GANGEMI C. ITALIA: UN NUOVO PARADIGMA INTERPRETATIVO PER L’APPLICAZIONE DELLE CONFISCHE DI PREVENZIONE AI PERICOLOSI GENERICI?

Corte EDU, Sez. I, 26 settembre 2024, n. 59233/17, Gangemi c. Italia

Con la sentenza annotata, la Prima Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto, all’unanimità, la violazione del diritto alla libera circolazione stabilito dall’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4 in ragione della mancanza di prevedibilità della base giuridica con riferimento alla individuazione dei destinatari della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e del carattere vago e indeterminato degli obblighi imposti al destinatario.

The European Court of Human Rights (First Section), in the commented judgment, unanimously found a violation of the right to free movement established by art. 2 of Additional Protocol n. 4, due to the lack of foreseeability of the legal basis concerning the identification of the recipients of the measure of special police supervision and compulsory residence and the vague and indeterminate nature of the obligations imposed on the recipient.

Sommario: 1. Il caso di specie – 2. I precedenti europei – 3. I precedenti italiani – 4. La prevedibilità convenzionale come requisito della base legale – 5. Conseguenze in ordine ai procedimenti pendenti e futuri 6. Il giudizio di prevenzione e i correlati temi della base legale e della prevedibilità – 7. Conseguenze in ordine ai procedimenti definiti – 8. Considerazioni conclusive

  1. Il caso di specie

Con la pronuncia in commento, la Prima Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ravvisato, all’unanimità, la violazione del diritto alla libera circolazione stabilito dall’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4 in ragione del difetto di prevedibilità della base giuridica in ordine alla individuazione dei destinatari della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e del carattere vago e indeterminato degli obblighi impostigli.

In breve, il caso concreto portato all’attenzione della Corte riguardava un soggetto al quale, nel 2013, il Tribunale di Latina aveva applicato la misura della sorveglianza speciale, ai sensi degli artt. 1, lett. a) e b), 6 e 8 d.lgs. n. 159 del 2011, con obbligo di soggiorno nel Comune di Aprilia in cui era residente. In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che il ricorrente fosse abitualmente dedito a traffici delittuosi e che vivesse dei proventi di attività delittuose, prescrivendogli – tra le altre cose – di “vivere onestamente e di rispettare le leggi”. Il procedimento si era concluso definitivamente nel 2017, allorché la Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso.

Per valutare la sussistenza della lamentata violazione dell’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4, la Corte EDU ha richiamato il precedente della Grande Camera De Tommaso c. Italia del 2017, in cui era stato accertato che la legislazione vigente al momento pertinente – ovvero la l. 27 dicembre 1956, n. 1423 – non indicasse con sufficiente chiarezza la portata e le modalità di esercizio dell’amplissima discrezionalità conferita ai tribunali nazionali[1]: in quell’occasione, in particolare, si era ricordato come la disciplina nazionale non fosse formulata con sufficiente precisione, con ciò consentendo ingerenze arbitrarie nella sfera giuridica dei destinatari e impedendogli di regolare la propria condotta attraverso la previsione, in termini di sufficiente certezza, dell’applicazione di misure di prevenzione a fronte di determinati comportamenti.

Sotto altro e correlato profilo, la Corte, nella causa de Tommaso c. Italia, aveva già osservato come all’interno della normativa italiana le misure fossero disciplinate in termini assai generici e avessero contenuto estremamente vago e indeterminato. Ciò era stato affermato, in particolare, con riferimento alle disposizioni relative agli obblighi di “vivere onestamente e rispettare la legge” e di “non dare ragione alcuna di sospetti”.

Dopo aver ripercorso tali precedenti conclusioni, la Corte EDU, nel decidere il ricorso presentato contro lo Stato italiano, ha ritenuto che la normativa interna in materia di sorveglianza speciale – ovvero gli artt. 1, lett. a) e b), 6 e 8 d.lgs. n. 159 del 2011, che riproducono le medesime disposizioni già contenute nella l. n. 1423 del 1956 che la Corte si era trovata a valutare nel caso De Tommaso – non fosse applicabile in ragione del difetto di prevedibilità al momento della commissione dei fatti ritenuti a tal fine significativi.

Ciò “senza addentrarsi nella questione di sapere se” l’interpretazione fornitane dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019[2] abbia effettivamente risolto “il problema del difetto di prevedibilità della disposizione interna”. Tale pronuncia, infatti, è stata ritenuta non pertinente al caso di specie, poiché successiva ai fatti oggetto di giudizio e comunque non in grado di incidere sulla posizione giuridica del ricorrente, che aveva già espiato i tre anni di restrizioni inflittigli.

Le conclusioni rassegnate dalla Corte appaiono, per quanto precisato, fortemente influenzate dalle considerazioni già espresse nel precedente De Tommaso del 2017.

  • I precedenti europei

Com’è noto, con la richiamata sentenza De Tommaso c. Italia, la Grande Camera è stata chiamata per la prima volta ad esaminare la possibile sussistenza di una violazione dell’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4 CEDU [3] – che garantisce ad ogni persona il diritto alla libertà di circolazione all’interno di un dato territorio, nonché il diritto di lasciarlo[4] – in relazione agli artt. 1, 3 e 5 l. n. 1423 del 1956 (nel frattempo trasposti negli artt. 1, 6 e 8 d.lgs. n. 159 del 2011) e in tale occasione ha chiarito che qualsiasi misura restrittiva del diritto alla libertà di circolazione deve essere prevista dalla legge, perseguire uno dei fini legittimi di cui al terzo comma della medesima disposizione e trovare un giusto equilibrio tra interesse pubblico e diritti della persona[5].

Nella giurisprudenza della Corte EDU, la necessaria previsione ad opera della legge della misure restrittive dei diritti e delle libertà del cittadino viene interpretata nel senso di imporre non solo che la misura contestata abbia una specifica base nel diritto interno, ma anche che essa sia accessibile alle persone interessate e che pertanto i suoi effetti siano prevedibili[6].

Se l’accessibilità è intesa quale conoscibilità[7], la prevedibilità attiene alla formulazione della norma, che non può essere considerata “legge” se non è espressa con sufficiente precisione, tale da consentire ai cittadini di regolare la propria condotta: essi devono essere in grado – se necessario mediante apposita consulenza – di prevedere, a un livello ragionevole nelle specifiche circostanze, le conseguenze che un determinato comportamento può comportare[8].

Detta prevedibilità non equivale tuttavia alla certezza assoluta, potendo diversamente implicare eccessiva rigidità e dovendo la legge essere in grado di adattarsi al mutare delle circostanze: per tale ragione, molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la cui interpretazione e applicazione devono essere risolte nella pratica[9].

In tale prospettiva, una norma è prevedibile quando offre una misura di protezione contro le ingerenze arbitrarie da parte della autorità pubbliche[10]: una legge che conferisce una discrezionalità deve dunque indicare la portata di tale discrezionalità[11].

Muovendo da tali basi, la Corte di Strasburgo, con la pronuncia De Tommaso c. Italia, ha individuato la base giuridica delle misure nella specie applicate al ricorrente nella l. n. 1423 del 1956 e, ammesso che fossero conoscibili, ha ritenuto in ogni caso che la normativa italiana non fosse aderente al parametro della prevedibilità sotto il profilo della individuazione dei tipi di comportamento che dovevano essere considerati pericolosi per la società e che giustificavano, di conseguenza, l’applicazione di misure di prevenzione.

Sotto l’evocato profilo, la Corte ha pertanto ritenuto che la legislazione applicabile nella causa De Tommaso (art. 1 l. n. 1423 del 1956) “non indicasse con sufficiente chiarezza la portata o la modalità di esercizio della ampissima discrezionalità conferita ai tribunali interni e non fosse pertanto formulata con sufficiente precisione, in modo da fornire protezione contro le ingerenze arbitrarie e consentire al ricorrente di regolare la propria condotta e prevedere con un sufficiente grado di certezza l’applicazione di misure di prevenzione”.

Sotto un diverso aspetto, la Corte ha ritenuto che il contenuto delle misure di prevenzione italiane (artt. 3 e 5 l. n. 1423 del 1956) non fosse definito con sufficiente previsione e chiarezza e, come tale, non fosse prevedibile: ciò con particolare riferimento alle disposizioni relative agli obblighi di “vivere onestamente e rispettare la legge” e di “non dare ragione alcuna ai sospetti”.

Invero, l’interpretazione effettuatane dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 282 del 2010[12], di per sé considerata non adeguata a delimitarne in modo sufficiente il contenuto, era successiva ai fatti oggetto del procedimento, cosicché era impossibile per il ricorrente accertare il preciso contenuto di alcuni degli obblighi che gli erano stati imposti.

  • I precedenti italiani

Successivamente a tale pronuncia, la Corte costituzionale, con le sentenze nn. 24 e 25 del 2019, depositate contestualmente il 27 febbraio 2019, misurandosi con la richiamata giurisprudenza sovranazionale, ha affrontato alcune questioni attinenti al rapporto tra il principio di legalità e la disciplina in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali contenuta nel d.lgs. n. 159 del 2011.

In particolare, la sentenza n. 24 del 2019 ha dichiarato illegittima l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale e di quelle patrimoniali del sequestro e della confisca nei confronti dei soggetti – individuati dall’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 (in cui è confluito l’art. 1, n. 1, l. n. 1423 del 1956) – che “debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi”.

Con la sentenza n. 25 del 2019 è stato, invece, dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 75, commi 1 e 2, d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui sanzionava penalmente la violazione delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” imposte con la sorveglianza speciale.

Le due pronunce, pur aventi oggetto differente (rispettivamente, i presupposti applicativi delle misure personali e patrimoniali e il reato che punisce la violazione delle prescrizioni imposte con la sorveglianza speciale), condividono il punto di partenza assunto dai rispettivi rimettenti, ovvero le affermazioni contenute nella sentenza De Tommaso c. Italia, che ha ritenuto la normativa italiana non conforme ai canoni di legalità, sub specie di precisione, determinatezza e prevedibilità, che la Convenzione e i suoi Protocolli impongono siano rispettati in relazione a qualunque limitazione di un diritto convenzionalmente tutelato.

Con la sentenza n. 24 del 2019, la Consulta ha esaminato nel merito il tema attinente alla determinatezza delle fattispecie che individuano tra i destinatari delle misure di prevenzione anche i soggetti, cosiddetti pericolosi generici, indicati all’art. 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 159 del 2011, nel quale è confluito l’art. 1, nn. 1 e 2, l. n. 1423 del 1956.

Tali disposizioni, richiamate dall’art. 4, lett. c), d.lgs. n. 159 del 2011, rendevano applicabili le misure di prevenzione, personali e patrimoniali, a soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivessero abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.

Nel merito, la Corte ha escluso che le misure di prevenzione personali e patrimoniali abbiano carattere sostanzialmente sanzionatorio-punitivo, tale da rendere applicabili le garanzie che la CEDU e la Costituzione sanciscono per la materia penale: le misure personali, si è osservato, hanno finalità preventiva, mirando a limitare la libertà di movimento del destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati o quantomeno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione; le misure patrimoniali, in tale impostazione, hanno lo scopo di far venir meno il rapporto di fatto del soggetto con il bene, dal momento che esso si è costituito in maniera non conforme all’ordinamento, o di far sì che venga neutralizzato l’arricchimento di cui il soggetto, se non fosse stata compiuta l’attività criminosa presupposta, non potrebbe godere.

In quest’ottica, l’indubbia dimensione afflittiva delle misure è stata ritenuta mera conseguenza collaterale di provvedimenti il cui scopo essenziale è, a seconda dei casi, il controllo per il futuro della pericolosità sociale del soggetto interessato o il ripristino della situazione che si sarebbe creata in assenza dell’illecita acquisizione del bene, sottratto al circuito criminale di origine e restituito a finalità di pubblico interesse, non già la punizione per ciò che questi ha compiuto in passato.

Alla stregua di tali premesse, le misure di personali sono state considerate misure limitative della libertà di circolazione incidenti sull’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4, la cui legittimità è subordinata alla sussistenza delle condizioni ivi previste (idonea base legale, finalità legittima, “necessità in una società democratica” della limitazione in rapporto agli obiettivi perseguiti). Sul piano interno, esse sono state ricondotte all’alveo dell’art. 13 Cost., con conseguente necessità di idonea base legale, necessaria proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti e riserva di giurisdizione.

Delle misure patrimoniali, in aderenza alla impostazione della giurisprudenza CEDU[13], è stata esclusa la natura sostanzialmente penale, con conseguente inoperatività degli artt. 6 (nel suo volet pénal) e 7 CEDU: le misure sono state invece collocate nell’ambito di applicazione dell’art. 1 Protocollo Addizionale CEDU, in ragione della rispettiva incidenza limitatrice rispetto al diritto di proprietà.

In tale prospettiva, il sequestro e la confisca di prevenzione restano misure incidenti pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Protocollo Addizionale): dovranno, pertanto, soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la CEDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione, tra cui la loro previsione attraverso una legge che possa consentire ai propri destinatari di prevederne la futura possibile applicazione, l’essere la restrizione “necessaria” rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti e pertanto rispetto ad essi proporzionata, la necessità che la loro applicazione sia disposta in esito a un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni “giusto processo” garantito dalla legge (artt. 111, commi 1, 2 e 6, Cost., e 6 CEDU, nel suo volet civil), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misura sia richiesta.

Muovendo da tali presupposti, la Corte ha ritenuto che, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale successiva alla sentenza De Tommaso, risultasse possibile assicurare in via interpretativa contorni sufficientemente precisi alla fattispecie di pericolosità descritta dall’art. 1, n. 2), l. n. 1423 del 1956, confluita nell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, sì da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente in anticipo in quali “casi” potessero essere sottoposti alla sorveglianza speciale o alle misure patrimoniali.

In tale prospettiva, la locuzione “coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa” è stata ritenuta compatibile con il parametro della prevedibilità in ragione dell’opera tassativizzante della giurisprudenza nazionale, che ha consentito di individuare i “types of behaviour” (tipi di comportamento)[14] assunti a presupposto della misura[15].

Pur difettando, del tutto singolarmente, nel dispositivo della decisione della Consulta una statuizione in punto di legittimità costituzionale della lett. b) dell’art. 1 d.lgs. n. 159 del 2011, è stato ritenuto, in base alla lettura delle motivazioni, che la relativa questione di illegittimità fosse stata implicitamente rigettata mediante una sentenza interpretativa[16].

La fattispecie di pericolosità di cui all’art. 1, n. 1), l. n. 1423 del 1956, confluita nell’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, è stata invece ritenuta affetta da radicale imprecisione, non emendata dalla giurisprudenza nazionale successiva alla sentenza De Tommaso, cui non è stato possibile riempire di significato certo e ragionevolmente prevedibile ex ante per l’interessato il disposto normativo.

Alla luce di ciò, la descrizione normativa relativa a “coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi” è stata ritenuta non aderente alle esigenze di precisione e prevedibilità imposte dagli artt. 13 e 117 Cost., in riferimento all’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4, per ciò che concerne le misure di prevenzione personali, e 42 e 117 Cost., in riferimento all’art. 1 Protocollo Addizionale, per ciò che concerne le misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca. Di qui l’illegittimità costituzionale delle norme da ultimo evocate in ragione del rispettivo contrasto con i parametri indicati.

  • La prevedibilità convenzionale come requisito della base legale

Come immediatamente evincibile dall’analisi che precede, la sentenza Gangemi c. Italia si iscrive nella progressiva elaborazione del principio di prevedibilità ad opera della Corte EDU. 

È il caso, tuttavia, di distinguerne le differenti accezioni, a seconda che trattasi o meno della materia penale.

Invero, la Corte ha sviluppato il principio di prevedibilità del diritto penale, che privilegia la capacità di tale versione del profilo individual-garantistico della legalità di considerare tanto il diritto scritto quanto il formante giurisprudenziale[17]: si è registrato un aumento della frequenza delle pronunce in cui la Corte, muovendo dall’accoglimento di una nozione ampia del termine “legge” (non a caso tradotto come droit nella versione francese, diritto in quella italiana), ha rilevato la violazione dell’art. 7 CEDU a causa di sviluppi imprevedibili della giurisprudenza con riguardo all’interpretazione di fattispecie incriminatrici o di disposizioni comunque incidenti sull’an e sul quantum della pena applicabile[18].

Ciò in quanto la garanzia sancita dall’articolo in commento, elemento fondamentale dello stato di diritto, occupa un posto di primo piano nel sistema di tutela della Convenzione, come attesta il fatto che l’art. 15 CEDU non prevede alcuna deroga, neanche in tempo di guerra o in caso di altro pericolo pubblico: dal suo oggetto e dal suo scopo consegue che essa deve essere interpretata e applicata in modo da assicurare una tutela effettiva contro le azioni penali, le condanne e le sanzioni arbitrarie[19].

L’art. 7 CEDU, tuttavia, non si limita a vietare l’applicazione retroattiva del diritto penale a scapito dell’imputato: sancisce altresì, più in generale, il principio della legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege) e quello che impone di non applicare la legge penale in maniera estensiva in via sfavorevole, soprattutto per analogia[20][21].

Posta tale premessa, deve osservarsi come il richiamo al valore della certezza del diritto sia altresì costante nella giurisprudenza della Corte EDU in ambiti diversi dal diritto penale, riconoscendosi una violazione del diritto individuale all’equo processo ex art. 6 CEDU laddove il ricorrente abbia subito un pregiudizio in conseguenza di una situazione caratterizzata da “profondi e duraturi contrasti nella giurisprudenza nazionale”  e dall’assenza di meccanismi per superarli[22]: una tale situazione si ritiene mini la certezza del diritto, che costituisce corollario fondamentale dello stato di diritto (rule of law) nella misura in cui garantisce la stabilità delle decisioni giudiziarie, condizione essenziale della fiducia dei consociati nel sistema giudiziario[23].

Ancora, se con riferimento alla libertà di circolazione l’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4 impone che qualsiasi restrizione sia “prevista dalla legge”, nel senso della necessaria esistenza di base nel diritto interno, che sia accessibile alle persone interessate e i cui effetti siano prevedibili, in relazione alla protezione della proprietà l’art. 1 Protocollo Addizionale prescrive che qualsiasi ingerenza soddisfi il requisito della legalità.

L’esistenza di una base giuridica nella legislazione interna soddisfa il principio di legalità a condizione che sia compatibile con lo stato di diritto e preveda garanzie contro le arbitrarietà: la “legge” cui l’art. 1 Protocollo Addizionale allude coincide con la nozione cui rinvia la Convenzione in altri punti quando utilizza tale termine, comprendendo il diritto vigente e la giurisprudenza[24].

Il requisito di legalità convenzionale esige, dunque, in generale la compatibilità con lo stato di diritto, che comprende la libertà dalle arbitrarietà[25], presuppone che le disposizioni applicabili del diritto interno siano sufficientemente accessibili, precise e prevedibili quanto alla loro applicazione[26], impone, a tale ultimo proposito, che l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni sia accompagnata da garanzie procedurali che offrano all’interessato la possibilità di prevedere o riconoscere le conseguenze della condotta al momento del suo compimento e in relazione ad essa difendersi in maniera adeguata al momento della decisione.

Può individuarsi, conseguentemente, un generale principio di prevedibilità convenzionale, intimamente connesso al generale principio di legalità, comune alle norme in commento e a quanto previsto dagli artt. 8, 9, 10 e 11 CEDU in tema di rispetto della vita privata e familiare, libertà di pensiero, coscienza e religione, libertà di espressione, libertà di riunione e associazione.

  • Conseguenze in ordine ai procedimenti pendenti e futuri

Alla stregua della ricostruzione che precede, possono individuarsi le possibili conseguenze della pronuncia in commento e del principio ivi affermato nel sistema interno: ciò avendo particolare riferimento alla fattispecie di pericolosità di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011[27] che ne costituisce oggetto e calibrando l’analisi sulla confisca di prevenzione.

In proposito, deve premettersi come alcuna rilevanza assuma la questione concernente la possibilità di assimilare o meno detta confisca alla sanzione penale, né quella riguardante la conseguente sottoposizione della misura alla disciplina costituzionale, convenzionale e codicistica riservata alla materia penale (il riferimento è, essenzialmente, agli artt. 25 Cost., 6 – nel suo volet pénal – e 7 CEDU, 2 c.p.).

Non viene, dunque, in considerazione il tema dell’applicabilità alla confisca di prevenzione dei principi di legalità penale e di irretroattività delle norme penali sfavorevoli all’agente.

A ben vedere, l’impostazione della Corte EDU pare condurre ad escludere, sic et simpliciter, la possibilità di sussumere i fatti, astrattamente inquadrabili nell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 ma commessi anteriormente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2019, nella medesima disposizione, in ragione del certo difetto di prevedibilità della disciplina interna in quegli specifici momenti.

Se, dunque, non si può invocare lo scudo dell’irretroattività al quale è sottratta l’applicazione di dette misure, ci si deve piuttosto interrogare sull’esistenza di un’idonea base legale con riferimento alla legislazione vigente e sulla possibilità di applicare una norma imprevedibile al momento della commissione del fatto.

In tale prospettiva, se si considera che la confisca di prevenzione incide su soggetti che sono ritenuti socialmente pericolosi in quanto, in un dato momento storico, risultano iscrivibili nella corrispondente fattispecie di pericolosità prevista dalla legge che legittimala diretta aggressione dei patrimoni loro riconducibili, la mancata tipizzazione della pericolosità dovrebbe coerentemente portare ad escludere l’applicazione della misura, per difetto di un suo presupposto essenziale.

Pertanto, il giudice di merito – sul quale, ai sensi dell’art. 117 Cost., incombe il dovere di interpretare le leggi nazionali in modo conforme alla lettera e alla ratio degli obblighi internazionali[28] – che si trovi a decidere sulla proposta di applicazione della confisca di prevenzione in relazione a soggetti pericolosi ai sensi dell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 dovrebbe pertanto escludere la possibilità di sussumere nella fattispecie di pericolosità ivi prevista i comportamenti, pur astrattamente rilevanti, posti in essere anteriormente all’elaborazione giurisprudenziale che ne ha precisato gli esatti confini, sì da garantirne la prevedibilità.

Ciò in quanto la sentenza in commento appare certamente iscrivibile all’interno della categoria della giurisprudenza consolidata, con la quale il giudice nazionale, che non prende in esame il mero tenore letterale delle disposizioni della CEDU ma pure la lettura che di esse fornisce la Corte europea, deve confrontarsi al fine di individuare il significato da attribuire alla norma nazionale[29].

Sul punto, nell’ottica di quel necessario “dialogo tra le Corti”, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 49 del 2015, ha riaffermato i principi già presenti nella sua giurisprudenza, secondo cui compete al giudice comune di assegnare alla disposizione interna un significato quanto più aderente alla “dimensione ermeneutica che la Corte Edu adotta in modo costante e consolidato”[30], a condizione che non si riveli del tutto eccentrico rispetto alla lettera della legge[31], fermo restando il prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, nel rispetto del predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU[32].

Nel medesimo contesto, la Consulta ha, d’altro canto, affermato che alla Corte di Strasburgo compete di pronunciare la “parola ultima” in ordine a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, secondo quanto le parti contraenti hanno stabilito in forza dell’art. 32 CEDU: trattasi di “funzione interpretativa eminente”.

In quest’ottica, il giudice nazionale è tenuto ad uniformarsi alla “giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente”[33], in modo da “rispettare la sostanza di quella giurisprudenza”[34]: giurisprudenza consolidata può essere definita quella che trova riconoscimento nell’art. 28 CEDU, che attribuisce maggiore persuasività alle pronunce che seguono un principio costantemente applicato dalla Corte, nonché alle sentenze della Grande Camera che pronuncia su una questione di principio[35].

La nozione pertanto risponde a quell’orientamento promanante dalla Corte Edu nella sua massima composizione, essendo in tal guisa espressa con pronuncia senz’altro valevole ad esprimere l’indirizzo vincolante del giudice europeo, e ripresa nella giurisprudenza conforme successiva[36].

Alla luce di quanto precede, pare potersi affermare che la sentenza in commento, specificamente parametrata sulla misura personale, la quale riprende la sentenza della Grande Camera in tema di misure personali e patrimoniali e afferma un principio certamente valevole per entrambi i tipi di misura e costantemente applicato in molteplici contesti, cui sono correlate di volta in volta le corrispondenti violazioni, sia espressiva di una giurisprudenza consolidata della Corte EDU, che deve necessariamente orientare il giudice italiano nell’applicazione della confisca di prevenzione e, in particolare, nel giudizio di pericolosità su cui è essa fondata dal punto di vista soggettivo.

  • Il giudizio di prevenzione e i correlati temi della base legale e della prevedibilità

Le conclusioni che precedono sono certamente coerenti con l’oggetto del giudizio di prevenzione e del relativo accertamento[37]: la pericolosità per la sicurezza pubblica[38] del soggetto, che vale a qualificarlo. Tale requisito, di natura soggettiva, si aggiunge, nell’ipotesi delle misure di carattere patrimoniale, ai presupposti di applicazione oggettivi.

Il giudizio di pericolosità[39] espresso in sede di prevenzione – alla luce della più recente evoluzione interpretativa, seguita alla unificazione delle discipline di settore nell’unico testo di legge rappresentato dal d.lgs. n. 159 del 2011 – è invero nutrito da una prima fase di natura cognitiva, ossia di apprezzamento di fatti idonei ad iscrivere il soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore, e da una seconda fase di tipo prognostico in senso stretto, tesa a valutare le probabili, future, condotte, in chiave di offesa ai beni tutelati, logicamente influenzata dai risultati della prima, secondo il generale paradigma logico di cui all’art. 203 c.p..

Con riferimento alla fase “constatativa”, rapportata alla importazione di dati cognitivi idonei a rappresentare l’avvenuta condotta contraria alle ordinarie regole di convivenza tenuta in passato dal soggetto proposto[40], deve osservarsi che la stessa, lungi dal consistere in una mera valutazione di pericolosità soggettiva, è alimentata dall’accertamento di fatti che consentano di inquadrare il soggetto proposto in una delle suddette categorie criminologiche ed “è strutturata come giudizio «cognitivo», teso a ricostruire, preliminarmente, talune condotte poste in essere dal soggetto attenzionato”[41], giacché “il giudizio di pericolosità deve fondarsi sull’oggettiva valutazione di fatti … accertati in modo da escludere valutazioni meramente soggettive ed incontrollabili da parte dell’autorità proponente”[42][43].

E’ indispensabile, in definitiva, verificare se il proposto possa essere ricondotto nel “perimetro descrittivo di cui agli attuali artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 159 del 2011” ricostruito dal legislatore attraverso “indicazioni … da ritenersi «tipizzanti»”[44]: ciò in quanto “la descrizione della «categoria criminologica» di cui agli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 159 del 2011, ha il medesimo «valore» che nel sistema penale è assegnato alla norma incriminatrice, ossia esprime la «previa» selezione e connotazione, con fonte primaria, dei parametri fattuali rilevanti, siano gli stessi rappresentati da una condotta specifica (le ipotesi di «indizio di commissione» di un particolare reato, con pericolosità qualificata)”[45]

La più recente elaborazione giurisprudenziale[46], in tale direzione, impone di avere esclusivo riferimento, ai fini del giudizio di pericolosità, ad individuati fatti di reato, pienamente rappresentati, in ipotesi di pericolosità generica, o rappresentati da indizi, in ipotesi di pericolosità qualificata: solo a tale condizione, individuandosi ristrette e qualificate categorie di persone cui sono applicabili le misure di prevenzione, è garantito il pieno rispetto dei principi di legalità e tassatività[47].

Dalla matrice giurisdizionale del procedimento[48] e dalle ricadute della decisione su diritti fondamentali della persona deriva, a ben vedere, la necessità di una valorizzazione della dimensione probatoria della fase constatativa del giudizio di prevenzione, base logica e giuridica della successiva prognosi di pericolosità e della aderenza di tale dimensione probatoria ai contenuti tipici della fattispecie astratta che si ritiene di applicare al soggetto proposto[49].

Dalla giurisdizionalità piena del procedimento di prevenzione discende, in larga misura, la promozione in sede di legittimità del rinnovato approccio interpretativo “tassativizzante” alle previsioni di legge in materia, con quanto ne consegue in materia di prova, ferma restando la peculiarità della disciplina: la Corte Costituzionale, in due pronunzie con cui rifiutò di emettere decisioni additivein tema di misure di prevenzione[50], ha ricavato tale scelta dalla constatazione per cui la giurisdizione preventiva è “quanto meno”,da ritenersi “limitativa di diritti”,il che rappresenta una efficace definizione dei tratti peculiari di un settore dell’ordinamento presidiato – in larga misura – da garanzie comuni con quelle del sistema sanzionatorio, trattandosi – per riprendere altra affermazione del giudice delle leggi – di “applicare in via giurisdizionale misure tese a delimitare la fruibilità di diritti della persona costituzionalmente garantiti, o ad incidere pesantemente e in via definitiva sul diritto di proprietà”[51][52].

La scissione del giudizio prevenzionale in due fasi, oramai divenuta patrimonio comune sul piano interpretativo degli istituti coinvolti, implica la diversità degli standard probatori relativi ai due segmenti dell’operazione valutativa: certezza processuale del fatto constatato, nella prima fase, e probabilità della sua riproduzione o della realizzazione di condotte dal disvalore omogeneo, nella seconda[53].

Nessuna misura di prevenzione può essere, dunque, applicata lì dove manchi una congrua ricostruzione di “fatti” idonei a determinare l’inquadramento del soggetto proposto in una delle “categorie specifiche” di pericolosità espressamente “tipizzate” dal legislatore: solo l’avvenuto inquadramento del proposto in una delle categorie tipiche di pericolosità, derivante dall’apprezzamento di fatti[54], consente, lì dove tale giudizio sia formulato in termini di attualità all’esito del giudizio di primo grado, di applicare la misura di prevenzione personale, se del caso congiunta a misura patrimoniale, mentre in ipotesi di pericolosità tipica sussistente ma non più attuale può essere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, applicata la misura patrimoniale della confisca disgiunta[55].

L’accertamento di pericolosità è, dunque, operazione complessa, che non si basa esclusivamente sulla ordinaria prognosi di reiterabilità di qualsivogliacondotta illecita né coincide con una qualità del soggetto, ma implica il precedente inquadramento del soggetto nella categoria criminologica di volta in volta ritenuta rilevante, sicché l’espressione della prognosi negativa deriva, appunto, dalla constatazione di una specifica inclinazione mostrata dal soggetto[56].

Per quanto precede, la prova nel procedimento di prevenzione è calibrata sullo specifico oggetto dell’accertamento, afferendo alla inquadrabilità dei fatti nelle categorie normativamente selezionate, la quale sola consente di formulare il successivo giudizio prognostico nella ipotesi in cui venga pure in considerazione la misura personale[57].

Muovendo da tali presupposti e accedendo alla tesi secondo cui solo la Corte Costituzionale ha assicurato, in via interpretativa, a partire dal 2019, contorni sufficientemente precisi alla fattispecie di pericolosità descritta dall’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, sì da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente in anticipo in quali “casi” essi possono essere sottoposti alla misura di prevenzione, non pare potersi dubitare del fatto che nessuno possa essere destinatario di un tale provvedimento ove il fatto evocativo di pericolosità sia stato commesso in un momento antecedente alla sentenza n. 24 del 2019, per difetto di idonea base legale e prevedibilità.

Ciò sempre avendo riferimento al piano della tassatività sostanziale, relativa al thema probandum, attinente al rispetto del principio di legalità quale garanzia di precisione, determinatezza e prevedibilità della fattispecie legale che costituisce oggetto di prova.

In tale prospettiva, la locuzione “coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa” è stata ritenuta compatibile con il parametro della prevedibilità in ragione dell’opera tassativizzante della giurisprudenza nazionale, che ha consentito di individuare a quali comportamenti può conseguire la misura di prevenzione: pertanto, pare potersi concludere nel senso che solo a partire da tale momento il soggetto che risponda a tale definizione normativa può essere inquadrato nella corrispondente fattispecie di pericolosità.

I parametri normativi che giustificano le evocate conclusioni derivano unicamente dalla previsione di cui all’art. 1 Protocollo Addizionale CEDU, che riconosce il diritto di ogni persona alla protezione della proprietà e impone che qualsiasi misura restrittiva sia “prevista dalla legge”, e dagli artt. 41 e 42 Cost..

In quest’ottica, alla profonda incisione di sequestro e confisca sui diritti di proprietà e di iniziativa economica consegue la necessità che le misure siano previste in termini tali da consentire ai consociati di prevederne l’applicazione, all’esito di un procedimento che rispetti i canoni generali di ogni “giusto processo” garantito dalla legge e in cui sia assicurato il diritto di difesa dell’interessato.

  • Conseguenze in ordine ai procedimenti definiti

In tal guisa individuato il possibile impatto della sentenza annotata sui procedimenti in essere, si deve affrontare la questione relativa alle sue potenzialità in ordine ai procedimenti definiti con pronuncia irrevocabile[58].

Ciò impone di affrontare, per quanto qui di rilievo, la delicata materia degli effetti espansivi delle sentenze della Corte EDU a casi analoghi e, dunque, di valutare se i principi ivi espressi, nella ipotesi in cui sia stata accertata la violazione di diritti fondamentali, producano effetti nei confronti di soggetti diversi dai ricorrenti[59] che siano destinatari di pronunce definitive.

Se costituisce principio ormai pacifico che il carattere sub-costituzionale della CEDU impone un raffronto tra le sue regole e la Costituzione e che l’eventuale dubbio di costituzionalità della norma nazionale va sollevato con riferimento all’art. 117 Cost.[60], assumendo come parametro interposto la norma convenzionale che si ritiene violata, deve pure rilevarsi, in linea con quanto considerato nel paragrafo che precede, che il giudice nazionale deve attribuire alla disposizione interna un significato quanto più aderente alla CEDU, che si nutre dell’interpretazione che di essa viene fornita dalla giurisprudenza della Corte EDU, “a condizione che non si riveli del tutto eccentrico rispetto alla lettera della legge”[61].

In quest’ottica, il giudice deve esaminare in tutta la sua potenzialità la Convenzione e la lettura offertane dal giudice sovranazionale, approfondire la portata delle sentenze rese da quest’ultimo, perseguire interpretazioni costituzionalmente e convenzionalmente orientate nella più ampia portata possibile, individuare la “giurisprudenza europea consolidata” di cui all’art. 28 CEDU, uniformarsi alla “giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente … in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza”[62].

Ciò consente un’ulteriore riflessione, correlata appunto alla valutazione della possibilità che un singolo pronunciamento della Corte EDU abbia un’efficacia che si estenda oltre la posizione del ricorrente, con il conseguente obbligo per l’Italia di adoperarsi per riparare i pregiudizi di coloro i quali si trovino nella medesima situazione dei vittoriosi ricorrenti, ma che non abbiano adito la Corte EDU e siano dunque privi di una sentenza che dichiari anche per loro la violazione delle garanzie convenzionali.

A questo riguardo – ha recentemente rilevato la Prima Sezione della Suprema Corte occupandosi dei possibili effetti della sentenza Maestri e altri c. Italia[63] – è noto che “la regola di diritto contenuta nei singoli casi decisi dinanzi alla Corte di Strasburgo è insuscettibile di estensione a soggetti estranei al giudizio (salvi i casi di c.d. sentenza pilota come tipizzata nel contenuto e nella procedura dell’art. 61 del Regolamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”; accanto a questa ipotesi, è stato tuttavia al contempo osservato, l’altra via per estendere gli effetti delle sentenze della Corte EDU al di là del caso deciso è quello delle “sentenze di portata generale: queste ultime (formalmente menzionate dal comma 9 del citato art. 61), seppure non rientranti nella casistica contenutistica e procedurale delle sentenza pilota, accertano una violazione di norme convenzionali in tema di diritti della persona, suscettibile di ripetersi con analoghi effetti pregiudizievoli nei riguardi di una pluralità di soggetti diversi dal ricorrente, ma versanti nella medesima condizione”[64].

Cosicché la sintesi può essere individuata in quanto espresso dalle Sezioni Unite occupandosi degli effetti della sentenza Contrada c. Italia[65], le quali hanno precisato che, affinché le sentenze della Corte di Strasburgo possano esplicare effetti nei confronti di soggetti diversi dal ricorrente, deve sussistere almeno una delle seguenti tre condizioni: deve trattarsi di una sentenza pilota, cioè di una sentenza che in relazione a violazioni seriali, oltre a rilevare la violazione denunciata nel ricorso, fissa un termine allo Stato che ne sia autore affinché adotti adeguati rimedi strutturali; oppure, deve essere stata accertata una violazione di carattere strutturale o sistemico imputabile allo Stato, la cui rimozione imponga l’adozione delle misure di carattere generale o individuale adeguate; in alternativa, deve trattarsi di un caso in cui la Corte abbia implicitamente riconosciuto l’esistenza di una violazione di portata generale, a condizione che la sentenza possa dirsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata[66].

In difetto di tali condizioni, lo Stato italiano non è vincolato a conformarsi alla condanna europea al di là dello specifico caso oggetto di giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo.

Seguendo una linea del tutto affine, la giurisprudenza di legittimità sviluppatasi in punto di “revisione europea” – introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza additiva n. 113 del 2011[67] – ha individuato tale strumento sopperire alla “necessità di conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU”, “necessità che ricorre quando la sentenza sia stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato, oppure quando abbia natura di “sentenza pilota”, riguardante situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all’interno del medesimo ordinamento giuridico, ovvero, ancora, quando abbia accertato una violazione di carattere generale, desumibile dal “dictum” della Corte EDU e ricorra una situazione corrispondente che implichi la riapertura del dibattimento”[68].

Mutuando tali principi nel sistema di riferimento appare doversi concludere nel senso che l’esistenza di una violazione di portata generale, che sia espressa dalla giurisprudenza europea consolidata, imponga la necessità di individuare uno strumento che consenta la revisione del provvedimento ingiusto per i soggetti diversi rispetto al ricorrente che si trovino in una posizione identica rispetto a quest’ultimo.

Nella evocata prospettiva, deve considerarsi come l’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 possa includere nel proprio ambito applicativo l’ipotesi del difetto originario dei presupposti del provvedimento ablativo correlata all’insussistenza di base legale e prevedibilità: l’invalidità originaria della confisca, disposta in contrasto con l’art. 1 Protocollo Addizionale CEDU, che impone che qualsiasi misura restrittiva della proprietà sia “prevista dalla legge”, provocherebbe in quest’ottica l’insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita patrimoniale, priva di giustificazione dal momento in cui si è verificata.

L’esistenza di una norma europea che, conformemente a Costituzione, imponga la sussistenza di base legale, come interpretata nella giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo, la quale disvela come la stessa certamente non sussistesse in un momento antecedente all’intervento della Consulta del 2019, implicherebbe, in tale prospettiva, l’invalidità originaria della confisca che ne sia priva.

Nell’ipotesi in cui sia stata applicata in via definitiva la confisca di prevenzione nei confronti di soggetto pericoloso ai sensi dell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, con riferimento a fatti posti in essere prima del deposito della sentenza della Consulta n. 24 del 2019[69], deve dunque valutarsi la possibilità di azionare lo strumento al fine di porre rimedio all’ingiustizia del provvedimento con cui è stata disposta l’ablazione di beni in difetto di base legale.

A ben vedere, infatti, tale fattispecie appare perfettamente sovrapponibile a quella in cui difetti in origine il presupposto soggettivo della misura: l’elaborazione di legittimità successiva alla pronuncia della Consulta richiamata, avente ad oggetto la categoria di cui all’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, consente invero di cogliere, pure nella ipotesi qui in considerazione, nella revocazione ex art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 il rimedio proponibile avverso il provvedimento definitivo di confisca.

Le Sezioni Unite, investite del ricorso in materia di confisca di prevenzione definitiva adottata in relazione all’ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 per far valere gli effetti della relativa declaratoria di illegittimità costituzionale, hanno precisato come lo strumento esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura sia la richiesta di revocazione di cui all’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011[70].

D’altro canto, era stato già evidenziato come non sussistesse la competenza del giudice dell’esecuzione a decidere sulla domanda di revoca del decreto definitivo con la quale fosse stata sollecitata la verifica della permanenza della sua base legale in relazione all’inquadramento del sottoposto nella categoria di pericolosità generica di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, come interpretato dalla Corte Costituzionale, trattandosi di domanda qualificabile come richiesta di revoca della misura, disciplinata quanto alle misure patrimoniali dall’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011[71].

In linea di assoluta coerenza, nella ipotesi qui in considerazione, in cui l’interessato intenda far valere il ricorrere di ipotesi di anomalia genetica del provvedimento ablatorio correlata al difetto originario di base legale e prevedibilità, appare doversi fare riferimento al rimedio ad hoc introdotto nel 2011, la revocazione.

In primo luogo, la soluzione indicata è coerente con la duplice finalità sottesa all’introduzione dell’istituto della revocazione, volta a “fornire una disciplina compiuta, che da un lato assicuri agli interessati le necessarie garanzie, dall’altro consenta alla confisca di conservare, dopo la sua definitività, il connotato della irreversibilità”[72].

In secondo luogo, nella direzione evocata conduce il tenore letterale della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011, che, prevedendo che “in ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura”, delinea una “fattispecie aperta”[73]: l’incipit “in ogni caso” appare invero individuare quale condizione legittimante della revocazione ipotesi diverse da quelle – espressione di elementi fattuali – delineate dal comma 1, purché riconducibili al medesimo tipo, ossia a fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca.

In terzo luogo, sul piano sistematico, solo l’interpretazione qui accolta attribuisce alla disposizione in esame un significato normativo di cui sarebbe altrimenti priva: ponendosi la revocazione quale “moderno” strumento di correzione dell’ingiustizia del provvedimento definitivo, non v’è chi non veda come essa non possa che riguardare l’ipotesi del difetto originario dei presupposti della misura.

Da ultimo, nessuna indicazione di segno contrario può essere ricercata nella sentenza Fiorentino delle Sezioni Unite sopra esaminata, che, nel ribadire il proprio orientamento in tema di efficacia delle sentenze interpretative di rigetto, richiamando in particolare quanto affermato dalla sentenza Clarke[74], la quale aveva stabilito che “le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale non sono munite dell’efficacia erga omnes propria delle decisioni con le quali viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge, per cui assumono il valore di mero precedente e non sono vincolanti per il giudice”[75], ha precisato che la sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale assume un mero “valore persuasivo”, come tale “privo di attitudine a incidere sul giudicato formatosi in relazione al provvedimento che dispone la confisca di prevenzione”[76].

Invero, non è nella specie il valore della pronuncia della Consulta a venire in considerazione, quanto quello della CEDU e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo: la violazione della disciplina europea, di cui non pare potersi dubitare con riferimento ai fatti posti in essere prima della pronuncia della Corte Costituzionale, implica la necessità di individuare uno strumento correttivo dell’ingiustizia originaria del provvedimento definitivo.

  • Considerazioni conclusive

Alla stregua delle considerazioni che precedono, un’esegesi costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 conduce ad interpretare la fattispecie di pericolosità ivi prevista nel senso di escludere la rilevanza dei comportamenti posti in essere in un momento antecedente a quello in cui la norma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2019 e secondo l’impostazione da quest’ultima seguita, è divenuta prevedibile.

Pur attenendo la sentenza in commento alla misura personale della sorveglianza speciale, di particolare rilevanza sono le possibili conseguenze in punto di confisca: ciò in quanto la pronuncia esprime un principio generale consolidato nella giurisprudenza europea, comune alla libertà di circolazione e alla protezione della proprietà[77], e poiché la confisca indubbiamente costituisce misura di prevenzione “regina”, rappresentando nel sistema attuale il più potente strumento di contrasto alla criminalità da profitto.

Dalle considerazioni sopra sviluppate pare potersi sostenere, con riferimento all’avvenire, l’impossibilità di disporre la confisca nei confronti di soggetti ritenuti socialmente pericolosi ai sensi dell’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 in relazione a fatti commessi anteriormente al “recupero” della base legale; con riferimento al passato, sembra invece affacciarsi la  possibilità di proporre richiesta di revocazione dei provvedimenti ablativi definitivi fondati sui medesimi fatti.

Ciò sempre considerato che sul giudice incombe il dovere di interpretare le leggi nazionali in materia conforme alla lettera e alla ratio delle disposizioni CEDU e che il medesimo deve confrontarsi con la lettura che di quelle disposizioni ha fornito la Corte EDU: la nozione convenzionale di “base legale” elaborata da quest’ultima equipara sostanzialmente diritto giurisprudenziale e fonti legislative.

In tale ottica, la pronuncia in commento, che ritenendo carente di base legale e dunque imprevedibile la disciplina di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 conferma pienamente quanto già affermato dalla Grande Camera con la sentenza De Tommaso c. Italia, pare esprimere una giurisprudenza consolidata e vale ad integrare direttamente il dato normativo: di ciò, sia con riferimento ai procedimenti in essere o che saranno istaurati che con riguardo ai procedimenti già definiti, non potrebbe non tenersi conto, con la naturale conseguenza di non poter nel futuro applicare la norma interna in relazione a fattispecie in cui ciò risultava imprevedibile e dover porre rimedio alle ipotesi in cui tale prevedibilità in origine difettasse.

Gli effetti di tale impostazione, d’altro canto, potrebbero influire sulla possibilità di applicare la confisca di prevenzione in relazione ad altre fattispecie di pericolosità: si pensi, a tal proposito, alla categoria di pericolosità specifica contemplata dall’art. 4, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, afferente ai soggetti indiziati del delitto di cui all’art. 12 quinquies d.l. n. 306 del 1992.

Orbene, solo l’art. 2, comma 4, del “pacchetto sicurezza” adottato con la l. n. 94 del 2009 ha esteso agli indiziati del delitto in parola la possibilità di applicare le misure di prevenzione, inserendo un apposito richiamo nell’art. 1 l. n. 575 del 1965, poi confluito nell’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011. È di tutta evidenza che prima di tale momento non fossero applicabili agli indiziati del delitto di trasferimento fraudolento di valori le misure di prevenzione e che, dunque, ciò non fosse prevedibile.

Ciò condurrebbe ad escludere la possibilità di qualificare un determinato soggetto socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 4, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 in relazione a comportamenti rilevanti ai sensi dell’art. 12 quinquies d.l. n. 306 del 1992 posti in essere prima dell’entrata in vigore della l. n. 94 del 2009 per difetto di idonea base legale, senza che occorra operare alcun riferimento ai principi previsti per la sanzione penale o valutare la applicabilità dei principi di legalità e irretroattività propri della materia penale.

Tutto quanto precede, invero, prescinde totalmente dalla questione concernente la natura sanzionatoria della confisca di prevenzione: non viene a ben vedere in considerazione il principio di irretroattività proprio della materia penale, ma un generale divieto di applicazione della norma con riferimento a fatti posti in essere anteriormente al momento in cui la stessa è divenuta prevedibile e può, dunque, dirsi sussistere base legale.

In tal senso, la impossibilità di applicare retroattivamente la disciplina appare costituire a ben vedere un naturale corollario della impossibilità di prevedere le conseguenze della condotta e della correlata ingiustizia di un provvedimento privo di base legale.

Nella evocata prospettiva, pur accedendo alla impostazione seguita dalla Corte Costituzionale – che ha escluso, in aderenza all’orientamento europeo[78], la natura sostanzialmente penale del sequestro e della confisca[79] [80], conseguentemente ritenendo possibile che la giurisprudenza riempia di contenuto la norma che ne sia carente[81] – non pare residuare spazio alcuno alla possibilità di applicare le misure di prevenzione patrimoniali in relazione a fatti in tal senso ininfluenti al momento di rispettivo compimento: ciò unicamente in quanto dette misure rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 1 Protocollo Addizionale CEDU, in ragione della rispettiva incidenza limitatrice rispetto al diritto di proprietà.

Tale sola interpretazione appare effettivamente rispettosa del parametro sovranazionale evocato e coerente con il sistema dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale pattizio.


[1] Corte EDU, Grande Camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, con nota di F. Menditto, La sentenza De Tommaso c. italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Diritto Penale Contemporaneo, 4/2017.

[2] Corte Cost, 24 gennaio 2019, n. 24, con nota di S. Finocchiaro, Due pronunce della Corte Costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte Edu, in Diritto Penale Contemporaneo, 4 marzo 2019.

[3] Necessità della restrizione in relazione alla tutela della sicurezza nazionale o della pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e libertà altrui.

[4] Corte EDU, Sez. I, 11 luglio 2013, Khlyustov c. Russia, n. 28975/05.

[5] Corte EDU, Sez. II, 2 dicembre 2014, Battista c. Italia, n. 43978/09.

[6] Corte EDU, Grande Camera, 7 giugno 2012, Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia, n. 38433/09.

[7] Corte EDU, Grande Camera, 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, n. 14307/88.

[8] Corte EDU, Grande Camera, 26 novembre 2013, X. C. Lettonia, n. 27853/09.

[9] Corte EDU, Grande Camera, 26 aprile 1979, The Sunday Times c. Regno Unito, n. 6538/74.

[10] Corte EDU, Grande Camera, 7 giugno 2012, Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia, n. 38433/09.

[11] Corte EDU, Sez. I, 11 luglio 2013, Khlyustov c. Russia, n. 28975/05, la quale ha precisato che una norma è “prevedibile” quando offre una misura di protezione contro le ingerenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche e che una legge che conferisce una discrezionalità deve indicare la portata di tale discrezionalità, benché le particolareggiate procedure e condizioni da osservare non debbano essere  necessariamente comprese nelle norme del diritto sostanziale.

[12] Corte Cost., 22 luglio 2010, n. 282.

[13] Corte EDU, Sez. II, 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia, n. 4514/07.

[14] Corte Cost., 15 ottobre 1980, n. 177.

[15] Nello specifico, si è ritenuto, deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, dunque in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al soggetto agente, i quali a loro volta abbiano costituito l’unico suo reddito o, quantomeno, una componente significativa di tale reddito.

[16] Cass. Pen., Sez. Un., 16 dicembre 2021, n. 3513, Fiorentino, con nota di D. Albanese, Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 sui provvedimenti definitivi: le Sezioni unite ammettono la revocazione delle confische disposte per la fattispecie di pericolosità ‘generica’ dichiarata costituzionalmente illegittima e ne individuano il fondamento nell’art. 28, co. 2, d.lgs. 159/2011, in Sistema Penale, 7 febbraio 2022.

[17] F. Mazzacuva, La Corte europea ritorna sul principio di “prevedibilità” del diritto penale tra irretroattività, retroattività della lex mitior e prééminence du droit, in Sistema Penale, 19 febbraio 2020.

[18] Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, n. 66655/13; sul tema, V. Zagrebelsky, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il principio di legalità nella materia penale, in La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, a cura di V. Manes e V. Zagrebelsky, Milano, 2011, 74 ss.; V. Manes, Commento all’art. 7, § 1, Cedu, in Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di S. Bartole, P. De Sena e V. Zagrebelsky, Padova, 2012, 278 ss..

[19] Corte EDU, Grande Camera, Del Rio Prada c. Spagna, 21 ottobre 2013, ove è stato specificato che la garanzia sancita dall’art. 7 CEDU, elemento essenziale della preminenza del diritto, occupa un posto fondamentale nel sistema di protezione della Convenzione, come attesta il fatto che l’art. 15 CEDU non autorizza alcuna deroga anche in tempo di guerra o altro pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione. Così come risulta dal suo oggetto e dal suo scopo, deve essere interpretato e applicato in modo da garantire una protezione efficace contro i procedimenti giudiziari, le condanne e le sanzioni arbitrarie. L’art. 7 CEDU non si limita a vietare l’applicazione retroattiva del diritto penale a svantaggio dell’imputato, sancisce anche, in modo più generale, il principio della legalità dei reati e delle pene: se vieta in particolare di estendere il campo di applicazione delle infrazioni esistenti a fatti che, in precedenza, non costituivano reati, ordina inoltre di non applicare la legge penale in modo estensivo a scapito dell’imputato, ad esempio per analogia.

[20] Corte EDU, Grande Camera, 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, n. 14307/88.

[21] La dimensione convenzionale del nullum crimen offre una protezione più estesa alla prevedibilità della decisione giudiziale: alla ratio dell’art. 7 CEDU è estraneo il principio della separazione dei poteri legislativo e giudiziario, che costituisce una delle anime della riserva di legge riconosciuta dall’art. 25, comma 2, Cost. e tra i suoi corollari non si annovera, conseguentemente, la riserva di legge, a fronte della presenza tra le parti originarie della Convenzione di Stati che conoscono (ancor oggi, seppur in proporzione marginale) reati di pura creazione giurisprudenziale (i c.d. common law crimes). Il fuoco della tutela apprestata dall’art. 7 CEDU sta altrove: in particolare, nell’interesse dell’individuo ad essere tutelato contro un esercizio del potere punitivo che non sia per lui prevedibile e calcolabile nell’an così come nel quantum. Accessibilità del precetto e prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie sono le parole chiave nella giurisprudenza pertinente di Strasburgo, che naturalmente legge il nullum crimen, nulla poena sine lege come diritto dell’individuo, anziché come principio ordinamentale funzionale alla tutela di interessi pubblici (come la stessa separazione dei poteri o la garanzia della funzione generalpreventiva della norma penale, spesso evocate nel dibattito nazionale sul principio di legalità in materia criminale). In questi termini, F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Diritto Penale Contemporaneo, 19 dicembre 2016, 12.

[22] F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Diritto Penale Contemporaneo, 19 dicembre 2016, 4.

[23] Corte EDU, Sez. III, 22 dicembre 2015, Stanković e Trajković c. Serbia, 37194/08 e 37260/08.

[24] Corte EDU, Sez. III, 9 novembre 1999, Špaček e s.r.o. c. Repubblica ceca, 26449/95.

[25] Corte EDU, Sez. V, 23 gennaio 2014, East West Alliance Limited c. Ucraina, 19336/04, che ha precisato che il requisito della legalità, ai sensi della Convenzione, richiede il rispetto delle pertinenti disposizioni del diritto interno e la compatibilità con lo stato di diritto, che include la libertà dall’arbitrarietà.

[26] Corte EDU, Grande Camera, 5 gennaio 2000, Beyeler c. Italia, 33202/96.

[27] Invero, l’analisi concernente l’art. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011 ha perso ogni rilevanza a seguito della sentenza n. 24 del 2019 che ne ha stabilito l’illegittimità costituzionale.

[28] Marinucci, Dolcini, Gatta, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, 2023, 65 ss..

[29] E’ stato specificato che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti (Corte Cost., 26 novembre 2009, n. 311), e che dette norme e la ratio ad esse sottesa devono essere individuate “secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo” (Corte Cost., n. 349 del 2007; Corte Cost., n. 299 del 2005).

[30] Corte Cost., n. 239 del 2009.

[31] Corte Cost., n. 1 del 2013.

[32] Corte Cost., n. 348 del 2007.

[33] Corte Cost., n. 236 del 2011.

[34] Corte Cost., n. 311 del 2009.

[35] In questi termini, recentemente, Cass. Pen., Sez. I, 16 luglio 2021, n. 38352, che riprende Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2019, n. 8544.

[36] Corte Cost., n. 184 del 2015; Corte Cost., n. 200 del 2016.

[37] Sul tema, G. Anetrini, I soggetti destinatari delle misure, in Il d.lgs. n. 159 del 2011 riformato, a cura di F. Cassibba, Torino, 2020, 1 ss.; F. Bricola, Forme di tutela «ante delictum» e profili costituzionali della prevenzione, in Le misure di prevenzione. Atti del convegno di Alghero, Milano, 1975; A. Balsamo, voce Codice antimafia, in Dig. Disc. Pen., VIII, Torino, 2014; F. Fiorentin (a cura di), Misure di prevenzione personali e patrimoniali, Torino, 2018; E. Gallo, voce Misure di prevenzione, in Enc. Giur. Treccani, XX, Roma, 1996; A. Mangione, Le misure di prevenzione, La punibilità e le conseguenze del reato, Parte generale, a cura di A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. I. Papa, III, Torino, 2014; A. M. Maugeri, I destinatari delle misure di prevenzione tra irrazionali scelte criminogene e il principio di proporzione, in Ind. Pen., 2017; F. Mazzacuva, Le persone pericolose e le classi pericolose, in Misure di prevenzione, a cura di S. Furfaro, Torino, 2013; F. Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca allargata (art. 240-bis c.p.), Milano, 2019.

[38] Sul binomio sicurezza e diritti fondamentali e sul rapporto tra tali poli si è recentemente posta in evidenza la necessità di considerare le “due sfere di diritti fondamentali coinvolte dalle scelte effettuate sul terreno repressivo e preventivo dal legislatore”, rappresentando come una riflessione sul complessivo bilanciamento degli interessi in gioco sia imposta dall’avere affiancato al diritto penale repressivo strumenti di controllo che si muovono sul terreno della prevenzione e che chiamano in campo il diritto amministrativo, quali le misure di prevenzione personali, potenziate con intensità sempre crescente; M. Pelissero, Sicurezza e diritti fondamentali: aspetti sostanziali, in Dir. Pen. Proc., 11, 2019, 1479 ss.. Sul tema dei rapporti tra sicurezza e diritti fondamentali anche A. Marandola, Sicurezza e diritti fondamentali: aspetti processuali, in Dir. Pen. Proc., 11, 2019, 1553 ss.; R. Orlandi, Il sistema di prevenzione tra esigenze di politica criminale e principi fondamentali, in AA.VV., La giustizia penale preventiva, Milano, 2016, 5 ss..

[39] Sul tema, A. Maiello, La prevenzione ante delictum: lineamenti generali, in La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, a cura di V. Maiello, Torino, 2015, 299 ss.; L. Della Ragione, “Appartenenza mafiosa” e “attualità della pericolosità sociale” nell’applicazione delle misure di prevenzione per fatti di mafia, in Dir. Pen. Proc., 1, 2019, 87 ss.; F. Siracusano, I destinatari della prevenzione personale per “fatti di mafia”, in www.archiviopenale.it.

[40] Cass. Pen., Sez. I, 11 febbraio 2014, n. 23641, Mondini.

[41] Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2018, n. 24707, Oliveri.

[42] Cass. Pen., Sez. II, 4 giugno 2015, n. 26235, Friolo; in tale prospettiva, l’ossatura del sistema prevenzionale è stata in tale pronuncia ritenuta pienamente compatibile col dettato costituzionale e con i principi del diritto comunitario ed è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del sistema normativo previsto in materia di misure di prevenzione, per contrasto con gli artt. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e 6 e7 della Convenzione EDU, poiché il giudizio di pericolosità, in un’ottica costituzionalmente orientata, si fonda sull’oggettiva valutazione di fatti sintomatici collegati ad elementi certi e non su meri sospetti, senza alcuna inversione dell’onere della prova a carico del proposto, essendo incentrato sul meccanismo delle presunzioni in presenza di indizi, i quali devono essere comunque provati dalla pubblica accusa, rimanendo a carico dell’interessato soltanto un onere di allegazione per smentirne l’efficacia probatoria.

[43] Sul punto, F. Basile, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde, in www.penalecontemporaneo.it, 2018.

[44] Cass. Pen., Sez. I, 24 marzo 2015, n. 31209, Scagliarini.

[45] Cass. Pen., Sez. I, 15 giugno 2017, 9 gennaio 2018, n. 349, Bosco; nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2017, n. 54119, Sottile.

[46] Sulla giurisprudenza di legittimità più recente che tenta di allinearsi alla sentenza De Tommaso attraverso interpretazioni “tassativizzanti”, V. Manes, Dalla “fattispecie” al “precedente”: appunti di “deontologia ermeneutica”, in Diritto Penale Contemporaneo, 17 gennaio 2018, 22; R. Magi, Sul recupero di tassatività nelle misure di prevenzione personali. Tecniche sostenibili di accertamento della pericolosità, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2017, 501 ss.; F. Basile, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde, in Diritto Penale Contemporaneo, 20 luglio 2018; S. Recchione, La pericolosità sociale esiste ed è concreta: la giurisprudenza di merito resiste alla crisi di legalità generata dalla sentenza “De Tommaso v. Italia” (e confermata dalle sezioni unite “Paternò”), in Diritto Penale Contemporaneo, 16 ottobre 2017.

[47] Muovendo dalle sentenze nn. 24 e 25 del 2019 della Corte Costituzionale, intervenuta sul tema dei destinatari delle misure di prevenzione e delle prescrizioni generiche del “vivere onestamente” e del “rispettare le leggi” alla luce del principio di determinatezza e prevedibilità del contenuto delle norme che limitano la libertà individuale, sono state svolte in dottrina osservazioni critiche sul “doppio binario di legalità/determinatezza elaborato dalla sentenza n. 24”, nonché sulla natura non penale delle misure di prevenzione, con argomenti che affondano le radici nel più generale tema della crisi della legalità parlamentare e nella conseguente espansione della funzione normativa della giurisdizione, che ha con il tempo alterato il classico rapporto tra legge e giudice fondato sul modello orizzontale di separazione dei poteri; V. Maiello, Gli adeguamenti della prevenzione ante delictum nelle sentenze costituzionali nn. 24 e 25, in Dir. Pen. Proc., 1, 2020, 107 ss.. Sul tema, pure, F. Palazzo, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova, 1979.

[48] Sul tema, approfonditamente, S. Furfaro, Diritto processuale delle misure di prevenzione, Torino, 2022, 111 ss..

[49] Cass. Pen., Sez. I, 19 aprile 2018, n. 43826. In tale pronuncia viene affermato che le “misure di prevenzione, pur se sprovviste di natura sanzionatoria in senso proprio, rientrano in una accezione lata di provvedimenti con portata afflittiva (sia pure in chiave preventiva) il che impone di ritenere applicabile – in siffatta materia – il generale principio di tassatività e determinatezza dei contenuti della fattispecie astratta (sia come limite al potere legislativo di costruzione della disposizione che come criterio interpretativo), lì ove si realizza la descrizione dei comportamenti presi in considerazione come prima “fonte giustificatrice” di dette limitazioni”. Su tale ultimo tema, si vedano pure Cass. Pen., Sez. I, n. 31209 del 2015 e Cass. Pen., Sez. II, n. 26235 del 2015. In argomento anche M. Pelissero, Gli effetti della sentenza De Tommaso sulla disciplina delle misure di prevenzione dopo le recenti posizioni della Corte costituzionale, in Studium iuris, 10, 2019, 1148 ss..

[50] Corte Cost., n. 721 del 1988; Corte Cost., n. 335 del 1996.

[51] Corte Cost., 12 marzo 2010, n. 93.

[52] La dottrina è divisa, in verità, tra coloro che ritengono il procedimento di prevenzione di ordine giurisdizionale (L. Filippi, Il procedimento di prevenzione patrimoniale. Le misure “antimafia” tra sicurezza pubblica e garanzie individuali”, Padova, 2002, 49) e coloro i quali lo considerano di carattere amministrativo (F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 25), focalizzandosi su aspetti quali l’iniziativa non necessariamente dell’autorità giudiziaria, la forma del provvedimento conclusivo e l’applicazione non di una sanzione ma di una misura preventiva e respingendo una classificazione fondata esclusivamente sul richiamo alle forme del 666 c.p.p.. Sul punto, F. Giunchedi, Le deficienze probatorie e di tutela effettiva, in Misure di Prevenzione, a cura di S. Furfaro, Torino, 2013, 80.

[53] Cass. Pen., Sez. I, 19 aprile 2018, n. 43826.

[54] Corte Cost., 23 marzo 1964, n. 23, ove si è affermato che non è esatto che dette misure possano essere adottate sul fondamento di semplici sospetti, ritenendo che l’applicazione di quelle norme al contrario richieda una oggettiva valutazione di fatti, da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona.

[55] A tale proposito, è stato criticamente evidenziato come, nonostante un fuoco di fila di critiche provenienti dalla dottrina, che dura ormai costante da oltre cinquant’anni, il sistema di prevenzione personale praeter delictum italiano continui a proliferare, anzi denotando una inquietante tendenza ad estendere sempre di più i destinatari degli obblighi e dei divieti imposti sulla mera base del sospetto, nonché di una prognosi di pericolosità della quale non è dato comprendere i presupposti scientifici (D. Petrini, Le misure di prevenzione personali: espansioni e mutazioni, in Dir. Pen. Proc., 2019, 11, 1531 ss.). Sull’applicazione disgiunta delle misure personali e patrimoniali e, più in generale, sulla separazione (o attenuata pregiudizialità) dei relativi procedimenti, G. Furciniti, D. Frustagli, Il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti nell’Unione Europea, Padova, 2016, 21 ss..

[56] Si tratta, dunque, di una valutazione bifasica, in quanto incentrata sulle passate condotte del proposto e al contempo consistente in un giudizio prognostico sulla possibilità futura del soggetto di commettere reati: deve essere svolta una analisi della personalità del soggetto comprensiva di tutte le manifestazioni sociali della sua vita, dalle quali deve risultare un comportamento illecito e antisociale, persistente nel tempo, riconducibile a specifiche categorie tipizzate dal legislatore e che sia tale da rendere necessaria una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza. Sul punto, G. Mazza, Lo spetto delle misure di prevenzione per i reati perseguiti dalla legge c.d. Codice Rosso: un’alternativa alle misure cautelari?, in Dir. Pen. Proc., 10, 2019, 1373 ss., che analizza le modifiche apportate con la l. n. 69 del 2019, avendo particolare riferimento a quelle incidenti sul sistema delle misure di prevenzione, rilevando come l’inserimento degli indiziati del reato di cui all’art. 572 c.p. tra i destinatari delle misure rappresenti un’indicazione chiara di come essi siano valutabili come socialmente pericolosi, a prescindere dall’accertamento della responsabilità penale, e come il ricorso a tale misure indichi indubbiamente l’inadeguatezza delle misure cautelari per il contenimento di tale fattispecie delittuosa, sollevando dubbi in ordine alla proporzionalità di tale scelta, seppure efficace.

[57] Le osservazioni che precedono, nutrite dei più recenti arresti di legittimità, rievocano la necessaria aderenza del momento cognitivo della prevenzione al contenuto tipico della previsione legale, già evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 177 del 1980, secondo cui “decisivo è che anche per le misure di prevenzione, la descrizione legislativa, la fattispecie legale, permetta di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per ciò stesso rivolto all’avvenire”.

[58] Ciò nonostante il concetto di giudicato di prevenzione appaia alquanto indefinito e i princìpi in materia siano tutt’altro che pacifici, assestandosi i sentieri ermeneutici su un giudicato particolarmente instabile, che disvela una scarsa considerazione delle esigenze di certezza connesse al diritto di proprietà e alla libertà di iniziativa economica; in questi termini, D. Albanese, Cosa giudicata e confisca di prevenzione, 2024, Milano, 97.

[59] Gli obblighi di adeguamento gravanti sugli Stati nei confronti dei ricorrenti derivano dall’art. 46 CEDU, che impone alle parti contraenti di “impegnarsi a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie in cui sono parti”.

[60] F. Menditto, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Diritto Penale Contemporaneo, 4/2017, 155; Corte Cost., n. 349 del 2007.

[61] Corte Cost., n. 1 del 2013.

[62] Corte Cost., n. 311 del 2009.

[63] Corte EDU, Sez. I, 8 luglio 2021, Maestri e altri c. Italia, n. 20903/15.

[64] Cass. Pen., Sez. I, 21 settembre 2021, n. 45179.

[65] Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, n. 66655/13.

[66] Cass. Pen., Sez. Un., 24 ottobre 2019, n. 8544, con nota di S. Bernardi, Le Sezioni unite chiudono la saga dei “fratelli minori” di Bruno Contrada: la sentenza Contrada c. Italia non può produrre effetti erga omnes, in Sistema Penale, 11 marzo 2020.

[67] Corte Cost., 7 aprile 2011, n. 113. In dottrina, M. Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. Pen., 2011, 3308. Lo strumento in parola è stato superato dalla “Riforma Cartabia” mediante l’introduzione dell’art. 628 bis c.p.p…

[68] Cass. Pen., Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 21635.

[69] 27 febbraio 2019.

[70] Cass. Pen., Sez. Un., 16 dicembre 2021, n. 3513, Fiorentino, con nota di D. Albanese, Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 sui provvedimenti definitivi: le Sezioni unite ammettono la revocazione delle confische disposte per la fattispecie di pericolosità ‘generica’ dichiarata costituzionalmente illegittima e ne individuano il fondamento nell’art. 28, co. 2, d.lgs. 159/2011, in Sistema Penale, 7 febbraio 2022.

[71] Cass. Pen., Sez. I, 1 aprile 2019, n. 27696, in CED Cass., n. 275888-01.

[72] Così, esplicitamente, la relazione di accompagnamento del d.lgs. n. 159 del 2011.

[73] Tra le diverse opzioni interpretative avanzate, nella assoluta lacunosità dell’apparato normativo recato dal d.lgs. n. 159 del 2011, è prevalsa quella che assegna alla menzionata disposizione tale ruolo, suscettibile di dare rilevanza a ipotesi revocatorie diverse da quelle tipiche. Sul tema, D. Albanese, Cosa giudicata e confisca di prevenzione, 2024, Milano, 152 ss.; G. Luparello, Art. 28, in Commentario breve al Codice Antimafia e alle altre procedure di prevenzione, a cura di G. Spangher, A. Marandola, Milano, 2019, 152.

[74] Cass. Pen., Sez. Un., 13 dicembre 1995, Clarke, in Foro It., 1996, 6, 343 ss..

[75] Affermazione, questa, successivamente condivisa ancheda Cass. Pen., Sez. Un., 17 maggio 2004, n. 23016, Pezzella.

[76] Cass. Pen., Sez. Un., 16 dicembre 2021, n. 3513, Fiorentino, con nota di D. Albanese, Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019 sui provvedimenti definitivi: le Sezioni unite ammettono la revocazione delle confische disposte per la fattispecie di pericolosità ‘generica’ dichiarata costituzionalmente illegittima e ne individuano il fondamento nell’art. 28, co. 2, d.lgs. 159/2011, in Sistema Penale, 7 febbraio 2022.

[77] D’altro canto, la sentenza De Tommaso c. Italia della Corte di Strasburgo, specificamente attinente alla sola libertà di circolazione di cui all’art. 2 Protocollo Addizionale n. 4, ha dato origine alla sentenza della Consulta n. 24 del 2019, involgente pure la protezione della proprietà di cui all’art. 1 Protocollo Addizionale e pertanto riguardante sia le misure personali che le misure patrimoniali.

[78] Corte EDU, Sez. II, 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia.

[79] Non è invero revocabile in dubbio, a parere di chi scrive, come la presa di coscienza della natura della confisca di prevenzione e dell’oggetto dell’accertamento del correlato procedimento applicativo imponga di riconoscerne autonomia e peculiarità, del tutto differenziando tale istituto dalle misure di prevenzione personali, con le quali condivide il solo presupposto soggettivo di applicazione, la pericolosità, ma rispetto alle quali si differenzia in via essenziale e fondante per essere unicamente rivolta al passato e del tutto indifferente alla attualità della stessa e dunque alla probabilità che vengano posti in essere in futuro illeciti penali. Alcun rapporto intercorre attualmente, ne deriva, tra misure di prevenzione personali e patrimoniali, istituti diversi, aventi natura e finalità differenti, incidenti nel primo caso sulla libertà perché rivolte al futuro e nel secondo caso sul patrimonio perché rivolte al passato. Nella direzione evocata, a fronte di un sistema che appare concepito a maglie larghe al fine precipuo di consentire improprie sovrapposizioni tra il procedimento penale e il procedimento di prevenzione, la giustizia penale moderna assume, al termine dell’evoluzione, una innaturale connotazione patrimoniale: il soggetto responsabile o presunto tale viene inciso nel patrimonio e non più nella libertà personale, non già avendosi di mira con l’ablazione alla contrazione delle sue future possibilità delittuose ma, concretamente, alla irrogazione di una sanzione – incidente su beni costituzionali di grado minore – in relazione a pregresse, in gran parte solo presunte o sospette, attività illecite. Secondo questa prospettiva, è oggi in atto una progressiva fuga dal sistema sanzionatorio penale e, conseguentemente, dal processo penale, di cui il processo di prevenzione rappresenta una sorta di surrogato deformalizzato. Ciò porta a riconoscere funzione repressiva e sanzionatoria alla confisca. Per una compiuta ricostruzione dei diversi orientamenti sul tema, F. Basile, Manuale delle misure di prevenzione Profili sostanziali, Torino, 2021, 196 ss.

[80] Con correlata inoperatività degli artt. 6 (nel suo volet pénal) e 7 CEDU.

[81] Ex multis, Corte EDU, Sez. V, 26 novembre 2011, Gochev c. Bulgaria, secondo cui è essenziale – nell’ottica costituzionale così come in quella convenzionale – che l’interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa.

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