo allo stesso organo: si legge infatti nella motivazione che è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo ai componenti dell’ODV per non aver adottato le cautele necessarie che la situazione specifica avrebbe in realtà richiesto.[64]

Recente dottrina è ritornata sul tema, partendo però da un diverso angolo visuale: secondo tale impostazione in capo all’ODV non vengono a mancare un potere di impedimento dell’evento oppure veri e propri poteri gestori quanto piuttosto l’esistenza di un vero e proprio obbligo di garanzia ex art. 40 comma 2 c.p.

Ma è proprio il confronto fra sorveglianza dell’ODV e condotta della persona fisica all’interno dell’ente ad evidenziare un “difetto di rapporto” oppure ancora meglio ad evidenziare un “salto di scala fra grandezze disomogenee”. L’ODV sarebbe chiamato a prevedere e gestire classi di ipotesi astratte su cui istituire cautele e procedure ad ampio spettro, dalle quali potranno discendere misure cautelari più specifiche. Si tratta di modelli di azione doverosa che essendo di carattere generale risultano perciò inconferenti rispetto al singolo evento oppure alla singola condotta nonché al principio di colpevolezza del soggetto agente che legherebbe la sua colpa all’accadimento concreto. Ed ancora, fra ODV e singolo evento vi sarebbe “un non rapporto per mancanza di contatto” laddove per tale organo l’evento infortunistico potrebbe rilevare solamente ove fosse espressione di un difetto organizzativo o di una inadeguatezza del Modello 231.[65]

L’inesistenza di un obbligo impeditivo ex art. 40 comma 2 c.p. in capo all’ODV per l’una piuttosto che per l’altra ragione, non significa sancirne la totale irrilevanza dal punto di vista del diritto penale.[66]

Minori resistenze si riscontrano quando si attribuisce all’ODV una responsabilità penale di tipo commissivo attraverso la cooperazione colposa dei reati presupposto: tale assunto poggia sulla convinzione che fra i compiti propri dei componenti di tale organo vi sia anche una diretta interazione con i garanti della sicurezza. Nel fare ciò i membri dell’ODV dovranno astenersi dal fornire un qualsivoglia contributo causale alla realizzazione dell’illecito altrui.[67]

Attraverso questa diversa impostazione a venire in rilievo è la dimensione collettiva dell’azione prevenzionale, la cui tipicità poggerebbe appunto tra reato di parte speciale e gli artt. 110 e 113 c.p.[68]

Secondo tali norme sarebbe tipico in una accezione plurisoggettiva quel comportamento (attivo o omissivo) che si inserisce nella catena di azioni e decisioni che hanno portato alla realizzazione dell’evento. Plurimi soggetti chiamati ad intervenire anche quando non siano personalmente obbligati ad evitare l’evento per i quali sarebbe stato coniato il termine di “omissione del non garante”, constatando soprattutto nelle organizzazioni complesse questa forma di dissociazione fra chi è titolare di un obbligo di garanzia e chi invece svolge una funzione a carattere accessorio, avente solamente il potere di intervenire e con diverse modalità per evitare il verificarsi di un evento.[69]

S’innesta su questo terreno la disputa avente ad oggetto i doveri di informazione, di segnalazione, di allerta avverso situazioni critiche o di pericolo a carico di soggetti che per diverse ragioni sono implicati nell’esercizio dell’attività. Un dibattito recente venuto alla ribalta con riguardo ad eventi infortunistici e a conseguenti responsabilità di soggetti privi di poteri decisionali e di gestione diretta del rischio.[70]

Così facendo si apre un articolato ambito di figure soggettive che seppur prive di poteri impeditivi o di obblighi di garanzia integrano il sistema di sicurezza sul lavoro all’interno dell’azienda: in tale categoria possono certamente iscriversi la figura dell’RSPP, quella del medico competente, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e di altri soggetti esterni quali i progettisti, i fabbricanti, i fornitori, gli installatori, tutti chiamati a fornire non solo un proprio contributo nella realizzazione del lavoro ma anche a collaborare per il raggiungimento di un elevato standard di sicurezza e dunque di impedire il verificarsi di eventi lesivi. Si tratta di un modello frazionato e plurisoggettivo in cui anche il lavoratore come ultimo anello della catena dovrà fornire il proprio contributo segnalando tutte quelle situazioni di pericolo di cui sia venuto a conoscenza.[71]

Questo meccanismo imputativo è già stato oggetto di dibattito fra dottrina e giurisprudenza con riguardo alla figura dell’RSPP.

Secondo la prima, tale figura è sostanzialmente priva della qualifica di garante tant’è che per essa viene usato il termine di “garante mediato” [72] ; la giurisprudenza è sembrata invece di avviso contrario riconoscendo in capo all’RSPP una responsabilità penale, non perché parte integrante un congegno impeditivo plurisoggettivo che non ha funzionato, quanto piuttosto per non aver adempiuto, alla luce del proprio bagaglio tecnico-scientifico, l’obbligo di informare il datore di lavoro dissuadendolo da scelte sbagliate in termini di sicurezza. Si legge infatti in alcune recenti pronunce che, nonostante sia privo di ruoli gestionali all’interno dell’impresa, l’RSPP può ben essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in violazione dei suoi doveri.[73] E sulla posizione dell’RSPP è intervenuta anche la sentenza Thyssen sul presupposto che questi avrebbe dovuto e potuto segnalare ai vertici dell’impresa l’esistenza di rischi che avrebbero dovuto essere tenuti in considerazione al fine di orientare specifiche misure di sicurezza.[74]

In questa direzione sembra prevedibile che, proprio in considerazione del ruolo ricoperto dall’ODV ossia di esperto tecnico per il funzionamento e l’osservanza del Modello nonché per lo svolgimento delle attività necessarie al suo aggiornamento, possa giungersi entro breve a rimproverare i suoi componenti di non aver compiutamente informato il Consiglio di amministrazione di circostanze organizzative, che se correttamente valutate avrebbero consentito l’impedimento dell’evento concreto.[75]

Nel caso di specie infatti il difetto organizzativo era stato imputato a tutto il Consiglio di Amministrazione ritenuto responsabile per non aver compiutamente valutato la carenza organizzativa attraverso la quale l’infortunio si era verificato. Ma se è tutto il Consiglio ad essere responsabile in situazioni simili è evidente come possa facilmente delinearsi una posizione concorrente degli organi chiamati a dare supporto, esprimere pareri, segnalare fatti, circostanze o situazioni di rischio all’organo gestorio.

Avveduta dottrina proprio in ragione delle caratteristiche del reato funzionalmente plurisoggettivo nelle organizzazioni complesse,[76] ha evidenziato il rischio di un allargamento della responsabilità penale in materia infortunistica anche all’ODV.  

Tale preoccupazione appare estendibile anche ad altri organi endoconsigliari che svolgano una funzione simile.  Si pensi ad esempio al Comitato Controllo Rischi oppure al collegio sindacale.[77]

Alla luce di tali considerazioni si condivide l’osservazione secondo cui tra questi soggetti sussistono obblighi reciproci di raccolta e condivisione di informazioni, valutazione degli impatti circa determinate scelte aziendali in tema di sicurezza ed infine la segnalazione formalizzata di rischi di carattere organizzativo in mancanza dei quali potrebbero sussistere specifiche responsabilità penali.[78]

L’evento infortunistico colposo è spesso il prodotto di un insieme di condotte agevolative che si sommano alla condotta che viola la regola cautelare realmente impeditiva in capo al garante.

Senza entrare in questa sede sulle caratteristiche tipizzanti del reato di agevolazione colposa cui si rimanda,[79] esso si compone di una condotta agevolativa realizzata dall’ente per non aver adottato oppure per aver realizzato un modello non efficace, cui può sommarsi una condotta altrettanto agevolativa dei componenti dell’ODV, per aver attivamente codeterminato la scelta imprenditoriale da cui è derivato il sinistro e che ha reso ineffettivo, inefficace o non sufficientemente aggiornato il Modello 231.[80]

Ma occorrono ancora due condizioni: da un lato l’ODV deve essere consapevole e quindi essere a conoscenza, a seguito di flussi informativi interni o per aver esercitato il proprio potere investigativo, delle diverse scelte organizzative occorse, di modifiche produttive, oppure infine di modifiche a procedure autorizzative e di controllo, che richiederebbero un approfondimento degli impatti di tali modifiche sul Modello 231. La seconda condizione è che questo suo contributo agevolativo abbia codeterminato una situazione di rischio favorente il comportamento imprudente altrui, oppure asseverato scelte del management che hanno consentito un abbassamento della percezione del rischio da parte dei dipendenti, risultando causale o meglio concausale rispetto all’evento infortunistico.[81]

Nelle società di maggiori dimensioni, specialmente nelle società quotate, si è reso evidente negli ultimi anni una ridondanza di controlli interni fra “classici organi di controllo” del sistema tradizionale ed altri comitati finalizzati al controllo di specifici rischi. Potrebbe accadere che questa ridondanza di ruoli possa generare sovrapposizioni, appesantimenti burocratici ed inefficienze.

Ecco perché come lucidamente osservato in un recente lavoro, il tema della compliance oggi, è quello della semplificazione e del coordinamento tra i controllori per capire chi fra le diverse posizioni di controllo e supporto all’organo gestorio sia davvero necessario per la riduzione degli infortuni sul lavoro o se invece tali duplicazioni di ruoli oltre a generare opacità del sistema non evidenzi anche una grave colpa di organizzazione.[82]

In ultima analisi vi è il serio rischio, in considerazione del crescente numero degli eventi infortunistici e del grave bilancio di vittime[83], che la giurisprudenza possa svolgere una funzione per così dire suppletiva ricomprendendo nelle spire della cooperazione colposa ex art. 113 c.p., tutte quelle condotte individuali o collegiali, che a diversi livelli hanno agevolato la realizzazione dell’evento.

7 – La decisione in commento è ritornata sul tema delle deleghe nelle organizzazioni complesse osservando in maniera dettagliata quali siano le caratteristiche distintive delle deleghe gestorie rispetto alle deleghe di funzione.

In conclusione possiamo affermare che, nel caso di deleghe gestorie vengono in rilievo criteri di ripartizione tra gli amministratori in ambito societario di ruoli e di responsabilità di cui tutti sono investiti a titolo originario; con essa tali poteri/doveri datoriali vengono a concentrarsi su un soggetto o su un comitato ristretto appartenente al CdA.

Nel caso delle deleghe di funzioni invece vengono in rilievo criteri di traslazione in senso verticale solamente di alcuni poteri e doveri di natura prevenzionistica in capo al datore di lavoro verso altri soggetti che quindi non diventano tali per effetto della delega. Trattasi quindi di investitura a titolo derivativo.

Da questa fondamentale differenza discende che la procura endoconsigliare non soggiace ai limiti della delega di funzioni ex art. 16 D.Lgs. 81/08.[84] Mentre in capo al soggetto delegante rimane un dovere di vigilanza.

Per la prima non avendo carattere abdicativo l’affidamento di determinati poteri agli organi delegati creerà una sorta di competenza concorrente all’interno del consiglio come precisato dall’art. 2381 comma 3 cod. civ.: sicchè il consiglio di amministrazione potrà sempre impartire direttive oppure avocare a sé operazioni rientranti nella delega. In materia di sicurezza sul lavoro dunque tale concentrazione di poteri su alcuni membri del consiglio dovrà portare in via generale ad una esclusiva responsabilità degli stessi, sempre che si accerti che l’organo collegiale abbia assicurato il necessario flusso informativo ed esercitato il potere dovere di controllo sull’assetto organizzativo adottato dal delegato. Peraltro tutti gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto tutti il possibile per impedirne la verificazione o attenuarne le conseguenze (art. 2392 comma 2 cod. civ).[85]

Nella delega di funzioni la vigilanza è estrinsecata dal delegante attraverso il Modello di cui all’art. 30 comma 4 del D.Lgs. 81/08.

Peraltro la decisione della Cassazione ha precisato che – ed è questa la sua reale portata innovatrice – pur in presenza di valide deleghe gestorie e di funzione, qualora l’evento sia il risultato di una totale carenza organizzativa oppure di effettiva mancanza di procedimentalizzazione dell’attività produttiva, l’intero consiglio di amministrazione dovrà essere ritenuto penalmente responsabile.

Siffatta conclusione a parere di chi scrive rende ancora più netta la distinzione fra le due tipologie di delega in quanto sembra delineare nelle organizzazioni complesse un doppio livello di vigilanza: un primo livello di gestione del rischio necessariamente connesso alle caratteristiche organizzative e procedurali dell’articolazione societaria in capo al consiglio di amministrazione; ed un secondo livello inerente l’attività produttiva, il singolo stabilimento o la singola unità produttiva in cui la gestione dei rischi specifici rimarra’ in capo al datore di lavoro e ai soggetti da lui delegati.

Per tali ragioni non si può concordare con chi ha segnalato che la sentenza de quo avrebbe uniformato il dovere di vigilanza fra il delegante con delega gestoria ed il delegante con delega di funzioni.[86]

Il Consiglio di amministrazione svolgerà la propria attività di vigilanza attraverso i flussi informativi interni al Consiglio e provenienti dal delegato, oppure da altre funzioni aziendali, dai flussi informativi e dai pareri non vincolanti degli altri comitati enconsigliari e soprattutto dall’attività di controllo e aggiornamento del Modello 231 svolta dall’ODV.

Il datore di lavoro delegante (ad es. il consigliere delegato o il capo di unità produttiva) svolgerà invece la propria attività di vigilanza attraverso il sistema aziendale ex art. 30 TUSL[87] e di cui lui solo sarà responsabile, in cui dovranno essere assicurate ad es. la valutazione dei rischi, le riunioni periodiche di sicurezza, la formazione dei lavoratori, le verifiche periodiche, una adeguata articolazione di funzioni nel rispetto delle competenze tecniche, un sistema di controllo periodico interno, etc.

Ad ogni modo questi aspetti non essendo stati sufficientemente chiariti dalla decisione in commento potrebbero richiedere un ulteriore intervento. Infine potrebbe essere utile, per le ragioni espresse, un approfondimento su eventuali profili di responsabilità penale delle condotte agevolatrici dell’ODV o di altri organi consultivi del Consiglio di Amministrazione, laddove una mancata segnalazione di rischi organizzativi si sia inserita nella catena eziologica che ha favorito il verificarsi dell’evento infortunistico.

Avv. MARIO MASPERO (foro di Milano, Vice President presso Eni spa)

Avv. DANIELE ZANIOLO (foro di Torino)


[1] Sulla decisione in commento vedi i contributi di, A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, in Sist. Pen. 29 gennaio 2025, nota a Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2024, (dep. 6 novembre 2024) n. 40682, Pres. Piccialli, est. Antezza; così anche E.M. CANZI, La responsabilità penale degli amministratori tra delega di funzioni e procura endoconsiliare in materia di sicurezza sul lavoro, in Le Società 2025, n. 1, pag. 73 e seg.

[2] Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2024, (dep. 6 novembre 2024), n. 40682, in www.giurisprudenzapenale.com

[3] Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2024, (dep. 6 novembre 2024), n. 40682, cit.

[4] A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, ibidem.

[5] Si veda su tutti C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale dell’impresa, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1988, pag. 125; ID, Diritto penale, vol. III, Scritti di diritto penale dell’economia, Milano, 2003, pag. 225 e seg; R. GUARINIELLO, Il diritto penale del lavoro nell’impatto con le direttive CEE: 1996 un anno di novità per la sicurezza del lavoro, in Dir. pen. proc. 1997, pag. 83 e seg.; G. DE FALCO, La figura del datore di lavoro nell’ambito della normativa di sicurezza dal decreto legislativo 626/94 al c.d. decreto 626-bis, in Cass. Pen. 1996, pag. 1696; T. VITARELLI, Delega di funzioni e responsabilità penale, Milano, 2006, pag. 144; A. ALESSANDRI, Parte generale, in C. PEDRAZZI, A. ALESSANDRI, L. FOFFANI, S. SEMINARA, G. SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna, 2003, pag. 63.

[6][6] A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, pag. 131 e seg.; D. PULITANO’, Responsabilità penali nell’ambito delle organizzazioni complesse, in Diritto Penale, Torino, 2005, pag. 513 e seg.; F. BRICOLA, Scritti di diritto penale, Milano, 1997, pag. 3307 e seg.; più di recente vedi fra gli altri, F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, Torino, 2024, pag. 67 e seg.; R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, Torino, 2023, pag. 4 e seg.; A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, Milano, 2024, pag. 297 e seg.

[7] S.TORDINI CAGLI, I soggetti responsabili, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, Torino, 2019, pag. 79 e seg.

[8] A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 306; P. VENEZIANI, Deleghe di funzioni e culpa in vigilando nella prospettiva della sicurezza sul lavoro, in disCrimen 17 luglio 2024, in www.discrimen.it

[9] E. SCAROINA, La responsabilità penale del datore di lavoro nelle organizzazioni complesse, in Sist. Pen. 16 giugno 2021, pag. 2 e seg. in www.sistemapenale.it

[10] A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 307; R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., pag. 37 e seg.

[11] Cass. Pen. Sez. IV, 8 gennaio 2021 (dep. 6 settembre 2021, n. 32889 in www.sistemapenale.it

[12] P. BRAMBILLA, Disastro ferroviario di Viareggio: le motivazioni della sentenza di Cassazione, in Sist. Pen. 9 novembre 2021, in www.sistemapenale.it ; A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 308.

[13] Sul punto vedi la sentenza Thyssen, Cass. Pen. Sez. Un. 24 aprile 2014, n. 38343, in www.giurisprudenzapenale.com ; vedi inoltre F.P. MODUGNO, La responsabilità penale dell’organo amministrativo, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 54.

[14] Cass. Pen. Sez. IV, 8 gennaio 2021 (dep. 6 settembre 2021, n. 32889 cit.

[15] Cass. Pen. Sez. IV, 8 gennaio 2021 (dep. 6 settembre 2021, n. 32889, ibidem.

[16] V. MONGILLO, Imputazione oggettiva e colpa tra “essere” e normativismo: il disastro di Viareggio, in Giur. it., 2022, n. 4, pag. 958 e seg.; S. ZERBONE, L’imputazione dell’illecito periferico all’amministratore della capogruppo, in Riv. it. dir. proc. pen. 2023, n. 4, pag. 1501 e seg.

[17] C.E. PALIERO, La società punita: del come, del perché e del per cosa, in Riv. it. dir. proc. pen. 2008, n. 4, pag. 1516 e seg.; più di recente, D. PULITANO’, La cultura giuridica e la fabbrica delle leggi, in Dir. pen. cont. 28 ottobre 2015, in www.penalecontemporaneo.it

[18] E.M. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, M. RONCO, Diritto penale dell’impresa, Milano, 2022, pag. 85 e seg.; A. ALESSANDRI, Diritto penale ed attività economiche, cit., pag. 133 e seg.

[19] A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 310.

[20] A. ALESSANDRI, Diritto penale ed attività economiche, cit., ibidem.

[21] R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza sul lavoro, Torino, 2020, pag. 65 e seg.; S. TORDINI CAGLI, La delega di funzioni, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., pag. 121 e seg.; T. VITARELLI, La disciplina della delega di funzioni, in F. GIUNTA, D. MICHELETTI (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2010, pag. 37 e seg.; G. MORGANTE, La ripartizione volontaria dei doveri di sicurezza tra garanti innominati: le deleghe di funzioni, in Arch. Pen. 2021, n. 1, pag. 12 e seg.; P. VENEZIANI, Deleghe di funzioni e culpa in vigilando nella prospettiva della sicurezza sul lavoro, cit., pag. 3 e seg.

[22] D. PULITANO’, Diritto penale, Torino, 2023, pag. 357 e seg.; T. PADOVANI, La delega di funzioni tra vecchio e nuovo sistema di prevenzione antiinfortunistica, in Cass. Pen. 2011, pag. 1581 e seg.; G. MORGANTE, La ripartizione volontaria dei doveri di sicurezza tra garanti innominati: le deleghe di funzioni, cit., pag. 9 e seg.

[23] F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., pag. 90 e seg.; G. MORGANTE, La ripartizione volontaria dei doveri di sicurezza tra garanti innominati: le deleghe di funzioni, cit., pag. 16 e seg.;  F. D’ALESSANDRO, voce Delega di funzioni (diritto penale), in Enc. Dir. – Annali, IX, Giuffrè, Milano 2016, pag. 245 e seg.; G. AMATO, Le novità normative in tema di “delega di funzioni”, in Cass. Pen. 2009, pag. 2096 e seg.; N. PISANI, Profili penalistici del testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il commento, in Dir. pen. proc. 2008, pag. 829 e seg.

[24] Cass. Pen. Sez. III, 10 gennaio 2018 (dep. 28 marzo 2018) n. 14352, Rv 272318; Cass. Pen. Sez. IV, 19 luglio 2019, (dep. 30 ottobre 2019), n. 44141; sui requisiti sostanziali vedi fra le altre Cass. Pen. Sez. IV, 26 ottobre 2021, (dep. 7 aprile 2022), n. 13199; Cass. Pen. Sez. IV, 29 gennaio 2019, n. 24908, in Rv 276335; Cass. Sez. Un. 24 aprile 2014, n. 38343, Rv. 261109.

[25] G. GRASSO, Organizzazione aziendale e responsabilità per omesso impedimento dell’evento, in Arch. Pen. 175, pag. 751; T. PADOVANI, Diritto penale del lavoro. Profili generali, Milano, 1976, pag. 62 e seg.; D. PULITANO’, Posizione di garanzia e criteri di imputazione personale nel diritto penale del lavoro, in Riv. giur. lav. 1982, IV, pag. 181 e seg.; A. PAGLIARO, Profili generali del diritto penale dell’impresa, in Ind. pen. 1985, pag. 17 e seg.; A. CARMONA, Premesse ad un corso di diritto penale dell’economia, Padova, 2002, pag. 239; C. PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico criminali, Milano, 2004, pag. 310 e seg.; A. GARGANI, Posizioni di garanzia nelle organizzazioni complesse: problemi e prospettive, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2017, n. 3-4, pag. 517 e seg.; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, Torino, 2018, pag. 58 e seg.

[26]G. MORGANTE, La ripartizione volontaria dei doveri di sicurezza tra garanti innominati: le deleghe di funzioni, cit., ibidem; F. D’ALESSANDRO, voce Delega di funzioni (diritto penale), in Enc. Dir. – Annali, IX, Giuffrè, Milano 2016, pag. 247 e seg.; ID, La delega di funzioni nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, alla luce del decreto correttivo n. 106/2009, in Riv. it. dir. proc. pen. 2010, pag. 1125; V. MONGILLO, La delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro alla luce del d.Lgs. n. 81/2008 e del decreto correttivo, in Dir. pen. cont. riv. trim. 2012, n. 2, pag. 74 e seg; S. DOVERE, Delega di funzioni prevenzionistiche  e compliance programs, in Resp. amm. soc. ed enti 2010, n. 4, pag. 105; A. SCARCELLA, La delega di funzioni prima e dopo il TUS 81/08: continuità evolutiva e novità legislative nell’analisi comparativa, in AA.VV., Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche e d’impresa, Firenze, 2010, pag. 311 e seg; R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., pag. 71 e seg.

[27] Così G. MORGANTE, La ripartizione volontaria dei doveri di sicurezza tra garanti innominati: le deleghe di funzioni, cit., pag. 33 e seg.; sul punto vedi anche V. MONGILLO, La delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro alla luce del d.Lgs. n. 81/2008 e del decreto correttivo, cit., pag. 84.

[28] A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, ibidem.

[29] T. PADOVANI, Diritto penale del lavoro, Milano, 1983, pag. 74 e seg.; ID, La delega di funzioni tra vecchio e nuovo sistema di prevenzione antiinfortunistica, cit., pag. 1586.; C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale d’impresa, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1988, pag. 138 e seg.; S. TORDINI CAGLI, La delega di funzioni, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., pag. 131 e seg.;

[30] Così vedi R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., pag. 68.

[31] A. FIORELLA, Il trasferimento di funzioni nel diritto penale dell’impresa, Firenze, 1985, pag. 30 e seg.; A. PAGLIARO, Problemi generali del diritto penale d’impresa, cit., pag. 21 e seg.; S. TORDINI CAGLI, La delega di funzioni, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., ibidem.

[32] R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., pag. 70.

[33] Così A. ALESSANDRI, voce Impresa (responsabilità penale), in Dig. Disc. Pen. VI, Torino, 1992, pag. 213 e seg.; C. PEDRAZZI, Profili problematici del diritto penale d’impresa, cit., pag. 139; D. PULITANO’, Organizzazione dell’impresa e diritto penale del lavoro, in Riv. giur. lav. 1985, pag. 8 e seg.; T. VITARELLI, Profili problematici della delega di funzioni, Milano, 2008, pag. 39 e seg.

[34] V. MONGILLO, La delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro alla luce del d.Lgs. n. 81/2008 e del decreto correttivo, cit., pag. 99 e seg.; così

[35] A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, cit., pag. 313; in giurisprudenza vedi di recente, Cass. Pen. Sez. IV, 5 ottobre 2023, n. 51455 in www.aodv231.it ; Cass. Pen. Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8476 in www.aodv231.it .

[36] Cass. Pen. Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8476, cit., pag. 4 e seg.

[37] Così vedi anche Cass. Pen. Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8476, cit., pag. 8 e seg.

[38] Così vedi fra le altre, Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2021, n. 21522, in www.giurisprudenzapenale.com ; Cass. Pen. Sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 8118, in www.giurisprudenzapenale.com ; Cass. Pen. Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8476, cit.; Cass. Pen. Sez. IV, 20 aprile 2017, (u.p. 14 marzo 2017) n. 19036 in R. GUARINIELLO, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, Milano, 2020, pag. 29 e seg.; Cass. Pen. Sez. IV, 27 aprile 2018, (u.p. 28 marzo 2018), n. 18409, ivi pag. 34; Cass. Pen. Sez. IV, 3 gennaio 2020, (u.p. 7 novembre 2019) n. 54, ivi pag. 36; Cass. Pen. Sez. IV, 12 giugno 2019, (u.p. 5 marzo 2019, n. 25836, ivi pag. 35 e seg. In dottrina vedi il recente approfondimento di A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, cit., pag. 302 e seg.; A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, cit.; così anche E.M. CANZI, La responsabilità penale degli amministratori tra delega di funzioni e procura endoconsiliare in materia di sicurezza sul lavoro, cit., pag. 73 e seg.

[39] Cass. Pen. Sez. Un. 24 aprile 2014, n. 38343, cit.; sul punto vedi R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., pag. 5° e seg.; così anche A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, cit., pag. 5.

[40] Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2024, (dep. 6 novembre 2024), n. 40682, in www.giurisprudenzapenale.com

[41] Cass. Pen. Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8476, cit.

[42] A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, cit., pag. 5. Così la sentenza in commento Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2024, (dep. 6 novembre 2024), n. 40682, in www.giurisprudenzapenale.com ; in precedenza anche Cass. Pen. Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8476, cit.

[43] Così la sentenza in commento Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2024, (dep. 6 novembre 2024), n. 40682, cit.; vedi anche Cass. Pen. Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 8476, cit.

[44] A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, cit., ibidem.; A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, cit., pag. 303 e seg.

[45] A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, cit., ibidem.; T. VITARELLI, Profili problematici della delega di funzioni, cit., pag. 2 e seg.; C. PAONESSA, Problemi risolti e questioni ancora aperte nella recente giurisprudenza in tema di debito di sicurezza e delega di funzioni, in G.CASAROLI, F.GIUNTA, R:GUERRINI, A.MELCHIONDA, La tutela penale della sicurezza del lavoro. Luci e ombre del diritto vivente, Pisa, 2015, pag. 38 e seg.; A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, cit., ibidem.

[46] A. DELL’OSSO, Le responsabilità per reati in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, cit., pag. 305.

[47] A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, cit., ibidem.; S. DOVERE, L’organizzazione dell’impresa a confronto con il diritto penale della sicurezza sul lavoro, in Arch. Pen. 2022, n. 3, pag. 8 e seg.

[48] Così la sentenza in commento Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2024, (dep. 6 novembre 2024), n. 40682, cit., pag. 16.

[49] Cass. Pen. Sez. IV, 31 gennaio 2014, Vascellari, Rv. CED Cass. 258617; vedi anche Cass. Pen. Sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 8118, Ottavi, Rv CED Cass. 269133.

[50] F. CURI, L’imprenditore persona giuridica, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., pag. 171 e seg.; D. CASTRONOVO, La responsabilità degli enti collettivi per omicidio e lesioni alla luce del D.Lgs. n. 81/2008, in F. BASENGHI, L.E. GOLZIO, A. ZINI (a cura di), La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda. Il Testo Unico e il decreto correttivo 106/2009, Milano, 2009, pag. 330; V. VALENTINI, La sostanziale continuità tra il vecchio e il nuovo diritto penale della salute e della sicurezza del lavoro, in L. GALANTINO (a cura di), Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il D.Lgs. 81/2008 e il D.Lgs. 106/2009, Torino, 2009, pag. 378 e seg.

[51] F. CURI, L’imprenditore persona giuridica, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., ibidem; G. D’ALESSANDRO, Il modello di organizzazione, gestione e controllo (art. 30-300 D.Lgs. n. 81/2008), in G. NATULLO (a cura di), Salute e sicurezza sul lavoro, Torino, 2015, pag. 312.

[52] A. FIORELLA, N. SELVAGGI, Compliance programs e dominabilità aggregata del fatto. Verso una responsabilità da reato dell’ente compiutamente personale, in Dir. pen. cont. riv. trim. 2014, n. 3-4, pag. 116; G. CATELANI, Responsabilità da reato delle aziende e sicurezza sul lavoro. Modelli organizzativi e gestionali ex D.Lgs. 231/2001 e 81/2008, Milano, 2016, pag. 85 e seg.; F. CURI, L’imprenditore persona giuridica, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., pag. 175.

[53] D. CASTRONOVO, La responsabilità degli enti collettivi per omicidio e lesioni alla luce del D.Lgs. n. 81/2008, in F. BASENGHI, L.E. GOLZIO, A. ZINI (a cura di), La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda. Il Testo Unico e il decreto correttivo 106/2009, cit., pag. 331; F. CURI, L’imprenditore persona giuridica, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., pag. 183;

[54] V. MONGILLO, Il dovere di adeguata organizzazione della sicurezza tra responsabilità penale individuale e responsabilità da reato dell’ente: alla ricerca di una nuova plausibile differenziazione, in A.M. STILE, A. FIORELLA, V. MONGILLO, (a cura di), Infortuni sul lavoro e doveri di adeguata organizzazione: dalla responsabilità penale individuale alla colpa dell’ente, Napoli, 2014, pag. 41 e seg.; R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., pag. 327; contr. vedi A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, ult. cit., secondo cui non sembra agevole distinguere il dovere di vigilanza ex art. 2381 da quello previsto dall’art. 16 D.Lgs. 81/08. Secondo l’A. entrambi gli approcci farebbero inevitabilmente riferimento al MOG e alla sua adozione ed efficace attuazione.

[55] V. MONGILLO, Il dovere di adeguata organizzazione della sicurezza tra responsabilità penale individuale e responsabilità da reato dell’ente: alla ricerca di una nuova plausibile differenziazione, in A.M. STILE, A. FIORELLA, V. MONGILLO, (a cura di), Infortuni sul lavoro e doveri di adeguata organizzazione: dalla responsabilità penale individuale alla colpa dell’ente, cit., 54; vedi anche S. DOVERE, Rete dei garanti della sicurezza e imputazione della responsabilità penale, pag. 4 della relazione al Convegno, “Sicurezza sul lavoro attraverso una adeguata organizzazione: responsabilità individuali e degli enti collettivi”, Roma 21 maggio 2015.

[56] G. MORGANTE, La ripartizione volontaria dei doveri di sicurezza tra garanti innominati: le deleghe di funzioni, cit., ibidem.; F. CURI, L’imprenditore persona giuridica, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., pag. 184; R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., pag. 327.

[57] Così, G. MORGANTE, La ripartizione volontaria dei doveri di sicurezza tra garanti innominati: le deleghe di funzioni, cit., pag. 27 e seg.; F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 126.

[58] Cass. Sez. VI, 11 novembre 2021, n. 23401, in Sist. Pen. 20 giugno 2022, www.sistemapenale.it .

[59] Trib. di Milano, Sez. II, 8 novembre 2019 (dep. 12 maggio 2020), n. 13490, Pres. Trovato, in Sist. Pen. 2020, n. 10, www.sistemapenale.it ; sul tema si veda anche la nota sentenza sul caso Banca Popolare di Vicenza, Trib. di Vicenza, 17 giugno 2021, (ud. 19 marzo 2021), n. 348, in Giur. pen. web. 2021, n. 7-8, www.giurisprudenzapenale.com

[60] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 118 e seg; E. FUSCO, B. FRAGASSO, Sul presunto obbligo di impedimento in capo all’organismo di vigilanza: alcune note a margine della sentenza BMPS, in Sist. Pen. 2020, n. 10, pag. 119 e seg.; in precedenza vedi, V. MONGILLO, L’Organismo di vigilanza nel sistema della responsabilità da reato dell’ente: paradigmi di controllo, tendenze evolutive e implicazioni penalistiche, in Resp. amm. soc. ed enti, 2015, n. 4, pag. 100 e seg.; in precedenza nella sterminata dottrina fra gli altri vedi, C. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un dogma, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2002, pag. 571 e seg.; C. PEDRAZZI, Corporate governance e posizioni di garanzia: nuove prospettive, in AA.VV., Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, II, Milano, 2002, pag. 1374; F. D’ARCANGELO, Il ruolo e le responsabilità dell’organismo di vigilanza nella disciplina antiriciclaggio, in Resp. amm. soc. ed enti 2008, n. 4, pag. 67; R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, Milano, 2008, pag. 74 e seg.; C. PAONESSA, Il ruolo dell’organismo di vigilanza nell’implementazione dei Modelli organizzativi e gestionali nella realtà aziendali, in D. FONDAROLI, C. ZOLI (a cura di), Modelli organizzativi  ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Padova, 2014, pag. 94 e seg.; L. CORNACCHIA, Responsabilità penale negli organi collegiali. Il reato funzionalmente plurisoggettivo, Torino, 2021, pag. 141; F. CONSULICH, Vigilantes puniri possunt, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2015, pag. 425.

[61] V. MONGILLO, Il dovere di adeguata organizzazione della sicurezza tra responsabilità penale individuale e responsabilità da reato dell’ente: alla ricerca di una nuova plausibile differenziazione, in A.M. STILE, A. FIORELLA, V. MONGILLO, (a cura di), Infortuni sul lavoro e doveri di adeguata organizzazione: dalla responsabilità penale individuale alla colpa dell’ente, cit., pag. 50; F. CURI, L’imprenditore persona giuridica, in D. CASTRONOVO, F. CURI, S. TORDINI CAGLI, V. TORRE, V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro, Profili penali, cit., ibidem.

[62] V. MONGILLO, Il dovere di adeguata organizzazione della sicurezza tra responsabilità penale individuale e responsabilità da reato dell’ente: alla ricerca di una nuova plausibile differenziazione, cit., pag. 51; F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 140.

[63] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 125; P. MONTALENTI, Organismo di vigilanza e sistema dei controlli, in Giur. comm. 2009, pag. 643; S. DOVERE, L’organizzazione dell’impresa a confronto con il diritto penale della sicurezza sul lavoro, cit., pag. 6.

[64] Cass. Pen. Sez. I, 20 gennaio 2016, n. 18168, pag. 6, in www.giurisprudenzapenale.com con nota di L. ROCCATAGLIATA, C.d.A. e O.d.V. non rispondono per infortuni dipesi dall’organizzazione del lavoro concreto svolto nella singola unità produttiva; ed ancora sulla medesima pronuncia vedi, M. MONTESANO, Una prima pronuncia di legittimità che interviene sul tema più volte sollevato in dottrina del possibile coinvolgimento dei componenti dell’organismo di vigilanza nel caso di illeciti commessi all’interno dell’ente: un caso particolare di esclusione (commento a Cass. Pen. n. 18168, 20 gennaio 2016), in Resp. amm. soc. ed enti 2016, n. 3, pag. 163 e seg.

[65] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, cit., pag. 124; ID, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., pag. 307 e seg.; prima ancora vedi approfonditamente V. MONGILLO, Il dovere di adeguata organizzazione della sicurezza tra responsabilità penale individuale e responsabilità da reato dell’ente: alla ricerca di una nuova plausibile differenziazione, cit., pag. 57 e seg.; C. PEDRAZZI, Corporate governance e posizioni di garanzia: nuove prospettive, in AA.VV., Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, cit., pag. 1375; A. ALESSANDRI, La vocazione penalistica dell’ODV ed il suo rapporto con il Modello organizzativo, in M. BIANCHINI, C. DI NOIA (a cura di), I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, Milano, 2010, pag. 106; E. AMATI, La responsabilità degli enti, in N. MAZZACUVA, E. AMATI, Diritto penale dell’economia, Padova, 2023, pag. 65. Sulla natura residuale ed ipotetica della responsabilità penale dell’ODV vedi, A. BAUDINO, C. SANTORIELLO, La responsabilità dei componenti dell’organismo di vigilanza, in Resp. amm. soc. ed enti 2009, pag. 59 e seg.; C. SANTORIELLO, Qual è la posizione dei componenti dell’Odv rispetto agli infortuni sul lavoro e le malattie professionali?, in Resp. amm. soc. ed enti 2015, n. 2, pag. 71 e seg.

[66] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, cit., ibidem; C. SANTORIELLO, Qual è la posizione dei componenti dell’Odv rispetto agli infortuni sul lavoro e le malattie professionali?, cit., ibidem.

[67] A. GARGANI, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa. Profili sistematici del concorso omissivo nelle organizzazioni complesse, Pisa, 2022, pag. 124 e seg.; V.A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti dell’organismo di vigilanza, in M. CATENACCI, V.N. D’ASCOLA, R. RAMPIONI ( a cura di), Studi in onore di A. Fiorella, Roma, 2021, vol. II, pag. 1809; E. MAZZANTI, Ambiente, in E. DI FIORINO, C. SANTORIELLO (a cura di), L’organismo di vigilanza nel sistema 231, Pisa, 2021, pag. 343 e seg.; F. CONSULICH, Vigilantes puniri possunt. I destini dei componenti dell’organismo di vigilanza tra doveri impeditivi e cautele relazionali, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2015, pag. 425 e seg.

[68] A. GARGANI, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa. Profili sistematici del concorso omissivo nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 125; G.A. DE FRANCESCO, Brevi riflessioni sulle posizioni di garanzia e sulla cooperazione colposa nel contesto delle organizzazioni complesse, in Leg. Pen. 3 febbraio 2020, pag. 8, in www.lalegislazionepenale.eu

[69] A. GARGANI, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa. Profili sistematici del concorso omissivo nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 215 e seg., 116; D. PIVA, La responsabilità del vertice per organizzazione difettosa nel diritto penale del lavoro, Napoli, 2011, pag. 161.

[70] G.A. DE FRANCESCO, Brevi riflessioni sulle posizioni di garanzia e sulla cooperazione colposa nel contesto delle organizzazioni complesse, cit., ibidem.

[71] A. GARGANI, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa. Profili sistematici del concorso omissivo nelle organizzazioni complesse, cit., ibidem; R. ORLANDI, Diritto penale preventivo e sicurezza sul lavoro: effettività della tutela e percorsi premiali, in Dir. pen. cont. riv. trim. 2024, n. 4, pag.195.

[72] In dottrina vedi fra gli altri, T. VITARELLI, Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione: mero consulente o vero e proprio garante?, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2021, pag. 125.; ed ancora V. VALENTINI, Il controllo degli adempimenti: responsabilità e sanzioni, in F. BASENGHI, L.E. GOLZIO, A. ZINI (a cura di), La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda, cit., pag. 290.

[73] Così vedi, Cass. Pen. Sez. IV, 21 dicembre 2018, n. 11708, rv 275279-01; Cass. Pen. Sez. IV, 10 marzo 2021, n. 24822, rv281433-01; Cass. Pen. Sez. III, 15 luglio 2021, 37383, rv 281969-01.

[74] Cass. Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343, cit. in www.giurisprudenzapenale.com ; sul punto G.A. DE FRANCESCO, Brevi riflessioni sulle posizioni di garanzia e sulla cooperazione colposa nel contesto delle organizzazioni complesse, cit.,

[75] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, cit., pag. 134; V. VALENTINI, Il controllo degli adempimenti: responsabilità e sanzioni, in F. BASENGHI, L.E. GOLZIO, A. ZINI (a cura di), La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda, cit., pag. 297.

[76] L. CORNACCHIA, Responsabile penale negli organi collegiali. Il reato funzionalmente plurisoggettivo, cit., pag. 13, 51, 61 etc; E.M. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, M. RONCO, Diritto penale dell’impresa, cit., pag. 1 e seg.; A. GARGANI, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa. Profili sistematici del concorso omissivo nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 145 e seg.; G.A. DE FRANCESCO, Brevi riflessioni sulle posizioni di garanzia e sulla cooperazione colposa nel contesto delle organizzazioni complesse, cit., ibidem; M. DONINI, Prassi e cultura del reato colposo. La dialettica tra personalità della responsabilità penale e prevenzione generale, in Dir. pen. cont. 13 maggio 2019, in www.dirittopenalecontemporaneo.it

[77] Si vedano sul punto gli approfondimenti di G. CHECCACCI, La responsabilità penale nelle società quotate, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 125; M. BUSSO, L. MACRI’, Il collegio sindacale e il Comitato Controllo e rischi nelle società quotate: il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi anche alla luce del nuovo codice di Corporate Governance, in Riv. corp. gov. 2021, n. 3, pag. 353 e seg. Con riguardo invece al collegio sindacale vedi, G. GUAGLIARDI, La responsabilità penale dell’organo di controllo, in L. ROCCATAGLIATA, G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Corporate governance e illecito penale. Poteri e responsabilità nelle organizzazioni complesse, cit., pag. 94, 95, 98 e 110; A. INGRASSIA, La suprema Corte e il superamento di una responsabilità da posizione per amministratori e Sindaci: una decisione apripista?, nota a Cass. Pen. Sez. V, 8 giugno 2012, (dep. 2 novembre 2012), n. 42519, in Dir. pen. cont. 14 febbraio 2013; F. CENTONZE, Il problema della responsabilità penale degli organi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari (una lettura critica della recente giurisprudenza), in Riv. soc. 2012, pag. 335; C. SANTORIELLO, Anche nel diritto penale dell’economia “su ciò di cui non si può parlare si deve tacere, in Giur. pen. 2024, nota a Cass. Pen. Sez. V, 4 febbraio 2024, n. 4813; infine vedi anche M. CATINO, Trovare il colpevole. La costruzione del capro espiatorio nelle organizzazioni, Bologna, 2022.

[78] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, cit., pag. 140; in senso più ristretto vedi anche L. CORNACCHIA, Responsabile penale negli organi collegiali. Il reato funzionalmente plurisoggettivo, Torino, 2021, pag. 149, 141 e seg.

[79] Di recente vedi, F. CONSULICH, Il concorso di persone nel reato colposo, Torino, 2023, pag. 197 e seg.; S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Bologna, 2017, pag. 809 e seg.; L. CORNACCHIA, La cooperazione colposa come fattispecie di colpa per inosservanza di cautele relazionali, in M. BERTOLINO, L. EUSEBI, G. FORTI (a cura di), Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, pag. 826 e seg.; L. RISICATO, Cooperazione in eccesso colposo: concorso “improprio” o compartecipazione in colpa “impropria”?, in Dir. pen. proc. 2009, pag. 585; ID, Il concorso colposo fra vecchie e nuove incertezze, in Riv. it. dir. proc. pen. 1998, pag. 167; C. BRUSCO, L’effetto estensivo della responsabilità penale nella cooperazione colposa, in Cass. Pen. 2014, pag. 2870; F. ALBEGGIANI, I reati di agevolazione colposa, Milano, 1984, pag. 15 e seg.; P. SEVERINO DI BENEDETTO, La cooperazione nel delitto colposo, Milano, 1988, pag. 82 e seg.; L. STORTONI, Agevolazione e concorso di persone nel reato, Padova, 1981, pag. 130 e seg.; F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, Padova, 1993, pag. 453 e seg.

[80] C. E. PALIERO, Soggetti sottoposti all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente, in M. LEVIS, A. PERINI (diretto da), Il 231 nella dottrina e nella giurisprudenza a vent’anni dalla sua promulgazione, Bologna, 2021, pag. 190; F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, cit., pag. 143 e seg.; C. SANTORIELLO, Qual è la posizione dei componenti dell’Odv rispetto agli infortuni sul lavoro e le malattie professionali?, cit., pag. 75, 77 e seg.; L. CORNACCHIA, Responsabile penale negli organi collegiali. Il reato funzionalmente plurisoggettivo, cit., pag. 148 e seg; G. DE VERO, Struttura e natura giuridica dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato, in Riv. it. dir. proc. pen. 2001, pag. 1152.

[81] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, cit., pag. 140, 141, 143 e seg.; C. SANTORIELLO, Qual è la posizione dei componenti dell’Odv rispetto agli infortuni sul lavoro e le malattie professionali?, cit., pag. ibidem.

[82] F. CONSULICH, ODV e responsabilità penale. Condizioni e limiti dell’imputazione del reato al controllore del modello organizzativo, cit., pag. 147.

[83] Sulla “grave” situazione degli infortuni sul lavoro vedi di recente l’introduzione del lavoro di R. ORLANDI, Diritto penale preventivo e sicurezza sul lavoro: effettività della tutela e percorsi premiali, cit., pag. 194.

[84] E.M. CANZI, La responsabilità penale degli amministratori tra delega di funzioni e procura endoconsigliare in materia di sicurezza sul lavoro, cit., pag. 75.

[85] E.M. CANZI, La responsabilità penale degli amministratori tra delega di funzioni e procura endoconsigliare in materia di sicurezza sul lavoro, cit., pag. 76.

[86] A. PICCALUGA, La posizione di garanzia datoriale e del consiglio di amministrazione tra delega di funzioni e delega di gestione, ult. cit.

[87] Il Modello di cui all’art. 16 comma 3 D.Lgs. 81/08 è parte integrante del MOG 231 tuttavia risponderebbero a due ambiti differenti di controllo e a due esigenze di vigilanza autonome, così vedi P. VENEZIANI, Deleghe di funzioni e culpa in vigilando nella prospettiva della sicurezza sul lavoro, cit., pag. 17, 19 e seg.; e ancora sul punto vedi anche, A. DELOGU, L’asseverazione dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza sul lavoro di cui all’art. 30 del D.Lgs. 81/2008: analisi e prospettive, in Dir. sic. Lav. 2018, pag. 44 e seg.; T. VITARELLI, La disciplina della delega di funzioni, in F. GIUNTA, D. MICHELETTI (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, cit., pag. 49; F. D’ALESSANDRO, voce Delega di funzioni (diritto penale), cit., pag. 240; M. ARBOTTI, La responsabilità penale dell’appaltatore nel prisma del principio di colpevolezza, in Dir. pen. proc. 2022, pag. 358; S. DOVERE, Precisazioni in tema di delega di funzioni, in G. CASAROLI, F. GIUNTA, R. GUERINI, A. MELCHIONDA (a cura di), La tutela penale della sicurezza del lavoro. Luci ed ombre del diritto vivente, cit., pag. 82; M. MASPERO, A. D’AVIRRO, Reati ambientali e responsabilità 231, Milano, 2022, pag. 172; A. GARGANI, Profili della responsabilità collettiva da reato colposo, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2022, n. 1-2, pag. 57, 58 e seg.

Condividi su:

Articoli Correlati
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore