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Estensione del divieto di avvicinamento ai prossimi congiunti della persona offesa: necessaria la motivazione in ordine alle specifiche esigenze di tutela

 

Cass. Sez. V, 17.09.2020 (dep. 12.10.2020) n. 28393, Sabeone, Presidente, De Gregorio, Relatore.

Abstract: La Sezione Quinta della Corte di Cassazione interviene nuovamente in tema di divieto di avvicinamento, in particolare ribadendo come l’obbligo motivazionale in ordine alle esigenze di tutela della persona offesa, che il Giudice è tenuto a rispettare nella emissione di tale misura cautelare, sussiste anche nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 282-ter cpp, e quindi anche in caso di estensione di tale misura ai prossimi congiunti, in particolari ai figli minori.

Laddove la misura venga a contemplare le esigenze di tutela anche di tali soggetti, ricorda la S.C., non vi è alcuna possibile incidenza dei provvedimenti eventualmente emessi dal giudice civile in tema di affido dei figli minori sulla sostituzione o revoca della misura cautelare di cui all’ art. 282 ter cpp. trattandosi di giudizi autonomi e distinti.

 

The Fifth Section of the Italian Supreme Court intervenes again on the restraining order subject, reaffirming that the obligation to state reasons, which the Judge is obliged to respect when issuing a precautionary measure related to the protection of an offended person, is still valid also in the hypothesis referred in the second paragraph of Article 282-ter of the Criminal Procedure, and therefore also in case of extension of the measures to next of kin, in particular to minors. 

Following the Supreme Court, if the measure also considers the need to protect these subjects, any provision issued by a Judge in matter of minor custody, cannot affect the replacement or revocation of the precautionary measure under art. 282 ter of the Code of Criminal Procedure, since they are autonomous and distinct judgments.

 

SOMMARIO: 1. Il tema della decisione- 1.1. Osservazioni introduttive sulla misura cautelare di cui all’art. 282 ter cpp- 2. La vicenda processuale all’esame della Corte di Cassazione- 3. La questione della determinatezza e dell’obbligo di motivazione in relazione alle specifiche esigenze di tutela- 4. La questione della indipendenza ed autonomia del giudizio civile di affidamento dei figli minori e del giudizio cautelare penale- 5. Considerazioni conclusive.

 

1-. Il tema della decisione.

Con la sentenza qui in commento la Suprema Corte ancora una volta si sofferma sull’obbligo motivazionale che deve sorreggere la emissione di una misura cautelare, in particolare  anche quella di cui all’art. 282-ter cpp (che segue le regole generali ex art. 272 cpp e ss. imposte per tutte le misure cautelari personali e le condizioni di applicabilità delle misure coercitive ex art. 280 cpp)  nella parte in cui prevede la estensione del divieto di avvicinamento nei confronti dei prossimi congiunti della vittima.

Al fine di procedere con una breve disamina della questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte occorre premettere che la principale se non l’unica esigenza di tutela per la adozione della misura cautelare del divieto di avvicinamento è il pericolo di reiterazione del reato[1].

1.1-Osservazioni introduttive sulla misura cautelare di cui all’ art. 282 ter cpp.

Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è una misura cautelare personale di tipo coercitivo introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 9 recante “Modifiche al codice di procedura penale” del decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009 intitolato “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” poi convertito in legge n. 38 del 23 aprile 2009[2] con la quale si fa divieto al destinatario di avvicinarsi a luoghi determinati, che siano abitualmente frequentati dalla persona offesa, oppure gli si impone di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla vittima.

Pur trattandosi di una misura palesemente correlata alla repressione del reato di atti persecutori p.e p. dall’art. 612 bis cp, tale strumento cautelare si caratterizza per la generale portata applicativa rispetto ad altri reati  “affini” per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni (si pensi ad es. al delitto di cui all’art. 572 cp).

Tale misura si è andata così ad aggiungere a quella già prevista dall’art. 282-bis cpp (allontanamento dalla casa familiare) precedentemente introdotta con L. 4 aprile 2001 n. 154 (misure contro la violenza nelle relazioni familiari), legge quest’ultima che aveva inserito, nel versante civilistico (titolo IX bis del primo libro c.c., artt. 342 bis e 342 ter cc), gli ordini di protezione contro gli abusi familiari[3].

Essa è stata poi oggetto di ulteriore “rivisitazione” con il d.l. n. 93/2013 (conv in l. dalla L. n. 119/2013) emesso a seguito della direttiva 2012/29/UE e dalla Convenzione di Istanbul ratificata dall’Italia con L. 77 del 2013, sotto la spinta cioè di un insieme di provvedimenti legislativi emessi con il comune intento di riconoscere alla vittima del reato di violenza una maggiore protezione, e con la quale si è previsto l’ulteriore onere della comunicazione, al PM ed al Giudice, della sottoposizione dell’indagato/imputato ad un programma di prevenzione della violenza, sottoposizione il cui esito positivo potrà costituire un elemento di valutazione ai fini di una eventuale revoca o sostituzione della misura cautelare.

Sempre nell’ottica di anticipazione della tutela della vittima, tale intervento normativo del 2013 (cd. Legge sul femminicidio) ha riconosciuto anche nelle primissime fasi procedurali, l’obbligo informativo nei confronti di quest’ultima, con conseguente possibilità per la stessa di intervenire proprio nelle ipotesi in cui si richieda al Giudice la sostituzione o la revoca delle misura cautelare.

Ancora e da ultimo, con L.69 del 2019 (cd. Codice rosso), la previsione di cui all’art. 282-ter cpp  si è ulteriormente innovata  prevedendo la possibilità di applicare a seguito della emissione di tale misura cautelare, le particolari modalità di controllo  previste dall’art. 275 bis cpp.

 

2.- La vicenda processuale all’esame della Corte di Cassazione.

Con la sentenza qui esaminata la S.C. annulla l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Firenze con cui era stata parzialmente modificata, attraverso una limitazione ai contenuti della stessa con specificazione dei luoghi di operatività del divieto di avvicinamento, la misura cautelare ex art. art. 282- ter cpp precedentemente emessa dal GIP del Tribunale di Pisa nei confronti di un indagato per il delitto di atti persecutori.

Se da un lato infatti, nella sentenza qui in commento, la S.C. da atto della correttezza della intervenuta modifica operata dal Tribunale del Riesame di Firenze, dall’altro evidenzia come la stessa si sia limitata a confermare la misura di cui all’art. 282 ter cpp anche rispetto ai figli minori della persona offesa mancando di specificare le esigenze cautelari ritenute astrattamente sussistenti in relazione agli stessi.

La Corte, nel corpo della sentenza in esame, richiama una precedente conforme[4] con la quale la stessa aveva ribadito come la misura cautelare del divieto di avvicinamento di cui all’art. 282-ter cpp possa essere estesa anche a tutela di soggetti diversi (appartenenti al nucleo familiare della persona offesa o comunque legati a questa da vincoli affettivi), a condizione che vengano indicate dal giudice le specifiche ragioni che giustifichino una tale aggiuntiva limitazione alla libertà di circolazione dell’obbligato dovendosi, anche in questo caso, contemperare le esigenze di tutela della vittima con quelle di salvaguardia dei rapporti esistenti tra soggetti terzi e l’indagato.

Ribadita la necessità di un obbligo motivazionale in capo al giudice anche in relazione a tale aspetto “applicativo”, evitando così standardizzate ed automatiche estensioni dei soggetti “ulteriori” da ritenere meritevoli della tutela cautelare (posto che ciò comporta una evidente ulteriore limitazione dei diritti del prevenuto), la Corte di Cassazione si sofferma sulla ipotesi, sottoposta al proprio esame, in cui il divieto di avvicinamento alla persona offesa era stato esteso anche ai figli minori (della stessa e del destinatario della misura), senza chiarire quali fossero le ulteriori esigenze cautelari in merito a questi ultimi.

Concludendo la disamina della impugnazione sottoposta al proprio vaglio, la Corte di Cassazione muove poi una ulteriore censura al provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Firenze, quella cioè di aver fondato la conferma della estensione della misura del divieto di avvicinamento anche ai figli minori della persona offesa, sulla base di una errata supposta possibilità di modifica successiva di tale aspetto “applicativo-soggettivo” della misura in conseguenza della definizione del parallelo giudizio civile sull’affidamento dei minori.

La Suprema Corte ribadisce così’, nella fase conclusiva della parte motiva della sentenza in esame,  la assoluta autonomia ed indipendenza del giudizio civile rispetto al procedimento cautelare penale.

 

3.- La questione della determinatezza e dell’obbligo di motivazione in relazione alle specifiche esigenze di tutela.

Il divieto di avvicinamento consiste per l’appunto nel divieto, per il destinatario della stessa, di avvicinarsi a determinati luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa stessa.

Con l’introduzione degli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., il legislatore ha creato uno statuto di misure cautelari non custodiali specificamente finalizzato alla tutela della vittima del reato. Proprio al fine di perseguire più efficacemente questo obiettivo, le norme in questione non contengono prescrizioni integralmente predeterminate: esse, al contrario, attribuiscono al giudice spazi di discrezionalità, anche ampi, ma funzionali a “plasmare” la cautela alla situazione concreta sottoposta al suo esame.

Ciò non significa però indeterminatezza del precetto normativo né legittima indeterminatezza o legittima mancata motivazione della misura cautelare.

L’introduzione della nuova misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa si colloca, comunque, in un orientamento volto a calibrare la cautela con lo specifico periculum libertatis sotteso alle particolari connotazioni dell’ipotesi criminosa per cui si procede.

Per essere valida, la misura del divieto di avvicinamento, deve operare un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza incentrate sulla vittima e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta alla misura e, dunque, in difetto di precisi contenuti e prescrizioni in merito ai luoghi ed a i mezzi interessati dal divieto di avvicinamento, il provvedimento deve essere considerato invalido per vizio di motivazione della ordinanza cautelare[5].

Una prima chiave di lettura è stata offerta dalla S.C. con una sentenza del 2015[6] che, richiamando le due fattispecie applicative in cui la misura di cui all’art. 282-ter cpp si realizzerebbe (obbligo di mantenere una determinata distanza dai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima e obbligo di tenere una determinata distanza dalla persona offesa), ha precisato che la scelta da parte del giudice tra l’una o l’altra tipologia di applicazione della misura dipende dalle concrete modalità e caratteristiche della condotta del prevenuto così come descritte ed emergenti dalla querela o dalla notizia di reato comunicata dagli agenti di PG.

Laddove dunque venga disposto il divieto di avvicinamento rispetto ai luoghi frequentati abitualmente dalla persona offesa, la concreta individuazione degli stessi diviene essenziale sia per ragioni di giustizia che di praticabilità della misura, mentre invece laddove venga disposto l’obbligo di mantenere una certa distanza dalla persona offesa, allora la individuazione dei luoghi di abituale frequentazione della vittima diventa irrilevante perché, al di fuori degli stessi, la persona offesa rischierebbe di ritrovarsi esposta a pericoli[7].

Ebbene, rispetto a tale ultima osservazione, occorre allora esaminare la ulteriore ipotesi in cui la misura cautelare del divieto di avvicinamento, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, venga estesa “ai prossimi congiunti della persona offesa o a persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva”.

Una simile previsione “estensiva” della misura difatti introduce sì, una sorta di tutela anche virtuale all’offeso creando una sorta di “schermo di protezione” attorno alla stessa, creando pertanto uno schermo protettivo al “soggetto debole”, ispirato all’esperienza comparata dell’order of protection della legislazione  angloamericana [8]  ma, non per questo, la sottostante decisione di procedere in tal senso può essere sfornita di una adeguata e completa motivazione sul punto.

Una tale necessità di motivazione è particolarmente richiesta al giudice penale proprio nei casi in cui, tra i prossimi congiunti della vittima a tutela dei quali debba essere emessa la misura cautelare, vi siano i figli minori della vittima e dell’indagato, posto che è in questo caso soprattutto che occorre necessariamente contemperare i diritti e le esigenze di tutela di ciascun soggetto coinvolto tenendo conto che la relazione genitore -figlio solitamente va sempre salvaguardata[9] a meno che quest’ultimo non sia anch’egli destinatario diretto del reato o strumento per la commissione dello stesso[10].

 

4.- La questione della indipendenza ed autonomia del giudizio civile di affidamento dei figli minori e del giudizio cautelare penale.

La sentenza sin qui esaminata, nella fase ultima della propria parte motiva, ribadisce la autonomia, anche nei casi di violenze intra familiari, dei giudizi civili e penali affermando che il giudizio civile di affidamento dei minori, che, ricordiamo è in primis volto a garantire il pieno esercizio della responsabilità genitoriale a meno che la condotta del genitore non sia di pregiudizio al figlio, non può in alcun modo incidere sulla sostituzione o revoca della misura cautelare penale rispondendo quest’ultimo a criteri e logiche di tutela assolutamente differenti dal primo.

E’ chiaro in ogni caso che laddove i reati per i quali è prevista l’applicazione della misura cautelare di cui all’art. 282 ter cpp incidano in un contesto familiare in cui sono presenti figli minori, è inevitabile che della più complessiva vicenda familiare venga interessato anche il giudice civile (che appunto ha il diverso compito di adottare i provvedimenti di affidamento e dell’esercizio del diritto di visita nell’interesse preminente dei figli) ed il cui intervento si dispiega quasi sempre parallelamente alla attività del giudice penale.

E’ altresì chiaro che stante il principio immanente della autonomia e della non ingerenza delle diverse giurisdizioni possa accadere anche che le pronunce incidentali adottate autonomamente dai due giudici vadano a collidere o a trovarsi in contraddizione le une con le altre.

Si può verificare ad esempio che il giudice penale emetta una ordinanza cautelare nei confronti del genitore ed il giudice civile, all’esito di una valutazione complessiva della vicenda, analizzata da un diverso punto di vista e che parte notoriamente da presupposti diversi, possa invece giungere a conclusioni assolutamente divergenti da quelle tratte dal primo, quali ad esempio consentire l’esercizio di visita al genitore già destinatario di una misura cautelare in sede penale del divieto di avvicinamento anche al figlio.

Può addirittura accadere anche che i due provvedimenti, del giudice civile e del giudice penale, possano diventare incompatibili tra loro.

In tali casi dovrebbe probabilmente considerarsi prevalente il provvedimento del giudice penale rispetto a quello di altri giudici per la ragione sostanziale che il provvedimento cautelare penale partecipa di una natura intrinsecamente ablativa dei diritti della potestà e dei diritti civili riconducibili allo status libertatis, tra cui deve dirsi rientrante anche l’esercizio del diritto di visita.

Del resto più volte la Corte di Cassazione ha ribadito che la misura del divieto di avvicinamento – ove applicata nei confronti di un genitore- non è volta ad impedire il diritto di visita/frequentazione genitore-figlio, bensì ad impedire che l’indagato possa reiterare la condotta recandosi presso i luoghi frequentati dalla persona offesa, sicchè ad esempio, ove lo stesso intenda incontrare il minore anche in forma protetta ed al limite anche tramite servizi sociali, dovrà rivolgere apposita istanza in sede civile per la diversa regolamentazione del diritto di visita ed incontro[11].

 

5.- Considerazioni conclusive.

La sentenza sin qui esaminata non offre sostanzialmente una interpretazione nuova o difforme rispetto al passato delle questioni che investono la misura cautelare di cui all’art. 282-ter cpp, ma è certamente di interesse nella parte in cui la si esamina alla luce della innovativa disposizione introdotta con la legge 69 del 2019 volta a promuovere una tempestiva comunicazione tra le dette due giurisdizioni, civili e penali, in tema di violenza intra-familiare.

Il cd. codice rosso difatti ha previsto l’obbligo per il giudice penale, laddove risultino pendenti procedimenti civili di separazione dei coniugi o procedimenti relativi ai figli minori o alla responsabilità genitoriale, di trasmettere senza ritardo al giudice civile copia dei provvedimenti adottati in relazione a procedimenti penali per delitti di violenza domestica o di genere (ordinanze dispositive, sostitutive o di revoca di misure cautelari personali, avviso di conclusione indagine, provvedimento di archiviazione e sentenze).

Essendoci, come detto sino ad ora, una naturale compenetrazione delle vicende sottoposte alla attenzione del giudice penale con quelle poste al vaglio del giudice civile nelle varie e sempre più frequenti fattispecie di violenza domestica, la novella legislativa impone, correttamente, un “dialogo” tra le due giurisdizioni e questo soprattutto al fine di garantire la tutela preminente del minore (troppo spesso lesa ad esempio sotto l’aspetto della disciplina del regime di affido e del diritto di visita, da infondate denunce sporte da un genitore in danno dell’altro, in attesa che le stesse vengano ad essere archiviate o, al contrario, troppo spesso messa in pericolo da un mancato tempestivo esame, prima che vengano assunti i provvedimenti provvisori ed urgenti dal Giudice della famiglia, del rilievo penale di cui la condotta del genitore è avvinta), ma, la S.C. ribadisce, ed a ragione, anche nella sentenza qui esaminata, che ciascuno di tali giudizi deve mantenere la propria indipendenza ed autonomia perché gli stessi rispondono a criteri e logiche assolutamente differenti.

 

 

[1] PARODI C., Stalking e Tutela Penale, Giuffrè, Ed.anno 2009, p.170. In senso contrario alcuni Autori hanno ipotizzato la possibilità di ricorrere a tale misura anche per le esigenze cautelari previste dall’art. 274 cpp lett. a) e c), cfr. MAZZA O.-VIGANO’ F., Il pacchetto sicurezza 2009, cap.VIII, “Il delitto di atti persecutori”(il cd.stalking) a cura di ZACCHE’ F., Giappichelli Ed. anno 2009 pag. 296.

[2] Relazione introduttiva al disegno di legge C 2232- Conversione decreto legge 23 febbraio 2009, Risorsa Elettronica disponibile su http://leg16.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0020550.pdf

[3] Tra gli ordini di protezioni inseriti nel codice civile con art. 342 ter cc. già compare tra i contenuti tipici il divieto di frequentazione dei luoghi abitualmente frequentati dall’istante (coniuge, convivente, o altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente) che lamentava di aver subito un grave pregiudizio alla propria integrità (psico)fisica o morale ovvero alla libertà tenuta da altro componente del nucleo familiare.

[4] Cass. Pen. Sez. VI, sent. del 30.01.2020, n. 6563. Ma già si era espressa in tal senso Cass. Pen. Sez. V, sentenza 17 novembre 2015, n. 45686 (Pres. Nappi, Rel. Pezzullo).

[5] Nota a Cass. Pen. Sez. VI, 7 aprile 2011- dep.8 luglio 2011 n. 26819, in Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa tra principio di legalità e discrezionalità giudiziaria, a cura di L.COLINI, in www.penalecontemporaneo.it, anno 2012, pag. I e DE ROSSI R., Commento alla sentenza della Cassazione.sezione VI del 18 marzo 2014, in Archivio Penale n. 2/2014, Risorsa Elettronica consultabile in www.penalecontemporaneo.it, anno 2014, pag. 9; Cass. Pen. Sez. VI , 7 aprile 2011 n. 26819, Cass. Pen. Sez. V, 27 aprile 2013, n. 27798.

[6] Cass. Pen. Sez. V, 06.02.2015 n. 5664.

[7] Cass. Pen. Sez. III, del 27.03.2019, n. 23472; Cass. Pen. Sez. V, del 26.03.2018, n. 18139; Cass. Pen. Sez. V, sent. 1.10.2020 n. 2721.

[8] Per un confronto tra la misura di cui all’art. 282-ter c.p.p. e i restraining orders (o injunctions) dei Paesi di common law, cfr., dettagliatamente, MORELLI, Commento sub art. 9 D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, in Commento articolo per articolo al D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con modif., in L. 23 aprile 2009, n. 38 – Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, non- ché in tema di atti persecutori, in Leg. pen., 2009, 497 e 498.

[9] Tribunale di Napoli, Sezione Giudice per le Indagini Preliminari, Ufficio Quarto, Dott. Giordano, Napoli 23 febbraio 2011 si legge: “tra i prossimi congiunti ovviamente sono ricompresi anche i figli. Nel caso di specie dagli atti di indagine non emergono elementi tali da far ritenere che il reato ipotizzato a carico dell’indagato consista anche in condotte relative al figlio. Nessuna indicazione in questo senso si evince dalle dichiarazioni della persona offesa e dalle persone informate sui fatti ascoltate. Dagli atti risulta solo un difficile rapporto tra l’indagato ed il primo figlio della B.C. Il dato normativo pertanto non consente un intervento del giudice penale in detto ambito né può o deve essere impedito il rapporto tra il padre ed il figlio. Del resto si tratta di una relazione affettiva essenziale alla crescita del minore che ha già tredici anni e che è seguito dal padre costantemente come affermato dal genitore durante l’interrogatorio di garanzia. Ne consegue che il gip debba limitarsi a precisare che il divieto di avvicinamento riguarda solo la persona offesa B. C, ed i prossimi congiunti di costei (in particolare il proprio figlio della donna in particolare) e che l’indagato può liberamente frequentare il figlio A.A. con le modalità che ritiene opportune nel rispetto dei limiti derivanti dal rispetto del provvedimento cautelare in esecuzione…”

[10] Cass. Pen. Sez. V, sentenza 17 novembre 2015, n. 45686 (Pres. Nappi, Rel. Pezzullo) si legge: “con specifico riguardo alla estensione del divieto di avvicinamento anche nei confronti del figlio minore convivente con la p.o. il Tribunale con motivazione immune da vizi ha evidenziato che l’art. 282 ter cpp c. 2, prevede che il divieto di avvicinamento possa essere imposto anche in riferimento ai prossimi congiunti della persona offesa od a persone con queste conviventi o comunque legati da relazione affettiva, qualora sussistano “ulteriori esigenze di cautela” ravvisabili anche nei loro confronti e nella specie il fatto che due degli specifici episodi contestai al T. si erano verificati presso l’abitazione della P., in occasione della consegna del figlio minore, determinava l’esigenza di impedire attraverso l’applicata misura la strumentalizzazione del diritto di visita nei confronti del figlio minore, al fine di porre in atto comportamenti minacciosi nei confronti della ex coniuge”.

[11] BUFFONE, “Competenza del giudice civile per regolare i rapporti tra padre e figli, in presenza di misura cautelare penale”, in www.ilcaso.it

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