Ius soli: la Corte Suprema U.S. interviene sulle ingiunzioni universali delle corti federali e sull’ambito soggettivo della tutela cautelare escludendo uno scrutinio generalizzato degli Executive Orders.

Il 27 giugno la Corte Suprema è intervenuta sulle universal injunctions che erano state adottate da varie Corti distrettuali per impedire l’esecuzione dell’Executive Order di Trump che reinterpreta il XIV emendamento. La decisione ha risolto una questione eminentemente procedurale che, per le prevedibili implicazioni, ha suscitato preoccupazione non solo negli Stati Uniti, ma anche in Italia[[1]].

Lo ius soli nella vicenda rimane sullo sfondo e la decisione non tocca il merito dell’attacco dell’amministrazione Trump al principio costituzionale ed alla sua attuazione quotidiana. Conviene, tuttavia farne brevemente cenno. Lo ius soli era stato riconosciuto nell’ambito degli emendamenti costituzionali che seguivano la guerra civile – i cosiddetti Reconstruction amendments – adottati tra il 1865 ed il 1870. Il primo periodo della prima sezione del XIV, ratificato nel 1868, si proponeva di disciplinare gli aspetti relativi alla cittadinanza degli ex schiavi liberati. La disposizione recita: “tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e pertanto soggette alla giurisdizione di questi, sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”. La stessa esprimeva il ripudio della infame decisione del 1857 della Corte Suprema nel caso Dred Scott v. Sandford[[2]] la quale aveva escluso che gli individui di discendenza africana avessero i requisiti per la cittadinanza.

L’Executive Order 14160, adottato da Trump all’atto dell’insediamento il 20 gennaio 2025 e intitolato “proteggere il senso ed il valore della cittadinanza americana”[[3]] afferma che non è sufficiente la nascita o la naturalizzazione negli Stati Uniti, ma che occorre bensì essere soggetti alla giurisdizione degli Stati Uniti. Nell’Executive Order sono descritte due situazioni nelle quali asseritamente una persona nata negli Stati Uniti non sarebbe soggetta alla giurisdizione di questi: a) quando all’atto della nascita la madre era illegittimamente presente negli Stati Uniti e il padre non era un cittadino o un residente legale permanente e b) quando all’atto della nascita la madre era legittimamente ma solo temporaneamente presente negli Stati Uniti e il padre non era un cittadino o un residente legale permanente. Nella sua parte operativa, l’Executive Order stabilisce come policy degli Stati Uniti che nessun dipartimento o agenzia federale degli Stati Uniti dovrà rilasciare documenti che riconoscono la cittadinanza degli Stati Uniti alle persone che si trovano nelle condizioni sopra riportate. Inoltre, le autorità federali non accettano documenti provenienti dagli Stati o dalle loro autorità locali che pretendono di riconoscere la cittadinanza alle persone menzionate. Infine, l’Executive Order stabilisce che le policies e i regolamenti del Segretario di Stato, dell’Attorney General, del Segretario della Homeland Security e del Commissario per la sicurezza sociale riflettano le disposizioni dell’Order.    

    Pertanto, l’Executive Order non abroga, né poteva abrogare il XIV emendamento ma impone piuttosto un’interpretazione della Costituzionale a tutta l’amministrazione federale. La “soggezione alla giurisdizione degli Stati Uniti” quale requisito costituiva una questione dibattuta in una prospettiva securitaria, prima dell’avvento di Trump. Si era, in particolare sostenuto che l’inciso riflettesse quello espresso in forma negativa nel Civil Rights Act del 1866. Questo riconosceva i diritti civili a chiunque fosse nato negli Stati Uniti da genitori “non soggetti alla giurisdizione di una potenza straniera” (o da nativi indiani non tassati …)[[4]]. Il Congresso, nel Nationality Act del 1952 ha ripreso pedissequamente il requisito dal XIV emendamento con riferimento all’individuo nato negli Stati Uniti (8 U.S. § 1401, a)). Il Nationality Act contempla anche situazioni di individui nati negli Stati Uniti, rispetto ai quali non è riprodotto l’inciso “soggetto alla giurisdizione degli Stati Uniti”. È questo il caso dei membri delle tribù indiane, esquimesi, delle isole aleutine o di altre tribù aborigene (8 U.S.C. § 1401, b)). L’inciso è, inoltre, omesso rispetto al minore di anni cinque di ignoti natali, quando lo stesso è “trovato negli Stati Uniti” (8 U.S.C. § 1401, f)). L’interpretazione e gli effetti dell’Executive Order 14160 sono stati contestati in numerosi contenziosi avviati all’indomani della firma dello stesso in ragione del contrasto con il XIV emendamento e con il Nationality Act. Il Litigation Tracker del sito web Lawfare[[5]], riporta dieci “casi” pendenti davanti alle differenti Corti distrettuali degli Stati Uniti. L’ordinamento federale degli Stati Uniti non conosce una “giustizia amministrativa” sul modello italiano e il rimedio avverso l’illegittimità dell’azione dell’amministrazione federale è costituito, nel caso del diniego dei diritti di cittadinanza e delle espulsioni, dal ricorso al giudice civile.  

La decisione della Corte Suprema del 27 giugno 2025, nei casi Trump e altri contro Casa, Inc. e altri, muove dall’impugnazione da parte del governo, delle ingiunzioni emesse in tre contenziosi distinti avviati in differenti distretti da privati, associazioni e dagli Stati di Washington e del New Jersey. Le ingiunzioni citate sono descritte come universal injunctions che precludono agli ufficiali dell’amministrazione l’applicazione dell’Executive Order a chiunque e non solo ai ricorrenti. Tali misure sono “interim before the interim” e sono accordate in somma urgenza laddove una misura preliminare richiederebbe, comunque, troppo tempo. Il governo aveva richiesto senza successo la sospensione delle ingiunzioni alle Corti d’appello federali rispettivamente competenti. Nell’adire la Corte Suprema il governo aveva affermato che le Corti federali sono prive del potere di accordare quello che è definito un universal relief. Nella sua decisione, la Corte Suprema si è limitata alla questione se le Corti federali, ai sensi del Judiciary Act del 1789, sono dotate di una equitable authority per adottare universal injunctions. La decisione, come accennato, non pregiudica il merito delle violazioni costituzionali e di legge dedotte nei contenziosi con riguardo alla limitazione della birthright citizenship, ma restringe la tutela per i non ricorrenti. In particolare, accoglie in parte i ricorsi riuniti del governo, disponendo la sospensione parziale delle ingiunzioni impugnate, “ma solo nella misura in cui queste sono più ampie di quanto necessario per assicurare una completa tutela (relief) a ciascuna parte attrice con legittimazione attiva (with standing) per fare causa”. La misura della limitazione dell’estensione del rimedio sarà rimessa alle corti federali innanzi alle quali pende il contenzioso. Il riferimento alle parti attivamente legittimate richiama, invece, un altro aspetto che la decisione ha ritenuto di non risolvere e, in particolare, se gli Stati siano legittimati ad agire nell’interesse dei propri abitanti. La Corte Suprema aveva trattato in precedenza istanze del governo di sospendere singole ingiunzioni universali, rinviando l’analisi della legittimità delle misure in quanto tali[[6]].

La decisione è stata adottata con il concorso della maggioranza costituita dai sei giudici “conservatori” tutti di nomina repubblicana con il dissenso dei tre giudici “progressisti” di nomina democratica. La divisione 6 – 3 sembrerebbe, anche in questo caso, quella delle contrapposizioni politiche, ma singole propensioni nella maggioranza emergono già dalla majority opinion, redatta dall’ultima nominata di Trump, Barrett, che episodicamente si schiera con i progressisti, ma che solitamente tende a mantenersi strettamente all’oggetto del giudizio,evitando si risolvere questioni connesse o consequenziali. La decisione esclude la possibilità di rinvenire un potere di inibitoria universale dell’esecuzione degli Executive Orders nel mero conferimento alle Corti federali della giurisdizione su tutte le cause in equity secondo il Judiciary Act del 1789. La possibilità di decidere secondo equità costituiva nel diritto inglese un temperamento della rigida applicazione della Common Law, quando questa avrebbe portato a risultati ingiusti. Secondo la Corte Suprema, il Judiciary Act del 1789 attribuisce alle Corti federali solo quei rimedi in equity che erano tradizionalmente esercitati dalle corti inglesi allorquando il modello è stato recepito negli Stati Uniti. In precedenza, la Corte Suprema aveva ritenuto che dovesse aversi riguardo ai poteri della Court of Chancery inglese all’epoca[[7]]. Secondo l’opinione di maggioranza le suits in equity erano intentate da e nei confronti di parti individuali e, come regola generale, tutte le persone interessate dovevano essere individuate come parti. Ragione che esclude necessariamente rimedi in corso di causa che si estendono ad una pluralità indistinta di soggetti terzi. In conclusione, secondo l’opinione di maggioranza, “le Corti federali non esercitano una supervisione generalizzata dell’esecutivo; risolvono casi e controversie conformemente ai poteri conferiti dal Congresso [e] quando una corte conclude che l’esecutivo ha agito in maniera illegale, la risposta non è quella di eccedere a sua volta i propri poteri”. Un aspetto potenzialmente suscettibile di sviluppi è individuato dalla considerazione per la quale le ingiunzioni universali, nel creare un “scorciatoia” per forme di rimedio che giovano a parti e non parti del procedimento, costituirebbe una elusione delle procedure per la certificazione di una “class action” secondo le Federal Rules of Civil Procedure. Azione per la quale è, comunque, previsto un classwide relief. Considerazione che lascia aperta una porta per l’utilizzo delle class actions per il contrasto degli Executive Orders. Si tratta di un aspetto che ha suscitato la preoccupazione del giudice Alito che ha ritenuto di trattare nella propria opinione concorrente l’esigenza di non discostarsi dai requisiti, invero piuttosto stringenti (ma non insuperabili), per l’autorizzazione di una class action. L’opinione dissenziente redatta dal giudice Sotomayor con il concorso di Kagan e Jackson solleva numerose questioni relative all’incostituzionalità dell’Executive Order ed alla illegittimità dello stesso. L’opinione di minoranza osserva, inoltre, che le Corti federali hanno tradizionalmente fatto uso dei propri poteri equitativi per inibire l’esecuzione di leggi statali incostituzionali. Afferma, inoltre, che la maggioranza non avrebbe considerato il principio che la sospensione delle ingiunzioni, disposta a richiesta del governo, non sarebbe questione di diritto, ma essenzialmente discrezionale. Inoltre, tale sospensione, non è stata tradizionalmente accordata al ricorrente in cattiva fede, alle cause non eque ed in assenza di dimostrazione di un pregiudizio irreparabile.

Nel complesso, la decisione favorisce l’azione dell’Amministrazione Trump restringendo le situazioni di tutela piena avverso misure spesso derogatorie ed in contrasto con il quadro costituzionale e normativo alle parti che agiscono per la sospensione delle stesse, con l’eccezione della class action la cui effettività è tutta da verificare. Alla vigilia dell’insediamento dell’amministrazione Trump, la “tenuta” della Corte suprema costituiva un’incognita. La giurisprudenza di quest’ultima ha mostrato, in seguito, di mantenere talvolta il punto, assecondando in altre situazioni il Governo nella sospensione di singole ingiunzioni, rinviando ad altra occasione l’esame di singoli casi. Nel mese di marzo, la Corte ha rifiutato si esercitare la propria “giurisdizione originale” per l’esame della causa di diciannove Stati repubblicani che contestavano le stringenti normative ambientali di cinque Stati democratici[[8]]. Nel mese di maggio, la Corte ha escluso che l’amministrazione Trump potesse basare la propria politica di espulsioni sullo Alien Enemies Act[[9]]. Nel medesimo mese ha sospeso i provvedimenti che imponevano all’amministrazione di reintegrare i vertici di due amministrazioni indipendenti, inserendo nella decisione un monito per l’indipendenza della Federal Reserve[[10]]. Anche senza la deferenza che è sempre opportuno accordare ad una decisione di una corte apicale straniera, quella odierna appare persuasiva e convincente nello sviluppo. Vi è, tuttavia, una questione di contesto e metagiuridica, che non riguarda l’oggetto del giudizio, ma piuttosto l’accresciuta pericolosità di misure che sono evidenza dell’erosione democratica in atto negli Stati Uniti e che, per quanti non potranno agire in giudizio per ricercare quella tutela completa che la Corte riconosce, avranno il senso del fatto compiuto.


[[1]] Al riguardo, v. M. Basile, Usa, la Corte suprema disarma la magistratura: “Non intralci Trump”, in La Repubblica, 27 giugno 2025, online: https://www.repubblica.it/esteri/2025/06/28/news/ius_soli_usa_trump_corte_suprema_giudici-424696964/ .  

[[2]] United States Supreme Court, Dred Scott v. Sandford, 60 U.S. (19 How.) 393 (1857).

[[3]] Executive Order 14160 of January 20, 2025, Protecting the Meaning and Value of American Citizenship, Federal Register p. 8449, online: https://www.federalregister.gov/documents/2025/01/29/2025-02007/protecting-the-meaning-and-value-of-american-citizenship

[[4]] Sul punto, v. M. Paradis, The National Security Dimension of Birthright Citizenship, in Lawfare, 24 agosto 2015, online: https://www.lawfaremedia.org/article/national-security-dimension-birthright-citizenship 

[[5]] Litigation Tracker: Legal Challenges to Trump Administration Actions, in Lawfare, status 26 giugno 2025, https://www.justsecurity.org/107087/tracker-litigation-legal-challenges-trump-administration/

[[6]] Il riferimento è ai casi McHenry v. Texas Top Cop Shop, 604 U. S. ___, ___ (2025).

[[7]] Grupo Mexicano de Desarrollo, S. A. v. Alliance Bond Fund, Inc., 527 U.S. 308 (1999).

[[8]] Alabama, et al. v. California, et al., On motion for leave to file a bill of complaint, No. 158, Orig. Decided March 10, 2025, https://www.supremecourt.gov/opinions/24pdf/158orig_jiek.pdf

[[9]] A.A.R.P., et al. v. Donald J. Trump, et al., On application for injunction, May 16, 2025, https://www.supremecourt.gov/opinions/24pdf/24a1007_g2bh.pdf

[[10]] Donald J. Trump, et al. v. Gwynne A. Wilcox, et al., On application for stay, May 22, 2025, https://www.supremecourt.gov/opinions/24pdf/24a966_1b8e.pdf

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