Preventive confiscation that has lost its preventive function
Sommario 1. Una questione sempre aperta 2. Principio disgiuntivo e assenza del pericolo attuale 3. La ricerca del tertium genus funzionale 4. Ritorno alla formulazione della legge Rognoni-La Torre per ritrovare la coerenza sistematica, a partire dalla congruità semantica.
ABSTRACT
La dottrina parla di “frode delle etichette” quando il nomen iuris non corrisponde alla funzionalità politico-criminale dell’istituto. In molti casi, non si tratta di una discrasia di poco conto e meramente nominalistica, perché incide sulla ratio iuris e, dunque, sullo stesso fondamento logico-giuridico dell’istituto in considerazione. Per certi versi, tale fondamento è prioritario rispetto agli altri aspetti di congruenza tecnico-giuridica all’interno del sistema. La confisca di prevenzione pone problemi di questo tipo, perché l’introduzione del principio disgiuntivo ha fatto venir meno il necessario riferimento all’attualità del pericolo. Secondo l’Autore, la via di ravvisare la funzionalità “ripristinatoria” come tertium genus a fondamento dell’istituto imboccata dalla giurisprudenza nazionale e seguita anche dalla Corte EDU in recenti pronunce non pare percorribile, poichè il ripristino dello status quo ante configura pur sempre una sanzione. Non rimane che ritornare all’originaria formulazione dell’istituto, di cui alla legge Rognoni-La Torre, per ritrovare la coerenza semantica e sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata.
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Legal doctrine defines as so-called “fraud of labels” the case in which the nomen iuris (legal designation of a legal institution) does not correspond to its functionality from a political-criminal law perspective. In many cases, this is not a minor or merely nominal discrepancy, since it affects the ratio iuris (purpose underlying a legal institution) and therefore the very logical-legal basis of the institution under consideration. In some ways, this foundation is a priority compared to other aspects of technical-legal congruity within the system. Preventive seizure causes this kind of difficulties because the introduction of the disjunctive principle has eliminated the necessary reference to the currentness of the danger. According to the Author, the path of identifying a “restorative” functionality, as a tertium genus (third kind) underlying the institution, taken by national jurisprudence and followed by the ECHR in recent judgments, does not seem viable, because the restoration of the status quo ante (previous state) still constitutes a sanction. The only remaining option is to return to the original formulation of the institution, as per the Rognoni-La Torre Law, in order to regain the constitutionally and conventionally oriented semantic and systematic coherence.
- Una questione sempre aperta
La questione della conformità delle vigenti misure di prevenzione ai principi della Costituzione italiana e della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo rimane aperta, pur dopo le numerose pronunce della Corte di cassazione, della Corte costituzionale e della Corte EDU[1]. Sul versante delle misure di prevenzione personali, la sentenza De Tommaso ha fatto chiarezza, ma solo con riguardo alla pericolosità generica del proposto, lasciando comunque nebulosa la linea interpretativa da seguire nei casi di pericolosità qualificata[2]. Sul versante delle misure reali, le incertezze sono ancora più rilevanti, perché gli effetti definitivi e irreversibili della confisca confliggono, già prima facie, con la limitatezza intrinseca della cornice temporale all’interno della quale si manifesta il pericolo rappresentato dalla persona del proposto. D’altronde, se la misura reale, con i suoi effetti permanenti, viene disgiunta da quella personale, temporalmente limitata, può venir meno il cennato conflitto, ma si pone il problema ancora più arduo di quale sia la funzione di una misura non più diretta a prevenire un pericolo[3]. Quale ne sarebbe il fondamento giustificativo? Se non previene un pericolo, come si giustifica la confisca di prevenzione? Il nominalismo preventivo cela – e per ciò stesso distorce – una ben diversa ratio politica della norma?
È superfluo precisare che la domanda è molto complessa e presenta numerosi risvolti e implicazioni. Venendo meno la funzione preventiva, per l’impossibilità di assumere che il pericolo sia costituito dalla cosa, anziché dalla persona, sembrerebbe automatico e consequenziale riconoscere la natura sanzionatorio-punitiva della confisca, ma ciò comporterebbe uno stravolgimento dell’intero sistema, giacché si dovrebbero applicare i principi penalistici e processualpenalistici in una materia fin qui ritenuta amministrativa[4]. Sicché, la strada della conformità ai principi costituzionali e convenzionali è molto stretta, qualunque sia l’avviso dell’interprete. Ne riassumiamo le ragioni: a) non ha senso la prevenzione in mancanza di un pericolo; b) la personalità pericolosa del proposto si iscrive all’interno di un orizzonte temporale che contrasta con il carattere definitivo della confisca; c) teoricamente il pericolo permanente, giustificativo della misura definitiva, potrebbe appartenere alla cosa e non già alla persona, ma la confisca ha per oggetto beni non pericolosi ex se; d) ne deriva che la confisca, nominalmente di prevenzione, non svolge una funzione preventiva in senso stretto; e) tuttavia non le si può riconoscere carattere sanzionatorio-punitivo. Come ben si vede, gli spazi, entro i quali cercare la soluzione interpretativa, che garantisca la compatibilità sistematica dell’istituto, nominalmente preventivo e funzionalmente non-preventivo, coi principi dell’ordinamento democratico, costituzionalmente e convenzionalmente orientato, sono molto angusti. Posto che la confisca non può atteggiarsi a sanzione punitiva, se non al costo di far crollare l’intero edificio delle misure reali, e, al contempo, non può atteggiarsi a misura eminentemente preventiva, non presupponendo necessariamente un pericolo, è inevitabile individuare un tertium genus che si collochi tra la sanzione e la prevenzione[5]. La strada è molto impervia e sta proprio qui, nella difficoltà di configurare siffatto tertium genus, il nocciolo profondo di una questione mai definitivamente chiusa. La “quadratura del cerchio” pare sia stata individuata nella funzione ripristinatoria della confisca, né sanzionatoria, né preventiva, che metterebbe al riparo l’istituto giuridico de quo dalla declaratoria di incostituzionalità e di violazione della Convenzione. A nostro avviso, tuttavia, i dubbi permangono, pur a fronte di un indirizzo giurisprudenziale che sembra ormai consolidato; peraltro confermato, in tempi recentissimi, da due importanti sentenze della Corte EDU, le quali negano l’indole sanzionatorio-punitiva della confisca, senza condanna in un caso[6], di prevenzione nell’altro[7]. Ai nostri fini, è particolarmente significativa la seconda pronuncia, che ravvisa nella funzionalità politica “rispristinatoria”, intesa come tertium genus, la ragione della sua conformità convenzionale.
- Principio disgiuntivo e assenza del pericolo attuale
L’esigenza di ipotizzare il tertium genus funzionale non nasce oggi. È pensabile sia sorta con l’introduzione del principio di disgiunzione, che recise il legame tra il pericolo e la misura ablativa. È evidente, infatti, che prevenire senza pericolo è una sorta di contraddizione in termini, giacché non si capisce cosa si vorrebbe prevenire in assenza di un giudizio prognostico riguardante il danno futuro. È altresì evidente che la res inerte non è pericolosa, al di fuori dei casi limitati di cose pericolose in sé; solo l’uso (possibile) della cosa concretizza il pericolo. Dunque, il pericolo, giustificativo della prevenzione, deve riguardare la persona del proposto e non già la cosa. Per questa ragione, la ricerca del tertium genus è divenuta improcrastinabile, nel momento in cui la legislazione italiana ha reso applicabile l’ablazione definitiva dei beni (confisca), a prescindere dall’attualità del pericolo rappresentato dall’uso possibile della res da parte del soggetto socialmente pericoloso (proposto). Ciò è avvenuto in tempi successivi alla nascita dell’istituto.
La confisca di prevenzione fu introdotta in Italia con l’art. 14 della legge 13 settembre 1982 n. 646 (detta Rognoni-La Torre), che aggiunse gli articoli 2 bis e 2 ter alla legge n. 575/1965, riguardante le misure preventive antimafia. Nella sua formulazione originaria, la confisca era subordinata all’applicazione di una misura di prevenzione personale, a carico di un soggetto dichiarato socialmente pericoloso. Nel 2008 è stato introdotto il principio disgiuntivo, in forza del quale la misura reale può essere disposta a prescindere dalla misura personale. L’art. 10 comma 1, lettera c) punto 2, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (come successivamente convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125) ha aggiunto il comma 6 bis all’art. 2-bis della legge n.575/1965, in virtù del quale le misure riguardanti le persone e quelle riguardanti i beni “possono essere richieste e applicate separatamente”[8]. La disposizione è stata modificata (dall’art. 2, comma 22, della legge 15 luglio 1009, n. 94) con l’aggiunta, dopo la parola «separatamente», della dicitura «indipendentemente dal pericolo per la società rappresentato dalla persona interessata (proposto) al momento della richiesta della misura preventiva»[9]. L’art. 18 del codice antimafia (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159) ha adottato il principio della disgiunzione, precisando ulteriormente che le misure reali possono essere applicate indipendentemente dal decesso della persona del proposto[10].
Sul punto si sono pronunciate le Sezioni Unite con sentenza n. 4880 del 2 febbraio 2015, individuando il presupposto giustificativo della confisca di prevenzione nella «ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecite»[11]. Se ne dovrebbe desumere che il legame logico prevenzione-pericolo non sia più al centro dell’istituto ablativo. Infatti, nello stesso momento in cui si volge lo sguardo al passato, piuttosto che al futuro, si smette di giustificare la confisca in termini preventivi, e cioè in vista di un danno futuro[12]. La si giustifica piuttosto come risposta dell’ordinamento a un danno antecedente, ancorchè presunto; si presume che la cosa sia il provento di un illecito (damnum iniuria datum) e dunque la confisca è diretta a neutralizzarlo.
Invero, il cono d’osservazione del giudice, nell’interpretazione delle Sezioni Unite, risulta radicalmente spostato: dalla persona alla cosa e dal futuro al passato. Il pericolo, che si asserisce di voler “prevenire”, promanerebbe pur sempre dalla persona, ma in verità si ammette che la «nozione di pericolosità è inerente alla res, a causa della sua acquisizione illegittima, ed è geneticamente inerente alla cosa, in modo permanente e, fondamentalmente, indissolubile»[13]. Il momento dell’acquisizione del bene diventa decisivo, cosicché la finalità di prevenzione si stempera, o forse si dissolve del tutto, giacché si riconosce che la ratio della confisca “eccede” la finalità di prevenzione, «in quanto mira a sottrarre definitivamente il bene alla circolazione economica illegale»[14]. Insomma, la confisca più che prevenire, pare diretta a “riparare”, ovvero a “ripristinare” lo status quo ante, seppure ciò non viene espressamente dichiarato.
Possiamo osservare fin da subito che uno sguardo al passato è inevitabile in ogni giudizio prognostico, necessariamente basato sull’id quod plerumque accidit. Si può formulare un giudizio probabilistico sull’evento futuro, solo in quanto l’osservazione del passato lascia intendere che eventi dello stesso tipo si sono già verificati e dunque è pensabile si possano verificare in futuro. Il pericolo si percepisce in virtù della scienza umana, in grado di “catalogare” gli eventi passati e prefigurare, con giudizio probabilistico, gli eventi futuri[15]. Nella specie, la pericolosità sociale della persona può essere asserita, solo in ragione dell’osservazione della condotta anteatta e in funzione di un futuro pronosticato come probabile[16]. In sintesi, la valutazione del pericolo presuppone necessariamente l’osservazione del passato, ma si proietta sul futuro.
Orbene è questa proiezione verso il futuro che manca nella «ragionevole presunzione che i beni siano stati acquistati con i proventi di attività illecite»[17]. Il fondamento giustificativo della confisca di prevenzione viene individuato in ciò che non si deve affatto prevenire, ma si deve eliminare dal mondo giuridico[18]. Le attività illecite (presunte) si sono verificate (probabilmente) nel passato, pertanto factum infectum fieri nequit. Nulla si può fare per eliminare il passato. L’ordinamento giuridico può solo reagire, eliminando, fin dove possibile, gli effetti dell’attività illecita (provento). Ma questa reazione all’illecito non si chiama forse “sanzione”? Il meccanismo sanzionatorio, sempre e comunque, mira a due risultati: irrogare una misura sfavorevole (patrimoniale/personale), connessa alla responsabilità giuridica del fatto, ed eliminare dal mondo giuridico le conseguenze del fatto illecito. Eliminare il provento dell’attività illecita non può che appartenere al genus sanzionatorio, la cui accezione lata ricomprende le misure di qualsivoglia natura (patrimoniale/personale) – appartenenti alle varie branche del diritto (civile, amministrativo, penale/nazionale, internazionale, sovranazionale) – le quali concretizzano la “reazione” dell’ordine giuridico al fatto illecito[19].
In quest’accezione, l’ablazione del provento delle attività illecite presunte, eretto a fondamento giustificativo di un istituto nominalmente preventivo, mostra una reale natura sanzionatoria a tutti gli effetti: sia perché è diretta a colpire una responsabilità giuridica (presunta); sia perché tende a eliminare dal mondo giuridico le conseguenze del fatto illecito (presunto). L’ablazione del “provento” configura la reazione dell’ordinamento giuridico al fatto contra jus (che si presume avvenuto), sia come conseguenza sfavorevole che grava sul responsabile giuridico del fatto, sia come rimozione dei suoi effetti. Tale reazione è universalmente denominata “sanzione” e non “prevenzione”, se le parole continuano ad avere un significato.
In conclusione, si può pensare che la sentenza delle Sezioni Unite abbia aperto la strada a quella che, successivamente, sarebbe divenuta la “quadratura del cerchio”: il rinvenimento nella cosiddetta “funzione ripristinatoria” dell’anelato fondamento giustificativo di un tertium genus, né interamente sanzionatorio né propriamente preventivo, ma e al contempo “parasanzionatorio” e “parapreventivo”. Tuttavia, si può dubitare, che abbia senso logico-giuridico siffatta “quadratura”, consistente nella creazione di una sorta di “terra di nessuno”, intermedia tra sanzione e prevenzione, se, in fondo, l’ablazione del provento delle attività illecite non può che configurarsi come sanzione, magari non penale, ma pur sempre tale.
- La ricerca del tertium genus funzionale
A dire il vero, ancor prima dell’introduzione nel nostro ordinamento del principio di disgiunzione (che si deve alla menzionata legislazione 2008/2009/2011), di tertium genus avevano già parlato le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 17 luglio 1996, n. 18, la quale configurava la misura reale di prevenzione alla stregua di una “sanzione amministrativa”, equiparabile alla misura di sicurezza[20]. L’orientamento fu poi confermato con la sentenza 8 gennaio 2007, n. 57[21]. In quegli anni, vigendo il principio della “congiunzione”, il fondamento giustificativo della misura si rinveniva pur sempre nel “pericolo attuale” rappresentato dalla persona del proposto, sicché non c’era alcuna ragione di cercare un fondamento giustificativo diverso dalla ratio di prevenzione. Il tertium genus, dunque, nell’interpretazione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di quegli anni, non sussumeva una terza funzione, bensì una diversa modalità sanzionatoria. Una sanzione amministrativa di sicurezza non veniva irrogata a seguito di una condanna penale, ma per ragioni di tutela dell’ordine pubblico, sulla base di un giudizio presuntivo che verteva comunque sul pericolo che il proposto potesse commettere reati. Era questa la terza modalità sanzionatoria, diversa da quella penale, ma anche da quella delle misure di sicurezza. Non si trattava dunque di un tertium genus funzionale, bensì di un tertium genus di modalità sanzionatoria.
Con l’entrata in vigore del principio di disgiunzione, viene meno, come si è detto, il pericolo attuale, e la ricerca del tertium genus investe la funzione, ovvero il fondamento giustificativo dell’istituto, non più rinvenibile, con la dovuta chiarezza, nella prevenzione dei reati (che il proposto potrebbe commettere). Si comincia perciò la ricerca del tertium genus funzionale. Una tappa importante in questa ricerca è costituita dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 4880 del 2 febbraio 2015. In essa il focus della valutazione giudiziale è centrato sulla pericolosità “genetica” della cosa, come riverbero della pericolosità della persona al momento dell’acquisizione del bene. Si apre perciò la strada all’individuazione di una ratio della confisca che “ecceda” quella di mera prevenzione, ma non la si individua ancora con chiarezza espressiva.
Possiamo ritenere che l’atto di nascita della terza via funzionale, “ufficializzata” ed espressamente nominata, debba essere individuato nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 27 febbraio 2019 [22]. La Consulta afferma che: «la confisca dei beni non costituisce una sanzione, ma piuttosto una naturale conseguenza della loro acquisizione illecita, che determina […] un deficit genetico del diritto di proprietà della persona che ha acquistato il bene»; prosegue poi osservando che «la misura mira a spezzare il rapporto di fatto tra l’individuo e il bene, dato che tale rapporto si è formato in modo non conforme all’ordinamento giuridico”; ed infine conclude che «[…] in assenza di ulteriori connotazioni afflittive, la confisca di un bene ha, in tali circostanze, un carattere meramente riparatorio, avendo lo scopo di ripristinare la situazione che sarebbe esistita se il bene non fosse stato acquisito illegittimamente»[23].
A sua volta, la Corte EDU, chiamata a pronunciarsi sul punto, si dimostra consapevole dell’ambiguità della misura, che – a seguito delle modifiche legislative del 2008/2009, transitate nel codice antimafia del 2011 – «è stata considerata principalmente preventiva, ma anche giustificata dal suo scopo riparativo»[24]. La Corte riconosce che, nella sua formulazione iniziale la confisca de qua poteva effettivamente essere equiparata a una misura di sicurezza, nel senso che mirava a prevenire la commissione di ulteriori reati[25]. Tuttavia, osserva che «nella sua attuale formulazione, l’irrogazione della misura di confisca preventiva non richiede l’accertamento del pericolo attuale per la società rappresentato dall’individuo interessato e, quindi, del rischio di commissione di ulteriori reati, che la misura in questione mirerebbe a prevenire». Ritiene, pertanto, «che la misura non svolga più una funzione preventiva in senso stretto, dato che essa può essere applicata in assenza di qualsiasi valutazione dell’esistenza di un rischio concreto che essa mira a prevenire»[26]. Ne deduce che essa è «paragonabile alla restituzione di un arricchimento ingiustificato» e la dichiara conforme alla Convenzione nei limiti in cui l’ambito di applicazione sia limitato alla sua «finalità di prevenzione dell’arricchimento senza causa». Come possa sussistere una “finalità di prevenzione” in assenza di un “pericolo concreto” rimane un mistero. Prendiamo atto che la Corte EDU preferisce glissare sul punto e si limita a ribadire la natura non penale della sanzione, assunta come misura “ripristinatoria”, alla quale non si estende l’applicazione dell’art. 7 della Convenzione[27].
4. Ritorno alla formulazione della legge Rognoni-La Torre per ritrovare la coerenza sistematica, a partire dalla congruità semantica.
Come si evince dalle pagine che precedono, la funzione ripristinatoria della confisca di prevenzione è divenuta nel tempo l’irrinunciabile linea di difesa di un istituto che, comunque lo si veda, non può non essere considerato atipico e inusitato nel contesto ordinamentale nazionale, internazionale e sovranazionale, difficilmente inquadrabile perfino nella variegata categoria della confisca senza condanna, prevista dalla Direttiva europea n. 1260 del 24 aprile 2024, del Parlamento e del Consiglio[28]. La differenza fondamentale risiede nel fatto che il genus contemplato negli artt. 15-17 della direttiva sussume i casi nei quali la condanna in itinere non sia stata pronunciata in maniera definitiva e tuttavia dagli atti di causa sia desumibile un principio di prova della responsabilità giuridica dell’ablato[29]; al contrario, la confisca di prevenzione di cui al codice antimafia prescinde dalla condanna in itinere e può gravare anche sulla persona assolta nel giudizio di cognizione e sui terzi[30]. In sintesi, l’una prescinde dalla condanna definitiva, ma non dalle risultanze processuali; l’altra prescinde perfino dall’assoluzione, e dunque non solo dalla condanna, ma anche dal processo di cognizione.
In ogni caso, comunque lo si veda, l’istituto de quo risulta eccentrico rispetto al “sistema”, interno e internazionale. Ne scaturiscono innumerevoli domande, che mettono a dura prova l’interprete. Ai nostri fini, una delle prime è se la funzione ripristinatoria, eretta a fondamento giustificativo dell’istituto, si dimostri coerente con il sistema. E la prima coerenza da cercare è quella logico-giuridica coi principi della teoria generale del diritto e con la semantica linguistica accettata dalla comunità scientifica e consolidata nell’uso comune. Se questa coerenza viene meno, si può innescare la “confusione delle lingue” e la questione giuridica può scadere a gioco di parole.
Come si è detto, la funzione “ripristinatoria”, secondo il nostro avviso, non può che appartenere al genus sanzionatorio, perché designa la finalità intrinseca della reazione dell’ordinamento al fatto contra jus, ossia lo scopo di annullarne gli effetti antigiuridici (fin dove possibile) e ricreare le condizioni dello status quo ante[31]. E allora la vera domanda, che precede logicamente tutte le altre, è se la sanzione sfavorevole possa essere comminata in mancanza del presupposto. La questione si traduce, in definitiva, nel seguente interrogativo: il fatto illecito presupposto deve essere accertato giudiziariamente o può anche essere presunto, perché possa essere giustificata la sanzione-confisca in funzione ripristinatoria?
Va da sé che il fatto storico non accertato nel mondo giuridico è tamquam non esset; diviene fatto giuridico in quanto le parti del rapporto giuridico lo riconoscono come tale. E laddove il rapporto è controverso, come lo è necessariamente nel caso in cui si debba accertare la sussistenza di un illecito e irrogare la correlativa sanzione[32], solo la pronuncia giudiziale può conferire il crisma della giuridicità al fatto storico. S’intende che la sentenza definitiva costituisce la modalità ordinaria e regolare di accertamento; ma sono possibili, entro certi limiti, alcune eccezioni e, come abbiamo visto, si possono avere dei casi di confisca senza condanna. Si deve tener conto, tuttavia, che le eccezioni previste dalla menzionata Direttiva europea n. 1260/2024, a ben considerare, non contraddicono, nella sua interezza, la necessaria correlazione illecito-sanzione, nel senso che è richiesto comunque un frammento di accertamento giudiziale del presupposto di fatto. Si richiede che una condanna, seppure non definitiva, abbia avuto luogo[33]; sicché si può affermare che l’illecito presupposto non consiste unicamente in un sospetto di polizia, essendone stata accertata la sussistenza – seppure non in via definitiva – da un organo super partes appartenente all’ordine giudiziario[34]. Fin quando si rimane entro i confini del sospetto di polizia, la situazione può essere così descritta: un organo amministrativo – che nella rappresentazione ideale dello Stato di diritto costituisce una parte in causa, portatrice di un interesse specifico e dunque animata da una finalità “parziale” e “interessata” – esprime una pretesa che lede il diritto di proprietà del proposto; il giudice accoglie questa pretesa, rinunciando a verificare il presupposto di fatto e irroga la sanzione presuntivamente, limitandosi a vagliare unicamente se sussistano le ragioni del sospetto. In altri termini, la pubblica amministrazione non agisce in autotutela, ma lede i diritti dei privati, allegando semplicemente il sospetto. Non siamo ancora nell’ambito dell’autotutela, ma quasi. Siamo molto prossimi allo Stato di polizia e ben lontani dallo Stato di diritto, posto che il giudice non è chiamato a verificare se sussista il fatto illecito, ma solo a controllare che il sospetto di polizia sia fondato.
Ben diverso è lo schema al quale si riconduce la confisca senza condanna, prevista dalla Direttiva europea: il giudice super partes non si è limitato a controllare le ragioni di un sospetto di polizia, ma ha verificato la sussistenza del fatto illecito e la responsabilità giuridica della persona; la sua sentenza, “imparziale” e “disinteressata”, non lede il diritto di proprietà dell’ablato, ma ristabilisce il diritto violato dal fatto illecito giudizialmente accertato. Insomma, l’atto ablativo trova il suo fondamento in un accertamento, imparziale per definizione, in quanto promana da un organo super partes; tale accertamento non ha raggiunto la soglia del giudicato, ma comunque ha avuto luogo; cosicché l’architettura dello Stato di diritto non risulta vulnerata, giacché il sacrificio del diritto del privato è pur sempre la conseguenza di un illecito, giudizialmente accertato.
In conclusione, la necessità giuridica della correlazione illecito/sanzione impedisce, a nostro avviso, che possa ritenersi giustificata la confisca di prevenzione in funzione ripristinatoria, ossia sanzionatoria, sulla base della mera presunzione che i beni confiscati siano il “provento di attività illecite”. Codesta confisca sarebbe coerente con i principi di diritto, con la semantica linguistica e con gli istituti dottrinali, universalmente accettati, solo in presenza di un pericolo. Ritroverebbe dunque la sua coerenza, se si eliminasse il criterio disgiuntivo e si ricollegasse l’atto ablativo alla pericolosità della persona del proposto, come era previsto nell’originaria formulazione di cui alla legge 13 settembre 1982 n. 646 (detta Rognoni-La Torre). Si può pensare infatti che il pericolo attuale – ovviamente riferibile alla persona, in quanto potenziale utilizzatrice della cosa, e non alla cosa in sé – possa giustificare il sacrificio del diritto di proprietà del proposto, a salvaguardia degli interessi della collettività. In presenza di quel pericolo, si potrebbe giustificare l’anzidetta “presunzione”; il diritto del privato verrebbe sacrificato per fronteggiare il pericolo, non già al solo fine di ripristinare lo status quo ante. In questa prospettiva, il fine sarebbe l’annullamento del pericolo e la confisca ripristinatoria sarebbe il mezzo per conseguirlo.
Al contrario, la confisca di prevenzione senza pericolo e senza illecito (ancorché con indizio di illecito) è fine a sé stessa. Per rendersene conto, basta l’analisi logica. La confisca “ripristinatoria” rispristina lo status quo ante; e poiché la confisca (senza pericolo e senza illecito) non ha altro scopo se non quello di ripristinare, la confisca non ha altro scopo che la confisca stessa. Insomma, si sacrifica il diritto del privato non già per un bene della collettività (quale sarebbe l’eliminazione degli effetti antigiuridici del fatto illecito giudizialmente accertato oppure la neutralizzazione del pericolo), bensì al solo scopo di sacrificarlo.
Da quanto sopra si evince che la confisca di prevenzione, che non sanziona un illecito giudizialmente accertato (nemmeno in primo grado), può essere giustificata solo se tende a prevenire un maleficio; dunque, solo se sussiste un pericolo ed è diretta contro i beni di cui dispone la persona socialmente pericolosa. Il ritorno alla legge Rognoni-La Torre non risolverebbe tutti i problemi ermeneutici. Rimarrebbe pur sempre aperta la questione se la confisca costituisca una sanzione punitiva[35], alla stregua dei tre criteri Engel[36], e se, per conseguenza, la sua irrogazione debba rispettare tutte le garanzie penalistiche, sostanziali e processuali, ma almeno sarebbe ritrovata la via della coerenza logico-sistematica di fondo.
[1] Sulla tematica generale delle misure di prevenzione, ex multis: F. Consulich, Le misure di prevenzione personali tra Costituzione e Convenzione, in www.lalegislazionepenale.eu, 18.03.2019; M. Fattore, Il sistema delle misure di prevenzione: un’introduzione possibile, in Sistema penale, 1 luglio 2024; G. Francolini, La prova nel procedimento di prevenzione: identità, alterità o somiglianza con il processo penale?, in Sistema penale, n. 10/2020, pp. 5 ss.; F.P. Lasalvia, La prevenzione ragionevole. Le misure di prevenzione personali tra legalità e proporzionalità, Roma, 2022; A. Manna, Natura giuridica delle misure di prevenzione: legislazione, giurisprudenza, dottrina, in Arch. pen., 3/2018, pp. 2 ss.; Id., I rapporti tra misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Arch. pen., 1/2021; R. Orlandi, Il sistema di prevenzione tra esigenze di politica criminale e principi fondamentali, in Discrimen, 3 settembre 2018; L. Pasculli, Le misure di prevenzione del terrorismo e dei traffici criminosi internazionali, Padova, 2012; M. Pelissero, Le misure di prevenzione, in Discrimen, 13 febbraio 2020; O. Stradaioli, Le misure di prevenzione, in P. Pittaro (a cura di), Scuola positiva e sistema penale. Quale eredità?, Trieste, 2012, 119 ss.; E. Zuffada, Pene sostitutive e misure di prevenzione: interferenze senza disciplina, in Sistema penale, 1/2025, pp. 165 ss.
[2] Tra i primi commenti alla sentenza della grande Camera della Corte EDU, pubblicata il 23 febbraio 2017 (ud. 25 maggio 2015), De Tommaso c. Italia: F. Menditto, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Dir. pen. cont., 4/2017; A. M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in Dir. pen. cont., 6 marzo 2017. Cfr., altresì, F. P. Lasalvia, Le misure di prevenzione dopo la Corte EDU De Tommaso, in Arch. pen., 2/2017; e, volendo anche A. Abukar Hayo, Misure di sicurezza e misure di prevenzione a confronto: l’incerta linea di discrimine tra la sanzione del passato e la prevenzione del futuro, nell’ottica del diritto interno e del diritto sovranazionale, in Arch. pen., 3/2017. Per una verifica dei riflessi applicativi cfr. A. Tarallo, CEDU e misure di prevenzione: un primo bilancio in vista del controllo sull’esecuzione della sentenza De Tommaso, in Arch. pen., 2/2020.
[3] Sulle perplessità suscitate in dottrina dal sistema delle misure patrimoniali, ex multis, A. M. Maugeri, La riforma delle misure di prevenzione patrimoniali ad opera della l. 161/2017 tra istanze efficientiste e tentativi incompiuti di giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, in Arch. pen., supplemento al n. 1/2018 e bibliografia ivi citata.
[4] Sulla natura nominalmente amministrativa della confisca funzionalmente preventiva, nelle sue diverse configurazioni, cfr. R. Bartoli, Ripensare le confische, in www.lalegislazionepenale.eu, 26.09.2023; A. M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, passim; A. Mangione, Le misure di prevenzione patrimoniali tra dogmatica e politica criminale, Padova, 2001, pp. 291 ss.; G. Fiandaca – C. Visconti, Presupposti teorici e politico-criminali di un modello europeo di confisca “allargata” nell’ambito della criminalità organizzata, in V. Militello – B. Huber ( a cura di), Towards a european criminal law against organised crime, Freiburg, 2001, 221 ss.; S. Finocchiaro, Riflessioni sulla quantificazione del profitto illecito e sulla natura giuridica della confisca diretta e per equivalente, in Sistema penale, n. 3/2020, passim; D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale, Bologna, 2007; Id., La poliedrica natura della confisca, in Arch. Pen., n. 2/2019, pp. 2 ss.; E. Nicosia, La confisca, le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Torino, 2012, pp. 19 ss.; Y. Parziale, I modelli di prevenzione personale ante delictum nel panorama nazionale e sovranazionale, in Rivista della cooperazione giuridica internazionale, n. 75/2023, Settembre – Dicembre 2023, pp. 191 – 214; C. Visconti, Dalla “vecchia” alle “nuove” confische penali: recenti tendenze di un istituto tornato alla ribalta, in Studium iuris, 2001.
[5] Di questo avviso, ex multis, S. Finocchiaro, La confisca civile dei proventi da reato. Misura di prevenzione e civil forfeiture: verso un nuovo modello di non-conviction based confiscation, in Criminal Justice Network, 20.09.2018; F. P., Lasalvia, Brevi riflessioni sulle confische moderne, in www.lalegislazionepenale.eu, 12 febbraio 2020; T. Trinchera, Confiscare senza punire? Uno studio sullo statuto di garanzia della confisca di ricchezza illecita, Torino, 2020; F. Viganò, Riflessioni sullo statuto costituzionale e convenzionale della confisca “di prevenzione” nell’ordinamento italiano, in E. Paliero – F. Viganò – F. Basile – G.L. Gatta ( a cura di), La pena, ancora. Scritti in onore di Emilio Dolcini, Milano, 2018, pp. 885 ss.
[6] Sentenza della Corte EDU, prima sezione, 19 dicembre 2024, Episcopo e Bassani c. Italia, (ricorsi n. 47284/16 e 84604/17).
[7] Sentenza della Corte EDU, prima sezione, 13 febbraio 2025, Garofalo c. Italia, (ricorso n. 47269/18).
[8] Sull’introduzione del principio disgiuntivo, nel quadro della legislazione antimafia e antiterrorismo, cfr. R. Kostoris – F. Viganò, Il nuovo ‘pacchetto’ antiterrorismo, Torino, 2015.
[9] Sulla problematica individuazione del requisito di pericolosità, giustificativo della prevenzione, a seguito della riforma, cfr. A. M. Maugeri, La riforma delle sanzioni patrimoniali: verso un’actio in rem?, in Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, Torino, 2008, 129 ss.. Sul punto cfr. anche A. Gialanella, La confisca di prevenzione antimafia, lo sforzo sistemico della giurisprudenza di legittimità e la retroguardia del legislatore, in F. Cassano ( a cura di), Le misure patrimoniali dopo il “pacchetto sicurezza”, Bari, 2009, 132 ss.; G. Pignatone, Le recenti modifiche delle misure di prevenzione patrimoniali, in G. Fiandaca – C. Visconti ( a cura di), Scenari attuali di mafia. Analisi e strategie di intervento, Torino, 2009, pp. 311 ss.; P. Troncone, Origine ed evoluzione delle misure preventive antimafia, in G. Amarelli – S. Sticchi Damiani (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019, p. 1 ss.
[10] Testo dell’articolo 18, commi 1 e 2:
«1. Le misure preventive relative alle persone e ai beni possono essere richieste e applicate separatamente e, per quanto riguardo le misure preventive relative ai beni, indipendentemente dal pericolo per la società rappresentato dalla persona in questione al momento della richiesta.
2. Misure preventive in materia patrimoniale possono essere imposte anche in caso di decesso della persona in questione. In tal caso, il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o, comunque, degli aventi causa».
[11] Sezioni Unite, 26-6-2014 (depositata il 2 febbraio 2015), n. 4880, Spinelli e altro, Rv. 262604; per un commento cfr. F. Mazzacuva, Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione: un’altra occasione persa per un chiarimento sulle reali finalità della misura, in Dir. pen. cont., 4/2015, pp. 230 ss.
[12] Di quest’avviso F. Palazzo, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum, in Discrimen, 12.09.2018, che si cita testualmente: «Mentre prima, pur con la loro finalità illiberale di strumenti di neutralizzazione e di controllo della marginalità sociale ovvero del dissenso politico, le misure di prevenzione avevano il reato, la manifestazione criminosa o antisociale (più o meno generica), quale punto di riferimento futuro, oggi quasi tutte le misure di prevenzione hanno il reato come punto di riferimento passato: lo presuppongono, cioè, assumendo nella sostanza la finalità intrinsecamente incostituzionale di colpirlo altrimenti nell’impossibilità di provarne l’esistenza nell’ordinario processo di cognizione».
[13] Sezioni Unite, n. 4880/2015, cit., p. 24.
[14] Ibidem, p. 25.
[15] Per una panoramica sul punto, ex multis M. Parodi Giusino, I reati di pericolo tra dogmatica e politica criminale, Milano, 1990; F. Angioni, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale. La struttura oggettiva, Milano, 1994.
[16] Cfr., con ampi riferimenti alla pertinente giurisprudenza, F. Basile – E. Zuffada, La ‘valutazione autonoma’ della pericolosità nel sistema delle misure di prevenzione, in Sistema penale, 11.11.2024. V. altresì A. Martini, Essere pericolosi. Giudizi soggettivi e misure personali, Torino 2017, 134.
[17] Sezioni Unite, n. 4880/2015, cit., p. 38.
[18] Tale incoerenza ha indotto attenta dottrina a parlare di “truffa delle etichette”; cfr. S. Moccia, Le misure di prevenzione: un esempio paradigmatico di truffa delle etichette, in Riv. pen. dir. proc., 11 gennaio 2021; cfr. anche gli Autori citati in nota 15 e 25.
[19] Dall’enciclopedia Treccani: «La sanzione è la conseguenza giuridica negativa che l’ordinamento riconnette a un’azione antigiuridica, qualificata come illecita. Nella dottrina contemporanea ha assunto grande rilievo la distinzione tra sanzioni negative, volte a scoraggiare, attraverso la previsione di pene, la violazione di una norma, e sanzioni positive, volte invece a incentivare l’osservanza delle norme, attraverso la previsione di premi. Sanzionare un’azione significa, pertanto, riconoscerla produttiva di effetti giuridici, ossia riconoscerla valida sul piano del diritto, sia in termini positivi che negativi». Nella specie, la sanzione presuppone un’azione ascrivibile a un soggetto libero e responsabile, riconducibile a un ordine complessivo di azioni che le dia significato e che produca effetti su altri soggetti. Dal punto di vista giusfilosofico, la sanzione tende a ristabilire oggettivamente una simmetria alterata, colpendo il responsabile”. Sulla natura sanzionatoria di ogni “risposta” dell’ordinamento giuridico al fatto antigiuridico cfr. H. Kelsen, La teoria pura del diritto, Torino, 2021.
[20] Sez. Un., 03 luglio 1996 (dep. 17 luglio 1996), n. 18, Simonelli ed altri, Rv. 205262.
[21] Sez. Un., 19 dicembre 2006 (dep. 8 gennaio 2007), n. 57. Per alcune considerazioni critiche verso questa sentenza cfr. S. Furfaro, Due questioni in tema di misure di prevenzione patrimoniali: la pubblicità dell’udienza e i rimedi contro la confisca definitiva, in Giur. it., 2006, XII, p. 2379 ss., §3; A.M. Maugeri, La revoca ex tunc come espressione del diritto di difesa contro il provvedimento definitivo di confisca, in Dir. pen. proc., 2007, X, pp. 1297 ss.
[22] Corte cost., 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, Pres. Lattanzi, Red. Viganò. Sui riflessi della sentenza, cfr. E. Aprile, La Corte costituzionale “riscrive” la disciplina delle misure di prevenzione “generiche” per garantire maggiore determinatezza nei loro presupposti applicativi e negli effetti penalistici della violazione delle relative prescrizioni, in Cass. pen., 5-6/2019, p. 1886; P. Bartolo, La confisca di prevenzione e la revocabilità di tutti i provvedimenti ablativi emessi in violazione dei canoni enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale 24/2029: una pronuncia che potrebbe costare allo Stato oltre 500 milioni di ‘risarcimenti’, in Sistema penale, n. 10/21, pp. 55 ss.; A. De Lia, Misure di prevenzione e pericolosità generica: morte e trasfigurazione di un microsistema. Brevi note a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, in www.lalegislazionepenale.eu, 15.07.2019; F. Di Paola, La natura ripristinatoria della confisca di prevenzione l’ultima frode delle etichette?, in Diritto di difesa, 03.06.2020; V. Maiello, La prevenzione ‘ante delictum’ da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. Cost., 1/2019, p. 332; A. M. Maugeri – P. Pinto De Albuquerque, La confisca di prevenzione nella tutela costituzionale multilivello: tra istanze di tassatività e ragionevolezza, se ne afferma la natura ripristinatoria (C. cost. 24/2019), in Sistema penale, 29 novembre 2019; N. Mazzacuva, L’uno-due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. Ita. Dir. proc. pen., 2/2019, p. 987.
[23] Corte cost., 24 gennaio 2019, n. 24, cit., p. 30.
[24] Sentenza della Corte EDU, prima sezione, 13 febbraio 2025, Garofalo c. Italia, (ricorso n. 47269/18), paragrafo 104.
[25] Ibidem, par. 120. In proposito, osserviamo che, ovviamente, di “ulteriori reati”, si può parlare, a condizione che siano stati accertati giudizialmente reati pregressi. Ma così non è, giacché le misure di prevenzione, in line di massima, si basano solamente su elementi indiziari; cfr. F. Palazzo, op. cit., pp. 5 ss. Ciò risulta particolarmente evidente, nel caso in cui la confisca di prevenzione sia irrogata sul presupposto dell’“appartenenza” del proposto a un’associazione mafiosa. Siffatta “appartenenza”, ritenuta diversa dalla “partecipazione”, non presuppone la commissione di alcun reato, bensì il solo sospetto del medesimo, sicché la misura di prevenzione, in tal caso, assume le sembianze di una sanzione del sospetto. Sul punto T. Padovani, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa, 2014, 195 ss., il quale critica la tradizionale definizione delle misure di prevenzione come misure ante delictum, essendo, invece, da considerare come pure «pene del sospetto», idonee a dare sfogo nel corso di un procedimento penale ad esigenze preventive che in esso non possono essere compiutamente soddisfatte. Dello stesso avviso S. Moccia, op.cit., pp. 3 ss. Non mancano peraltro pronunce giurisprudenziali che adombrano la natura “punitiva” della misura, in funzione sostitutiva della pena vera e propria. La Suprema Corte, in materia di criminalità organizzata, osserva che “in relazione al contrasto da parte dello Stato del fenomeno, la misura preventiva si risolve in un anticipo succedaneo di un provvedimento retributivo, per i casi in cui non si riesca ad esercitare nella competente sede lo ius puniendi»; Cass., Sez. I, 21 gennaio 1991, Piromalli, in Mass. Uff., n. 186500. Sul punto cfr. A. Manna -F. P. Lasalvia, Le pene senza delitto: sull’inaccettabile “truffa delle etichette”, in Arch. pen., 1/2017.
[26] Ibidem, par. 121.
[27] Sul punto S. Finocchiaro, ‘Garofalo e altri c. Italia’:la Corte EDU afferma la legittimità della confisca di prevenzione e ne riconosce, per la prima volta, la natura ripristinatoria, in Sistema penale, 2/2025.
[28] Le radici di tale direttiva risiedono in una proposta del Parlamento e del Consiglio del maggio 2022, poi sottoposta “nuovamente” al vaglio del Parlamento nel maggio 2023. Quella stessa proposta traeva origine da una riflessione pluriennale circa la necessità di rinnovare l’impianto legislativo dell’Unione in materia di confisca, per introdurre norme comuni ulteriori rispetto a quelle di cui alla direttiva 42/2014. Sul punto si veda A.M. Maugeri, La proposta di una nuova direttiva per la confisca dei beni: l’armonizzazione e l’actio in rem contro il crimine organizzato e l’illecito arricchimento, in Sistema penale, 3 aprile 2024. Per un commento alla nuova Direttiva (UE) 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 aprile 2024 riguardante il recupero e la confisca dei beni, cfr. S. Finocchiaro, La nuova direttiva dell’Unione europea in materia di sequestro e confisca, in Sistema penale, 6/2024; F. Thofern, La nuova Direttiva 2024/1260/UE riguardante il recupero e la confisca dei beni: brevi considerazioni di carattere comparativo concettuale a fronte delle persistenti ambizioni di introduzione di una confisca senza condanna eurounitaria, in Arch. Pen., 1/2025, pp. 2 ss.
[29] Così dispone il comma 2 dell’art. 15: «La confisca in assenza di una condanna ai sensi del presente articolo è limitata ai casi in cui in mancanza delle circostanze di cui al paragrafo 1, il procedimento penale pertinente avrebbe potuto portare a una condanna penale perlomeno per i reati che possono produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico considerevole, e se l’organo giurisdizionale nazionale è convinto che i beni strumentali, i proventi o i beni da confiscare derivino dal reato in questione o siano ad esso connessi direttamente o indirettamente».
[30] A titolo esemplificativo, Cass. pen., sez. I, 17 maggio 2023, (dep. 06.09.2023) n. 36878: «pur a fronte di una sentenza di assoluzione dell’imputato in sede penale, il giudice della prevenzione può mantenere la confisca dei beni». In senso conforme cfr. Cass. pen. Sez. II, 14.02.2019 (dep. 09.04.2019), n. 15650; Cass. pen. Sez. II, 25.01.2023 (dep. 13.04.2023), n. 15704. Sul punto L. Puccetti, Confisca di beni dopo assoluzione penale: un’analisi della recente pronuncia della Corte di Cassazione, in cfnews.it, 25.09.2023; F. Basile – E. Zuffada, La ‘valutazione autonoma’ della pericolosità nel sistema delle misure di prevenzione, cit., p. 8.
[31] F. Palazzo, op. cit., 7. L’Autore osserva che «con la confisca il sistema preventivo, senza abbandonare la logica indiziaria – anzi! – ha sviluppato anche un’ulteriore funzione che potrebbe dirsi di prevenzione sistemico economica. La logica indiziaria è resa manifesta dal duplice presupposto alternativo indicato (dall’art. 20) (i) nella sproporzione tra valore dei beni disponibili e reddito dichiarato […] ovvero nei «sufficienti indizi» che i beni siano il frutto di attività illecita o ne costituiscano il reimpiego. La funzione sistemico-economica è desumibile dal fatto che i beni sono confiscabili, in sostanza, per la supposta loro origine illecita, a prescindere da una loro “pericolosità” in ogni caso anche concettualmente opinabile quale caratteristica della cosa in sé. In sostanza, la funzione che la confisca di prevenzione sembra prevalentemente assolvere, insieme del resto anche alla c.d. confisca allargata, è quella di evitare il pericolo – non tanto o non solo di commissione di nuovi reati, quanto soprattutto – di inquinamento del sistema economico mediante l’immissione di capitali illeciti. Sulla base, naturalmente, del mero sospetto dell’origine illecita.» Come si evince chiaramente dalle parole dell’Autore, la “prevenzione sistemico economica” non consiste nella pertinente “prevenzione di reati”, bensì esattamente nel rispristino dello status quo ante, che svolgerebbe una nebulosissima funzione di “deterrenza” e “orientamento” generali in ambito economico; una sorta di funzione generalpreventiva (e non specialpreventiva) tipica della sanzione penale.
[32] Sul punto, sia consentito rinviare a A. Abukar Hayo, Il rapporto punitivo, Torino, 2023, 55 ss.
[33] Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella sentenza 29 settembre 2022 (dep. 31 gennaio 2023), n. 4145, si sono pronunciate per la legittimità della confisca (per equivalente) senza condanna; nel caso de quo, la Corte di Appello di Torino aveva confermato la condanna comminata in primo grado; cfr. S. Bolis, La silenziosa espansione della confisca per equivalente senza condanna: le Sezioni Unite non considerano la presunzione di innocenza in relazione all’art. 578 bis c.p.p., in Sistema penale, 2/2024, pp. 74 ss.; I. Piccolo, La confisca tributaria di valore tra diritto intertemporale e prescrizione: una “questione di principio… di legalità”, in questa rivista, 19 febbraio 2024.
Tale orientamento era già stato formulato da Cass. pen., II sez., 7 luglio 2022 (dep. 27 luglio 2022), n. 28757. Il giudice di legittimità chiariva che si può procedere alla confisca in assenza di condanna per intervenuta estinzione del reato a seguito di prescrizione, anche quando sia “per equivalente”, sempre che rientri in una delle ipotesi previste dall’art. 322-ter c.p.. Si richiede l’esistenza di elementi che, seppure con valutazione incidentale allo “stato degli atti”, lascino prevedere che all’esito della progressione processuale sia imponibile il vincolo definitivo.
[34] Emblematico il caso sottoposto alla Corte EDU con i ricorsi n. 47284/16 e 84604/17, decisi con la menzionata sentenza Episcopo e Bassani c. Italia. I ricorrenti erano stati condannati per truffa aggravata e il procedimento era stato estinto per decorrenza del termine di prescrizione del reato.
[35] La natura sanzionatorio-punitiva della confisca di prevenzione è sostenuta dagli autori che parlano di “frode delle etichette”, citati alle precedenti note 12 e 15. Dello stesso avviso, B. Migliucci, Sempre più lontani i principi costituzionali e del giusto processo, in Guida al diritto, n. 49/50, 2017, 21, secondo il quale «le misure di prevenzione, personali e patrimoniali, sono sanzioni afflittive di natura punitiva».
[36] Si tratta dei tre criteri individuati dalla Corte EDU nel celebre caso Engel ed altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976; sul punto sia concesso rinviare alle nostre osservazioni, in A. Abukar Hayo, Misure di sicurezza, cit., 26 ss..