Imputato alloglotto e vizio da omessa traduzione degli atti: due nuove questioni per le Sezioni unite

Cass., sez. II, 14 febbraio 2025 (dep. 11 marzo 2025), n. 9900, Messini D’Agostini, Presidente, Recchione, Relatore

1. Premessa

Di recente, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno risolto un contrasto interpretativo sulle ripercussioni, in termini di invalidità, della mancata traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare in lingua nota all’imputato alloglotto (Sez. un., 26 ottobre 2023, n. 15069, Niecko, in Cass. pen., 2024, p. 2533). 

In tale occasione, è stato affermato il principio secondo il quale l’ordinanza è nulla laddove la mancanza di conoscenza della lingua italiana fosse già emersa prima della sua adozione, mentre, in caso contrario, il provvedimento conserva validità fino al momento in cui tale circostanza diviene nota. In tale ultima ipotesi, infatti, sorge l’obbligo di procedere alla traduzione in un «congruo termine» e l’eventuale inadempimento determina la «nullità dell’intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l’ordinanza di custodia cautelare». In tale arresto, dunque, il fattore discriminante ai fini del riconoscimento della validità o della nullità del provvedimento è stato individuato nel momento in cui l’autorità giudiziaria è venuta a conoscenza del deficit linguistico della persona interessata. 

Tale articolato intervento non ha tuttavia sortito l’ulteriore effetto positivo di ricondurre ad unità la giurisprudenza che si è espressa in merito alla individuazione delle conseguenze derivanti dalla omessa traduzione di altri due atti processuali e, precisamente, il decreto di citazione per il giudizio d’appello e la sentenza di primo grado o di appello. 

La Seconda sezione penale, persistendo contrasti in materia, ha rimesso due nuove questioni alle Sezioni unite. 

2. La prima questione: sull’omessa traduzione del decreto di citazione d’appello

In merito alle conseguenze processuali dell’omessa traduzione del decreto di citazione d’appello, si registrano due orientamenti giurisprudenziali, i quali trovano il punto di rottura nella rilevanza, per l’esplicazione del diritto di difesa, delle informazioni contenute nell’atto da tradurre. 

Un primo indirizzo afferma che non vi è un obbligo di tradurre quell’atto nella lingua nota al suo destinatario, e quindi non vi è alcuna nullità, dal momento che il decreto di citazione non contiene informazioni sull’accusa, bensì quelle relative alla data d’udienza. In questa ottica, si ritiene che la violazione di quell’obbligo non possa minare il diritto ad una partecipazione consapevole al procedimento, garantito dall’assistenza dell’interprete in udienza (Sez. II, 7 aprile 2022, n. 20394, in C.E.D. Cass., n. 283227; Sez. VI, 4 novembre 2021, n. 46967, ivi, 282388).

Per il contrario indirizzo, invece l’omessa traduzione di questo atto di impulso del procedimento integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, poiché l’obbligo di traduzione non risponde soltanto alla necessità di consentire all’imputato di avere conoscenza dell’accusa, ma anche all’esigenza di garantire l’effettività della sua partecipazione al procedimento, oltre che l’esplicazione della difesa in forma diretta e personale (Sez. VI, 30 novembre 2023, n. 3993 in C.E.D. Cass. n. 286113; Sez. VI, 22 novembre 2015, n. 44421, ivi, 265026). Si è precisato che tale obbligo, e quindi le ritenute conseguenze della sua violazione, sussistono anche nel caso in cui l’imputato abbia eletto domicilio presso il difensore, «avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione» (Sez. I, 8 marzo 2022, n. 28562, ivi, 283355).

Il giudice rimettente, sul punto, sottolinea che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (la c.d. “Riforma Cartabia”) «ha arricchito il contenuto del decreto di citazione a giudizio in appello», il quale «deve ora somministrare anche gli avvisi in ordine alla possibilità di accesso alla giustizia riparativa» (art. 601, comma 3, c.p.p.) e si ritiene, perciò, che, «ove la possibilità di accesso alla giustizia riparativa non sia segnalata all’imputato nella lingua da lui compresa, si profila una ulteriore (ed inedita, prima della riforma) limitazione delle sue prerogative processuali».

3. La seconda questione: sull’omessa traduzione della sentenza

Anche rispetto alla questione relativa alla omessa traduzione della sentenza si registrano due tesi.

In base alla prima, l’omessa traduzione non integra un’ipotesi di “nullità”, bensì, e a condizione che vi sia una specifica richiesta di traduzione dell’atto, lo slittamento dei termini per impugnare, che a quel punto decorrono dal momento in cui l’imputato abbia avuto conoscenza del contenuto del provvedimento nella lingua a lui nota (Sez. I, 4 giugno 2024, n. 29253, ivi n. 286610; Sez. VI, 21 settembre 2022, n. 40556, ivi n. 283965).

Per i fautori della seconda tesi, il suddetto principio non è più sostenibile dopo la sentenza Niecko, avendo la stessa individuato nel diritto di difesa il fondamento dell’obbligo di traduzione e nella nullità la sanzione riconnessa alla sua violazione. Pertanto, l’omessa traduzione della sentenza integrerebbe una nullità generale a regime intermedio, risultando in tal modo violato il diritto all’esercizio consapevole dell’impugnazione. In questa ottica, si precisa che il relativo dies a quo rimane sospeso fino alla notifica all’interessato della sentenza tradotta in lingua a lui nota e che, a tal fine, non è necessaria alcuna specifica richiesta (Sez. VI, 2 maggio 2024, n. 20679, ivi n. 286480).

Sul punto, il giudice rimettente evidenzia anche le ulteriori implicazioni che discendono dalla soluzione del quesito in un senso ovvero nell’altro: invero, la qualificazione del vizio come nullità generale a regime intermedio implica che quello possa essere «eccepito solo “durante il processo”, nel rispetto dei termini, e con i limiti indicati dagli art. 180 e. 182 c.p.p.» mentre «se il vizio viene inquadrato come violazione di legge che genera lo slittamento (sine die) del termine per impugnare, lo stesso incide sulla perfezione del titolo esecutivo e può essere eccepito con l’incidente di esecuzione». 

I quesiti

Così descritti i contrasti ermeneutici, la Seconda sezione ha rimesso le seguenti questioni alle Sezioni unite: 

1) «se il decreto di citazione per il giudizio di appello dell’imputato che non conosca la lingua italiana debba essere obbligatoriamente tradotto nella lingua del destinatario, conseguendo alla omessa traduzione una nullità di ordine generale a regime intermedio»; 

2) «se la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato che non conosca la lingua italiana comporti solo lo slittamento del termine per impugnare in capo all’imputato ovvero integri una nullità generale a regime intermedio».

L’udienza è fissata per il 29 maggio 2025 e il relatore designato è il Consigliere Calvanese.

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