Gli elementi costitutivi della condotta associativa

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Sommario: 1. All’origine dei problemi: la trasfigurazione funzionale e la ‘tipicità incompiuta’ del delitto di partecipazione associativa. – 2. I contrasti interpretativi sul fatto penalmente rilevante: dal modello psichico al modello misto. – 3. Le Sezioni unite 2021 e la rilevanza della affiliazione con messa a disposizione seria e stabile: un ritorno mascherato al modello organizzatorio di partecipazione? – 4. I dubbi ulteriori sollevati dalle Sezioni unite sul piano del principio di precisione. – 5. La difficile compatibilità con i principi di offensività e proporzionalità della pena. – 6. Una soluzione possibile de iure condito: l’affiliazione come tentativo di partecipazione.– 7. La soluzione preferibile de iure condendo: la tipizzazione differenziata della partecipazione e dell’affiliazione.

ABSTRACT

La condotta di partecipazione associativa è stata, e continua ad essere, al centro di un contrasto interpretativo in ragione della tipicità incompiuta dell’art. 416-bis c.p. Dopo l’elaborazione di una pluralità di modelli possibili di partecipazione penalmente rilevante, i dubbi sembravano essere stati risolti dalle Sezioni unite 2005 che avevano espresso approvazione per il c.d. modello misto, in base al quale la partecipazione necessita tanto dell’ingresso nel sodalizio, quanto della realizzazione di condotte dinamiche causali per la sua operatività. Tuttavia, le Sezioni unite nel 2021 hanno riaperto il dibattito affermando che la partecipazione associativa possa essere provata anche con la sola affiliazione rituale seguita da una seria e stabile messa a disposizione del sodalizio. Questa soluzione, però, nonostante sia stata profilata come inerente al piano probatorio/processuale, sembra incidere sul versante sostanziale e dilatare il tipo criminoso, ponendo problemi anche sul piano dell’offensività e della proporzionalità e facendo prospettare come alternativa più ragionevole la qualificazione della affiliazione come mero tentativo di partecipazione. Per superare ogni problema, l’ideale sembrerebbe essere un intervento legislativo volto a tipizzare all’interno dell’art. 416-bis c.p. un’autonoma e meno grave condotta di affiliazione associativa.

The constituent elements of associative participation

ABSTRACT

The question of how individuals participate in criminal organisations has long been debated, primarily due to the fact that Article 416-bis of the Italian Criminal Code does not clearly define such participation. Over time, various models have been proposed to explain what constitutes criminal participation. In 2005, Italy’s Supreme Court (United Sections) appeared to resolve the matter by endorsing a ‘mixed model’, which demands both formal membership of the group and active engagement in its criminal activities. However, in 2021, the Court reopened the debate. It ruled that formal initiation into the group, followed by a serious and ongoing willingness to support it, could be sufficient proof of participation. This broader interpretation raises concerns as it could render the crime too vague and disproportionate. A more balanced approach would be to treat such affiliation as an attempt to participate rather than as participation itself. Ideally, the law itself should be updated to clearly define a separate, less serious offence for those who affiliate with a criminal group but do not take part in its activities.

1. All’origine dei problemi: la trasfigurazione funzionale e la tipicità incompiuta del delitto di partecipazione associativa.

Com’è noto, il delitto di associazione di tipo mafioso è stato coniato dal legislatore ormai quarantatré anni fa con la legge 16 settembre 1982 n. 646 – grazie al contributo trainante di un esponente di spicco dell’allora Democrazia cristiana, Virginio Rognoni, che, in un virtuoso esempio di sintesi politica degli opposti, portò a compimento il progetto riformistico avviato dal deputato del Partito comunista Pio La Torre, tragicamente ucciso dalle cosche siciliane nel 1982  –[1], con una conformazione ancipite ed estremamente moderna, che gli ha consentito di adattarsi continuamente alle peculiarità dei sodalizi mafiosi storici, nonché, soprattutto, alle c.d. nuove mafie di più recente emersione.

Ad un’attenta osservazione ex post,l’art. 416 bis-c.p. sembra, infatti, plasmato come una fattispecie bifronte, in parte rivolta al passato e in parte aperta verso il futuro[2]. Ed invero, mentre la definizione delle mafie fornita al comma 3 di questo articolo costituisce il frutto di una osservazione di tipo retrospettivo, diretta a fotografare l’esistente al tempo e, quindi, le vecchie consorterie mafiose territorialmente radicate in delimitate zone della penisola, la clausola di rinvio contenuta nel comma 8, con cui si statuisce l’applicabilità dei delitti in parola anche ai gruppi  criminali comunque denominati e ovunque radicati[3], che mutuano dinamiche comportamentali e scopi dei sodalizi classici, denota un’attenzione predittiva verso le possibili evoluzioni di questo tipo di criminalità[4].

L’altro dato che balza immediatamente agli occhi rileggendo oggi l’art. 416-bis c.p. è la capacità di questa figura delittuosa – che per la prima volta apriva le porte del diritto penale al fenomeno mafioso per lunghi anni sottovalutato a causa di talune letture culturaliste riduttive delle scienze sociali – di riuscire sin da subito a tener conto del diverso disvalore penale delle condotte degli affiliati a queste societates scelerum.

Non si fa di tutt’erba un fascio, prevedendo la punibilità ‘per ciò solo’ di tutti i partecipi, oppure inserendo tenui distinguo rilevanti come mere circostanze aggravanti, sempre però bilanciabili, bensì si opera un netto distinguo nei primi due commi tra i fatti meno gravi, ma più diffusi quantitativamente, di mera partecipazione associativa, puniti con pene più blande nella fattispecie autonoma di cui al comma 1, e i fatti più gravi, di direzione apicale dell’intero gruppo mafioso, tipizzati con pene sensibilmente più elevate nell’altra fattispecie autonoma di cui al successivo comma 2.

Tralasciando la disamina di quest’ultima ipotesi di reato[5], perché meno problematica considerata la notorietà pregressa in moltissimi casi dei vertici delle consorterie mafiose, si concentrerà lo sguardo nel tempo a disposizione sulla prima, provando così a chiarire cosa si celi dietro la laconica locuzione ‘far parte’ e, quindi, in cosa consista il contributo associativo penalmente rilevante a tale titolo, tenendo conto ovviamente dell’elevatissima comminatoria edittale della reclusione da dieci a quindici anni.

Mentre in passato il problema era meno sentito, considerata la mitezza delle pene originarie (la reclusione da tre a sei anni), oggi con questa severità edittale è cruciale, imponendo quindi la massima attenzione nell’individuazione dei fatti penalmente rilevanti a tale titolo di reato.

È, anzi, opportuno rilevare che il delitto di appartenenza mafiosa ha subito nel corso del tempo, in seguito ai tanti interventi riformistici che hanno inasprito a più riprese il trattamento sanzionatorio fino a triplicarlo nel minimo e (quasi) nel massimo, una sorta di quella che potremmo definire “trasfigurazione funzionale”[6].

A ben vedere, riannodando i fili della memoria e tenendo conto dei contesti normativi di riferimento profondamente mutati, il delitto di associazione mafiosa nasceva come una norma di diritto penale sostanziale, servente, però, nella sostanza al raggiungimento di obiettivi soprattutto di carattere processuale, integrando un esempio paradigmatico di inversione del rapporto di strumentalità tra fenomeno processuale e norme incriminatrici secondo la celebre metafora del processo che da servo sciocco diviene socio tiranno[7]. Infatti, in ragione del suo corredo edittale, era una fattispecie che impattava in modo marginale sul versante della commisurazione della pena, dal momento che, quasi sempre, un reato scopo che il sodalizio aveva già commesso nel 99% dei casi, in ragione delle pene più elevate, rappresentava il reato più grave che, applicando il regime della continuazione di cui all’art. 81 c.p., diventava il faro della commisurazione della pena irrogata concretamente. Il suo ruolo prioritario lo giocava, invece, sul terreno processuale, consentendo l’attivazione del cd. doppio binario degli strumenti investigativi, dei mezzi di ricerca della prova, delle misure cautelari ecc., e, poi, in caso di condanna definitiva, al doppio binario penitenziario, impedendo l’accesso ai benefici penitenziari.

Quando il compasso sanzionatorio viene innalzato sensibilmente e il doppio binario processuale (e anche penitenziario) viene esteso a tanti altri reati, come anche quelli solo aggravati dal metodo o dalla finalità mafiosa, non si realizza solo una modifica simbolico-espressiva orientata a veicolare nel discorso pubblico un massimo impegno nella lotta alle mafie, ma si trasfigura anche nella sostanza la funzione della fattispecie che torna ad essere (anche) di diritto penale sostanziale: una pena da dieci a quindici anni di reclusione fa diventare la partecipazione reato sovente cruciale ai fini della commisurazione giudiziale della pena, anche se concorre con altri reati.

Simili cambiamenti, impongono necessariamente uno scrupolo massimo nell’individuazione di cosa sia il fatto punibile ai sensi dell’art. 416-bis, comma 1, c.p., perché, diversamente, si rischia di abbracciare nel medesimo cono di luce di una fattispecie gravissima fatti che hanno colorazioni e disvalore sensibilmente ridotti.

Ma perché è così difficile stabilire chi sia il partecipe punibile e perimetrare il raggio di azione di questa figura criminis?

Perché l’art. 416-bis, comma 1, c.p. è una fattispecie a “tipicità, incompiuta”[8], che dice in modo ellittico e tautologico (un po’ come fa l’art. 110 c.p. quando definisce il contributo punibile nel concorso di persone nel reato) che è partecipe chi fa parte del sodalizio mafioso composto da tre o più persone e dotato dei caratteri descritti dal comma 3 dello stesso articolo 416-bis c.p. Ma l’espressione ‘partecipare’ che dovrebbe individuare il fatto punibile, in ragione della sua ontologica polisemia, rappresenta, forse, uno dei concetti più elastici con il quale il legislatore abbia mai deciso di definire un fatto di reato.

2. I contrasti interpretativi sul fatto penalmente rilevante: dal modello psichico al modello misto.

Questo originario vizio di precisione e tassatività del tipo criminoso, questa sua porosità strutturale, ha generato gli enormi problemi interpretativi, sfociati in contrasti sincronici orizzontali, nella giurisprudenza di legittimità e oggetto di interventi indiretti e diretti a più riprese delle Sezioni Unite.

A causa della struttura c.d. a forma aperta e non vincolata, nel corso del tempo sono state elaborate interpretazioni anche molto diverse della partecipazione associativa mafiosa, che ne hanno delineato tre principali modelli[9].

Il modello più risalente della partecipazione, quello psichico, riteneva che la condotta ex art. 416-bis c.p. consisteva in un mero atteggiamento interiore di adesione psichica al sodalizio criminale; tuttavia, sin da subito si segnalò come si trattasse di un modello non provabile sul piano empirico e scarsamente compatibile con i principi di personalità della responsabilità penale, materialità e offensività.

Il secondo modello in ordine di tempo elaborato dalla giurisprudenza a partire dalla sentenza Arslan è quello c.d. causale, che – in risposta agli eccessi di quello psichico – riteneva suscettivo di sussunzione nel comma primo dell’art. 416-bis c.p. ogni “contributo (…) minimo ma non insignificante dal singolo apportato alla vita della struttura associativa ed in vista del perseguimento dei suoi scopi”. Anche questo orientamento, però, sebbene più confacente ai richiamati principi fondamentali di marca costituzionale del diritto penale, non risultava pienamente espressivo del quid proprii della partecipazione mafiosa, compendiato nella locuzione “fare parte” usata nell’art. 416-bis c.p., inoltre, rischiava di sopprimere ogni autonomo ambito di operatività al concorso esterno facendo diventare tutto partecipazione e creava problemi di imprecisione ruotando attorno a concetti generici e indeterminati come “minimo ma non insignificante”, scarsamente idonei a definire ex ante cosa integrasse la partecipazione punibile[10].

Il terzo modello c.d. organizzatorio di partecipazione valorizzava, invece, il dato testuale del ‘far parte’ e richiedeva ai fini della punibilità l’inserimento del partecipe in una dinamica associativa di tipo relazionale, sulla base di una serie di indici di rilevanza della condotta, quali l’avvenuto ingresso nel sodalizio, il riconoscimento dell’associato da parte del gruppo, il vincolo di obbedienza, l’affectio societatis e i poteri derivanti dall’affiliazione. Anche questa soluzione ermeneutica, però, seppure in grado di prendere ‘sul serio’ il dato normativo, prestava il fianco a penetranti obiezioni, dal momento che poteva condurre a ravvisare la sussistenza del reato nella mera affiliazione, a prescindere da qualsiasi contributo eziologico e dinamico a favore della consorteria, con forti dubbi così sul versante della compatibilità con il principio di offensività; si rischiava di punire per ciò che si è stati, non per ciò che si è fatto[11].

Il contrasto interpretativo così creatosi è stato risolto dalle Sezioni unite 2005 Mannino bis che, sulle orme di una parte della dottrina, hanno elaborato un modello di partecipazione associativa c.d. misto o ‘sincretistico-additivo’ in cui si fondono gli elementi del modello causale e di quello organizzatorio, conferendo così una sostanza al fatto di partecipazione finalmente coerente con la sua gravità[12].

Secondo le S.U. 2005, ai fini della partecipazione punibile rileva tanto l’accertamento dello status acquisito dal partecipe nell’ambito della struttura associativa attraverso l’ingresso nel sodalizio, quanto della dimensione dinamica di tale ruolo, e degli atti di militanza associativa espressivi del ruolo funzionale acquisito. Molto efficacemente, si sostiene che il concetto di partecipazione penalmente rilevante non può essere ridotto a un fatto staticamente considerato, ma la partecipazione deve essere letta anche necessariamente tenendo conto dell’apporto fornito all’intero sodalizio associativo in un certo arco temporale continuativo.

Si approda così alla conclusione equilibrata e ragionevole, nonché rispettosa dei principi di offensività e proporzionalità della pena, che è partecipe chi entra a far parte di un gruppo mafioso ed opera stabilmente a suo favore.

3. Le Sezioni unite 2021 e la rilevanza della affiliazione con messa a disposizione seria e stabile: un ritorno mascherato al modello organizzatorio di partecipazione?

Tutto risolto allora? Tutti i dubbi sopiti? No, assolutamente.

Nonostante la chiarezza dei principi di diritto enunciati dal massimo organo nomofilattico, negli ultimi anni si è tornato a discutere di cosa sia penalmente rilevante ai sensi dell’art. 416-bis, comma 1, c.p. e, soprattutto, se il delitto possa integrato dalla sola affiliazione rituale, a prescindere da ogni altro dato oggettivo che attesti un’attività fattiva, concreta e duratura a favore del sodalizio[13].

Si è così reso necessario un nuovo intervento delle Sezioni unite con la sentenza Modaffari del 2021 che, però, si è rivelato, come vedremo, meno convincente del precedente e, anzi, leggermente contraddittorio nella sostanza rispetto a questo[14].

Nella sentenza Modaffari c’è, invero, un contrasto tra la protasi e l’apodosi del ragionamento sviluppato, perché dapprima si professa incondizionata adesione alle Sezioni Unite 2005 e si manifesta l’intenzione di confermarne i principi di diritto all’epoca statuiti a sostegno del c.d. modello misto, poi, però, nella parte conclusiva, ce ne si discosta e si recupera una nozione di partecipazione punibile molto vicina al tralatizio modello organizzatorio puro, dissimulandola dietro una questione processuale/probatoria[15].

Ed infatti, dopo aver ribadito che è necessario accertare sempre sia un dato statico come l’inserimento e l’appartenenza al gruppo mafioso, sia un dato dinamico come le attività svolte a suo favore in un periodo aperto di tempo, approda alla conclusione che possa integrare un fatto di partecipazione punibile anche la mera affiliazione rituale, purché sia contraddistinta da una seria, stabile e duratura messa a disposizione del neo affiliato, dal momento che questi caratteri esprimerebbero la dimensione dinamica della condotta del sodale.

Più precisamente, secondo le Sezioni unite Modaffari l’affiliazione rituale potrebbe essere considerata non un diverso modo di atteggiarsi del fatto di reato, ma un elemento probatorio da cui inferire l’esistenza di una condotta di partecipazione associativa penalmente rilevante ai sensi dell’art. 416-bis c.p., tutte le volte in cui presenti i crismi della serietà e stabilità e implichi, quindi, una effettiva e duratura messa a disposizione del sodalizio.

Si è detto, cioè, che quello dell’affiliazione non era un problema di tipicità e di forzatura dei suoi confini, ma solo una questione di prova.

In realtà, però, le cose sembrano stare diversamente e la soluzione fornita pare dare vita a una riconsiderazione del fatto di partecipazione associativa e, più precisamente, ad un suo dimorfismo, facendo considerare oggetto di incriminazione sia l’inserimento stabile seguito da un contributo di qualsivoglia genere, purché non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione, sia il mero inserimento iniziatico non ancora accompagnato da atti successivi a favore del sodalizio[16].

L’impressione che si ha è che, facendo leva sulla vaghezza dell’enunciato normativo dell’art. 416-bis c.p., si è dato vita in via interpretativa (con un processo cripto-analogico in malam partem)allo sdoppiamento del medesimo tipo criminoso tra fatti di partecipazione realmente mista, comprensivi, cioè, di una doppia dimensione di disvalore, per l’ingresso nel sodalizio e per la condotta successiva a suo favore, e fatti dimidiati di mera affiliazione rituale con effettiva messa a disposizione non seguita però da atti di militanza, e, quindi, a mere vicende sinallagmatico-contrattualistiche[17], sebbene le pene siano identiche e la norma non preveda espressamente tale doppia modalità alternativa di consumazione.

Una simile conclusione non appare, però, condivisibile, perché finisce con l’alleggerire il tipo criminoso per i sodalizi (spesso quelli storici) che hanno i riti di ingresso, continuando a richiedere la prova del doppio comportamento per i nuovi gruppi criminali, con una differenziazione poco ragionevole, e, soprattutto, perché determina una assimilazione quoad poenam tra grandezze non omogenee, essendo la partecipazione mista classica dotata di un disvalore più marcato rispetto a quella dimidiata, consistente nella mera messa a disposizione qualificata in un certo punctum temporis  a prescindere da atti di militanza associativa ulteriori[18].

4. I dubbi ulteriori sollevati dalle Sezioni unite sul piano del principio di precisione.

Peraltro, un simile concetto di partecipazione punibile solleva anche dubbi di compatibilità con il principio di precisione e determinatezza, dal momento che la sua essenza è rappresentata da un concetto polisemico aperto come quello di ‘disponibilità’[19], e i suoi caratteri identitari di stabilità, serietà e durata sono poco denotativi, lasciando amplissimi margini di apprezzamento al giudice del singolo caso concreto, in processi in cui il materiale indiziario è sovente costituito da dichiarazioni sempre scivolose dei (sedicenti) presenti al momento del rito o di altri affiliati informati del nuovo reclutamento.

Inoltre, l’estensione delle latitudini applicative del delitto di cui all’art. 416-bis, comma 1, c.p. sembra determinare anche una incrinatura della natura giuridica di questo reato in contrasto con il tenore letterale della norma.

Notoriamente, tale fattispecie è considerata reato permanente la cui consumazione cessa nel momento in cui si scioglie l’associazione o si registra il recesso volontario del reo, con tutto quello che ne discende anche sul versante penale sostanziale e processuale in tema di individuazione del tempus e del locus commissi delicti, nonché della autorità giudiziaria territorialmente competente.

Ritenendo invece possibile configurare il delitto in parola anche in caso di mera affiliazione rituale, purché connotata dall’evanescente aspetto della “idoneità a dare luogo alla messa a disposizione” stabile e duratura a favore del clan, si finisce con l’enfatizzare al suo interno la dimensione sinallagmatico-contrattualistica che dovrebbe costituire, al massimo, uno dei segmenti di una figura ben più robusta, in cui cruciale dovrebbe essere sempre la realizzazione di attività a sostegno del sodalizio.

Una simile alternativa ermeneutica trasforma il 416-bis,comma 1, c.p. da reato permanente[20] a carattere prevalentemente fattuale-comportamentale in reato a schema duplice che può, alternativamente, configurarsi sia nello schema principale della partecipazione dinamica che in quello subalterno e “statico” del mero accordo-affiliazione implicante messa a disposizione[21].

Vale a dire che la fattispecie giungerebbe ad assumere una fisionomia cangiante, alla stregua dei delitti di corruzione[22], a seconda del materiale probatorio a disposizione nel singolo giudizio, potendo essere configurata nello schema principale quando si abbia la prova di un apporto effettivo e continuativo fornito dal partecipe al sodalizio, anche a prescindere dall’accertamento della affiliazione rituale, e nello schema secondario quando difetti la prova di comportamenti del reo strumentali alle attività del gruppo mafioso e ci sia solo quella della affiliazione rituale e, dunque, del sinallagma sancito con l’associazione mafiosa, purché espressivo di una disponibilità effettiva e duratura[23].

Com’è noto, però, i reati a schema duplice sono categoria dommatica (controversa[24]) costruita partendo da una base legale ben differente, in cui è prevista expressis verbis dal legislatore la realizzabilità in forma alternativa del tipo criminoso, tanto con la stipula di una mera promessa o accordo, quanto con la sua concreta esecuzione, come, ad esempio, i delitti dalla chiara struttura “duale” di cui agli artt. 318, 319, 416-ter e 644 c.p.

Nell’art. 416-bis c.p., invece, il legislatore ha conformato i fatti penalmente rilevanti in due ipotesi delittuose autonome e nettamente differenti, quella del primo comma che punisce le condotte di partecipazione associativa e quella del secondo comma che punisce le condotte di direzione associativa. In nessuna ha introdotto un accenno alla possibile configurabilità del delitto sulla base di un mero accordo o promessa iniziale; anzi, nella seconda non ha previsto la figura del mero ‘costitutore’ rimasto successivamente inattivo, diversamente che per la fattispecie associativa di cui all’art. 416 c.p.

Né, tanto meno, è contemplata nello stesso articolo o in altri limitrofi una autonoma e ulteriore fattispecie incriminatrice tesa a punire, con pene edittali meno severe, il semplice patto iniziale di reclutamento-affiliazione, come invece è stato fatto in materia di terrorismo internazionale, dove il legislatore ha esplicitamente ammesso tale eventualità nell’art. 270-quater c.p., indirettamente riconoscendo che, in assenza di una previsione ad hoc,quel genere di condotte non avrebbe mai potuto integrare il delitto più grave di partecipazione associativa terroristica di cui all’art. 270-bis c.p.[25].

Ragionare diversamente nel caso di specie significa travolgere il principio dell’ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit che è articolazione implicita della legalità penale.

5. La difficile compatibilità con i principi di offensività e proporzionalità della pena.

La soluzione patrocinata stride, inoltre, con i principi di offensività e proporzionalità/ragionevolezza (nonché rieducazione) della pena di cui al combinato disposto degli artt. 3 e 27, comma 3, Cost.

Ed infatti, in forza del primo, la partecipazione associativa mafiosa può essere punita solo quando si sostanzi in comportamenti concreti effettivamente lesivi degli interessi giuridici protetti e, quindi, tanto capaci di produrre un danno ai diritti dei singoli che si relazionano con quell’affiliato, tanto di rappresentare un pericolo, per ciò solo, per l’ordine pubblico e gli altri beni tutelati in via cumulativa o alternativa dall’art. 416-bis c.p.[26]. Una mera affiliazione, invece, per quanto caratterizzata dai crismi della serietà e stabilità, costituisce un fatto prodromico rispetto alla contribuzione continuativa e dinamica alle attività di un sodalizio criminale, espressiva di un disvalore ridotto e solo potenziale rispetto ai beni giuridici tutelati, in relazione alla quale, quindi, non può mai ravvisarsi il delitto in parola[27].

Mentre in forza del principio di proporzionalità e ragionevolezza della pena – oggi divenuto sempre più giustiziabile anche dalla Corte costituzionale che, invece, fino al recente passato evitava di pronunciarsi sul precetto secondario delle norme incriminatrici considerando la disciplina sanzionatoria nel quantum e nella species materia politica di competenza esclusiva del legislatore[28] – sembra davvero difficile considerare adeguato il rigorosissimo trattamento sanzionatorio comminato dal legislatore in presenza di una mera affiliazione rituale, per quanto accompagnata da una messa a disposizione seria ed effettiva.

Solo una accezione mista o integrata della partecipazione è conforme al principio di offensività, evitando di arretrare in modo esasperato il momento di intervento del diritto penale rispetto a fatti eccessivamente distanti dalla lesione dei beni giuridici tutelati; così come risulta coerente con le istanze di proporzionalità e ragionevolezza intrinseca della pena, altrimenti travolte laddove si ammetta l’applicazione del severissimo trattamento sanzionatorio previsto ‘per ciò solo’ dall’art. 416-bis c.p. in relazione anche a condotte dotate di un disvalore rarefatto e ‘in potenza’ come le mere affiliazioni.

Inoltre, la nozione ‘mista forte’ di partecipazione è imposta dal canone ermeneutico sistematico.

Il fatto di cui all’art. 416-bis,comma 1, c.p. deve essere, infatti, delineato alla luce della definizione di associazione mafiosa contenuta nel successivo comma 3, costituendone quest’ultima elemento normativo non obliterabile.

Nel momento in cui si afferma – come, peraltro, correttamente fanno anche le Sezioni unite Modaffari nella protasi della sentenza –  che la fattispecie associativa mafiosa, grazie alla definizione del comma 3, ha una originale e particolarissima natura mista o ‘che delinque’ e non ‘per delinquere’, per la cui configurazione è necessario accertare l’esteriorizzazione della forza di intimidazione e dei suoi effetti, è giocoforza riconoscere nella apodosi il carattere attivo-causale della condotta penalmente rilevante di partecipazione alla stessa.

Solo tenendo conto anche del contegno dinamico-comportamentale dell’affiliato a favore del clan si evita di incriminare, in spregio all’offensività, un mero status soggettivo e di focalizzare l’intervento penale rispetto a condotte di effettiva intraneità mafiosa, espressive della capacità del singolo di avvalersi della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e capaci di produrre assoggettamento e omertà nei suoi interlocutori, anche a prescindere dalla commissione di delitti. Un mero affiliato rituale, invece, in assenza di ulteriori riscontri probatori sul suo apporto fattivo al sodalizio, non è mai in grado di sprigionare all’esterno la vis intimidatoria del clan mafioso in cui è appena stato ‘accolto’.

Breve: così come, avvalendosi dell’interpretazione sistematica, le stesse Sezioni unite in un ambito ben diverso hanno ritenuto estranee al fatto tipico descritto dall’art. 73 T.U. stupefacenti le condotte di mera coltivazione domestica, mutatis mutandis avrebbero dovuto raggiungere conclusioni simili anche in questo caso, considerando atipiche le mere affiliazioni rispetto al delitto di partecipazione mafiosa[29].

6. Una soluzione possibile de iure condito: l’affiliazione come tentativo di partecipazione.

Ma cosa fare allora? La mera affiliazione deve essere considerata un fatto non punibile?

No, se non può integrare un fatto di partecipazione penalmente rilevante per le ragioni anzidette, non significa che debba essere considerata indifferente per il diritto penale.

Tutt’altro.

Anche perché costituisce un frammento obiettivamente centrale nella vita delle consorterie mafiose tradizionali, rappresentando la piattaforma per la continua prosperazione nel tempo e nello spazio, tramite un allargamento della compagine “sociale” e un rafforzamento, potenziale, della capacità di intimidazione.

In particolare, de iure condito,la soluzione più ragionevole parrebbe quella indicata da una parte della dottrina e cioè quella di ribadire la natura realmente mista o duale della condotta di partecipazione mafiosa in quanto unica coerente con i suddetti principi di garanzia, e, contestualmente, di qualificare il mero patto iniziatico come tentativo di partecipazione associativa ai sensi del combinato disposto degli artt. 56 e 416-bis,comma 1, c.p.[30].

A rendere percorribile una simile alternativa è proprio la caratura (tendenzialmente) bifasica della condotta tipizzata che involge tanto una (eventuale) componente statico-organizzatoria, quanto una (ineludibile) componente dinamico-comportamentale. Questo dato oggettivo-strutturale comporta che, laddove si riscontri unicamente la realizzazione del primo segmento della fattispecie, si possano ritenere configurati solo degli atti idonei e univoci a commettere il delitto in parola.

Rispetto al tentativo, peraltro, apparirebbe anche verosimile la massima di esperienza in forza della quale, l’affiliazione rituale è sintomatica, secondo l’id quod plerumque accidit,non già di una effettiva intraneità, ma di una futura partecipazione reale, stabile e attiva alle attività del sodalizio mafioso.

Inoltre, a corroborare tale ipotesi concorre anche l’interpretazione sistematica ed il raffronto già proposto con l’art. 270-quater c.p. in materia di arruolamento dei terroristi internazionali[31]: da una simile comparazione sinottica si desume che, in forza del principio di legalità, per poter punire una condotta di semplice messa a disposizione con una intesa seria e vincolante, non ai sensi del tentativo, è necessaria una espressa norma incriminatrice, esorbitando tali condotte dal novero dei fatti punibili ai sensi della omologa fattispecie di partecipazione associativa di cui all’art. 270-bis c.p.

Una simile soluzione non solo eviterebbe una dilatazione del tipo criminoso ben oltre i limiti del suo ambito di prensione tracciato dal combinato disposto dei due commi dell’art. 416-bis c.p. che non includono in alcun modo la mera affiliazione ancorché ‘qualificata’, ma precluderebbe una irragionevole assimilazione quoad poenam di situazioni profondamente diverse in termini di portata lesiva per i beni giuridici tutelati, quali la partecipazione effettivamente dinamica e la mera affiliazione ancora non seguita da condotte attive a favore del sodalizio.

Si deve dare conto, però, del fatto che tale indirizzo ermeneutico non è stato preso in considerazione dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte sulla partecipazione associativa che sovente ha manifestato adesione ai principi di diritto enunciati dalle Sezioni unite 2021 Modaffari, mentre in altre ha implicitamente rivitalizzato il modello ‘misto forte’ di partecipazione associativa, ripudiando sue letture parziali in cui la parte dinamica della condotta è sincopata e ridotta alla serietà e stabilità della messa a disposizione effettiva durante il rito di affiliazione.

In queste recenti decisioni, la partecipazione mafiosa penalmente rilevante sembra non esaurirsi né in una mera manifestazione di volontà unilaterale, né in una affermazione di status, richiedendo, altresì, un’attivazione fattiva a favore della consorteria connotata da dinamicità e concretezza ed implicando, pertanto, quanto meno la riconoscibilità, se non addirittura il riconoscimento da parte degli aderenti al gruppo[32].

Da ultimo, in una decisione di fine 2024 la Suprema Corte, pur evocando il concetto di ‘messa a disposizione’ utilizzato da Modaffari, sembra richiedere una attività dinamica e continuativa per ritenere integrato il delitto di partecipazione associativa, affermando che questo “si sostanzia nello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, che deve risultare idoneo a determinare una ‘messa a disposizione’ del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi”.

Inoltre, si deve segnalare che in dottrina si continua a sostenere che con le Sezioni unite 2021 si è chiarito un problema probatorio circa gli indicatori da cui si può inferire una partecipazione punibile e che, quindi, “anche l’affiliazione rituale può costituire, sul piano cautelare, grave indizio della condotta partecipativa, a condizione che la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serietà ed effettività, espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato e associazione”[33].

Nonostante le puntuali argomentazioni, tale alternativa ermeneutica continua a non apparire soddisfacente, perché resta difficile ravvisare in quella condotta istantanea, per quanto sia esito di un percorso precedente a favore della cosca e mostri una serie e stabile disponibilità futura, un fatto in grado di assumere il doppio disvalore richiesto dalla fattispecie in parola e ancorato a condotte plurali e continuative già tenute e causalmente efficienti per il suo funzionamento o rafforzamento.

7. La soluzione preferibile de iure condendo: la tipizzazione differenziata della partecipazione e dell’affiliazione.

Per uscire da queste secche, la soluzione ideale del problema pare allora essere un’altra: un intervento del legislatore[34].

In particolare, sarebbe auspicabile de iure condendo l’introduzione di un nuovo comma 1-bis all’interno del­l’attuale art. 416-bis c.p. in cui prevedere una fattispecie incriminatrice autonoma di “affiliazione rituale” diretta a descrivere chiaramente tale comportamento, ma a punirlo con pene ridotte rispetto a quelle elevatissime contemplate per la partecipazione associativa dall’art. 416-bis, comma 1, c.p., con una formulazione del seguente tenore “Chiunque si affilia ad un’associazione di tipo mafioso in modo univoco e con seria e stabile messa a disposizione a favore della stessa è punito con la reclusione da quattro a otto anni”.

Tale opzione servirebbe in primo luogo a scandire in modo chiaro ed inequivoco all’interno di una espressa disposizione di legge la rilevanza penale di questa condotta, sottraendo il suo apprezzamento al discrezionale e sempre potenzialmente mutevole giudizio della giurisprudenza e fugando ogni incertezza sulla punibilità o meno a titolo di tentativo di partecipazione ex art. 56 c.p.

In secondo luogo, risolverebbe espressamente ogni residuo dubbio circa la rilevanza penale della mera affiliazione e le condizioni specifiche che questa deve possedere per integrare una ipotesi delittuosa, assicurando così i caratteri della accessibilità della fattispecie incriminatrice e della prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie oggi ritenuti centrali nel­l’ottica del principio di legalità convenzionale così come co-definito dal­l’art. 7 CEDU e dall’interpretazione che di questa norma fornisce la Corte di Strasburgo.

Ancora, la previsione in forma autonoma e differenziata di tale condotta delittuosa sembrerebbe sul piano strettamente penalistico coerente con i principi di offensività e proporzionalità, ragionevolezza e rieducazione della pena di cui agli artt. 25, comma 2, 3 e 27, comma 3, Cost., assicurando un trattamento sanzionatorio differenziato rispetto a condotte dotate di disvalore marcatamente differente.

Infine, parrebbe indirettamente imposta da ragioni di coerenza sistematica, dal momento che per la criminalità terroristica è già attualmente previsto, rispettivamente, negli artt. 270-bis e 270-quater c.p., lo sdoppiamento della risposta penale in due fattispecie incriminatrici di differente disvalore, una per la condotta più grave di partecipazione associativa, sostanzialmente corrispondente a quella tipizzata nell’art. 416-bis,comma 1, c.p., l’altra per quella meno grave del mero arruolamento, che, mutatis mutandis, presenta evidenti tratti di affinità con l’affiliazione mafiosa. Ad un raffronto sinottico tra i due comparti penalistici, l’attuale conformazione unitaria della disciplina mafiosa, in cui sono assimilate in un solo tipo delittuoso le due condotte e, dunque, parificate in termini di disvalore, appare poco ragionevole.

Naturalmente, data la differenza empirico-criminologica tra i due fenomeni delinquenziali e la conformazione chiusa e gerarchica di quello mafioso che rende configurabile l’affiliazione solo da parte di chi è già un vertice dell’associazione e mai da chi non è strutturalmente e stabilmente intraneo, si ritiene in questo caso opportuno concentrare l’incriminazione sul solo affiliato, evitando di punire (come, invece, avviene nell’art. 270-quater, comma 1, c.p.) anche l’affiliatore, rientrando il reclutamento di nuove leve tra le attività tipiche degli apicali del sodalizio, già incorporate nel disvalore dei fatti di cui all’art. 416-bis, comma 2, c.p.

Siamo consapevoli che ragionare in prospettiva de lege ferenda su questo argomento è qualcosa di utopistico al momento, non essendo presente nell’agenda del legislatore odierno alcun intervento novellistico della legislazione penale sostanziale antimafia; ciò non di meno, l’intervento del legislatore sembra essere l’unica alternativa se davvero si intende migliorare l’assetto esistente dell’art. 416-bis c.p., bilanciando meglio le esigenze repressive con quelle individual-garantiste come richiesto dai principi di offensività e proporzionalità della pena.


* Il lavoro riproduce in maniera ampliata ed integrata con riferimenti bibliografici essenziali la relazione tenuta al Convegno “L’art. 416-bis c.p. tra storia ed ermeneutica” tenutosi il 4 ottobre 2024 presso il Centro Studi di Legislazione antimafia Virginio Rognoni, Collegio Universitario S. Caterina da Siena di Pavia.

[1] Per una ricostruzione dell’origine della fattispecie e della sua formulazione si rinvia per tutti a G. Turone-F. Basile, Il delitto di associazione di tipo mafioso, Milano, IV ed., 2024, p. 1 ss.; I. Merenda-C. Visconti, Metodo mafioso e partecipazione associativa nell’art. 416 bis c.p., in E. Mezzetti-L. Luparia, a cura di, La legislazione antimafia, Bologna, 2020, p. 69 ss.; V. Maiello, La partecipazione mafiosa: una fattispecie dalla tipicità ancora insicura, in Diritto penale della criminalità organizzata, V. Maiello-G. Amarelli-A. Alberico, a cura di, Napoli, 2025, p. 219 ss.; F. Siracusano, La “Mafia” tra parametri storico-sociologici e paradigmi normativo-giudiziari, ivi, p. 115 ss.; M. Del Gaudio, Sub art. 416-bis c.p., in CP, Rassegna di giurisprudenza e dottrina, G. Lattanzi-E. Lupo, a cura di, vol. IV, Milano, 2022, p. 390 ss.

[2] Le peculiarità strutturali del delitto di associazione di stampo mafioso, quale fattispecie associativa mista e non pura, sono state evidenziate da G. Spagnolo, Dai reati meramente associativi ai reati a struttura mista, in Beni e tecnica della tutela penale, 1987, p. 156 ss. Sui reati associativi in generale si veda I reati associativi: paradigmi concettuali e materiale probatorio. Un contributo all’analisi e alla critica del diritto vivente, L. Picotti-G. Fornasari-F. Viganò-A. Melchionda, a cura di, Padova, 2005.

[3] Non è questa la sede per affrontare anche i problemi interpretativi generati dalle c.d. nuove mafie; sul punto si rinvia per approfondimenti a I. Fina, Le associazioni mafiose non tradizionali, in Diritto penale della criminalità organizzata, cit., p. 239 ss.; I. Merenda-C. Visconti, Metodo mafioso e partecipazione associativa nell’art. 416 bis c.p., cit., p. 43 ss.; E. Zuffada, Il metodo mafioso alla prova delle mafie “diverse” dalle mafie tradizionali. Una sinossi della giurisprudenza, in Arch. pen., 2024, p. 1 ss.;G. Amarelli, C. Visconti, Da ‘Mafia Capitale’ a ‘Capitale corrotta’. La Cassazione derubrica i fatti da associazione mafiosa unica ad associazioni per delinquere plurime, in www.sistema penale.it, 18 giugno 2020; nonché al nostro G. Amarelli, Mafie delocalizzate: le Sezioni unite risolvono (?) il contrasto sulla configurabilità dell’art. 416 bis c.p. ‘non decidendo’, in www.sistemapenale.it, 18 novembre 2019.

[4] Sulla struttura ancipite delle fattispecie, in parte costruita guardando al passato e in parte pensando al futuro cfr. G. Turone-F. Basile, Il delitto di associazione di tipo mafioso, cit., p. 27 ss.

[5] Per approfondimenti sulla condotta di direzione associativa e dei problemi specifici ad essa connessi si rinvia a G. Turone-F. Basile, Il delitto di associazione di tipo mafioso, cit., p. 283 ss.

[6] Sulla funzione prevalentemente processuale della fattispecie nella sua formulazione originaria, anche in forza dei ridotti compassi edittali, cfr. M. Nobili, Associazioni mafiose, criminalità organizzata e sistema processuale, in Crit. dir., 1995, p. 265, che la considerava una delle più “importanti norme di rilievo processuale”, dal momento che “[…] attualmente il rapporto [tra diritto penale sostanziale e processuale] tende a rovesciarsi: ora è la disciplina incriminatrice che spesso viene scelta e costruita, in funzione di un certo tipo di processo». In termini analoghi cfr. G. Insolera- T. Guerini, Diritto penale e criminalità organizzata, Torino, 2022, p. 106 ss.; nonché, da ultimo, G. Di Vetta, Tipicità e prova. Un’analisi in tema di partecipazione interna e concorso esterno in associazione di tipo mafioso, in Arch. pen., 2017, p. 1 ss.

[7] Per approfondimenti sul punto, nonché sul fenomeno di processualizzazione delle categorie del diritto penale sostanziale, si rinvia per tutti ai lavori di T. Padovani, Il crepuscolo della legalità nel processo penale. Riflessioni antistoriche sulle dimensioni processuali della legalità penale, in Ind. pen., 1999, p. 527 ss.; V. Maiello, Diritto penale e processo: la necessità di un approccio integrato, in Crit. dir., 1998, p. 285 ss.; S. Fiore, La teoria generale del reato alla prova del processo. Spunti per una ricostruzione integrata del sistema penale, Napoli, 2007, passim; A. Gargani, Processualizzazione del fatto e strumenti di garanzia: la prova della tipicità “oltre ogni ragionevole dubbio”, in Leg. pen., 2013, p. 839 ss.; G. Di Vetta, Tipicità e prova, cit., p. 2 ss.

[8] La natura aperta della fattispecie della partecipazione associativa è sottolineata da V. Maiello, La partecipazione mafiosa, cit., p. 220 s.

[9] In argomento, si rinvia per una più analitica ricostruzione dei diversi modelli di partecipazione associativa susseguitisi nel tempo a V. Maiello, La partecipazione mafiosa, cit., p. 223 ss.; I. Giugni, La nozione di partecipazione associativa penalmente rilevante tra legalità penale e disorientamenti ermeneutici, in Arch. pen., 2018, p. 2 ss.

[10] La potenziale sovrapposizione tra la partecipazione associativa e il concorso esterno implicata da questo modello di partecipazione era stata sottolineata da V. Maiello, Il concorso esterno tra indeterminatezza legislativa e tipizzazione giurisprudenziale. Raccolta di scritti, Torino, 2014; C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003.

[11] Sul punto vedi I. Giugni, La nozione di partecipazione associativa, cit., 5 ss.

[12] Paradigma di partecipazione, invero, più conosciuto come cd. “modello misto“. Utilizza l’etichetta “sincretistico-addittivo” G. Fiandaca, Nota a Cass. 05 giugno 2013, Spagnolo, in Foro it., 2014, p. 161 ss., riferendosi, però, in chiave critica all’indirizzo ermeneutico che ritiene l’inserimento organico in un sodalizio mafioso un contributo dotato ex se di rilevanza causale rispetto alla vita dell’associazione medesima, e, quindi, penalmente rilevante a prescindere dall’avvenuta attivazione successiva dell’associato.

[13] L’intervento delle Sezioni unite sul punto era stato auspicato da I. Merenda-C. Visconti, Metodo mafioso e partecipazione associativa nell’art. 416 bis c.p., cit., p. 69.

[14] Per un commento alla sentenza cfr. G. Fiandaca-A. Merlo, La partecipazione associativa è ancora in cerca di autore: le sezioni unite tra progresso e regresso, in Foro it., 2022, p. 780 ss.; V. Maiello, La partecipazione associativa tra (fuga dalla) tipicità e (assorbimento nella) prova, in Giur. it., 2022, p. 738 ss.; M. Caterini, “Osso, Mastrosso e Calcagnosso”: l’affiliazione rituale alle associazioni di tipo mafioso alla prova dei principi di offensività, proporzione e ragionevole dubbio interpretativo, in www.archiviopenale.it, 3, 2021, p. 1 ss.; A. Apollonio, La partecipazione all’associazione mafiosa nell’impostazione (problematica) delle Sezioni Unite, in www.giustiziainsieme.it; nonché, sia consentito, al nostro G. Amarelli, La tipicità debole della partecipazione mafiosa e l’affiliazione rituale: l’incerta soluzione delle Sezioni unite tra limiti strutturali e alternative possibili, in Dir. pen. proc., 2022, p. 786 ss. In argomento, cfr. anche D. Brunelli, Contrasto alla criminalità organizzata e tipicità penale: il punto sull’associazione mafiosa, in Arch. pen., 2023.

[15] Evidenzia come le Sezioni Unite Modaffari segnino un ritorno al modello organizzatorio di partecipazione associativa in una inedita versione debole V. Maiello, La partecipazione associativa tra (fuga dalla) tipicità e (assorbimento nella) prova, cit., p. 738. Sul punto cfr. anche A. Apollonio, La partecipazione all’associazione mafiosa, cit.

[16] È stato osservato in dottrina da V. Maiello, La partecipazione associativa tra (fuga dalla) tipicità e (assorbimento nella) prova, cit., p. 738, che questa sentenza ha dichiaratamente convertito “un problema di configurabilità del delitto associativo mafioso in una questione processuale/cautelare di gravità indiziaria”.

[17] Diversamente, A. Apollonio, La partecipazione all’associazione mafiosa, cit., § 5, vede nella richiesta dall’accertamento ‘causale’ del dato ulteriore della messa a disposizione (rispetto alla mera affiliazione rituale) un inutile appesantimento probatorio.

[18] Sottolineano tale sovrapposizione tra piano legale e piano probatorio V. Maiello, La partecipazione associativa tra (fuga dalla) tipicità e (assorbimento nella) prova, cit., p. 739; G. Fiandaca-A. Merlo, La partecipazione associativa è ancora in cerca di autore, cit., p. 786.

[19] In termini critici sulla inclusione della ‘disponibilità’ nel fuoco della partecipazione associativa G. Fiandaca-A. Merlo, La partecipazione associativa è ancora in cerca di autore, cit., i quali segnalano la “intrinseca ambiguità” di questo concetto che può “essere identificato con una “condizione” o uno “stato”, piuttosto che con un comportamento puntuale e concreto; con un dato potenziale, piuttosto che con un dato effettivo”.

[20] Sulla natura permanente dell’art. 416-bis cfr. G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 385; M. Ronco, L’art. 416 bis nella sua origine e nella sua attuale portata applicativa, in B. Romano-G. Tinebra, a cura di, Il diritto penale della criminalità organizzata, Milano, 2013, p. 98; in giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass. pen., sez. 6, 8 ottobre 2014, n. 53118, Colorisi e altri.

[21] Sul punto sia consentito rinviare al nostro G. Amarelli, La tipicità debole, cit., p. 790.

[22] Sulla natura ‘a schema duplice’ dei delitti di corruzione cfr. M. Pelissero, I delitti di corruzione, in M. Pelissero- C.F. Grosso, a cura di, Reati contro la pubblica amministrazione, Milano, 2015, p.215 ss.; M. Tortorelli, I delitti di corruzione. Caratteri generali, in S. Fiore-G. Amarelli, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Torino, 2024, p. 146 ss.

[23] Ritiene che la fattispecie non abbia subito un simile processo di dimorfismo e contempli un unico fatto punibile G. Ariolli, Gli elementi costitutivi della condotta associativa del reato di cui all’art. 416-bis c.p., in www.giustiziainsieme.it, 19 novembre 2024.

[24] In termini critici sulla categoria e, quindi, sul momento consumativo, cfr. M. Romano, Commentario sistematico al codice penale. I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2015, p. 147; M.A. Amisano, Le tipologie della corruzione, Torino, 2012, p. 352.

[25] Mette in luce questo argomento Cass., Sez. I, 17 giugno 2016, n. 55359, Pesce; nonché V. Maiello, La partecipazione associativa tra (fuga dalla) tipicità e (assorbimento nella) prova, cit., p. 734.

[26] Evidenziano bene tale profilo I. Merenda-C. Visconti, Metodo mafioso e partecipazione associativa, cit., p. 67.

[27] Per tali rilievi in sede di commento alla ordinanza di rimessione alle S.u. V. Maiello, L’affiliazione rituale alle mafie storiche al vaglio delle Sezioni Unite, in www.sistemapenale.it, 10 maggio 2021, p. 16 ss.

[28] In argomento, si veda per tutti F. Viganò, La proporzionalità della pena, Torino, 2021.

[29] Cass., Sez. un., 19 dicembre 2019, n. 12348, Caruso.

[30] Per tale auspicio, V. Maiello, L’affiliazione rituale alle mafie storiche al vaglio delle Sezioni Unite, cit., p. 16 ss.; Id., La partecipazione associativa tra (fuga dalla) tipicità e (assorbimento nella) prova, cit., p. 739.

[31] Non ritiene adeguato il parallelismo con l’art. 270-quater c.p., in ragione del differente substrato criminologico di riferimento, A. Apollonio, La partecipazione all’associazione mafiosa, cit., § 5.

[32] Così G. Ariolli, Gli elementi costitutivi, cit. In tal senso, cfr. Cass., Sez. VI, 10 luglio 2024, n. 35695, in cui si è affermato che “la partecipazione ad un’associazione mafiosa, infatti, non si esaurisce in una mera manifestazione di volontà unilaterale né in una affermazione di status, richiedendo invece un’attivazione fattiva a favore della consorteria connotata da dinamicità e concretezza ed implicando la riconoscibilità, se non il riconoscimento, da parte di altri aderenti al gruppo”; si vedano anche Cass., Sez. V, 23 maggio 2024, n. 35870; Cass., Sez. VI, 25 luglio 2024, n. 32046.

[33] G. Ariolli, Gli elementi costitutivi, cit.

[34] Per una più approfondita disamina della possibile soluzione riformistica in grado, de lege ferenda, di riscrivere l’odierna disciplina penale in materia di partecipazione associativa in maniera più coerente con i principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena sia consentito rinviare al nostro volume G. Amarelli, a cura di, Quarant’anni di 416-bis c.p. Bilanci e prospettive del delitto di associazione di tipo mafioso, Atti del convegno, Napoli, 14 novembre 2022, Giappichelli, 2023, 87 ss.

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