La Cassazione riduce l’obbligo motivazionale per ricorrere ad impianti di intercettazione esterni alla Procura

Sez. I, 19.3.2025 (dep. 8.7.2025), n. 25098, Cicino e altri

La Corte di cassazione ha affermato che la sussistenza delle “eccezionali ragioni di urgenza”, richieste dall’art. 268, comma 3, c.p.p. per l’esecuzione delle operazioni di intercettazione mediante l’impiego di apparecchiature diverse da quelle installate presso gli uffici della Procura, può desumersi anche implicitamente dal riferimento all’attività criminosa in corso, indicata nel provvedimento del pubblico ministero, ovvero complessivamente ricavabile dagli atti del procedimento.

La sentenza.-

La Corte di cassazione ha ribadito un principio, già presente in giurisprudenza,  per cui le “eccezionali ragioni di urgenza” possono essere agevolmente desunte anche dalla natura del reato per il quale si procede (come avvenuto nel caso di specie, procedendosi per il reato di associazione di tipo mafioso, che ha carattere di reato permanente), e possono desumersi anche dagli atti del procedimento nel loro complesso.

E’ questo un leitmotive della Corte di legittimità, tanto consueto quanto giuridicamente infondato, come si vedrà appresso.

Si è, infatti, affermato negli anni che le ragioni di urgenza richieste dall’art. 267, comma 2, c.p.p., affinché il pubblico ministero possa disporre di sua iniziativa l’intercettazione e perché possa avvalersi, ai sensi dell’art. 268, comma 3, c. p. p. di impianti esterni a quelli installati nella Procura della Repubblica, sarebbero tra loro equiparabili  e troverebbero giustificazione implicita là dove siano desumibili dal riferimento all’attività criminosa in corso indicata, non solo nel provvedimento del pubblico ministero, ma anche complessivamente ricavabile dagli atti del procedimento (ex plurimis: Sez. VI, n. 45986 del 16/10/2013, Foddi, Rv. 258159; Sez. VI, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli, Rv. 254101; Sez. II, n. 5103/10 del 17/12/2009, Canizzaro, Rv. 246435; Sez. VI, n. 15396/08 del 11/12/2007, Sitzia, Rv. 239633). Tale principio è stato, più di recente, ribadito da Sez. VI, n. 30994 del 05/04/2018, Liverani, Rv. 273594 – 01, per cui in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, la sussistenza delle eccezionali ragioni di urgenza, richieste dall’art. 268, comma 3, c. p. p., per l’esecuzione delle operazioni mediante l’impiego di apparecchiature diverse da quelle installate presso gli uffici della Procura può desumersi anche implicitamente dal riferimento all’attività criminosa in corso, indicata non solo nel provvedimento del pubblico ministero, ma anche complessivamente ricavabile dagli atti del procedimento.

Per la verità, la Corte di cassazione ha talvolta mostrato maggiore consapevolezza per i valori sottesi all’art. 15 Cost. Infatti, essa ha anche osservato che il quesito di diritto posto dai ricorrenti è se sia possibile sostenere – come ha sostanzialmente ritenuto la Corte territoriale – che uno dei presupposti legittimante il ricorso all’impiego degli impianti esterni nel caso di intercettazioni disposte previa autorizzazione del G.I.P., in particolare l’indisponibilità e/o inidoneità degli impianti esistenti presso la procura della Repubblica, possa essere indicato dal P.M. solo come eventuale o ipotetico e, quindi, non certo nella sua esistenza. La risposta della Corte di cassazione  fu decisamente negativa, osservandosi che, in caso contrario, si legittimerebbe una motivazione solamente apparente che si risolverebbe nella delega agli organi di polizia giudiziaria di verificare l’impossibilità e/o l’inidoneità degli impianti e di operare di conseguenza in termini di autorizzazione in bianco, tale da rimette all’organo esecutivo la verifica dei detti presupposti, con conseguente elusione del disposto dell’art. 268, comma 3, c. p. p., che, invece attua la riserva di legge rinforzata dall’obbligo di motivazione a opera dell’autorità giudiziaria procedente, prevista nell’art. 15, comma 2, Cost. (Cass., Sez. IV, ud. 21.12.2023, n. 5409; sul punto si veda, in fattispecie per certi versi non dissimile rispetto alla presente, di Sez. V, n. 32569 del 11/07/2006, non massimata).


Osservazioni critiche.-

La pronuncia in esame non può essere condivisa perché palesemente erronea in diritto.

Infatti, non possono tra loro confondersi le “ragioni di urgenza”, specificate dal legislatore nel “fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini” e che perciò, a norma dell’art. 267, comma 2, c.p.p. consentono al p.m. di disporre l’intercettazione, subordinata alla successiva tempestiva convalida del g.i.p., con le “eccezionali ragioni di urgenza” che, in presenza di impianti insufficienti o inidonei, consentono il compimento delle operazioni di intercettazione con impianti diversi da quelli installati nella Procura della Repubblica. La prima è l’urgenza di intercettare perché non si può attendere il decreto del g.i.p, mentre la seconda è l’urgenza di intercettare perché non si dispone di impianti funzionanti presso la Procura ed è definita “eccezionale” nel senso che, solo eccezionalmente, si può ricorrere a impianti lontani dal controllo del P.M.

Perciò, la sentenza svilisce i presupposti indicati dalla legge all’art. 268, comma 3, c.p.p. al fine di garantire il costante controllo del Pubblico ministero sulla corretta  esecuzione delle operazioni di intercettazione.

Infatti, fra le «garanzie stabilite dalla legge» ex art. 15, comma 2, Cost. vi è anche l’indicazione degli impianti mediante i quali le intercettazioni possono essere eseguite. Dai lavori preparatori della Costituzione emerge con chiarezza la preoccupazione per eventuali abusi perpetrabili con gli impianti della polizia giudiziaria e la stessa preoccupazione fu manifestata durante l’iter legislativo che approdò nella l. 18.5.1978, n. 191. Anche l’utilizzazione degli impianti di pubblico servizio destava preoccupazioni per la tutela della segretezza delle comunicazioni e per la riservatezza dei comunicanti a causa del gran numero di persone addette agli uffici delle telecomunicazioni.

Da notare che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 34/1973, aveva precisato che l’intercettazione deve attuarsi “sotto il diretto controllo del giudice” in modo da assicurare che “si proceda alle intercettazioni autorizzate, solo a queste e solo nei limiti dell’autorizzazione, sicché l’art. 268, comma 3, c.p.p., in quanto attribuisce il controllo sull’esecuzione al p.m., anziché al giudice, non attua compiutamente l’art. 15 Cost.

Va ricordato che in proposito sono intervenute le S.U. Carli del 2008, che affermarono che condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che la “registrazione” – che consiste nell’immissione nella memoria informatica centralizzata (server), dei dati captati nella centrale dell’operatore telefonico – sia avvenuta per mezzo degli impianti installati in Procura, anche se le operazioni di “ascolto”, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici di p.g.  Le S.U. Carli hanno anche chiarito che l’utilizzo nelle operazioni di intercettazione della tecnica del cosiddetto ascolto remotizzato (roaming), in base al quale l’intercettazione, mediante istradamento dei flussi sonori, può essere immediatamente ascoltata anche presso gli uffici della p.g., è legittimo, senza necessità di dover far ricorso alla disciplina dell’art. 268,  comma 3, c.p.p., con conseguente utilizzabilità dei relativi esiti, purché la “registrazione”- che consiste nell’immissione nella memoria informatica centralizzata (server) dei dati captati nella centrale dell’operatore telefonico – sia avvenuta per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, e ciò anche se le operazioni di trasferimento su supporto informatico dei dati registrati e di verbalizzazione siano eseguite negli uffici di p.g. Nel ribadire la legittimità dell’ascolto “remotizzato” presso gli uffici di polizia giudiziaria delle intercettazioni telefoniche, ha precisato che essenziale per l’utilizzabilità delle medesime è che l’attività di “registrazione” – e cioè di immissione dei dati captati in una memoria informatica – avvenga nei locali della procura della Repubblica (salva la possibilità di una registrazione derivata anche presso gli uffici di polizia) mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, dove non è invece necessario vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di “verbalizzazione” ed eventuale “riproduzione” dei dati così registrati su supporto informatico. In particolare, la Corte ha chiarito che anche il trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario può essere “remotizzato”, trattandosi di operazione estranea alla nozione di “registrazione”, la cui affidabilità viene garantita dalla legge processuale consentendo alla difesa l’accesso alle registrazioni originali. Merito chiarificatore delle S.U. è stato quello di individuare le diverse fasi delle operazioni di intercettazione: la “captazione” delle conversazioni non può essere effettuata che presso l’operatore telefonico che poi trasmette i dati in formato digitale per la registrazione attraverso apparati multi linea (collegati cioè ad un flusso di linee telefoniche) agli impianti di procura. L’operazione di “registrazione” deve necessariamente avvenire negli uffici della Procura, a pena di inutilizzabilità ex artt. 268, comma 3, e 271 c.p.p. con successiva decodificazione in files vocali immagazzinati in memorie informatiche centralizzate (server), ai fini del successivo trasferimento su supporti informatici (cd o dvd) per l’utilizzo nei diversi procedimenti. Non si può escludere, secondo le S.U., un’ulteriore registrazione, derivata dalla prima, per mezzo degli impianti in uso alla polizia giudiziaria che procede all’ascolto, da impiegare poi per le successive operazioni, sempre negli uffici della polizia giudiziaria di trasferimento dei dati su supporti informatici. Diversa e successiva è la fase dell’“ascolto”, cui si procede, di norma, direttamente nel luogo ove si procede alla registrazione, ossia presso gli uffici della Procura, salva l’ipotesi di cui all’art. 268, comma 3, c.p.p. allorché l’ascolto avviene nel diverso luogo ove avviene la registrazione.Nel caso di “ascolto remotizzato”, all’ascolto può procedersi contemporaneamente negli uffici sia della Procura sia della polizia giudiziaria dove il segnale è trasferito. Ancora diversa e successiva è la fase del “trasferimento” dei dati su supporto informatico (cd o dvd), che è autonoma rispetto alla registrazione già avvenuta sul server della procura con eventuale ripetizione sugli apparati in uso alla polizia giudiziaria, al fine di agevolare lo scarico dei dati su supporti informatici della stessa polizia giudiziaria Tutte le menzionate operazioni sono infine oggetto di “verbalizzazione”, che descrive le diverse fasi secondo le prescrizioni dell’art. 89 disp. att. c.p.p., e che non deve necessariamente avvenire negli uffici della Procura. In definitiva, secondo le S.U., condizione necessaria per l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni è che la registrazione sia avvenuta per mezzo degli impianti installati presso la procura della Repubblica, anche se le operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati registrati siano eseguite negli uffici della polizia giudiziaria. Di conseguenza i difensori che sospettano che le copie delle registrazioni depositate siano infedeli possono confrontare le registrazioni della polizia giudiziaria con quelle originali contenute nel disco rigido del server della Procura. In realtà l’art. 268, comma 3, c.p.p., nel prescrivere l’impiego degli impianti installati presso la Procura della Repubblica, non intende garantire soltanto la genuinità delle registrazioni, ma anche e soprattutto la riservatezza delle operazioni onde evitare indebite propalazioni del loro contenuto e quest’ultima finalità non è assicurata dalle operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione che avvengano negli uffici di polizia giudiziaria (Cass., Sez. Un., 26.6.2008, Carli).

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