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La parabola dell’immediatezza nel processo penale

 Premessa.

La questione della rinnovazione del dibattimento per effetto del mutamento della persona fisica del giudice, è stato evidenziato, <<al di là dei profili pratici e operativi, sottende significative e profonde questioni dogmatiche, con conseguenti diversificati approcci culturali e di sistema>[1].

La recente presa di posizione della Corte di cassazione sul tema[2], infatti, è emblematica di un mutamento di prospettiva radicale sulla questione centrale costituita non solo (e non tanto) dai meccanismi di gestione dell’evenienza costituita dal mutamento della composizione personale dell’organo giudicante, ma dal ruolo che nel sistema processuale si intende attribuire al valore dell’oralità-immediatezza.

Si può parlare, a tutti gli effetti, della fine di un’epoca: quella cioè, di una cultura giuridica che, sia pure in una logica di bilanciamento – l’immediatezza, si dice, non è un valore dotato di copertura costituzionale[3]– ha visto nel principio un insostituibile punto di riferimento del moderno modellismo processuale.

Essa, si sa, sintetizza un’espressione che sta ad indicare la necessità di una relazione diretta fra il soggetto giudicante e gli elementi su cui dovrà fondarsi il giudizio[4], alla luce della considerazione che <<quando il contenuto delle acquisizioni istruttorie dovesse giungere al decidente per intermediazione altrui, si disperderebbero gran parte dei benefici di un’escussione condotta a viva voce>>[5].

Il principio è denotativo del c.d. sistema processuale “orale”, ossia di <<un tipo di processo che punta sull’elaborazione della prova nel contraddittorio fra le parti e che fa dell’immediatezza e della concentrazione le componenti essenziali per il controllo e la valutazione delle acquisizioni probatorie. Il principio dell’oralità costituisce, così, la sintesi di altri principi e diventa la nota fondamentale del dibattimento, perché in questa fase del processo convergono contraddittorio, immediatezza e concentrazione>>[6].

 

La “controriforma” del processo penale e la fase regressiva dell’immediatezza.

Sebbene si tratti di un valore funzionalmente ben definito, la sua storia ha conosciuto fasi diverse, accompagnandosi le vicende ricostruttive e sistematiche di esso ad approcci culturali diversificati della Corte costituzionale rispetto alla questione della funzione del processo penale ed alle problematiche inerenti alla metodologia di formazione della prova.

In una prima fase, evidentemente regressiva perché strumentale al ripristino di meccanismi formativi della prova che il nuovo codice aveva inteso chiaramente abbandonare, la giurisprudenza costituzionale forniva una lettura deformata dei principi fondamentali del processo accusatorio, evidenziando che se l’oralità-immediatezza costituisce certamente uno dei principi informatori del codice vigente <<con tale principio non solo non contrasta ma anzi si conforma pienamente la testimonianza degli appartenenti alla polizia giudiziaria su fatti conosciuti attraverso dichiarazioni loro rese da altre persone, testimonianza da assumersi nei modi e nelle forme prescritte dell’esame diretto e del controesame>>[7].

La pronuncia, sia pure in assenza di statuizioni dirette, lasciava intravedere una visione diluita (e, senza limiti, diluibile!) del principio di oralità-immediatezza dal momento che forniva una versione caricaturale di una metodologia acquisitiva formalmente ineccepibile ma applicata ad un soggetto che esponeva quanto conosciuto nell’esercizio delle funzioni attraverso dichiarazioni provenienti da terzi.

Ma è poco più tardi che si realizza un singolare bilanciamento tra i principi informatori del nuovo sistema ed una esigenza – non ancora elevata a principio, ma lo diventerà a momenti! – di non dispersione degli elementi di prova, laddove veniva sottolineato in maniera evidentemente forzata che il legislatore delegato, nel dettare l’art.513, co. 1 c.p.p., ha inteso comprendere nei casi di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’atto anche l’indisponibilità dello stesso imputato all’esame<<in linea con il criterio, rinvenibile in varie disposizioni del codice, tendente a contemperare il rispetto del principio-guida dell’oralità con l’esigenza di evitare la “perdita”, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede>>[8].

La stravolgente visione sistematica che iniziava ad affacciarsi diveniva contestualmente chiarissima nella raffinata sottolineatura che <<l’oralità, assunta a principio ispiratore del nuovo sistema, non rappresenta, nella disciplina del codice, il veicolo esclusivo di formazione della prova nel dibattimento [in quanto] fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità, […] di guisa che in taluni casi in cui la prova non possa, di fatto, prodursi oralmente è dato rilievo[…] ad atti formatisi prima ed al di fuori del dibattimento>>[9].

I (a dire il vero!) pochi istituti che derogano al principio dell’oralità e dell’immediatezza dibattimentale – la quale, ribadisce la Corte, non è regola assoluta bensì criterio-guida di un modello processuale in cui occorre contemperare il rispetto del metodo orale con l’esigenza di evitare la “perdita”, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede – consentono alla Corte stessa di riassumere un primo dato certo: <<il sistema accusatorio positivamente instaurato ha prescelto la dialettica del contraddittorio dibattimentale quale criterio maggiormente rispondente all’esigenza di ricerca della verità; ma accanto al principio dell’oralità è presente, nel nuovo sistema processuale, il principio di non dispersione degli elementi di prova non compiutamente (o non genuinamente) acquisibili col metodo orale>>[10].

La dottrina processualpenalistica ha parlato apertamente, in relazione al percorso intrapreso dalla Corte costituzionale, di acme dell’impegno controriformistico, rivolgendo severe critiche al processo di deformazione del sistema processuale introdotto pochi anni prima[11].

La sequenza di pronunce costituzionali ha, infatti, sprigionato una vera e propria <<forza scompaginante>>[12], per effetto della quale <<le “nostalgie inquisitorie” [furono] a tal punto esaltate da dar luogo ad un regime per taluni aspetti deteriore rispetto al “garantismo inquisitorio” proprio del codice del 1930>>[13].

Come si è visto, il principio di non dispersione probatoria, <<forgia[to] dal nulla>>[14] in forza di una concezione assolutistica della verità quale oggetto dell’accertamento processuale[15] e di una visione eccentrica del principio del libero convincimento del giudice[16], ha costituito <<lo strumento con cui si è agito sul livello primario del processo penale, quello della prova, determinandovi una mutazione che l’ha fatto regredire a moduli che il legislatore aveva consegnato al passato>>[17].

Elaborato dalla Corte costituzionale attraverso, come già visto,<<una apodittica “trasfigurazione” delle deroghe codicistiche al metodo della “costruzione” dialettica della prova nel dibattimento>>[18], in suo nome si osserva con efficacia dirompente che<<ad un ordinamento costituzionale che sancisce il principio di obbligatorietà dell’azione penale, ma è prima di tutto improntato alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo ed  al principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione>>[19].

Elevato, così, al rango di criterio guida delle scelte processuali del legislatore ordinario, tramite il principio di non dispersione probatoria si è pervenuti, nel corso degli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore del nuovo codice processuale, al generale ribaltamento del modello di riferimento, del quale si è finanche compromessa la giustificazione razionale.

Il percorso intrapreso da una Corte poco propensa a liberarsi di canoni interpretativi congeniali al vecchio sistema[20] e gravemente incisa da una dimensione prevalentemente ideologica[21] ha invalidato le disposizioni del codice che escludevano dal novero delle prove utilizzabili dal giudice dibattimentale le dichiarazioni unilateralmente acquisite dall’autorità d’indagine.

<<[U]n codice è sempre un congegno di precisione assai complesso, i cui delicati equilibri sono determinati da un sistema di contrappesi e interazioni, tale che ogni spostamento può avere ripercussioni su tutte le altre parti>>[22], di talché <<per stravolgere gli equilibri di un processo tendenzialmente accusatorio, non è necessario fare granché; basta eliminare qualche divieto di lettura, per generare l’effetto domino desiderato. Il conseguente vacillare del principio della separazione delle fasi si riverbera necessariamente sul principio della separazione dei ruoli: un atto di indagine raccolto dal pubblico ministero che assuma dignità di prova altera irrimediabilmente le dinamiche processuali, e relega la difesa a mero contraddittore in partibus>>[23].

Pertanto, intervenendo su pochi punti la Corte ha colpito i meccanismi vitali del sistema processuale, determinando, come già detto, la <<sostituzione, al modello dato, di un altro basato su principi diametralmente opposti>>[24].

 

 

L’immediatezza e la cultura del “giusto processo”.

L’inserimento, avvenuto mediante la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, dei principi del “giusto processo” nel testo costituzionale ha segnato l’avvio di un percorso di recupero dei connotati propri del sistema processuale voluto dal legislatore della riforma[25], avendo la sua più inconfondibile ragion d’essere <<nel proposito di recuperare e consolidare, con la forza del rango costituzionale, quel diritto delle prove penali cui il legislatore del 1989 aveva già dato vita, suscitando peraltro le reazioni della cultura inquisitoria di gran parte della magistratura italiana, con i conseguenti interventi demolitori della Corte costituzionale>>[26].

L’intento è stato quello di rendere effettivo nel nostro ordinamento, ed in relazione ad un sistema di accertamento che la Costituzione esige sia ancorato ad un principio di stretta legalità, il nucleo essenziale delle garanzie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, anche se nessuno nega il rapporto di stretta consequenzialità, anche cronologica, che lega la riforma costituzionale alla pronuncia della Corte costituzionale n. 361 del 1998[27], valutata alla stregua di un atto incompatibile con la discrezionalità manifestata attraverso le scelte operate con la l. 7 agosto 1997, n. 267 e da cui è scaturito, insieme ad un ventaglio ampio di polemiche, un <<impeto reattivo del legislatore [che] giun[s]e fino alla presentazione di quello che appar[ve] come un progetto di “revisione costituzionale-sanzione”, teso a proclamare, nello stesso art. 136 Cost., che alla Corte sono consentite solo pronunce di accoglimento o di rigetto “secche”, ed è invece impedita qualsiasi operazione manipolativa sulle disposizioni legislative oggetto del controllo>>[28].

Nell’ambito dei principi costituzionali e con particolare riferimento al processo penale[29], la previsione contenuta nell’art. 111, co. 4 Cost., secondo cui “[i]l processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”, sebbene sintetizzi un principio del quale <<si possono fornire interpretazioni contrastanti, a seconda che si ritenga – o meno – di valorizzare – ed in quale grado – nel corso del dibattimento, le dichiarazioni rese dal teste nella fase delle indagini preliminari>>[30], costituisce un enunciato di notevole risalto sul piano della civiltà giuridica e di ineccepibile collocazione nel quadro costituzionale[31].

Sul versante socio-politico essa sta, innanzitutto, a significare che senza contraddittorio <<non esiste una decisione valida che trovi nel rispetto della Carta fondamentale la legittimazione per essere comunemente accettata come giusta>>[32].

Allo stesso tempo, come già detto, riflette il metodo epistemologico oggi più accreditato al fine di conseguire l’accertamento dei fatti e delle responsabilità in quanto fondato sul presupposto della “divisione della conoscenza”, presupposto secondo cui solo il confronto delle diverse prospettive da cui muovono le parti consente di cogliere il significato dei fatti e di comprenderne il reale valore sociale[33].

L’articolata costruzione costituzionale del principio[34] – all’enunciato generale segue, infatti, la predisposizione di una regola specificativa per effetto della quale “[l]a colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore” – è, come non si è mancato di osservare, riconducibile <<al condivisibile proposito di scongiurare il riprodursi di una giurisprudenza costituzionale “eversiva” delle scelte operate in materia di giurisdizione penale>>[35] ed ha consentito di salvaguardare, rispetto a possibili e da più parti invocati interventi correttivi della Corte costituzionale, la struttura processuale delineata dalla legge ordinaria di attuazione dei principi del giusto processo[36].

La Corte costituzionale, infatti, ha fatto tesoro degli effetti della riforma costituzionale e da essi ha tratto – con due decisioni molto lineari e coerenti nelle argomentazioni[37] – la conclusione fondamentale costituita dal divieto di attribuire valore di prova alle dichiarazioni raccolte unilateralmente dagli organi investigativi.

La Corte ha, innanzitutto e con chiarezza, aderito all’impostazione che intravede nel primo periodo dell’art. 111, co. 4 Cost. una generale regola di esclusione, interdittiva di qualsiasi osmosi tra risultanze investigative e patrimonio probatorio[38].

I medesimi concetti sono stati ribaditi, quasi contestualmente, cogliendo l’occasione costituita dall’intervento sul tema delicatissimo delle contestazioni probatorie per rimarcare, con una motivazione <<quasi blindata>>[39], l’impermeabilità del dibattimento rispetto al materiale raccolto in assenza della dialettica tra le parti[40].

Chiuso il versante di scontro con la Corte costituzionale sul terreno dei rapporti tra il dibattimento e la fase investigativa, le sorti dell’immediatezza si sono misurate soprattutto sul fronte, meno blasonato – non è più in gioco, infatti, il contraddittorio – ma egualmente emblematico della disciplina dei meccanismi di rinnovazione del dibattimento in caso di mutamento della persona fisica del giudice.

Sul punto, la premessa di fondo è costituita dal principio sancito nell’art.525, co. 2 c.p.p., secondo cui “alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”.

Nella sua essenzialità – addirittura presidiata dalla tipologia più grave di nullità prevista dall’ordinamento processuale[41] – il principio predetto garantisce l’effettività del principi di oralità e immediatezza[42], assicurando che <<il patrimonio di impressioni e sensazioni acquisito al momento dell’assunzione dei mezzi di prova non vada disperso>>[43].

La norma, la quale conferma la tradizionale regola della immutabilità del giudice già prevista dall’art. 472, co. 2 c.p.p. abr.[44], impone che in caso di mutamento della persona del giudice si proceda alla integrale rinnovazione del dibattimento[45], sebbene sul versante dinamico e dell’efficacia giuridica i verbali delle dichiarazioni rese nella precedente fase dibattimentale facciano già parte del contenuto del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice, dal momento che tale contenuto non è cristallizzato in quello indicato nell’art. 431 c.p.p., ma è soggetto a notevoli variazioni, sia nella fase degli atti preliminari al dibattimento sia, soprattutto, nel corso del dibattimento medesimo, e certamente si arricchisce del verbale delle prove assunte nella pregressa fase dibattimentale, la quale, pur soggetta a rinnovazione a cagione di evenienze che modificano la composizione dell’organo giudicante, conserva comunque il carattere di attività legittimamente compiuta[46].

Ed allora, poste le premesse sistematiche di ordine generale, le Sezioni unite della Corte di cassazione[47]hanno statuito, ponendo un principio che ha orientato le soluzioni in tema di rinnovazione per oltre un ventennio, che è da escludere che quando l’ammissione della prova sia nuovamente richiesta, il giudice che la ammetta ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p. abbia il potere di disporre la lettura delle dichiarazioni raccolte nel dibattimento precedente alla quale non consentano entrambe le parti, senza previo riesame del dichiarante.

Ma la giurisprudenza, quasi a voler sottolineare che la garanzia presidia la competenza funzionale dei giudici che hanno partecipato al dibattimento – e, quindi, all’istruzione dibattimentale – quali gli unici legittimati a deliberare la sentenza e che il vizio derivante dalla sua inosservanza risiede in un difetto di legittimazione più che in un limite intrinseco all’attività probatoria, ha messo in rilievo il carattere indefettibile del rapporto che lega rispetto alle prove formate in dibattimento il giudice che è investito della deliberazione, statuendo che l’invalidità di cui all’art. 525, co. 2 c.p.p. non è suscettibile di essere sanata facendo ricorso al c.d. criterio della resistenza, posto che il divieto di deliberare su materiale istruttorio acquisito da un collegio in diversa composizione prescinde dal contenuto e dalla portata del materiale stesso[48].

La presa di posizione poco indulgente della giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni indotto la giurisdizione di merito a chiamare in causa la Corte costituzionale, occasioni rivelatesi assai preziose per ribadire la centralità dell’immediatezza nel processo penale soprattutto rispetto alla marcata cedevolezza del principio di ragionevole durata.

Ed infatti, la Corte costituzionale ha, già a ridosso della modifica dell’art. 111 Cost., riconosciuto che l’art. 525, co. 2 c.p.p. conferma la tradizionale regola della immutabilità del giudice, attraverso la quale trova attuazione il principio di immediatezza, definito come “connaturale alla stessa essenza del processo”[49].

Poco più tardi, la stessa Corte ha avuto modo di ribadire che al principio di immediatezza – di cui la tradizionale regola dell’immutabilità del giudice rappresenta lo strumento attuativo – ispira l’impianto del codice di rito e, soprattutto, “garantisce” (si badi bene!) il diritto della parte che chiede la rinnovazione dell’esame del dichiarante<<all’assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere>>[50].

Come può notarsi, il salto di qualità nella sistematizzazione del principio è notevole dal momento che l’immediatezza viene concepita non più, e semplicemente, come un canone ispiratore del modello processuale, bensì come fonte di un diritto delle parti che, rispetto all’imputato, risulta finanche rafforzato dal raccordo con la garanzia prevista dall’art. 111, co. 3 Cost., nella parte in cui riconosce alla persona accusata di un reato la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico e di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa[51].

Una sistematizzazione significativa, quest’ultima, espressione di una svolta culturale epocale che, se si vuole considerare di per sé non ancora sufficiente a fare ritenere costituzionalizzato il principio di immediatezza[52] – difficile affermarlo, però, se si tiene conto del fatto chela Corte costituzionale ha anche chiarito che  il principio di ragionevole durata del processo deve essere contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali rilevanti nel processo penale, garanzie la cui attuazione positiva il legislatore <<avrebbe inteso operare […] tramite la previsione di un regime allineato al principio di immediatezza>>[53] –certamente lo dota di una forza di resistenza capace di sottrarlo a spinte centrifughe determinate da esigenze di mera speditezza processuale.

Sotto questo punto di vista, è ben vero che la Corte costituzionale ha riconosciuto che il diritto della parte alla nuova audizione non è assoluto, ma “modulabile” – entro limiti di ragionevolezza – dal legislatore in modo da predisporre <<presidi normativi volti a prevenir[ne] il possibile uso strumentale e dilatorio>>[54], ma è la stessa Corte a delineare i confini di un ipotetico intervento legislativo chiarendo che<<il riesame del dichiarante, in presenza di una richiesta di parte, continui a rappresentare la regola>>[55].

E non si tratta, si badi bene, di una regola qualsiasi, ma di una regola che per la Corte costituisce<<uno dei profili del diritto alla prova, strumento necessario del diritto di azione e di difesa, da riconoscere lungo l’arco di tutto il complesso procedimento probatorio, quale diritto alla ricerca della prova, alla sua introduzione nel processo, alla partecipazione diretta alla sua acquisizione davanti al giudice terzo e imparziale, da ultimo alla sua valutazione ai fini della decisione da parte dello stesso giudice>>[56].

Ed allora, il quadro che viene fornito dalla giurisprudenza costituzionale delinea le forme di un principio di rango “quasi” costituzionale, la cui forza attinge a piene mani ai paradigmi del giusto processo e ne rende intangibile il nucleo essenziale, ferma rimanendo la possibilità che il legislatore – e soltanto lui – possa modellarne i contorni mediante interventi finalizzati a prevenire modalità abusive di utilizzo dei diritti individuali che esso presidia.

 

L’immediatezza e la deriva efficientistica del processo penale.

La “primavera” dell’immediatezza è una stagione che sembra essere giunta al capolinea: lo lascia intravedere la Corte costituzionale, lo decreta la Corte di cassazione.

Il giudice delle leggi, investito ancora una volta della questione di legittimità costituzionale degli artt. 511, 525, co. 2 e 526, co. 1 c.p.p., evita di esaminare il merito della censura – l’esito sarebbe stato, forse, l’ennesima pronuncia di manifesta infondatezza – adottando una declaratoria di inammissibilità fondata, appunto, su una inammissibile formulazione del quesito.

Ma la Corte questa volta è voluta andare oltre, delineando una piattaforma inconsueta su cui impostare le riflessioni future circa l’assetto della disciplina della rinnovazione del dibattimento[57].

Ed infatti, si legge in un prologo dai contenuti persino ovvi che <<[n]ell’impianto del vigente codice di procedura penale, il principio di immediatezza della prova è strettamente correlato al principio di oralità: principi, entrambi, che sottendono un modello dibattimentale fortemente concentrato nel tempo, idealmente da celebrarsi in un’unica udienza o, al più, in udienze celebrate senza soluzione di continuità (come risulta evidente dal tenore dell’art. 477 cod. proc. pen.)>>[58].

Se non che, <<[l]’esperienza maturata in trent’anni di vita del vigente codice di procedura penale restituisce […] una realtà assai lontana dal modello ideale immaginato dal legislatore. I dibattimenti che si concludono nell’arco di un’unica udienza sono l’eccezione; mentre la regola è rappresentata da dibattimenti che si dipanano attraverso più udienze, spesso intervallate da rinvii di mesi o di anni […]. In una simile situazione, il principio di immediatezza rischia di divenire un mero simulacro: anche se il giudice che decide resta il medesimo, il suo convincimento al momento della decisione finirà – in pratica – per fondarsi prevalentemente sulla lettura delle trascrizioni delle dichiarazioni rese in udienza, delle quali egli conserverà al più un pallido ricordo. D’altra parte, la dilatazione in un ampio arco temporale dei dibattimenti crea inevitabilmente il rischio che il giudice che ha iniziato il processo si trovi nell’impossibilità di condurlo a termine, o comunque che il collegio giudicante muti la propria composizione, per le ragioni più varie. Il che comporta, oggi, la necessità di rinnovare le prove dichiarative già assunte in precedenza, salvo che le parti consentano alla loro lettura. Frequente è, d’altra parte, l’eventualità che la nuova escussione si risolva nella mera conferma delle dichiarazioni rese tempo addietro dal testimone, il quale avrà d’altra parte una memoria ormai assai meno vivida dei fatti sui quali, allora, aveva deposto: senza, dunque, che il nuovo giudice possa trarre dal contatto diretto con il testimone alcun beneficio addizionale, in termini di formazione del proprio convincimento, rispetto a quanto già emerge dalle trascrizioni delle sue precedenti dichiarazioni, comunque acquisibili al fascicolo dibattimentale ai sensi dell’art. 511, comma 2, cod. proc. pen. una volta che il testimone venga risentito>>[59].

L’epilogo della riflessione sociologica riveste una valenza programmatica dirompente: <<In un simile contesto fattuale – con il quale non può non fare i conti ogni discorso sulla tutela dei diritti fondamentali – questa Corte ritiene doveroso sollecitare l’adozione di rimedi strutturali in grado di ovviare agli inconvenienti evidenziati, assicurando al contempo piena tutela al diritto di difesa dell’imputato. Il che potrebbe avvenire non solo favorendo la concentrazione temporale dei dibattimenti, sì da assicurarne idealmente la conclusione in un’unica udienza o in udienze immediatamente consecutive, come avviene di regola in molti ordinamenti stranieri; ma anche, ove ciò non sia possibile, attraverso la previsione legislativa di ragionevoli deroghe alla regola dell’identità tra giudice avanti al quale si forma la prova e giudice che decide>>[60].

In un solo colpo, la Corte stravolge la visione garantista che aveva caratterizzato la sua decennale elaborazione in nome di un’inefficienza sistemica[61] la cui insuperabilità viene sottilmente certificata (“ove ciò non sia possibile”, si dice introducendo un’alternativa d’intervento apparentemente neutra): viene infatti cancellato il ruolo portante dell’immediatezza e ciò che sorprende è che la fine di una stagione viene prefigurata non già dinanzi ad una situazione normativa, ma arrendendosi ad una realtà di fatto distante dalle norme e prodotta da un accumulo di patologie sistemiche[62].

Ma si tratta di una realtà nota, ossia di quella stessa realtà delineata dalla miriade di ordinanze di rimessione dinanzi alle quali si erano calate le statuizioni di principio che avevano portato l’immediatezza ad ambire ad un ruolo di primario rilievo nel contesto del sistema costituzionale del giusto processo, un ruolo certamente competitivo rispetto alle pretese di efficienza che da più parti si affermava essere sorrette dal principio di ragionevole durata del processo[63].

Se la realtà è rimasta immutata, evidentemente è cambiato l’approccio culturale al processo penale, adottandosi un modello paradigmatico edificato su una sorta di “tirannia” dell’efficienza in un contesto di inefficienze, con la prima che esce vincente dal confronto con una oramai esanime immediatezza.

Il linguaggio raffinato e apparentemente distaccato – si parla, infatti, di “ragionevoli deroghe” a quella che continua a definirsi “regola” – nasconde, tra le righe, un progetto non dissimile da quello che ha ispirato la stagione contro-riformistica dei primi anni novanta, così come appare un presidio poco rassicurante l’affidamento ad una riserva di “previsione legislativa”.

Ed infatti, il varco aperto dalla Corte costituzionale è stato rapidissimamente percorso dalla Corte di cassazione[64], la quale, spinta da un impeto efficientista che ha pochi (e tristi) precedenti, ha riletto in maniera affrettata l’arresto giurisprudenziale di vent’anni addietro, confondendo con superficialità i piani dell’ammissione della prova e quelli dell’assunzione: piani che, invece, devono rimanere distinti, non potendosi confondere – ha insegnato la Corte costituzionale – la disciplina sull’ammissione della prova con quella sulle modalità di assunzione dei mezzi di prova, tra cui rientra la regola, contenuta nell’art. 511, co. 2 c.p.p., che prescrive che sia data lettura di verbali di dichiarazioni solo dopo l’esame del dichiarante[65].

 

Qualche considerazione di chiusura.

Sulla sentenza si potrebbe dire tanto e, probabilmente, tanto verrà detto, ma interessa sottolineare come essa si sbarazzi rapidamente di un principio – l’immutabilità del giudice – e di un sistema di garanzie costituzionali (anche elevate al rango di diritti inviolabili) che ne puntellavano l’essenza e la funzione caratterizzante secondo una visione espansiva dell’approccio costituzionale ai principi del giusto processo.

V’è da chiedersi se la portata della novella giurisprudenziale si collochi entro i limiti tratteggiati dalla giurisprudenza costituzionale: infatti, “modulare” non significa “cancellare”, così come l’attività interpretativa non può costituire l’equivalente dell’invocato intervento legislativo[66].

La stessa duplice linea d’intervento prospettata dalla Corte presuppone (o, quantomeno, sembra presupporre) l’esigenza di un bilanciamento che spetta al legislatore, a fronte di una soluzione ermeneutica – quella tradizionale, per intendersi – ritenuta in tutte le occasioni non irragionevole e, probabilmente, necessitata alla luce della legislazione vigente.

La primavera dell’immediatezza sembra volgere al termine, dunque… o forse no! Ne difende il protrarsi – in maniera oramai del tutto incoerente, alla luce del disegno tratteggiato dall’approccio post-moderno della Corte costituzionale – l’art. 603, co. 3-bis c.p.p.

[1]Spangher, Sentenza Bajrami, il nuovo dibattimento nel solco delle divisioni, in Guida al dir., 2019, 47, 13.

[2]Il riferimento è, ovviamente, a Cass. pen., Sez. un., 10 ottobre 2019, Bajrami.

[3] V., tra gli altri, Cesari, Prova (acquisizione della), in Dig. disc. pen., Agg. II, 721; Buzzelli, Giusto processo, in Dig. disc. pen., Agg. II, 357.

[4]Famiglietti, Dibattimento (principi teorici), in Dig. disc. pen., Agg. III, t. I, 353. Il termine “immediatezza”, osserva Calamandrei, Immediatezza, in Dig. disc. pen., VI, p. 149, in un suo intuitivo significato evoca l’idea di un rapporto privo di intermediazioni (non mediato, appunto), e quindi diretto, fra due entità. Nel processo penale la valenza che si è venuta storicamente precisando del principio che a tale idea si richiama è quella della tendenziale eliminazione di ogni interferenza fra l’organo giudicante e la fonte di prova.

[5]Bruno, Concentrazione (principio della), in Dig. disc. pen., VI, 501.

[6] Lozzi, I principi dell’oralità e del contraddittorio nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 670. Come ribadisce Bargi, Cultura del processo e concezione della prova, in La prova penale, diretto da Gaito, I, Milanofiori Assago, 2008, 70, <<nella logica accusatoria il principio di oralità non è garantito dalla forma di comunicazione al giudice, ma correlato al principio di immediatezza ed esprime l’esigenza del rapporto diretto tra prova ed il giudice>>. L’importanza dell’oralità e dell’immediatezza nel dibattimento penale viene sottolineata, oltre mezzo secolo addietro, da Foschini, Dibattimento (Diritto processuale penale), in Enc. dir., XII, 342.

[7] C. cost., 31 gennaio 1992, n. 24.

[8] C. cost., 3 giugno 1992, n. 254.

[9] C. cost., 3 giugno 1992, n. 255.

[10] C. cost., 3 giugno 1992, n. 255.

[11] V., in particolare, Spangher, Un compleanno con molte – troppe – ombre, in Dir. pen. proc., 2009, 1193; Ubertis, I diritti dell’uomo nel ventennale del codice di procedura penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1509.

[12]Di Chiara, L’inquisizione come <<eterno ritorno>>: tecnica delle contestazioni ed usi dibattimentali delle indagini a seguito della sentenza 255/92 della Corte costituzionale, in Foro it., 1992, 2017.

[13]Di Chiara, op. cit., 2019. Questi richiama Tranchina, Nostalgie inquisitorie nel <<sistema accusatorio>> del nuovo codice di procedura penale, in Leg. pen., 1989, 387.

[14]Mazza, Il garantismo al tempo del giusto processo, Milano, 2011, 5.

[15] Sintetizza bene la relazione di derivazione del principio di non dispersione della prova dalla concezione della verità reale quale fine dell’accertamento processuale, Zaza, Prime riflessioni sulla sentenza costituzionale n. 255 del 1992, in Giust. pen., 1992, I, 243.

[16] V., per un’analisi del principio e delle sue molteplici, degeneranti letture, Nobili, Storie di un’illustre formula: il “libero convincimento” negli ultimi trent’anni, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 71, ove mette in evidenza come <<fu in nome di quel principio e dei nuovi corsi complessivi che venne chiesta e ottenuta la testa di un codice varato dal potere parlamentare unanime>>. Ma v., per uno studio più articolato, Nobili, Il principio del libero convincimento del giudice, Milano, 1974, 23.

[17]Dominioni, Un nuovo idolum theatri: il principio di non dispersione probatoria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 738.

[18]Paulesu, Falsa testimonianza e disciplina delle contestazioni: una messa a punto sui confini della <<provata condotta illecita>>, in Cass. pen., 2003, 3757.

[19] C. cost., 16 giugno 1994, n. 241.

[20]Riccio, Per un nuovo progetto di giustizia penale, in Dir. pen. proc., 2006, 1193.

[21] Sottolinea questo aspetto Illuminati, Principio di oralità e ideologie della Corte costituzionale nella motivazione della sent. n. 255 del 1992, in Giur. cost., 1992, 1977.

[22]Illuminati, op. cit., 1974.

[23]Garofoli, Giudizio, regole e giusto processo. I tormentati itinerari della cognizione penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 516.

[24] G. Illuminati, op. cit., 1974.

[25] Fa notare, infatti, Chiavario, Giusto processo (processo penale), in Enc. giur., XV, 2, come di “giusto processo” si parlasse già ben da prima della riforma costituzionale del 1999. Per un’analisi del quadro nel cui ambito è “calata” la riforma v., in particolare, Mele, L’art. 111 della Costituzione: riscoperta del codice 1989, in Cass. pen., 2001, 2193.

[26]Amodio, La procedura penale dal rito inquisitorio al giusto processo, in Cass. pen., 2003, 422.

[27] Esso è sottolineato, tra i tanti, da Spangher, Il  <<giusto processo>> penale, in Studium iuris, 2000, 255; Conti, Ferrua, Tonini, Art. 111 Cost., in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda, Spangher, Milano, 2010, 106.

[28]Zanon, La Corte, il legislatore ordinario e quello di revisione, ovvero del diritto all’<<ultima parola>> al cospetto delle decisioni d’incostituzionalità, in Giur. cost., 1998, 3169.

[29]<<E’ al processo penale>> – fa notare Giostra, Analisi e prospettive di un modello probatorio incompiuto, in Quest. giust., 2001, 1130 – <<che il riformatore costituzionale ha dedicato – purtroppo, verrebbe quasi da dire – le sue maggiori attenzioni, con l’encomiabile intendimento di assicurarvi il più alto tasso dialettico e con il deprecabile risultato di una normativa disordinata e ambigua>>.

[30]Esposito, L’accertamento dell’inquinamento della prova testimoniale: art. 500, comma 4, c.p.p., in Il <<doppio binario>> nell’accertamento dei fatti di mafia, a cura di Bargi, Torino, 2013, 697.

[31]Grevi, Dichiarazioni dell’imputato su fatto altrui, facoltà di non rispondere e garanzia del contraddittorio, in Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia, II, Milano, 2000, 359.

[32]Mazza, op. cit., 4.

[33] Secondo Giostra, op. cit., 1130, il principio espresso dall’art. 111, co. 4 Cost. costituisce il diapason della giurisdizione penale, facendo del contraddittorio il suo <<statuto epistemologico>>.

[34] Il quale, si è osservato in dottrina, è richiamato dall’art. 111, commi 3 e 4 Cost. nei suoi due aspetti essenziali, ossia come metodo di conoscenza (aspetto oggettivo) e come garanzia dell’imputato (aspetto soggettivo). V., per questa ricostruzione, Conti, Le due “anime” del contraddittorio nel nuovo art. 111 Cost., in Dir. pen. proc., 2000, 198.

[35] Giostra, op. cit., 1130.

[36] Legge 1 marzo 2001, n. 63. V., a proposito delle modifiche con essa introdotte, Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di Tonini, Padova, 2001.

[37]Spangher, I limiti al recupero del <<precedente>> investigativo al vaglio costituzionale del giusto processo, in Studium iuris, 2002, 717.

[38] C. cost., 14 febbraio 2002, n. 32.

[39]Spangher, I precedenti investigativi discordanti al primo vaglio del <<giusto processo>>, in Giur. cost., 2002, 327, il quale ricollega questa caratteristica al fine di non offrire appigli ed anticipazioni a future eccezioni.

[40] C. cost., 14 febbraio 2002, n. 36.

[41] Sulla configurazione di siffatta sanzione v., tra gli altri, Gallucci, La rinnovazione del dibattimento a seguito di rinnovazione del giudice, in Cass. pen., 2004, 1446; Martines, La rinnovazione delle prove in caso di mutamento del giudice, in Cass. pen., 2015, 2334.

[42] Rigo, La sentenza dibattimentale, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, a cura di Spangher, Marandola, Garuti, Kalb, II, Milanofiori Assago, 2015, 1434; Id., La sentenza, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, IV, Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, t. 2, Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, Torino, 2009, 515.

[43]Tamietti, Il principio dell’immutabilità del giudice nella giurisprudenza europea: divergenze e similitudini con la disciplina interna, in Cass. pen., 2006, 705.

[44]C. cost., 11 dicembre 2001, n. 399.

[45] C. cost., 24 gennaio 1994, n. 17.Nonchè, poco dopo, C. cost., 3 aprile 1996, n. 99.

[46]C. cost., 24 gennaio 1994, n. 17.

[47]Cass. pen., Sez. un., 15 gennaio 1999, Iannasso.

[48]Cass. pen., Sez. VI, 11 dicembre 2014, n. 672.

[49]C. cost., 11 dicembre 2001, n. 399.

[50]C. cost., 9 marzo 2007, n. 67. Lo stesso principio era stato enunciato da C. cost.,23 dicembre 2004, n. 418, secondo la quale <<la parte che chiede la rinnovazione della prova esercita il proprio diritto, garantito dai principî di oralità e immediatezza che connotano il codice di rito, all’assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere>>.

[51]C. cost., 10 giugno 2010, n. 205. La sentenza richiama, altresì, quanto reiteratamente affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’omologa previsione dell’art. 6, par. 3 lett. d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con l. 4 agosto 1955, n. 848 e, cioè, che la possibilità per l’imputato di confrontarsi con i testimoni in presenza del giudice che dovrà poi decidere sul merito delle accuse costituisce una garanzia del processo equo, in quanto permette a quest’ultimo di formarsi un’opinione circa la credibilità dei testimoni fondata su un’osservazione diretta del loro comportamento; con la conseguenza che ogni mutamento di composizione dell’organo giudicante deve comportare, di norma, una nuova audizione del testimone le cui dichiarazioni possano apparire determinanti per l’esito del processo. Vengono richiamate, a tale proposito, C. EDU, 27 settembre 2007, Reiner e altri contro Romania; C. EDU, 30 novembre 2006, Grecu contro Romania; C. EDU, 10 febbraio 2005, Graviano contro Italia; C. EDU, 4 dicembre 2003, Milan contro Italia; C. EDU, 9 luglio 2002, P. K. contro Finlandia.

[52]Di diverso avviso, di recente, Daniele, Le “ragionevoli deroghe” all’oralità in caso di mutamento del collegio giudicante: l’arduo compito assegnato dalla Corte costituzionale al legislatore, indiscrimen, 14 giugno 2019, 4.

[53] C. cost., 30 luglio 2008, n. 318.

[54] C. cost., 10 giugno 2010, n. 205, la quale richiama, in particolare, C. cost., 30 luglio 2008, n. 318 e C. cost., 9 marzo 2007, n. 67.

[55] C. cost., 10 giugno 2010, n. 205.

[56] C. cost., 10 giugno 2010, n. 205.

[57] Muove una critica di metodo alla pronuncia costituzionale Ferrua, Il sacrificio dell’oralità nel nome della ragionevole durata: i gratuiti suggerimenti della Corte costituzionale al legislatore, in www.archiviopenale.it, 2019, 2, 1. V., inoltre, Spangher, Immutabilità del giudice. La norma non è incostituzionale ma per la Corte va cambiata, in www.ilpenalista.it, 11 giugno 2019, il quale intravedeva il rischio che la sentenza fosse letta come una decisione interpretativa.

[58] C. cost., 29 maggio 2019, n. 132.

[59] C. cost., 29 maggio 2019, n. 132.

[60] C. cost., 29 maggio 2019, n. 132.

[61] Ne delinea bene i contorni, da ultimo, Spangher, Riforma prescrizione. Il vero “dominus” del rito penale di oggi, in Guida al dir., 2020, 1, 8. Ma v., anche, Id., I tre temi del dibattito tra gli operatori della giustizia penale, in PENALE. Diritto e procedura, 24 gennaio 2020.

[62] Insegnano, invece, Gaito, Rinaldi, Esecuzione penale, Milano, 2000, 10, che <<è la prassi che ha da “appiattirsi” sui principi e non viceversa>>.

[63] C. cost., 30 luglio 2008, n. 318.

[64]Cass. pen., Sez. un., 10 ottobre 2019, Bajrami.

[65] C. cost., 11 dicembre 2001, n. 399.

[66] Daniele, Le “ragionevoli deroghe” all’oralità in caso di mutamento del collegio giudicante: l’arduo compito assegnato dalla Corte costituzionale al legislatore, cit., 6.

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