Intercettazioni: dopo la sentenza Cavallo, arriva la cavallina storna: si ritorna alle autorizzazioni in bianco?

Cass., sez. III, 14 aprile 2025 (dep. 15 maggio 2025), n. 18413, Liberati, Presidente, Corbo, Relatore, Pratola, P.m. (concl. parz. diff.)

Abstract: Bizzarra sentenza della terza Sezione della Corte di cassazione che afferma che il reato di associazione per delinquere finalizzato a commettere delitti relativi all’esercizio abusivo di giochi e scommesse ha ad oggetto un fatto storico il cui “nucleo centrale” è incluso in quello di una associazione mafiosa, per la quale furono autorizzate le intercettazioni ma archiviata per infondatezza della notizia di reato.

A bizarre ruling from the Third Section of the Court of Cassation states that the crime of criminal association aimed at committing crimes related to the illegal operation of games and betting involves a historical fact whose “core” is included in that of a mafia association, for which wiretaps were authorized but dismissed due to lack of sufficient evidence of a crime.

Sommario: 1. La vicenda. – 2. Lo snodo argomentativo della sentenza. – 3. (Segue): non si versa nel caso di cui all’art. 270 c.p.p. – 4. (Segue): non si versa nel caso di cui all’art. 270 c.p.p. – 5. (Segue): ma si verserebbe nel medesimo procedimento. – 6. (Segue): l’elaborazione giurisprudenziale successiva alle S.U. Cavallo. – 7. (Segue): il “nucleo centrale “ del fatto storico per il quale l’intercettazione è autorizzata. – 8. (Segue): il decreto di autorizzazione all’intercettazione. – 9. Osservazioni critiche

1. La vicenda.

Alcuni imputati dei reati di partecipazione ad associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti (art. 416 cod. pen.), di esercizio abusivo di giochi e scommesse (art. 4, commi 1 e 4-bis, l. n. 401 del 1989), e di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis cod. pen.) ricorrono in cassazionecontestando la ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercettate, deducendo che le stesse sono state effettuate in altro procedimento, per un diverso reato, quello di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., nemmeno connesso ex art. 12 cod. proc. pen. con quelli per cui si procede in questa sede, e che non sussistono inoltre i presupposti richiesti dall’art. 270 cod. proc. pen. per consentirne il valido impiego processuale ai fini dell’accertamento dei reati oggetto del presente processo.

La Corte afferma che, ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti ex art. 270 cod. proc. pen., nella nozione di “medesimo procedimento” sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, sempre che dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen. 

2. Lo snodo argomentativo della sentenza.

Tralasciando altri profili secondari, il più importante principio di diritto enunciato dalla sentenza riguarda la ritenuta utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni disposte in un diverso procedimento.

La terza sezione della Corte ha ritenuto  infondate le censure enunciate nel primo motivo, comuni a tutti i ricorrenti, le quali contestano la ritenuta utilizzabilità delle comunicazioni intercettate, deducendo che le stesse sono state effettuate in altro procedimento, per un diverso reato, quello di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., nemmeno connesso ex art. 12 cod. proc. pen. con quelli per cui si procede in questa sede, e che non sussistono inoltre i presupposti richiesti dall’art. 270 cod. proc. pen. per consentirne il valido impiego processuale ai fini dell’accertamento dei reati oggetto del presente processo.

Ai fini dell’esame delle censure poste nel motivo appena sintetizzato, la sentenza in esame  premette che le intercettazioni di cui si discute possono essere utilizzate ai fini dell’accertamento dei reati per cui si procede solo se è corretto affermare che le stesse sono state disposte nel “medesimo procedimento”.

Si richiama perciò il principio enunciato dalle Sezioni Unite, e precisamente da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395 – 01, non contestato dalla successiva giurisprudenza di legittimità, né dalle parti del presente processo, e in relazione al quale non emergono ragioni per chiedere un ripensamento ex art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., «il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge» .

3. (Segue): non si versa in un’ipotesi di connessione dei procedimenti.

Ciò posto, la sentenza anzitutto esclude la configurabilità di una ipotesi di  connessione ex art. 12 cod. proc. pen. tra i reati per cui si procede in questa sede e quello di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., indicato a base dei provvedimenti di autorizzazione delle intercettazioni.  Il rapporto di connessione tra reati, infatti, consiste in un legame tra i medesimi e, quindi, per la sua natura “relazionale”, presuppone indefettibilmente la sussistenza di ciascuno di essi. Di conseguenza, non può ipotizzarsi, nemmeno in astratto, un rapporto di connessione con un reato la cui sussistenza è stata esclusa e in relazione al quale non è pendente alcun procedimento penale.

Ora, nella specie, per il delitto di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., richiamato a fondamento delle attività di captazione, è stata disposta l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato.  Ne discende che, nella vicenda in esame, l’avvenuta archiviazione delle indagini per il delitto di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., preclude in radice la configurabilità di un rapporto di connessione tra di esso e qualunque altra fattispecie di reato.

4. (Segue): non si versa nel caso di cui all’art. 270 c.p.p.

La sentenza in esame, inoltre, esclude che, nella specie, sussistano i presupposti per l’operatività della disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen., la quale prevede le condizioni che rendono ammissibile l’utilizzazione delle intercettazioni in un procedimento diverso da quello nel quale sono state effettuate.  Invero, per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 270 cod. proc. pen., è condizione indispensabile che i reati oggetto del diverso procedimento siano delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. E, però, i reati per cui si procede – precisamente quelli di partecipazione ad associazione finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti (art. 416 cod. pen.), di esercizio abusivo di giochi e scommesse (art. 4, commi 1 e 4-bis, l. n. 401 del 1989), e di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis cod. pen.) – sono tutti delitti per i quali “non” è obbligatorio l’arresto in flagranza.

5. (Segue): ma si verserebbe nel medesimo procedimento.

La terza Sezione della Corte di cassazione afferma, tuttavia,  che il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza “Cavallo” non preclude l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni per reati diversi da quelli formalmente indicati a base del provvedimento di autorizzazione alle attività di captazione.

Invero, Sez. Un. Cavallo, cit., afferma espressamente che, nell’ambito della disciplina delle intercettazioni, la nozione di “altro procedimento”, dalla quale dipende l’operatività del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen, non corrisponde a quella di “reato” (cfr., in motivazione, § 10).  E, a spiegazione di questo assunto, osserva, per un verso, che la nozione di “procedimento” non ha connotati univoci nel lessico generale del codice di procedura penale, e, sotto altro profilo, che il legislatore, anche quando si occupa specificamente della disciplina delle intercettazioni, mostra chiaramente di distingue tra “procedimento” e “reato”, come si desume dalle vicende relative alla disposizione di cui all’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., in tema di utilizzabilità delle comunicazioni acquisite mediante captatore informatico.

La sentenza delle Sez. un., Cavallo, anzi, a precisazione di questa premessa, rappresenta pure che la nozione di “procedimento” non può essere correlata all’iscrizione nel registro delle notizie di reato, di cui all’art. 335 cod. proc. pen.

Evidenzia, infatti, e specificamente, che, a voler ancorare la nozione di “procedimento” all’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen., «dovrebbe essere considerato “diverso procedimento” [anche] quello iscritto nei confronti di una persona nota per un certo reato a seguito delle intercettazioni disposte in un procedimento contro ignoti per quel medesimo fatto-reato», per poi sottolineare: «esito, questo, all’evidenza disallineato rispetto alla disciplina codicistica (che, per le intercettazioni “ordinarie”, richiede, ex art. 267, comma 1, cod. proc. pen., solo la sussistenza di “gravi indizi di reato”)», oltre che contrario all’univoco indirizzo ermeneutico in forza del quale «se un’intercettazione telefonica è validamente autorizzata, essa può essere utilizzata nei confronti di qualsiasi persona a carico della quale faccia emergere elementi di responsabilità per quel reato», nonché (esito) «all’evidenza irrazionale». Aggiunge che, seguendo questa impostazione legata al dato formale dell’iscrizione, «dovrebbe essere considerato “diverso procedimento” anche quello nuovamente iscritto a seguito di riapertura delle indagini ex art. 414, comma 2, cod. proc. pen., laddove, come la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di rimarcare, in tale ipotesi non si instaura un procedimento diverso e possono legittimamente essere utilizzati i risultati delle indagini già svolte, compresi gli esiti delle intercettazioni», citando, a tal proposito, Sez. 6, n. 1626 del 16/10/1995, dep. 1996, Pulvirenti, Rv. 203741 – 01.

La sentenza delle Sez. un., Cavallo, inoltre, ritiene utilizzabili i risultati delle intercettazioni anche con riguardo ai reati connessi ex art. 12 cod. proc. pen. proprio perché gli stessi sono da considerare inclusi nel “medesimo procedimento” avente ad oggetto le fattispecie poste a base dei provvedimenti di captazione: precisamente, in queste ipotesi, ricorre un “medesimo procedimento” in ragione del «“legame sostanziale” tra il reato in relazione al quale l’autorizzazione all’intercettazione è stata emessa e il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione».  In particolare, la sentenza Cavallo evidenzia: «La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai  “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede” (Corte cost., sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un’”autorizzazione in bianco”», vietata dall’art. 15 Cost.

6. (Segue): l’elaborazione giurisprudenziale successiva alle S.U. Cavallo.

Le indicazioni offerte da Sez. n. Cavallo, cit., hanno trovano significativa rispondenza e ulteriore svolgimento nella successiva elaborazione giurisprudenziale, la quale ha ribadito da più prospettive come la nozione di “medesimo procedimento” è ancorata specificamente a profili sostanziali e non ad evenienze meramente processuali.

In particolare, una pronuncia ha precisato che, sulla base della disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen., senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi (Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, Papa, Rv. 282027 – 01).

Secondo altra decisione, poi, i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell’ambito di un procedimento penale inizialmente unitario, riguardanti distinti reati per i quali sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 266 cod. proc. pen., sono utilizzabili anche nel caso in cui il procedimento sia successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati, atteso che, in tal caso, non trova applicazione l’art. 270 cod. proc. pen. che postula l’esistenza di procedimenti ab origine tra loro distinti (Sez. 2, n. 4341 del 15/01/2025, Giglio, Rv. 287542 – 01).

Diverse pronunce, ancora, hanno affermato l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni anche in caso di diversa e meno grave qualificazione del reato per il quale le stesse sono state disposte, se questa nuova definizione giuridica del fatto consegua agli esiti delle captazioni o comunque alla fisiologica evoluzione delle investigazioni (cfr. Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, Manna, Rv. 284074 – 01, e Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501 – 01).

7. (Segue): il “nucleo centrale “ del fatto storico per il quale l’intercettazione è autorizzata.

Secondo la sentenza in esame, in considerazione di quanto esposto, appare ragionevole concludere che, ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti, nella nozione di “medesimo procedimento” sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, sempreché dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.  Invero, si è già detto che, in materia di intercettazioni, secondo la giurisprudenza anche delle Sezioni Unite, la nozione di “procedimento” è più ampia di quella di “reato”, e si estende anche a fatti per i quali vi è solo parziale coincidenza, quali i reati connessi. In considerazione di questo assunto, di conseguenza, va anche esclusa l’individuazione della nozione di “procedimento” sulla base di quella di identità del fatto evocata nella memoria presentata nell’interesse dei ricorrenti, quale «corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, esso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona»; del resto, la nozione appena richiamata è relativa al ben diverso istituto del divieto di bis in idem.

Ciò posto, deve rilevarsi che la riferibilità del “medesimo procedimento” a tutte le fattispecie contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento dei provvedimenti legittimanti le intercettazioni, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, non sacrifica l’esigenza garantita dall’art. 15 Cost. di evitare che l’autorizzazione del giudice ad effettuare le captazioni assuma la fisionomia di una “autorizzazione in bianco”. La corrispondenza tra il fatto storico posto a base dell’autorizzazione a disporre le intercettazioni, o parte di esso, e il “nucleo centrale” del fatto storico enunciato della nuova imputazione, in effetti, consente di concludere che pure quest’ultimo rientra tra i «fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede», ossia tra i “fatti” che debbono essere necessariamente predeterminati nel provvedimento del giudice (Corte cost., sent. n. 366 del 1991).

Del resto, è proprio in ragione della medesimezza del fatto storico posto a fondamento delle intercettazioni, o di parte di esso, e del “nucleo centrale” del fatto storico posto a base dell’imputazione non enunciata nel provvedimento autorizzativo, che è possibile ritenere l’utilizzabilità dei risultati delle attività di captazione anche in caso di diversa e meno grave qualificazione della condotta delittuosa per la quale le stesse sono state disposte.

8. (Segue): il decreto di autorizzazione all’intercettazione.

Al fine di valutare se, nella specie, l’utilizzazione dei risultati delle attività di captazione sia da ritenere effettuata nell’ambito del “medesimo procedimento”, per la sentenza in esame è fondamentale muovere dall’esame del decreto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni in caso di urgenza, adottato dalla Procura della Repubblica di Catania il 9 giugno 2018, e del successivo decreto di convalida del G.i.p. del Tribunale di Catania, emesso in pari data; per completezza, è utile dare conto di altri atti allegati ai ricorsi e relativi all’evoluzione del procedimento nel quale sono state effettuate le intercettazioni.

Il decreto adottato dalla Procura della Repubblica di Catania il 9 giugno 2018, è stato emesso nell’ambito del procedimento penale n. 2534 del 2018, nei confronti dell’attuale ricorrente Antonio Padovani, per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., in Catania in corso di consumazione. A base del provvedimento, si riportano innanzitutto dichiarazioni del collaboratore di giustizia Fabio Lanzafame, imprenditore nel settore del gaming on line vicino al clan Santapaola/Ercolano, il quale ha riferito «dell’attività illecita condotta da Padovani Antonio e della quale aveva avuto contezza diretta nell’ambito della sua attività criminale e imprenditoriale». In particolare, secondo quanto trascritto nel decreto, il collaboratore di giustizia: 1) ha indicato Antonio Padovani come «un grosso noleggiatore di slot machines e proprietario del sito “sport and games”»; 2) ha precisato di essere divenuto nel 2002 «agente della “sport and games” proprio attraverso il Padovani», e di aver maturato un debito verso questa società per alcune migliaia di euro nel 2003, poi ripianato a rate; 3) ha riferito che «negli anni successivi un tale Felix cercò spesso di contattarmi, per conto del Padovani. Il Felix era uno stretto collaboratore del Padovani nel settore delle scommesse»; 4) ha aggiunto che, nel 2012/2013, Antonio Padovani gli aveva chiesto nuovamente di collaborare con lui e «mi disse che era in società con un tale Ninì Bacchi di Bagheria, proprietario del sito www.bet2875.com con cui stava avendo dei problemi», ed ancora che da tale collaborazione egli aveva maturato un credito nei confronti dell’attuale ricorrente, da questi adempiuto a rate.

Il decreto, poi, rappresenta che Antonio Padovani nel 2000 era stato sottoposto ad indagini dalle quali era risultato gestire, da “monopolista”, gli apparecchi di videogiochi nella Sicilia orientale, i cui proventi risultavano confluire nelle casse del clan Santapaola, e che a carico del medesimo hanno riferito altri due collaboratori di Giustizia, Carmelo Barbieri ed Eugenio Sturiale. Secondo quanto riportato nel decreto, Carmelo Barbieri ha detto di aver conosciuto Antonio Padovani perché questi voleva aprire delle sale gioco a Gela, e, a tal fine, contattare la “famiglia Madonia”, ed ha aggiunto di averlo perciò fatto incontrare con tale Burgio, gestore della sala bingo di Gela, precisando: «E in quell’occasione, sia Burgio che Padovani, addivennero a un accordo per la fornitura di macchinette, di queste slot-machine e anche per alcuni siti sportivi che erano in dotazione o che li gestiva il signor Padovani». Eugenio Sturiale, invece, ha riferito in termini generali dell’esistenza di rapporti tra Antonio Padovani e la “famiglia Madonia”.

Ancora, il decreto evidenzia la presenza di contatti tra Antonio Padovani e Salvatore Turiano, altro ricorrente in questa sede. Segnala, in particolare, i legami tra i due per reati connessi al gioco d’azzardo tra il 2002 ed il 2016, e, poi, con specifico riferimento al 2018, l’attività di autista svolta dal secondo per il primo nei giorni 22 e 23 maggio 2018. Rimarca come, il 23 maggio 2018, il precisato accompagnamento è stato funzionale a consentire ai due di recarsi presso distinti centri scommesse, uno con l’insegna “Betreal.it”, l’altro con l’insegna “Domus Bet”. Aggiunge che i centri scommesse con insegna “Betreal.it” sarebbero riconducibili ad una società con sede in Malta, il cui legale rappresentante era socio di una società, a sua volta, esercente la gestione di software per la società “Gamenet s.p.a.”, la quale «ha numerose partecipazioni in aziende che esercitano le scommesse on line tra le quali la Sport And Games s.r.l. e la A.P. Games s.r.l., entrambe riconducibili al Padovani Antonio».

Il decreto del G.i.p. del Tribunale di Catania del 9 giugno 2018 ha convalidato il decreto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni in caso di urgenza, adottato dalla Procura della Repubblica di Catania il 9 giugno 2018.

A suo fondamento, in particolare, il decreto del G.i.p. richiama sinteticamente le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Fabio Lanzafame e sottolinea l’esigenza di intercettare le comunicazioni tra Antonio Padovani e Salvatore Turiano, indicato come «pregiudicato per reati connessi».

Per quanto riguarda gli altri atti, allegati ai ricorsi, e relativi all’evoluzione del procedimento nel quale sono state effettuate le intercettazioni, sembra utile indicare in sintesi il contenuto del decreto di iscrizione nel registro nelle notizie di reato a carico di Antonio Padovani nel proc. n. 2534/18, ossia del procedimento nel quale sono state disposte le intercettazioni della cui utilizzabilità si discute, del decreto di iscrizione nel registro nelle notizie di reato datato 15 gennaio 2020, e del decreto di archiviazione del proc. n. 2534/18.

Il decreto di iscrizione nel registro nelle notizie di reato a carico di Antonio Padovani nel proc. n. 2534/18, adottato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania in data 5 giugno 2018, è relativo al «reato di cui agli artt. 110, 416-bis c.p. In Catania in corso di consumazione».

Il decreto di iscrizione nel registro nelle notizie di reato, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania in data 15 gennaio 2020, ha ad oggetto l’iscrizione o l’aggiornamento dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato di numerose persone, tra cui tutti gli attuali ricorrenti. Il precisato decreto, in particolare, premette: «Vista la CNR depositata e la richiesta cautelare predisposta nell’ambito del procedimento 2534/18». Dispone, poi, «[l]’iscrizione (o l’aggiornamento delle iscrizioni nei confronti) di» ottantasei persone, tra i quali gli attuali ricorrenti, e per tutti i fatti per i quali è stata poi esercitata l’azione penale nel presente processo, ivi compresi quelli ritenuti sussistenti dalla sentenza impugnata in questa sede. Ordina, quindi, che «le posizioni sopra indicate e limitatamente alle ipotesi contestate vengano stralciate in un nuovo procedimento penale contenente gli atti a fondamento della richiesta cautelare».
Il decreto di archiviazione del proc. n. 2534/18, adottato dal G.i.p. del Tribunale di Catania in data 29 dicembre 2022, fa seguito alla richiesta di archiviazione del 28 dicembre 2022. Lo stesso, emesso nei confronti di persone che non sono indicate nella copia allegata al ricorso, attiene ai reati di cui agli artt. 416-bis, 640 c.p. e 4 legge n. 401 del 1989. Il provvedimento, in particolare precisa: «L’odierno presente costituisce l’originario proc. di cui è stralcio il più corposo proc. pen. n. 1021/2020 R.G.N.R. (e N. 892/2020 R.G.GIP), denominato “Apate” nei confronti di Padovani Antonio e altri». E aggiunge in immediata consecuzione: «Per la maggior parte delle posizioni è stata esercitata azione penale, mentre restano da valutare, in questa sede, le posizioni dei soggetti nei confronti dei quali non emergono elementi per l’utile esercizio dell’azione penale». Per chiarezza, va precisato che, per quanto risulta dall’intestazione della sentenza emessa in primo grado nel presente procedimento dal Tribunale di Catania, ufficio del Giudice per le indagini preliminari, in data 12 maggio 2022, il

presente procedimento recava il n. 1021/20 R.G.N.R. e il n. 892/20 R.G. G.I.P. 2.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi legittimamente valutabili, può concludersi che le intercettazioni di cui si discute sono utilizzabili ai fini dell’accertamento dei reati per cui si procede, in quanto deve ritenersi che le stesse sono state disposte nel “medesimo procedimento”. La sentenza ha già chiarito che si è nell’ambito del “medesimo procedimento” quando il reato per il quale si procede, sebbene non enunciato nel decreto di autorizzazione delle intercettazioni, si riferisce ad un fatto storico il cui “nucleo centrale” coincide con – o è incluso in – quello posto a fondamento del precisato provvedimento.

Ora, nella vicenda in esame, il reato di associazione per delinquere finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti, in particolare relativi all’esercizio abusivo di giochi e scommesse, ascritto ad Antonio Padovani nella qualità di capo e promotore, ha ad oggetto un fatto storico il cui “nucleo centrale” è incluso in quello descritto a fondamento della contestazione di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen., per la quale sono state autorizzate le intercettazioni.

Invero, la condotta indicata a base dell’imputazione di cui agli artt. 110 e 416- bis cod. pen., ed ascritta ad Antonio Padovani, riguarda proprio l’esercizio della sua attività imprenditoriale nel settore dei giochi e delle scommesse; e, nei decreti autorizzativi delle intercettazioni, si rappresenta che questa attività ha ad oggetto non solo il noleggio di slot machines, ma anche, e specificamente, la gestione di siti internet per la raccolta di scommesse, esercitata in modo organizzato ed avvalendosi di più collaboratori, tra cui Salvatore Turiano, poi ritenuto partecipe dell’associazione per delinquere oggetto del presente giudizio.

In particolare, come più analiticamente evidenziato nel § 2.2.1, nel decreto autorizzativo di urgenza del P.M. si espone che: a) il collaboratore di giustizia Lanzafame indica Padovani come proprietario del sito “sport and games”, e riferisce di essere stato agente della società gerente tale sito «attraverso il Padovani», di essere stato contattato per conto di Padovani da tale Felix «stretto collaboratore» dell’attuale ricorrente proprio «nel settore delle scommesse», e di aver appreso da Padovani della partecipazione dello stesso in una società che gestiva un sito scommesse “.com”; b) il collaboratore Carmelo Barbieri fornisce notizia di un accordo tra Padovani e tale Burgio per la gestione in Gela «anche per alcuni siti sportivi che erano in dotazione o che li gestiva il signor Padovani»; c) le banche dati in possesso delle forze di polizia documentano rapporti consolidati nel tempo tra Antonio Padovani e Salvatore Turiano, anche specificamente relativi a reati connessi al gioco d’azzardo; d) pedinamenti effettuati nel maggio 2018 hanno confermato il rapporto di collaborazione tra Padovani e Turiano, pure allo specifico fine di recarsi presso più centri di gestione di scommesse.

Inoltre, nel decreto di convalida del G.i.p., pur motivato in modo sintetico, si richiama espressamente e specificamente come rilevante proprio il rapporto intercorrente tra Antonio Padovani e Salvatore Turiano.

Le osservazioni che precedono sono risolutive ai fini del giudizio affermativo dell’utilizzabilità delle intercettazioni nel presente giudizio, atteso che questa conclusione, nella specie, dipende dalla nozione di “medesimo procedimento”, e che tale nozione, come precedentemente rilevato nel § 2.1.4., in linea con le indicazioni di Sez. U, Cavallo, cit., si qualifica per il suo contenuto “sostanziale”, e non per profili formali connessi alle iscrizioni nel registro delle notizie di reato.

A ogni modo, per completezza, si può rilevare che, dalla documentazione allegata dalla difesa al ricorso, per come già sintetizzato, risulta come il procedimento penale da cui è derivato il presente giudizio sia uno «stralcio» effettuato nel 2020 dal procedimento nel quale sono state disposte le intercettazioni, successivamente all’effettuazione di queste. Sicché, anche da un punto di vista formale, le intercettazioni di cui si discute, possono ritenersi effettuate nel “medesimo procedimento”.

9. Osservazioni critiche.

La pronuncia in commento non può essere condivisa perchè svuota di contenuto il controllo del giudice, ammettendo che il  reato di associazione per delinquere finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti relativi all’esercizio abusivo di giochi e scommesse, ascritto al ricorrente nella qualità di capo e promotore, avrebbe ad oggetto un fatto storico il cui “nucleo centrale” esarebbe incluso in quello descritto a fondamento della contestazione di associazione di stampo mafioso, per la quale erano state autorizzate le intercettazioni.

In definitiva, la Corte giunge a ravvisare una identità fattuale tra l’associazione di stampo mafioso, per la quale le intercettazioni furono a suo tempo autorizzate, e una generica associazione a delinquere, nonostante il fatto di reato sia ben diverso tra le due fattispecie criminose, che presentano un’evidente  diversità ontologica tra le due forme di delitto associativo.

 Ma soprattutto, il delitto di associazione di stampo mafioso è stato archiviato e quindi un giudice ha affermato l’insussistenza del relativo fatto di reato, che non può quindi essere posto a base di una altra autorizzazione ad intercettare.

 Ma è evidente che il controllo del giudice per autorizzare o meno l’intercettazione, sotto il profilo della sussistenza dei “gravi indizi di reato”, deve avere ad oggetto un fatto di reato contestato precisamente dal pubblico ministero, con indicazione degli elementi essenziali del delitto, della data e del luogo di commissione del fatto. E il fatto di reato relativo all’associazione mafiosa non solo è ontologicamente diverso dal fatto di reato riguardante l’associazione ai finidell’esercizio abusivo di giochi e scommesse, ma si distingue pure per le diverse date e luoghi di commissione del fatto.

E allora, come si può sostenere che il giudice, autorizzando l’intercettazione per l’associazione mafiosa (poi archiviata e quindi insussistente), avrebbe implicitamente autorizzato anche la assai diversa associazione a delinquere, iscritta nel registro delle notizie di reato ben due anni dopo  ? 

Seguendo questa impostazione, l’autorizzazione ad intercettare relativa ad un fatto autorizzerebbe l’intercettazione per altri innumerevoli fatti diversi, il cui “nucleo centrale” potrebbe ritenersi “incluso” o “prossimo” o “simile” a quello autorizzato: il che significherebbe ammettere una “autorizzazione in bianco”, che la Corte costituzionale censurò già dagli anni ’90 del secolo scorso (Corte cost.10.2.1994, n. 63).

Si potrebbe anche pensare di essere di fronte allo stesso fatto, ma diversamente qualificato nel tempo, prima come associazione  mafiosa e poi derubricato come semplice associazione a delinquere.

Ma in questo caso il vulnus per la giustizia sarebbe ancora maggiore : il pubblico ministero nella richiesta di intercettazione avrebbe  “iper-qualificato” una semplice associazione a delinquere in una associazione di stampo mafioso e, quel che è più grave,  il g.i.p. avrebbe omesso di effettuare le doverose valutazioni a tutela della segretezza delle comunicazioni.

Non so in quale delle due ipotesi la giustizia ne esca peggio.

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