Giudizio di esecuzione e diritto alla conoscenza del procedimento: riflessioni de iure condito e de iure condendo

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’avviso di fissazione dell’udienza nel giudizio di esecuzione. – 3. Quali regole per le notifiche in executivis? 4. La notifica del primo atto nel procedimento di cognizione…e in quello di esecuzione. – 5. Le condizioni per una notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza a mezzo del servizio postale. – 6. Quid iuris nell’impossibilità di una notifica a mani? – 7. Una soluzione interpretativa in attesa del legislatore.

ABSTRACT

Il contributo affronta il tema della necessaria conoscenza, da parte dell’interessato, dell’atto di vocatio in ius nel giudizio di esecuzione penale. Dopo aver ricostruito il sistema delle notifiche alla luce delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia, l’autore critica l’orientamento giurisprudenziale che esclude, nella fase esecutiva, l’applicazione delle garanzie previste per il giudizio di cognizione in materia di conoscenza del procedimento. Alla luce dei principi costituzionali e convenzionali in materia, propone, altresì, un’interpretazione costituzionalmente orientata che consenta di estendere al giudizio di esecuzione – in via esegetica o attraverso un giudizio incidentale di legittimità – alcune tutele previste in tema di processo in assenza, ovvero la disciplina prevista dall’art. 598-ter c.p.p.

The contribution addresses the issue of the individual’s necessary awareness of the vocatio in ius in criminal enforcement proceedings. After reconstructing the system of notifications in light of the changes introduced by the Cartabia reform, the author critiques the prevailing case law, which, in the enforcement phase, excludes the application of the safeguards established for the trial phase concerning the defendant’s awareness of the proceedings. In light of the relevant constitutional and conventional principles, the author also proposes a constitutionally oriented interpretation that would allow for the extension to the enforcement phase – either through interpretation or by means of an incidental constitutionality review – of certain safeguards applicable to proceedings held in absentia, as well as the rules set out in art. 598-ter of the Italian Code of Criminal Procedure.

  1. Premessa. 

Il tema oggetto di riflessione riguarda il diritto dell’interessato ad essere informato della celebrazione del giudizio di esecuzione e inevitabilmente, al fine di valutare l’effettiva tutela di tale diritto, l’analisi investe anche la questione della possibilità di celebrare tale giudizio in mancanza della prova che questa conoscenza sia effettivamente avvenuta.

Nonostante qualche apertura in dottrina[1], la giurisprudenza di legittimità e quella costituzionale[2] hanno tendenzialmente escluso l’applicazione, nel giudizio di esecuzione, delle regole introdotte dall’art. 9 l. 28 aprile 2014, n. 67, in materia di giudizio in absentia[3], che hanno comportato l’eliminazione dal sistema processuale dell’istituto della contumacia, già ritenuto incompatibile con il giudizio di esecuzione[4]. Ma non può pensarsi che l’effettiva conoscenza del procedimento – che le citate norme mirano a garantire, consentendo la celebrazione solo in presenza di una volontaria “sottrazione” a tale conoscenza – sia un principio che debba rimanere inattuato in fase esecutiva: vi osta, infatti, la previsione di cui all’art. 24, comma 2, Cost., secondo cui «la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».

Nell’attuazione del principio in questione, d’altronde, non si può discernere tra fase di cognizione e fase esecutiva: una tale distinzione, infatti, si palesa anacronistica[5] e irrilevante, soprattutto nell’ipotesi in cui, nel giudizio di esecuzione, possano essere adottate decisioni che, come all’esito della fase di cognizione, hanno la capacità di incidere negativamente sulla libertà personale dell’individuo (classico esempio è rappresentato della revoca della sospensione condizionale già concessa).

La domanda da porsi è, dunque, se, nel contesto normativo attuale, dovendosi celebrare un giudizio di esecuzione che possa determinare effetti pregiudizievoli sul condannato, debba o meno ritenersi esistente un obbligo di procedere alla celebrazione del procedimento solo dopo aver maturato la certezza che l’interessato abbia effettiva conoscenza della sua apertura.

A questa domanda cercheremo di dare risposta nel prosieguo; ma andiamo per ordine, perché i punti da toccare sono molteplici.

2. L’avviso di fissazione dell’udienza nel giudizio di esecuzione.

Come noto, l’art. 666 c.p.p. prevede che, nell’ipotesi in cui l’istanza di avvio del procedimento non debba essere dichiarata inammissibile (perché manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero in quanto mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi), il giudice o il presidente del collegio debbano designare un difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo e fissare la data dell’udienza in camera di consiglio[6], facendone dare avviso, almeno dieci giorni prima della data dell’udienza[7], alle parti e ai difensori[8].

Il primo aspetto da analizzare è, a nostro modo di vedere, la natura di tale avviso.

Si tratta, a tutti gli effetti, di un atto di vocatio in iudicium, equiparabile al decreto di citazione nel procedimento ordinario[9], che deve contenere l’indicazione di data, luogo e ora dell’udienza e deve riportare, anche in forma succinta o per relationem ad atti già conosciuti[10], l’oggetto del procedimento[11]. La funzione di questo avviso, infatti, è quella di informare adeguatamente l’interessato sull’oggetto del procedimento e sulla sua celebrazione, affinché possa predisporre una difesa mirata, effettiva ed efficace. In questa prospettiva, alla luce del principio del contraddittorio e della necessaria partecipazione del pubblico ministero e del difensore, l’avviso assume la natura di una vocatio in iudicium, equiparabile al decreto che dispone il giudizio, con conseguenze analoghe in relazione a mancanze del suo contenuto o in caso di omissione o invalidità della notifica stessa.

Così inquadrato l’atto, la questione fondamentale è quella di verificare attraverso quale modalità debba essere notificato all’interessato al fine di poter ritenere sussistente la certa conoscenza del procedimento, assicurando il suo diritto di parteciparvi e difendersi. Più specificamente, è da valutare la legittimità di una notificazione, che non sia eseguita a mani dalla polizia giudiziaria ma venga effettuata a mezzo del servizio postale e si perfezioni, magari, con la compiuta giacenza: ciò che, stando alla prassi degli uffici giudiziari, accade molto spesso.

Ebbene, per meglio comprendere il profilo in questione, è imprescindibile ricostruire brevemente – negli stretti limiti che qui interessano – il sistema delle notifiche, onde valutare se la regola introdotta dalla “riforma Cartabia” – secondo cui la prima notifica all’imputato, quando non possibile per via telematica, dovrebbe avvenire necessariamente ed esclusivamente a mani[12] – possa dirsi applicabile anche al giudizio di esecuzione.

3. Quali regole per le notifiche in executivis?

Va premesso che, non essendo dettate regole specifiche per le notificazioni in relazione al procedimento di esecuzione, in esso devono seguirsi, se compatibili, le regole generali dettate, in materia, nel libro II del codice di rito: ciò in ragione del condivisibile principio – al quale costantemente si rifà la giurisprudenza – secondo cui nella fase di esecuzione devono considerarsi estese al soggetto interessato, in quanto compatibili, tutte le garanzie previste per l’imputato nel procedimento di cognizione. Un’affermazione, questa, che si rinviene a chiare lettere nelle plurime pronunce del Supremo Collegio che hanno escluso la legittimità, nella fase di esecuzione, di una notificazione nel domicilio che era stato eletto o dichiarato durante il giudizio di cognizione[13], non estendendosi gli effetti di tale elezione o dichiarazione del domicilio oltre il passaggio in giudicato della sentenza.

La Corte di legittimità, pertanto, pur riconoscendo che la fase dell’esecuzione è diversa da quella della cognizione per forma e contenuto[14], ritiene che ad essa debbano applicarsi le garanzie riconosciute nel giudizio di cognizione e, a tal fine, impone il rispetto delle medesime regole dettate per quest’ultimo, soprattutto in riferimento alla vocatio in iudicium; è per questa ragione, d’altronde, che l’omesso avviso dell’udienza al condannato nel giudizio di esecuzione è stato ritenuto – molto correttamente – integrare una nullità assoluta ex art. 178, lettera c), e 179 c.p.p.[15], mentre la sua incompletezza – come già osservato[16] – è considerata integrare una nullità a regime intermedio.

4. La notifica del primo atto nel procedimento di cognizione…e in quello di esecuzione.

Fatta questa premessa, è evidente che, nel mutato quadro del sistema delle notifiche ad opera della “riforma Cartabia”, la notifica del primo atto del procedimento di esecuzione – generalmente coincidente con l’avviso indicato nell’art. 666 c.p.p. – debba essere eseguita a mani dell’interessato. Non vi è spazio, infatti, per un’interpretazione differente – peraltro meno garantista – vista l’attuale stesura testuale dell’art. 157 c.p.p., secondo cui, per quanto qui rileva, «la prima notificazione all’imputato non detenuto, che non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 161, comma 01, è eseguita mediante consegna di copia dell’atto in forma di documento analogico alla persona».

Ciò che vogliamo osservare, insomma, è che, anche nel giudizio di esecuzione così come nel giudizio di cognizione, la prima notifica deve essere effettuata a mani dell’interessato.

Senonché, lo scenario si fa più complesso, considerato che, al fine di rendere più efficiente il sistema, la riforma Cartabia ha stabilito che, successivamente alla prima notifica, debbano trasmettersi personalmente all’imputato solo gli atti di vocatio in iudicium (specificamente indicati dalla norma[17]) e il decreto penale di condanna.

Peraltro, la prima notificazione che non riguardi uno di questi atti deve compiersi personalmente solo se, prima di essa, non vi è stata la possibilità di fornire all’imputato gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p.: si tratta, in buona sostanza, dell’avvertimento che le successive notificazioni, diverse da quelle riguardanti gli atti sopra citati, saranno effettuate mediante consegna al difensore di fiducia o a quello nominato d’ufficio[18].

Anzi, per agevolare le notificazioni, la riforma ha introdotto anche un adempimento obbligatorio in capo a giudice, pubblico ministero o polizia giudiziaria: oltre a tali avvertimenti, infatti, questi sono tenuti, nel primo atto compiuto nei confronti dell’interessato libero, ad invitarlo ad eleggere o dichiarare un domicilio valido e ad informarlo che egli è tenuto a comunicarne ogni mutamento. Le conseguenze per l’interessato sono rilevantissime: l’art. 161, comma 1, c.p.p. prevede, infatti, che «in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, nonché nel caso in cui il domicilio sia o divenga inidoneo, le notificazioni degli atti indicati verranno eseguite mediante consegna al difensore, già nominato o che è contestualmente nominato, anche d’ufficio».

Da quanto esposto è possibile trarre una conclusione specifica per il giudizio di esecuzione: la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza ex art. 666 c.p.p. deve eseguirsi a mani dell’interessato e non è possibile, peraltro, presso un domicilio eletto o dichiarato, posto che, nell’id quod plerumque accidit, in fase esecutiva tale notifica non è preceduta da alcun atto compiuto alla presenza dell’interessato in occasione del quale sia stato possibile fargli eleggere o dichiarare il domicilio.

5. Le condizioni per una notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza a mezzo del servizio postale.

Considerato, dunque, che, nel giudizio di esecuzione, dichiarazione o elezione di domicilio non rappresentano un passaggio obbligato e che alla prima notificazione si arriva, di regola, senza un previo contatto dell’interessato con la polizia giudiziaria, deve ritenersi che, nel pieno rispetto della previsione legislativa, la prima notifica possa essere eseguita, ai sensi dell’art. 170 c.p.p. e ai fini di cui all’art. 157-ter c.p.p., «anche col mezzo degli uffici postali, nei modi stabiliti dalle relative norme speciali»: per una notifica a mani, infatti, il ricorso alla polizia giudiziaria non è previsto dalla legge, ben potendo questa essere effettuata dall’addetto al servizio di recapito postale.

Ciò premesso, assume, però, importanza fondamentale il fatto che la notifica, in queste ipotesi, venga effettuata a mani dell’interessato, non potendosi ricorrere al sistema presuntivo della compiuta giacenza: d’altronde, se è vero che, anche in fase esecutiva, le garanzie riconosciute all’imputato devono essere le medesime del giudizio di cognizione, è imprescindibile avere certezza della legale conoscenza dell’atto di vocatio in iudicium, ciò che può conseguirsi attraverso una notifica idonea a garantire la possibilità di produrre conoscenza dell’atto[19]. Certezza che, d’altronde, non può dirsi sussistente qualora la notifica si perfezioni attraverso un meccanismo presuntivo, vieppiù nell’ipotesi in cui essa non venga fatta presso un domicilio dichiarato o eletto, bensì nei luoghi indicati dall’art. 157 c.p.p.

L’atto di vocatio in iudicium – tale essendo, a tutti gli effetti, l’avviso ex art. 666 c.p.p. – richiede, infatti, per la sua validità, la certezza della legale conoscenza, da parte dell’interessato, della data e del luogo dell’udienza fissata, al fine di potervi partecipare ed esercitare il proprio diritto di difesa. E non è un caso che l’art. 420-bis, comma 1, c.p.p. consenta al giudice di procedere in assenza – salva l’ipotesi dell’espressa rinuncia a comparire o a far valere un impedimento ed esclusa l’ipotesi in cui l’assenza appaia frutto di una scelta volontaria e consapevole – quando l’imputato, che non sia presente, «è stato citato a comparire a mezzo di notificazione dell’atto in mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell’atto».

Pertanto, due sono i requisiti per poter ritenere sussistente l’effettiva conoscenza del procedimento e, per l’effetto, procedere alla sua celebrazione: la consegna della vocatio in iudicium a mani dell’interessato oppure la consegna a mani di un suo domiciliatario[20]; come si è detto, però, questa seconda ipotesi non pare praticabile nel giudizio di esecuzione attivato su istanza del pubblico ministero[21]: ne consegue che la notifica deve essere effettuata necessariamente a mani dell’interessato.

6. Quid iuris nell’impossibilità di una notifica a mani?

Arriviamo, dunque, alla questione fondamentale e interroghiamoci sul reale quesito da porsi, ovvero sulle conseguenze dell’impossibilità di procedere ad una notifica a mani; comprendere cosa deve accadere in questa ipotesi è essenziale per inquadrare quanto effettiva sia la garanzia riconosciuta all’interessato circa la conoscenza del procedimento.

Si è detto, in premessa, che l’orientamento giurisprudenziale esclude l’applicazione, nel procedimento di esecuzione, delle disposizioni dettate in tema di assenza, sicché, a seguire tale impostazione, anche una notificazione conclusa con una compiuta giacenza comporterebbe l’instaurazione di un valido contraddittorio; si è, però, dimostrato che, a seguito della riforma Cartabia, l’atto di vocatio in iudicium non può che essere notificato a mani, non solo nel giudizio di cognizione ma anche in quello di esecuzione.

A fronte di questa novità, merita, allora, di essere rivista anche quell’interpretazione che esclude l’applicabilità, al giudizio di esecuzione, della normativa sull’assenza: se vale il principio ricordato all’inizio secondo cui «nella fase di esecuzione devono considerarsi estese al soggetto interessato, in quanto praticabili, tutte le garanzie previste per l’imputato nel procedimento di cognizione»[22], non è pensabile che, in assenza dell’interessato e in mancanza della prova della certa conoscenza dell’udienza fissata, possa ritenersi comunque validamente integrato il contraddittorio.

Un dato è certo: la Corte costituzionale, seppure in un obiter dictum[23], ha escluso la possibilità di un’applicazione indiscriminata delle disposizioni degli artt. 420-bis e ss. c.p.p. Il Giudice delle leggi, infatti, è stato in passato chiamato a pronunciarsi sulla medesima questione oggetto del nostro scrutinio, essendo stata dedotta l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, dell’art. 9 l. 28 aprile 2014, n. 67 (che introdusse nel codice di rito la disciplina dell’assenza), nella parte in cui «non prevede che la disciplina ivi recata si applichi anche alla costituzione delle parti in sede di incidente d’esecuzione ex art. 666 c.p.p.; ciò, quanto meno, laddove nei confronti del soggetto interessato a esercitare i propri diritti di difesa venga sollecitata al giudice una statuizione per lui pregiudizievole»[24].

La Corte, nell’occasione, dichiarò inammissibile la questione osservando che il rimettente era incorso in errore nell’individuazione della norma censurata, che avrebbe dovuto essere l’art. 666 c.p.p. – nella parte in cui non prevede l’applicazione delle disposizioni introdotte dall’art. 9 l. 28 aprile 2014, n. 67 – e non direttamente queste ultime. Nell’argomentare, però, non si limitò ad una dichiarazione di inammissibilità tout court, ma andò oltre.

Il Giudice delle leggi, infatti, si spinse fino ad osservare che, comunque, «il tasso di manipolatività richiesto a questa Corte, al fine di rendere operante in sede esecutiva la disciplina del procedimento in assenza, concreterebbe l’invasione di un campo, quale quello della conformazione degli istituti processuali, riservato alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della manifesta irragionevolezza».

Secondo la Corte, in buona sostanza, non sarebbe possibile estendere tout court al procedimento di esecuzione le norme degli artt. 420-bis, 420-quater e 420-quinquies c.p.p., essendo queste specificamente congegnate per il giudizio di cognizione[25]; ciò con la conseguenza che una loro applicazione alla fase esecutiva potrebbe creare “frizioni” all’interno del sistema[26]. Non solo: una trasposizione integrale delle norme in questione sarebbe difficile nel procedimento esecutivo essendo talune di esse dettate per finalità tipiche del giudizio di cognizione [27]. Per il Giudice delle leggi, dunque, la soluzione sollecitata dal giudice a quo non sarebbe stata l’unica possibile, risultando comunque, eccedente rispetto all’obiettivo perseguito, che, all’epoca, era quello di poter disporre la sospensione del procedimento[28].

Ebbene, se, in linea generale, la scelta della Corte di non sostituirsi al legislatore deve ritenersi condivisibile, dobbiamo, però, rilevare l’esistenza di un vulnus significativo ai diritti dell’interessato, che postula urgentemente l’intervento del legislatore. Infatti, anche optando per la notifica a mani dell’interessato, deve rilevarsi l’assenza di una disciplina che indichi come procedere.

Si tratta di una lacuna normativa particolarmente grave, che determina la violazione non solo dell’art. 111 Cost. ma anche dell’art. 6 CEDU: ciò che fa assumere alla questione una dimensione non più limitata al solo profilo interno ma estesa a quello convenzionale. D’altronde, secondo la Corte EDU, mentre le procedure riguardanti l’esecuzione delle pene[29] non rientrano nel campo di applicazione della citata disposizione convenzionale, vi rientra l’esecuzione di una sentenza, essendo la sua esecuzione una parte integrante del processo[30].

Una delle garanzie fondamentali dell’art. 6 CEDU è rappresentata, infatti, dal riconoscimento del diritto dell’interessato di partecipare all’udienza[31], con correlativo obbligo per le autorità nazionali di garantire tale diritto[32]; ciò che deve essere fatto attraverso un avviso dell’esistenza di un processo penale a carico dell’imputato che risponda a condizioni di forma e di sostanza idonee a garantire l’esercizio effettivo del diritto di partecipare al processo, non potendosi altrimenti parlare di rinuncia non equivoca al diritto di comparire[33]. Le autorità giudiziarie nazionali, pertanto, devono dare prova della dovuta diligenza nel garantire la presenza dell’accusato, convocandolo debitamente[34] e adottando ogni misura necessaria ad evitare un’assenza ingiustificata in udienza[35]. Per la Corte EDU, infatti, non è sufficiente che la notifica sia effettuata secondo le disposizioni del diritto interno, poiché ciò non esonera lo Stato dagli obblighi che gli incombono ai sensi della citata disposizione convenzionale[36].

7. Una soluzione interpretativa in attesa del legislatore.

E allora, dato il diniego della Corte costituzionale, nell’attesa che intervenga il legislatore è il caso di prospettare soluzioni, costituzionalmente orientate, che mutuino, anche selettivamente, la propria disciplina da quella già prevista dalla legge.

La giurisprudenza ha ritenuto, a lungo, che il campo di applicazione degli artt. 420-bis e ss. c.p.p. sia diverso dal giudizio di esecuzione sul presupposto che tali norme riguarderebbero il diverso tema della effettiva conoscenza dell’accusa, che il giudice sarebbe chiamato a verificare non solo mediante il controllo della regolarità formale della citazione a giudizio, ma anche accertando che l’imputato abbia avuto un’effettiva conoscenza dell’accusa a suo carico o che a tale conoscenza si sia volontariamente sottratto[37]. L’impostazione giurisprudenziale, in buona sostanza, è stata incentrata sul fatto che, nel giudizio di esecuzione, si discute di vicende successive alla formazione del giudicato (che postulerebbe l’effettiva conoscenza dell’accusa), con la conseguenza che in esso difetterebbe il requisito essenziale previsto dalle disposizioni in materia di assenza, ovvero la verifica dell’effettiva conoscenza, da parte dell’imputato, dell’accusa formulata nei suoi confronti: ciò perché, nel giudizio di esecuzione, un accusa mancherebbe.

Ed è questo un aspetto sul quale non possiamo essere d’accordo.

Se è vero che nel giudizio di esecuzione non è presente un’ “accusa penale” in senso tecnico, non può negarsi che, nei casi di cui discorriamo, il giudizio è attivato da una richiesta avanzata al giudice che ha conseguenze penali, nel senso che dal suo eventuale accoglimento discendono conseguenze in punto di pena. L’ipotesi della revoca della sospensione condizionale citata in premessa ne è un chiaro esempio, considerato che una decisione in tal senso può, addirittura, comportare l’immediata esecuzione intra moenia di una condanna fino a quel momento non eseguibile[38].

Peraltro, che vi sia anche nel giudizio di esecuzione un’ “accusa penale” della quale l’interessato debba essere edotto al fine di difendersi, è una circostanza confermata dall’importanza che è riconosciuta dalla giurisprudenza all’indicazione, nell’avviso di fissazione dell’udienza, dell’oggetto del giudizio[39], riconosciuto necessario nonostante manchi una previsione negli artt. 666 e 127 c.p.p.[40].

La Corte di cassazione, infatti, ha ritenuto affetto da nullità generale a regime intermedio – ex artt. 178, comma 1, lett. c), e 180 c.p.p. – il provvedimento di revoca della sospensione condizionale della pena quando l’avviso di fissazione dell’udienza non contiene l’indicazione, sia pure in forma succinta, dell’oggetto del procedimento[41]: l’ipotesi era quella di una revoca della sospensione condizionale avvenuta, ex officio, in un giudizio di esecuzione attivato dal condannato per l’applicazione della continuazione tra reati oggetto di più sentenze. Ma analogo vizio è stata ravvisato anche in presenza di un avviso di fissazione dell’udienza che indicava genericamente, quale oggetto della stessa, la «revoca dei benefici»: una dicitura che, secondo il Giudice nomofilattico, non poneva l’interessato nella condizione di comprendere a quale beneficio si facesse riferimento, così impedendogli di predisporre un’effettiva difesa[42].

Se a ciò si aggiunge che l’omissione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale costituisce, a tutti gli effetti, un’ipotesi di nullità ex artt. 178, lett. c), e 179 c.p.p., equivalente al caso dell’omessa citazione per il dibattimento[43], si comprende che, in entrambi i giudizi (cognizione ed esecuzione), possono aversi conseguenze dirette o mediate sulla libertà personale, sicché diviene fondamentale – essendo, d’altronde, imposto dall’art. 24, comma 2, Cost. – riconoscere il medesimo livello di garanzie.

D’altronde, anche se la giurisprudenza minimizza sul punto[44], l’applicazione nel giudizio di esecuzione, seppur limitata, di alcune disposizioni previste dagli artt. 420-bis e ss. c.p.p. è già avvenuta: è il caso del riconoscimento dell’impedimento del difensore per concomitante impegno professionale o per motivi di salute[45]; una tale evoluzione normativa, a fronte di un’impostazione di segno contrario, rappresenta una presa di coscienza della necessità del riconoscimento di un medesimo, più ampio, standard di tutele.

Alla luce di quanto osservato, pertanto, l’art. 24, comma 2, Cost. impone l’applicazione, nel giudizio di esecuzione, dei principi dettati nel giudizio di cognizione in materia di assenza: ciò che potrà avvenire, a nostro modo di vedere, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata ovvero, ancor meglio, attraverso un giudizio incidentale di costituzionalità.

Questa volta, infatti, dovrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale dell’art. 666 c.p.p. nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’art. 598-ter, comma 2, c.p.p.: una norma che, quando in passato si pronunciò la Corte costituzionale, ancora non esisteva.

La riforma Cartabia, infatti, ha introdotto nel sistema una specifica causa di sospensione del procedimento applicabile in grado di appello nell’ipotesi in cui l’imputato non appellante[46] non sia presente e non risultino soddisfatte le condizioni per procedere in assenza[47]: una disciplina snella, che riteniamo facilmente applicabile al caso di specie, in cui l’istanza di incidente di esecuzione promana dal pubblico ministero, senza stravolgimenti di sistema.

 L’art. 598-ter, comma 2, c.p.p., infatti, stabilisce che, «in caso di regolarità delle notificazioni, se l’imputato non appellante non è presente all’udienza di cui agli articoli 599 e 602 e le condizioni per procedere in assenza, ai sensi dell’articolo 420-bis, commi 1, 2 e 3, non risultano soddisfatte, la corte dispone, con ordinanza, la sospensione del processo e ordina le ricerche dell’imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione». La citata disposizione indica, inoltre, il contenuto dell’ordinanza, individuandolo negli avvisi «di cui all’articolo 420-quater, comma 4, lettere b), c) e d)» c.p.p. ed esclude, altresì, esplicitamente l’applicazione delle ulteriori disposizioni di cui agli artt. 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies c.p.p.

Il modus operandi tracciato dal legislatore per l’ipotesi della mancanza delle condizioni per procedere al giudizio di appello in assenza dell’imputato (dopo che una sentenza è stata già emessa) diverge, dunque, da quello indicato per l’udienza preliminare, che consiste nell’adozione di una sentenza di non doversi procedere che segna una battuta d’arresto del procedimento. Poiché, sotto questo profilo, il giudizio di impugnazione e il giudizio di esecuzione sono affini, in quanto entrambi presuppongono la previa adozione di una sentenza (che solo nel secondo caso è divenuta definitiva), la soluzione della sospensione del procedimento pare pacificamente applicabile.

Di più: la scelta del legislatore di escludere l’applicazione delle previsioni contenute nell’art. 420-quater c.p.p. e non espressamente richiamate, oltre a quelle di cui agli artt. 420-quinquies e 420-sexies c.p.p., esclude profili manipolativi dell’eventuale intervento del Giudice delle leggi; le disposizioni in questione – tipicamente dettate per il giudizio di cognizione di primo grado – sono, infatti, già inoperanti per scelta legislativa.

Quanto al contenuto dell’ordinanza di sospensione, essa comprende l’ordine che il procedimento resti sospeso e quello che siano svolte le ricerche dell’imputato[48] (in fase esecutiva, mutatis mutandis, dell’interessato) «ai fini della notificazione del decreto di citazione»: atto al quale è equiparato, nel giudizio di esecuzione, l’avviso di fissazione dell’udienza. Infine, per consentire la ripresa del giudizio senza ulteriori intermediazioni allorquando l’interessato venga individuato, l’ordinanza deve contenere, per espresso richiamo contenuto nell’art. 598-ter, comma 2, c.p.p., gli avvisi di cui all’art. 420-quater, comma 4, lettere b), c) e d), c.p.p., ovvero: «b) […] l’avviso che l’udienza per la prosecuzione del processo è fissata: 1) il primo giorno non festivo del successivo mese di ottobre, se la persona è stata rintracciata nel primo semestre dell’anno; 2) il primo giorno non festivo del mese di marzodell’anno successivo, se la persona è stata rintracciata nel secondo semestre dell’anno; c) l’indicazione del luogo in cui l’udienza si terrà; d) l’avviso che, qualora la persona rintracciata non compaia e non ricorra alcuno dei casi di cui all’articolo 420-ter, si procederà in sua assenza e sarà rappresentata in udienza dal difensore».

Quello sub d), con specifico riferimento al fatto che l’interessato che non compaia in assenza di un legittimo impedimento sarà rappresentato in udienza dal difensore, è sicuramente un avviso ultroneo, irrilevante per il giudizio di esecuzione, nel quale la partecipazione è facoltativa e l’audizione dell’interessato è subordinata ad una sua richiesta. Riteniamo, però, che la sua previsione, per quanto inutile, non rappresenti un problema, se solo si considera che essa è operante per scelta legislativa  – giusto il generico richiamo all’art. 598-ter, comma 2, c.p.p. fatto dal comma 4 dello stesso articolo – anche in relazione all’udienza di cui all’art. 598-bis, ovvero la camera di consiglio non partecipata: udienza nella quale la partecipazione delle parti (e dell’imputato) è a richiesta.

Pertanto, ferma la necessità di un intervento normativo che introduca una disciplina specifica, nell’inerzia del legislatore quella indicata ci sembra una soluzione percorribile, utile ad escludere automatismi e incapace di generare frizioni nel sistema: la considerazione di cui potranno giovarsi gli scettici con il mito dell’efficienza è che se il sistema processuale non è collassato con il superamento del giudizio contumaciale sarà ancora una volta in grado di garantire la propria tenuta.


[1] Per l’applicabilità delle norme sull’assenza cfr. L. Giordano, Il procedimento di esecuzione, in Aa. Vv., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, dir. da G. Spangher – A. Marandola – G. Garuti – L. Kalb, vol. IV, Impugnazioni. Esecuzione penale. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, a cura di L. Kalb, Utet, 2015, p. 665.

[2] Cfr. Cass. Sez. I, 9 settembre 2021, n. 37321, in C.E.D. Cass., n. 281910 e Corte cost. 16 giugno 2016, n. 140, sulle quali avremo modo di soffermarci nella trattazione.  

[3] Per un commento dell’intervento legislativo cfr. C. Conti – P. Tonini, Il tramonto della contumacia, l’alba radiosa della sospensione e le nubi dell’assenza, in Dir. pen. e proc., 2014, p. 509.

[4] Vigente tale istituto, infatti, la giurisprudenza di legittimità ne aveva escluso l’applicabilità al giudizio camerale di esecuzione, sul presupposto che in esso la presenza dell’interessato era prevista solo su sua richiesta: così cfr. Cass., Sez. I, 28 aprile 1995, n. 2583, in C.E.D. Cass., n. 202048. Cfr. anche Cass., Sez. VI, 15 giugno 1992, n. 2245, in Riv. Pen., 1993, p. 646.

[5] Vale la pena osservare che i numerosi vuoti di garanzie rinvenibili nel giudizio di esecuzione sono certamente dovuti al suo storico concepimento quale «appendice del processo («fase» in senso atecnico)», alla quale, nel vecchio codice, era riconosciuta natura amministrativa in contrapposizione alla fase avente «natura giurisdizionale» rappresentata solo dal processo di cognizione: in questi termini cfr. anche G. Canzio, La giurisdizione e la esecuzione della pena, in www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, il quale, peraltro, evidenzia l’esistenza di un processo evolutivo che ha condotto, oggi, ad una relativizzazione della rigida distinzione tra cognizione ed esecuzione.

[6] La dottrina ritiene che il provvedimento di fissazione debba essere un decreto, vista l’identità di funzione rispetto a quello previsto dall’art. 418 c.p.p. o dall’art. 429 c.p.p.: così S. Lorusso, Aspetti problematici del contraddittorio in executivis, in Giust. pen., 1996, III, c. 129.

[7] Il mancato rispetto del termine in questione comporta una nullità di ordine generale a regime intermedio: in questo senso cfr. Cass., Sez. I, 31 gennaio 2024, n. 17091, in C.E.D. Cass., n. 286259; Cass., Sez. III, 31 maggio 2018, n. 41723, in C.E.D. Cass., n. 273942.

[8] Se, in linea generale, l’omessa notifica al difensore dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale determina una nullità di ordine generale a carattere assoluto (in questo senso cfr. ex pluribus, Cass., Sez. Un., 26 marzo 2015, n. 24630, in C.E.D. Cass., n. 263598), con specifico riferimento alla fase dell’esecuzione l’omesso avviso al medesimo difensore di fiducia «non comporta vizi da inosservanza delle norme processuali in materia di contraddittorio» , dato che la nomina del difensore di fiducia per il giudizio di cognizione vale esclusivamente per tale fase processuale e non estende i suoi effetti, salva l’ipotesi di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p., alla fase dell’esecuzione: così Cass., Sez. I, 14 marzo 2018, n. 14177, in C.E.D. Cass., n. 272629 e, successivamente, Cass., Sez. I, 8 luglio 2020, n. 23734, in C.E.D. Cass., n. 279443.

[9] In questo senso cfr. anche F. Corbi – F. Nuzzo, Guida pratica all’esecuzione penale, Giappichelli, 2003, p. 193; del medesimo avviso la giurisprudenza: cfr. Cass., Sez. IV, 22 agosto 1996, n. 2025, in C.E.D. Cass., n. 206463, secondo cui l’avviso di udienza nel procedimento di esecuzione equivale al decreto di citazione nel giudizio di merito.

[10] Così cfr. Cass., Sez. I, 21 maggio 2015, n. 40688, in C.E.D. Cass., n. 264977. In termini analoghi cfr. anche Cass., Sez. III, 14 febbraio 2003, n. 18070, in C.E.D. Cass., n. 224751 che aveva affermato il medesimo principio specificando che ciò doveva avvenire «pur in assenza di un’esplicita previsione» e «al fine di assicurare i diritti del contraddittorio».

[11] In dottrina, per questa conclusione, cfr. F. Corbi, L’ esecuzione nel processo penale, Giappichelli, 1992, p. 209; anche per la giurisprudenza, comunque, l’incompletezza dell’avviso di udienza che non contenga l’oggetto del procedimento costituisce una nullità generale a regime intermedio ex art.178, comma 1, lett. c), c.p.p.: così Cass., Sez. I, 30 aprile 2024, n. 22955, in C.E.D. Cass., n. 286414; Cass., Sez. I, 19 dicembre 2014, n. 53024, in C.E.D. Cass., n. 261663; Cass., Sez. III, 14 febbraio 2003, n. 18070, in C.E.D. Cass., n. 224752; Cass., Sez. I, 24 maggio 2001, n. 26334, in C.E.D. Cass., n. 219179; Cass., Sez. I, 21 ottobre 1996, n. 5411, in C.E.D. Cass., n. 207713; Cass., Sez. IV, 22 agosto 1996, n. 2025, in C.E.D. Cass., n. 206463. Addirittura, Cass., Sez. I, 15 dicembre 2020, n. 35845, in CED Cass. 280205, si è spinta fino a ritenere integrata una nullità assoluta ex artt. 178, comma 1, lett. c), e 179 c.p.p. se il decreto di fissazione dell’udienza camerale reca un’errata indicazione dell’oggetto del procedimento (nella specie, revoca, su richiesta del pubblico ministero, dell’indulto anziché della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale a richiesta di privati): per la Corte, infatti, il vizio in questione sarebbe equiparabile all’omesso avviso dell’udienza alla parte, non essendo quest’ultima stata posta in condizioni di consapevolmente scegliere se partecipare al giudizio e di predisporre un’effettiva ed efficace difesa. Da rilevare, però, che Cass., Sez. I, 14 luglio 2010, n. 33892, in C.E.D. Cass., n. 248177, ha ritenuto legittimo il decreto di fissazione dell’udienza camerale che contenga solo l’indicazione dell’oggetto di esso e non anche delle ragioni per le quali il procedimento stesso è stato avviato, incombendo all’interessato o al suo difensore l’onere di consultare in cancelleria gli atti relativi ed eventualmente estrarne copia.

[12] In argomento cfr. F. Demartis, Le notificazioni nella riforma Cartabia, in Il quotidiano giuridico, 10 marzo 2023; C. Scaccianoce, Le modifiche in tema di notificazioni, in Aa. Vv., La giustizia penale dopo la c.d. Riforma Cartabia, a cura di R.M Geraci, Giappichelli, 2024, p. 139 e ss.

[13] Cfr., ad esempio, Cass., Sez. I, 23 giugno 2004, n. 31589, in C.E.D. Cass., n. 229851, in base alla quale, in tema di notificazioni, l’espressione contenuta nell’art. 164, comma 2, c.p.p., secondo cui la determinazione del domicilio ai fini delle notificazioni è valida “per ogni stato e grado del procedimento”, non può ritenersi idonea a ricomprendere la fase esecutiva e gli autonomi procedimenti che in essa possono essere instaurati; Cass., Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 14930, in C.E.D. Cass., n. 243385, secondo cui la determinazione del domicilio dichiarato o eletto opera solo nel giudizio di cognizione sino alla conclusione irrevocabile dello stesso e non si estende pertanto al giudizio di esecuzione; Cass., Sez. I, 10 ottobre 2013, n. 43551, in C.E.D. Cass., n. 257173, per la quale, in tema di procedimento camerale di esecuzione, è nulla la notifica all’interessato dell’avviso di fissazione di udienza effettuata mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p., per essere divenuta impossibile la notifica presso il domicilio dichiarato nella fase di cognizione; ovvero Cass., Sez. III, 11 aprile 2018, n. 22778, in C.E.D. Cass., n. 273154, secondo cui è nulla la notifica all’interessato effettuata mediante consegna al difensore presso il domicilio eletto nel corso del giudizio di cognizione, perché la sua efficacia non si estende al giudizio di esecuzione.

[14] In questo senso, da tempo, cfr. Cass., Sez. III, 23 novembre 1998, n. 3107, in C.E.D. Cass., n. 212856.

[15] Così, esplicitamente, Cass., Sez. III, 11 novembre 2020, n. 404, in C.E.D. Cass., n. 280189; Cass., Sez. I, 29 settembre 2015, n. 45575, in C.E.D. Cass., n. 265235; Cass., Sez. I, 14 ottobre 2010, n. 39683, in C.E.D. Cass., n. 248679; Cass., Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 14930, in C.E.D. Cass., n. 243385.

[16] In argomento cfr. quanto indicato supra sub nota 10.

[17] Si tratta dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare nonché del decreto di citazione a giudizio ai sensi degli artt. 450, comma 2, 456, 552 e 601 c.p.p.

[18] Secondo la disposizione, l’interessato deve essere, altresì, avvertito «che ha l’onere di indicare al difensore ogni recapito, anche telefonico, o indirizzo di posta elettronica nella sua disponibilità, ove il difensore possa effettuare le comunicazioni, nonché di informarlo di ogni successivo mutamento».

[19] Come ricorda  C. Scaccianoce, Le modifiche in tema di notificazioni, in Aa. Vv., La giustizia penale dopo la c.d. Riforma Cartabia, a cura di R.M Geraci, Giappichelli, 2024, p. 140, la notificazione deve essere idonea a garantire la possibilità di produrre conoscenza e l’avveramento di tale conoscenza «potrà accertarsi solo indirettamente, mediante la prova di eventi di natura esteriore o materiale», assumendo rilevanza anche un altro binomio: «modalità della notificazione e comportamento del destinatario. Prendiamo ad esempio la notificazione a mani proprie. Con essa si dovrebbe avere la certezza che il documento rappresentante l’atto da notificare sia pervenuto nelle mani del destinatario, non di più. Il destinatario, infatti, può non avere voluto prendere conoscenza dell’atto oppure non esserne stato in grado perché analfabeta. Il suo comportamento, tuttavia, non può ostacolare il processo di conoscenza che si innesca con la notificazione, ragione per cui, in certe situazioni, è necessario prevedere delle norme che, in presenza di determinati presupposti, impongano

di considerare conosciuto ciò che non necessariamente è tale, sancendone la legale conoscenza».

[20] Deve precisarsi, comunque, che poiché tale effettiva conoscenza deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di chiamata in giudizio, essa non può desumersi dalla mera dichiarazione o elezione di domicilio operata nella fase delle indagini preliminari se poi la notifica non è fatta in quel determinato luogo: tra le ultime pronunce in questo senso cfr. Cass., Sez. I, 12 novembre 2024, n. 47373, in C.E.D. Cass., n. 287291. In motivazione la Corte ha chiarito che tenuto conto della funzione essenziale della vocatio in iudicium «ai fini dell’esercizio del potere giurisdizionale e punitivo dello Stato nei confronti del cittadino», la notificazione della stessa ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p., «quantunque formalmente regolare, non può dirsi satisfattiva dell’ineludibile esigenza di certezza della compiuta conoscenza del processo da parte dell’accusato».

[21] Se, infatti, l’attivazione del giudizio di esecuzione provenisse dal difensore o direttamente dall’interessato, quest’ultimo ben potrebbe, nel formulare l’istanza, eleggere o dichiarare domicilio per le notifiche.

[22] Così, testualmente, in motivazione Cass., Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 14930, in C.E.D. Cass., n. 243385.

[23] Il riferimento va a Corte cost. 16 giugno 2016, n. 140, relativa ad un caso in cui il giudice rimettente era chiamato a decidere sulla richiesta del pubblico ministero di revocare, ai sensi dell’art. 168, primo comma, numero 2), c.p., il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a un condannato in contumacia, dichiarato irreperibile ai fine della notifica dell’avviso di udienza del procedimento di esecuzione.

[24] Secondo il rimettente, in termini totalmente condivisibili, l’impossibilità di applicare la normativa sull’assenza avrebbe leso«il principio di parità di trattamento normativo di situazioni simili (con riferimento in particolare alla posizione dell’imputato nel procedimento di cognizione), in assenza di ragionevoli motivi che giustifichino la differenza di statuizioni», il diritto di difesa, il principio del giusto processo, nonché i «principi di fair trial di cui al parametro interposto costituito dall’art. 6 CEDU (in quanto richiamato dall’art. 117 c. 1 Cost.)» non ponendosi la persona nei cui confronti si procede in executivis nelle condizioni di poter pienamente esercitare i propri diritti difensivi, necessari per evitare conseguenze pregiudizievoli nei suoi confronti.

[25] Citando un’autorevole precedente, la Corte ricorda l’esistenza di un divario strutturale tra giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione, caratterizzandosi quest’ultimo come un «accertamento giudiziale a contenuto limitato» rispetto al primo, che è invece contraddistinto dall’accertamento del fatto oggettivo e della sua riferibilità all’imputato. Vi è da rilevare, però, che questa distinzione fu usata dalla giurisprudenza di legittimità per riconoscere un più ampio diritto all’interessato: infatti, Cass., Sez. Un., 21 gennaio 2010, n. 18288, in C.E.D. Cass., n. 246651, muovendo dal presupposto che nel procedimento di esecuzione non si ha mai un giudizio di merito sul fatto, ritenne applicabile una diversa regolamentazione dell’efficacia preclusiva della decisione, con possibilità di considerare le richieste dell’interessato suscettibili di essere riproposte in qualsiasi momento, con il solo limite, previsto dall’art. 666, comma 2, c.p.p., che la nuova istanza non costituisca mera riproposizione di altra già rigettata, basata sui “medesimi elementi”. Per l’effetto, le Sezioni Unite arrivarono ad affermare che il mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione del massimo consesso della Corte di cassazione, integrando un nuovo elemento di diritto rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell’indulto in precedenza rigettata. In motivazione, d’altronde, la Corte precisò che tale soluzione era da considerarsi imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale.

[26] Si pensi, a seguito della modifica operata dalla riforma Cartabia, alla nuova previsione di cui all’art. 420-quater c.p.p., che contempla non più la sospensione del procedimento, ma la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere: se applicata alla fase esecutiva rappresenterebbe certamente un’inusuale definizione del giudizio. Sul tema cfr. A. Mangiaracina, La rimodulazione del processo in assenza ed i nuovi rimedi post iudicatum, in Aa. Vv., La giustizia penale dopo la c.d. Riforma Cartabia, a cura di R.M Geraci, Giappichelli, 2024, p. 298.

[27] Alcune norme, infatti, sono dettate per finalità tipiche del giudizio di cognizione e non sono applicabili a quello di esecuzione: ciò anche a seguito dei ritocchi operati alla disciplina dell’assenza dalla riforma Cartabia.

[28] Oggi, peraltro, l’art. 420-quater c.p.p. è stato modificato dalla riforma Cartabia e la sospensione del procedimento con verifiche periodiche circa il reperimento dell’imputato è stata sostituita con la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere da notificarsi a quest’ultimo.

[29] Un esempio è rappresentato dalle richieste di amnistia: Corte EDU, Sez. II, 13 maggio 2003, Montcornet De Caumont c. Francia, n. 59290/00; o dalle procedure di liberazione condizionale: Corte EDU, 7 maggio 1990, Aldrian c. Austria, n. 16266/90.

[30] Per questa conclusione cfr. Corte EDU, Grande Camera, 8 aprile 2004, Assanidzé c. Georgia, n. 71503/01, § 181; Corte EDU 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia, n. 18357/91, § 40; Corte EDU, Sez. I, 7 maggio 2002, Burdov c. Russia, n. 59498/00, §§ 34-35; Corte EDU, Sez. III, 6 marzo 2003, Jasiūnienė c. Lituania, n . 41510/98, § 27.

[31] Corte EDU, Sez. II, 25 ottobre 2016, Arps c. Croazia, n. 23444/12, § 28; Corte EDU, Grande Camera, 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia, n.18114/02, §§ 58-59.

[32] Sul punto deve registrarsi un progresso sul piano delle garanzie conseguito grazie alla previsione, nell’art. 666, comma 4, c.p.p., del diritto di partecipazione a distanza del detenuto o internato che si trovi fuori dalla circoscrizione del giudice dell’esecuzione: tema che meriterebbe autonoma trattazione.

[33] Corte EDU, Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, n. 56581/00, §§ 81-84; già Corte EDU, 28 agosto 1991, Cat Berro c. Italia, n. 12151/86, aveva posto l’accento sulla necessità di una chiara rinuncia da parte dell’imputato al suo diritto di partecipare al giudizio e sull’imprescindibilità di una verifica preliminare sul punto da parte del giudice che procede.

[34] Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, n. 9024/80, § 32; Corte EDU, Sez. II, 12 giugno 2018, M.T.B. c. Turchia, n. 47081/06, §§ 49-53.

[35] Corte EDU, Sez. II, 14 giugno 2001, Medenica c. Svizzera, n. 20491/92, § 54.

[36] Corte EDU, Sez. II, 12 giugno 2018, M.T.B. c. Turchia, n. 47081/06, §§ 49-53.

[37] In questo senso cfr. Cass. Sez. I, 9 settembre 2021, n. 37321, in C.E.D. Cass., n. 281910, che richiama, in motivazione, Cass., Sez. Un., 28 novembre 2019, n. 23948, in C.E.D. Cass., n. 279420.

[38] In questo senso l’ipotesi citata differisce, ad esempio, da quella dell’applicazione, in executivis, dell’indulto o dell’amnistia: una richiesta che, quand’anche promani dall’organo di accusa, può comportare solo effetti positivi sull’imputato.

[39] Importanza che la dottrina ha sempre enfatizzato: A. Gaito – G. Ranaldi, L’esecuzione penale, Giuffré, 2016, p. 222 e ss.; A. Gaito – G. Ranaldi, Esecuzione penale, Giuffré, 2005, p. 107; F. Corbi – F. Nuzzo, Guida pratica all’esecuzione penale, Giappichelli, 2003, p. 192; G. Catelani, Manuale dell’esecuzione penale, Giuffré, 2002, p. 234 e ss.; T. Della Marra, I controlli sull’esecuzione dei provvedimenti del giudice penale e sull’esecuzione penitenziaria, in Aa.Vv., Le impugnazioni penali, a cura di A. Gaito, vol. II, Utet, 1998, p. 1048; S. Lorusso, Aspetti problematici del contraddittorio in executivis, in Giust. pen., 1996, III, c. 129; F. Corbi, L’ esecuzione nel processo penale, Giappichelli, 1992, p. 209.

[40] Per questa esplicita osservazione cfr. anche F. Corbi – F. Nuzzo, Guida pratica all’esecuzione penale, Giappichelli, 2003, p. 192.

[41] Per questa conclusione, finalizzata ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, cfr. Cass., Sez. I, 30 aprile 2024, n. 22955, in C.E.D. Cass., n. 286414, e, in precedenza, Cass., Sez. I, 21 maggio 2015, n. 40688, in C.E.D. Cass., n. 264977.

[42] Così Cass., Sez. I, 19 dicembre 2014, n. 53024, in C.E.D. Cass., n. 261663.

[43] Cfr., ex pluribus, Cass., Sez. III, 11 novembre 2020, n. 404, in C.E.D. Cass., n. 280189, secondo cui, nel procedimento di esecuzione, l’omesso avviso all’interessato della fissazione della data di udienza è causa di nullità di ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, per effetto della estensiva applicazione delle regole dettate per l’omessa citazione dell’imputato e del suo difensore nei casi in cui ne sia obbligatoria la presenza. Peraltro, l’avviso di fissazione dell’udienza non è solo funzionale alla partecipazione all’udienza stessa (peraltro facoltativa e non obbligatoria per l’interessato), ma, come si è correttamente sostenuto, è strumentale al deposito di memorie che possono essere presentate sino a cinque giorni prima dell’udienza: in questo senso cfr. F. Corbi, L’ esecuzione nel processo penale, Giappichelli, 1992, p. 209. 

[44] Così, in motivazione, Cass. Sez. I, 9 settembre 2021, n. 37321, in C.E.D. Cass., n. 281910.

[45] Il riferimento va a Cass., Sez. I, 15 dicembre 2020, n. 13775, in C.E.D. Cass., n. 281058 e a Cass., Sez. I, 14 febbraio 2020, n. 18304, in C.E.D. Cass., n. 279187, secondo cui l’art. 420-ter, comma 5, c.p.p. si applica anche nel procedimento di esecuzione, sicché il legittimo impedimento del difensore, anche dovuto a concomitante impegno professionale, costituisce causa di rinvio dell’udienza. L’interpretazione è frutto di una estensione, alla fase esecutiva, di principi già dettati in relazione al procedimento di sorveglianza, nel quale sono stati riconosciuti legittime cause di rinvio il concomitante impegno professionale e l’impedimento per motivi di salute: cfr. Cass., Sez. V, 21 febbraio 2022, n. 17775, in C.E.D. Cass., n. 283163; Cass., Sez. I, 18 marzo 2021, n. 15868, in C.E.D. Cass., n. 281191; Cass., Sez. I, 23 settembre 2020, n. 28203, in C.E.D. Cass., n. 279725; Cass., Sez. I, 17 luglio 2020, n. 21981, in C.E.D. Cass., n. 279664; Cass., Sez. I, 22 giugno 2020, n. 20020, in C.E.D. Cass., n. 279637; Cass., Sez. I, 4 luglio 2019, n. 34100, in C.E.D. Cass., n. 277310. In passato la giurisprudenza era sempre stata di segno contrario: ex pluribus cfr. Cass., Sez. I, 13 marzo 2002, n. 32955, in C.E.D. Cass., n. 222236 o, successivamente, Cass., Sez. Un. 27 giugno 2006, n. 31461, in C.E.D. Cass., n. 234146, che lo aveva addirittura escluso in relazione a tutti i procedimenti camerali, ivi compresi quelli per i quali la presenza del difensore è prevista come necessaria, dovendo soccorrere, in tali ipotesi, la regola dettata dall’art. 97, comma 4, c.p.p.

[46] Come ricorda F. Demartis, Il processo in absentia alla luce della riforma Cartabia, in Il quotidiano giuridico, 11 aprile 2023, la distinzione è determinata dal fatto che «per l’appellante assente in primo grado la delega ha imposto l’onere di depositare procura speciale e elezione di domicilio successivi alla sentenza»: adempimenti che, secondo la relazione di accompagnamento della riforma darebbero «certezza circa la conoscenza del processo e della sentenza».

[47] In argomento cfr. A. Mangiaracina, La rimodulazione del processo in assenza ed i nuovi rimedi post iudicatum, in Aa. Vv., La giustizia penale dopo la c.d. Riforma Cartabia, a cura di R.M Geraci, Giappichelli, 2024, p. 302 e ss..

[48] Le ricerche in questione, pur nel silenzio della norma, dovranno essere svolte dalla polizia giudiziaria: così sempre A. Mangiaracina, La rimodulazione del processo in assenza ed i nuovi rimedi post iudicatum, in Aa. Vv., La giustizia penale dopo la c.d. Riforma Cartabia, a cura di R.M Geraci, Giappichelli, 2024, p. 303, la quale ricorda che «il provvedimento di sospensione andrà inserito – come nel passato – nel CED, ancorché il legislatore non sia intervenuto sull’art. 143-bis norme att. c.p.p.». Quest’ultima disposizione, infatti, stabilisce solo l’inserimento della sentenza emessa ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p.

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