Annotazione giurisprudenziale
Cass., Sez. VI, 17 settembre 2024 (dep. 25 novembre 2024), n. 42942 – Pres. Fidelbo; Red. Gallucci
In tema di giudizio di appello, l’obbligo di motivazione di motivazione rafforzata, previsto in caso di riforma della sentenza assolutoria, è concorrente – e non alternativo – con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che ribalti la decisione assolutoria di primo grado, con condanna dell’imputato, postula l’adozione di una motivazione rafforzata e la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603, co. 3-bis c.p.p., altresì dell’elemento probatorio assunto in incidente probatorio ex art. 392 c.p.p. (massima redazionale).
Abstract
La Cassazione, con la pronuncia in commento, statuisce che in tema di giudizio di appello, l’obbligo di motivazione di motivazione rafforzata, previsto in caso di riforma della sentenza assolutoria, è concorrente – e non alternativo – con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che ribalti la decisione assolutoria di primo grado, con condanna dell’imputato, postula l’adozione di una motivazione rafforzata e la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603, co. 3-bis c.p.p., altresì dell’elemento probatorio assunto in incidente probatorio ex art. 392 c.p.p.
The Supreme Court of Cassation states that the duty of reinforced reasoning provided for in the case of reform of the acquittal judgment, is concurrent – and not alternative – with the duty of renewing the declarative decisive evidence, also of the evidence taken in the evidentiary incident sub-Art. 392 CPC.
Sommario: 1. La questione processuale (principale). – 2. La rinnovazione istruttoria in appello. – 3. La decisione della Suprema Corte. – 4. Un istituto sempre più praticato: l’art. 392 c.p.p. – 4. Una chiosa finale e un auspicio.
1. La questione processuale (principale)
La sentenza che annotiamo, tra le varie quaestiones affrontate, si interroga sulla rinnovabilità in appello della prova assunta in incidente probatorio.
La risposta che la Cassazione dà al quesito è positiva, e a parere di chi scrive pienamente condivisibile sia sul piano argomentativo-ricostruttivo (interno alla pronuncia) sia a livello di sistema (in termini di coerenza ordinamentale tra istituti processuali: nello specifico, tra artt. 603, co. 3-bis c.p.p. e 392 c.p.p., letti peraltro dalla Suprema Corte alla luce dell’obbligo di motivazione rafforzata)[1].
2. La rinnovazione istruttoria in appello
Sez. I – Un giudizio a geometria variabile
Delle tematiche esaminate dalla pronuncia in commento ci interessa attenzionare la praticabilità, o meno, della rinnovazione istruttoria in appello rispetto alla prova assunta in sede di incidente probatorio. Tuttavia, prima di soffermarsi su tale profilo, è necessario svolgere una brevissima digressione sull’art. 603 c.p.p. e sull’appello in generale, per comprendere quali siano i margini operativi di questa disposizione nel suo complesso.
Anzitutto, occorre notare che la previsione de qua coinvolge direttamente la natura stessa e la funzione del giudizio di appello. Invero, la possibilità di rinnovare in seconde cure la prova assunta in primo grado è da sempre terreno di scontro tra chi sostiene che ivi si svolga/debba svolgere solo una revisio prioris instantiae e chi invece ritiene che ivi abbia luogo/debba aver luogo un vero e proprio novum iudicium[2].
Al riguardo, è possibile osservare che – nell’attuale sistema delle impugnazioni – il giudizio che si celebra dopo che ne è già stato celebrato uno precedente è inevitabilmente un momento di critica (positiva/negativa) e di controllo di quel che è stato antecedentemente accertato. Pertanto, il carattere di revisio prioris instantiae è intrinseco al giudizio successivo al primo; mentre, viceversa, questo giudizio successivo al primo non necessariamente costituisce novum iudicium, perché ciò presuppone lo svolgimento di attività probatoria e tale circostanza non sempre si verifica.
In sintesi, dunque, se l’appello è sempre – giocoforza – un controllo dell’operato del giudice di prima istanza, al contrario, non è detto che sia – anzi, è eventuale che sia – un nuovo giudizio, dove si assumono ancora le prove. In questi termini, emerge quella la geometria variabile del giudizio di appello: la struttura di questo rito si amplia o si restringe, a seconda delle attività che in esso si svolgono.
Sez. II – Epistemologia da seconde cure
L’epistemologia dell’appello ruota attorno al rapporto sbilanciato tra atti scritti (prevalenti, per non dire esclusivi) e atti orali (ridotti e in definitiva eccezionali)[3].
Il codice Pisapia-Vassalli si è mosso sulla scia della “presunzione di completezza”[4] del giudizio di primo grado, sicché ha strutturato il secondo iudicium come prevalentemente – di base, integralmente – cartolare. Fin dalle sue origini, l’art. 603 c.p.p. ha circoscritto la rinnovazione a ipotesi residuali, attivabili o d’ufficio (in caso di assoluta necessità, per decidere – co. 3) o su istanza di parte (relativamente alle prove già acquisite, la cui assunzione è subordinata all’impossibilità di risolversi allo stato degli atti – co. 1; relativamente alle prove sopravvenute o scoperte – co. 2: prove nuove in senso stretto, quest’ultime, sottoposte all’unico limite della manifesta superfluità o irrilevanza ex art. 190 c.p.p., in combinato disposto con l’art. 495 c.p.p.)[5].
L’impostazione appena descritta è stata integrata a fronte delle pronunce della Corte EDU[6]. La giurisprudenza europea ha condotto ridisegnare l’assetto dei casi di rinnovazione dibattimentale, specificamente laddove da una sentenza di assoluzione s’intenda giungere a una sentenza di condanna; e le conclusioni raggiunte in parte qua dai giudici di Strasburgo sono state recepite dalle riforme c.d. Orlando (l. n. 103 del 2017) e Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) – v. art. 603, co. 3-bis e co. 3-ter c.p.p.
Il ragionamento sviluppatosi in materia ha dovuto fare i conti con l’evenienza secondo la quale non è affatto detto che una decisione presa in un secondo momento, quale quella in grado di appello, abbia più probabilità di essere giusta soltanto perché posteriore a quella inizialmente assunta. Com’è stato scritto, “non c’è nessuna regola epistemologica per cui chi giudica dopo giudica meglio di chi ha giudicato per primo”[7]. E data questa (fisiologica) aporia conoscitiva, il processo penale – che è altresì portatore di una valenza cognitiva – si è dotato di strumenti utili ad assicurare, in ogni fase/grado dell’accertamento, la qualità epistemologica della decisione. In proposito, uno degli espedienti volti a scongiurare che chi decida dopo incorra in un decisum errato (specie con riferimento alla quaestio facti) è proprio la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale: che permette al giudice di toccare con mano gli elementi di prova sulla cui base assumerà la propria risoluzione. Il contraddittorio, d’altro canto, è il miglior meccanismo finora elaborato per la genuina ricostruzione giuridica dei fatti, a cui sarà poi applicata – previa interpretazione (quaestio iuris) – la legge.
Sez. III – Il comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p.
Le maggiori criticità decisorie si riscontrano quando si vuol condannare chi è stato in precedenza assolto.
È su questo profilo che si incentra il discorso sul comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p.
Stando alla giurisprudenza sovranazionale, una condanna – che segua a un’assoluzione – senza un ascolto diretto delle dichiarazioni decisive costituisce una violazione dell’art. 6, par. 3, lett. d) Cedu[8]. La Corte europea, con le proprie sentenze, ha smentito la tesi della completezza dell’accertamento di primo grado; e la giurisprudenza di legittimità – anche prima degli innesti del legislatore (avvenuti nel 2017 e nel 2022) – ha adottato un’interpretazione convenzionalmente conforme dell’art. 603 c.p.p., stabilendo come, nel caso in cui si voglia riformare in peius usa sentenza assolutoria, tale pronuncia riformatrice sia insuscettibile di un giudizio “allo stato degli atti” e debba assumersi la prova dichiarativa decisiva assunta nel grado precedente. Per giunta, nel suo argomentare, la Suprema Corte italiana si è spinta oltre, rilevando come il dovere di rinnovazione in caso di riforma in peius si colleghi a doppio filo con la presunzione di innocenza e il canone dell’al di là del ragionevole dubbio[9]. Il tutto, inoltre, deve avvenire nell’adempimento dell’obbligo di motivazione rafforzata[10].
Questi approdi sono stati ratificati, come si è detto, dalla riforma Orlando e infine dalla riforma Cartabia: interventi normativi che, ad ogni modo, non si sono espressi circa l’ipotesi presa in esame Cass., Sez. VI, 17 settembre 2024, n. 42942, ossia la rinnovazione in appello delle prove assunte in incidente probatorio.
In questo contesto si inserisce la pronuncia in rassegna, di seguito riassunta.
3. La decisione della Suprema Corte
Sez. I – In fatto
La Corte di appello, riformando parzialmente l’assoluzione sentenziata dal tribunale, condanna l’imputato a due anni e otto mesi di reclusione per il delitto di concussione[11].
La difesa propone impugnazione, adducendo sette motivi di ricorso.
Con il primo motivo, vengono eccepiti vizio di motivazione e violazione di legge perché non si è proceduto all’audizione della persona offesa prima di dar luogo a ribaltamento decisionale, indebitamente asserendo che “in primo grado si è proceduto in sede di incidente probatorio per cui non è necessaria la rinnovata istruzione”; né, per di più, si è motivato rafforzatamente bensì “in modo illogico e apodittico”.
Con il secondo motivo, viene lamentata l’inammissibilità dell’atto di appello avanzato dal p.m. avverso la sentenza di prime cure, per genericità delle doglianze prospettate.
Con il terzo motivo, viene dedotta la mancata acquisizione di prova decisiva richiesta (e indebitamente rigettata, a parere dell’avvocato, tramite giustificazione apparente e illogica).
Con il quarto motivo, viene censurata la valutazione di credibilità e attendibilità delle dichiarazioni rese dalla p.o., “risultate contrastanti con numerose emergenze probatorie (indicate nel ricorso)”.
Con il quinto motivo, viene stigmatizzata – come violazione di legge – la reformatio in peius derivante dall’applicazione di una formula che ha definito il giudizio in maniera meno favorevole di quella già pronunciata (i.e. non punibilità per prescrizione anziché liberazione nel merito).
Con il sesto motivo, vengono ancora eccepiti vizio di motivazione e violazione di legge, stavolta in ordine alla condanna civile dell’imputato al risarcimento dei danni a favore del ministero dell’Interno e alla refusione delle spese di entrambi i gradi di merito: in assenza dell’appello formulato sul punto dalla parte civile, oltreché di qualsivoglia giustificazione circa la quantificazione del damnum.
Con il settimo motivo, viene infine criticata – per violazione di legge – l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici disposta in perpetuo poiché, “ratione temporis commissi delicti, doveva essere applicata la disciplina normativa dell’art. 317-bis c.p. previgente alle modifiche della l. n. 190/2012, che nel caso in cui l’intervento di attenuanti generiche determinava una pena inferiore a tre anni di reclusione stabiliva l’interdizione temporanea”.
Sez. II – In diritto
La Cassazione riconosce come “parzialmente fondato” il ricorso[12], ed è sul motivo che “eccepisce sia la mancata rinnovazione dell’istruzione sia l’assenza di motivazione rafforzata” che si appunta il giudizio di legittimità che accoglie infine le doglianze della difesa.
In via preliminare, viene “ribadito che – in tema di giudizio di appello, l’obbligo di motivazione di motivazione rafforzata, previsto in caso di riforma della sentenza assolutoria, è concorrente – e non alternativo – con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che ribalti la decisione assolutoria di primo grado, con condanna dell’imputato, postula l’adozione di una motivazione rafforzata e la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603, co. 3-bis c.p.p.”[13].
Calando tale principio nel caso in esame, la Suprema Corte rileva che il tribunale ha assolto l’imputato per la ritenuta inattendibilità di quanto narrato dalla persona offesa, in incidente probatorio, di talché la Corte di appello – visto che “la prova a carico era costituita proprio da quanto riferito dalla indicata p.o.” – disponeva la rinnovazione dell’esame della medesima; epperò, “con ordinanza adottata all’udienza revocava detto provvedimento sulla base della considerazione che la [p.o.] era già stata sentita in incidente probatorio”: quindi, non era necessario procedere a nuova escussione della stessa. “E ciò sul presupposto, condiviso dalla procura generale, che la nuova disciplina del comma 3-bis [dell’art. 603 c.p.p.] non si possa applicare all’esame testimoniale effettuato in incidente probatorio”.
Ebbene, è quest’ultimo passaggio (i.e. la revoca della già disposta renovatio probatoria) che gli Ermellini non condividono: “ritiene il Collegio che detta interpretazione non possa essere accolta”. Tuttora valida, giacché “non risulta vulnerata dalla modifica introdotta al citato comma 3-bis [dell’art. 603 c.p.p.] dal d.lgs. n. 150/2022”[14] l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui “in tema di appello del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria previsto dall’art. 603, co. 3-bis c.p.p. grava sul giudice di appello anche quando la diversa valutazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva riguardi una prova acquisita nel corso delle indagini preliminari e non più ripetuta in dibattimento”[15]. Dall’omessa indicazione normativa della prova dichiarativa acquisita in incidente probatorio “non può infatti dedursi la volontà del legislatore di escludere dall’ambito della rinnovazione detta prova”. Leggendo la Relazione illustrativa alla riforma Cartabia, in effetti, è “evidente che l’intento del legislatore era [solamente] quello di superare” le Sezioni unite Patalano[16], che avevano ritenuto che l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in ipotesi di overturning dinanzi al giudice di appello sussistesse anche se la sentenza di primo grado fosse stata emessa in sede di giudizio abbreviato secco/non condizionato. Viceversa, “connotazioni ben diverse presenta l’incidente probatorio: fase anticipata del dibattimento nella quale le prove sono acquisite e documentate con le forme stabilite per il processo ordinario. E non a caso, laddove si proceda per un reato diverso da quelli espressamente previsti dall’art. 190-bis c.p.p., la lettura delle dichiarazioni rese dal testimone nel corso dell’incidente probatorio è consentita solo successivamente alla rinnovazione in dibattimento del suo esame, ove richiesto dalle parti e possibile”[17].
Oltre a non essere “indicativo” della voluntas legis, il silenzio serbato dal legiferato sull’indicente probatorio induce piuttosto a ritenere “irragionevole (con ricadute in ordine al rispetto dell’art. 3 Cost.) ritenere che l’obbligo di rinnovazione sussista in caso di testimone sentito nel dibattimento di primo grado e non di colui che ha reso dichiarazioni nell’incidente probatorio, atteso che in entrambi i casi si è di fronte a un’assunzione della prova effettuata con le regole stabilite per il dibattimento e mancando nell’incidente probatorio la scelta dell’imputato – collegata a un rito alternativo a connotazione premiale – di rinunciare al contraddittorio accettando di essere giudicato sulla base degli atti unilateralmente formati dal pubblico ministero nelle indagini preliminari (presupposto, questo, della non obbligatorietà della rinnovazione in caso di ribaltamento in appello di assoluzione conseguente a giudizio abbreviato secco)”.
Dunque, obbligo motivativo rinforzato[18] e rinnovazione istruttoria da effettuare “anche a mezzo di rogatoria internazionale”, a meno che quest’ultima non si dimostri oggettivamente impossibile (nel qual caso, “la riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non è [comunque] preclusa, ma la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all’art. 603, co. 3 c.p.p.”[19]).
A tutto questo “non si è attenuta la sentenza impugnata”, che ha riformato l’apprezzamento sulla credibilità e attendibilità del teste principale – da negativo (foriero di un ragionevole dubbio) a positivo (assolutamente verosimile e privo di incertezze significative) – senza riassumere tale deposizione decisiva e non fornendo nemmeno “una motivazione convincente” sui profili oggetto di differente valutazione in prime cure[20].
Di conseguenza, all’esito della propria delibazione, i giudici di legittimità hanno annullato il provvedimento e rinviato il processo per nuovo giudizio presso altra sezione della Corte di appello.
4. Un istituto sempre più praticato: l’art. 392 c.p.p.
La ratio decidendi della sentenza appena sintetizzata muove, oltre che da un’interpretazione logico-sistematica del nuovo comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p., anche da un’analisi dell’incidente probatorio: un istituto composito e molto discusso, dotato di indubbia – recte indispensabile – utilità probatoria[21].
Previsto per la prima volta nel codice Pisapia-Vassalli, l’incidente probatorio era strettamente connesso al nuovo modello di processo penale: un sistema di tipo accusatorio che, in quanto tale, presuppone la scelta di riservare la formazione della prova al dibattimento, lasciando alla fase delle indagini attività di mera investigazione, salvo ipotesi eccezionali. E difatti, un sistema congegnato sull’“anima” forte[22] del contraddittorio – ossia, sul contraddittorio dibattimentale – deve comunque necessariamente dotarsi di un meccanismo processuale che gli consenta di evitare il rischio di dispersione della prova non rinviabile. Da qui, ecco l’istituzione dell’incidente probatorio: che consente di acquisire, prima della fase dibattimentale – con le metodiche e le garanzie tipiche di quest’ultima – il dato probatorio “precario”, che entrerà poi direttamente nel patrimonio conoscitivo del giudice del dibattimento.
Il criterio direttivo n. 40 della legge delega n. 81/1987 ha dettato una clausola aperta per cui è possibile far ricorso all’incidente probatorio per assumere “atti non rinviabili a dibattimento”[23]. Cionondimeno, il requisito della non rinviabilità è stato inteso dalla Commissione ministeriale in senso tassativo: questa iniziale rigida previsione dei casi è dovuta alla preoccupazione che una troppo ampia discrezionalità del giudice nell’individuare i presupposti applicativi dell’istituto avrebbe condotto a un ritorno all’istruzione formale, retaggio del sistema inquisitorio[24]. Il rischio paventato, più in generale, è stato poi quello di un impiego eccessivamente ampio dell’istituto da parte non solo del pubblico ministero, intenzionato a precostituirsi la maggior parte degli elementi di prova in fase investigativa, ma anche del difensore, quest’ultimo spinto dal fine di ottenere una prematura discovery delle risultanze accusatorie per prevenirne quanto prima gli sviluppi. Per queste ragioni, i casi originari di incidente probatorio si sono retti sul binomio “pericolo di dispersione/urgenza” e sono stati dotati del carattere della tassatività, onde evitare interpretazioni estensive o analogiche.
A partire dal 1994, però, con un rilevante cambio di rotta, numerosi interventi legislativi[25] e un’importante pronuncia della Consulta[26] hanno ampliato il perimetro operativo dell’art. 392 c.p.p. sia oggettivamente (ricomprendendo nell’area di praticabilità dell’istituto non soltanto le prove non differibili per ragioni materialmente concrete, ma anche quelle così qualificate dal legislatore con una sorta di presunzione assoluta) che temporalmente (estendendolo anche alla fase dell’udienza preliminare).
Le ragioni dello svincolamento dei casi di incidente probatorio dal rigido canone della “non rinviabilità” (id est pericolo di dispersione/urgenza[27]) risiedono principalmente in questi tre fattori: 1) generale mutamento della scena processuale probatoria, con una progressiva centralità della fase investigativo-preliminare; 2) esigenza di stringere, almeno dal punto di vista della prova, la forbice temporale che separa le indagini dalla celebrazione del dibattimento; 3) bisogno di solidi elementi probatori al fine di adottare provvedimenti limitativi della libertà e dei diritti della persona (es. misure cautelari; intercettazioni), oltreché per decidere – nella maniera più fondata possibile – se chiedere o meno il rinvio a giudizio dell’accusato.
Relativamente al primo fattore, interessa evidenziare come la prova scientifica goda – con un trend in positivo negli ultimi trent’anni – di una sempre maggiore importanza nel panorama delle indagini. Basti pensare alle attività che ordinariamente vengono svolte in sede di sopralluogo, da cui sovente emergono risultanze che, in quanto irripetibili, sono destinate a proiettarsi lungo l’intero procedimento e rispetto alle quali, in un’ottica di valorizzazione del confronto con la difesa, sarebbe auspicabile – laddove possibile – un ancor più generoso ricorso all’incidente probatorio[28].
Con riguardo al secondo fattore, bisogna sottolineare come l’incidente probatorio sia uno strumento fondamentale per evitare che il trascorrere del tempo diminuisca la bontà epistemologica dell’elemento probatorio da assumere/acquisire. Il sovraccarico del sistema di giustizia porta inevitabilmente a ritardi nella celebrazione delle udienze dibattimentali e, di conseguenza, a un maggior rischio di deterioramento della prova. Eppurtuttavia, per quanto – rebus sic stantibus – il ripiego sull’incidente probatorio sia necessario per rimediare alla situazione esistente, rimane pur sempre un’inversione metodologica. Difatti, quanto maggiore è l’impiego dell’art. 392 c.p.p. tanto più si snatura la fisionomia del processo accusatorio: incentrato sul contraddittorio nella formazione della prova, sulla verginità mentale del giudice del dibattimento (presidiata dal sistema del doppio fascicolo), sull’uso eccezionale di atti di indagine (es. per contestazioni) ecc.
Il terzo fattore dell’ampliato utilizzo dell’istituto risiede nelle sue finalità composite. Le risultanze dell’incidente probatorio, a ben vedere, oltre a essere direttamente valutabili dal giudice dibattimentale, possono fungere da base probatoria particolarmente affidabile per i provvedimenti che il pubblico ministero può chiedere al g.i.p. nel corso delle indagini – i. e. intercettazioni, misure cautelari e, su tutte, archiviazione o rinvio a giudizio (al g.u.p.); e lo stesso vale anche in relazione all’imputato e al suo difensore, per una più accorta decisione in merito all’opportunità di intraprendere procedimenti speciali deflativi del dibattimento e più in generale per adottare la miglior strategia procedimentale.
Con la pronuncia annotata, la Cassazione s’inserisce – almeno indirettamente – in questo indirizzo espansivo dell’art. 392 c.p.p., perché ne valorizza la portata laddove prevede che la prova ivi assunta debba essere riassunta in appello ex art. 603, co. 3-bis c.p.p., così equiparandola in toto alla prova formatasi in dibattimento e riconoscendo il crescente peso della fase istruttoria[29].
4. Una chiosa finale e un auspicio
L’affinamento della conoscenza umana (sempre più dettagliata e specifica, anche nel mondo del diritto) e l’evoluzione della tecnica (che arricchisce di anno in anno lo strumentario pratico disponibile per l’uomo, altresì per il giurista) sono due fenomeni che hanno indubbi riflessi pure sull’accertamento processuale penale. In particolare, e per quanto qui d’interesse, sulla scorta di queste due circostanze si registra un progressivo appesantimento – materiale e temporale – delle indagini preliminari.
La complessità delle attività che si svolgono in sede investigativa è oggi incomparabilmente maggiore rispetto a ieri, sia qualitativamente che quantitativamente parlando. La “fase che non conta e che non pesa”[30] è da circa trent’anni diventata una fase che conta e che pesa eccome… non di rado, che conta e che pesa addirittura di più di quella dibattimentale, almeno per certi versi: perché spesso elementi probatori decisivi per la decisione finale si cristallizzano in via definitiva durante il primo intervento sulla scena del crimine[31]. Su questi ultimi si celebrerà poi il contraddittorio in dibattimento, ma si tratta di una dialettica debole (sulla prova già formatasi) e non forte (per la/nella formazione della prova).
Posto quindi che, “su un piano sistematico, non si può non prendere atto della centralità delle indagini preliminari”[32] e che effetto diretto di ciò è la frequente costruzione della prova principale o delle prove principali davanti a un giudice diverso da quello che poi è chiamato a valutarla ai fini della colpevolezza, la Cassazione riconosce tale realtà e agisce conseguentemente. La Suprema Corte, allora, “concrea ordine e costrutto a le sustanze”[33]: facendo rientrare nella nozione di “prova dichiarativa ritenuta decisiva” quella “prova acquisita nel corso delle indagini preliminari [specif., nell’incidente probatorio] e non più ripetuta in dibattimento”.
I giudici di legittimità,
i) dopo aver fatto buon governo dei principi concernenti l’obbligo motivativo rinforzato,
ii) dopo aver ricordato l’avvenuto superamento delle Sezioni unite Patalano (incongruo a livello di gnoseologia processuale[34], ma recepito dallo stesso legislatore),
iii) dopo aver ribadito il nesso esistente tra motivazione rafforzata e rinnovazione istruttoria, in caso di prova dichiarativa decisiva – nesso, questo, legittimamente scindibile solo in caso di impossibilità di ripetizione e purché si operi una compensazione valutativo-decisoria attraverso i riscontri (v. Sezioni unite Dine); ecco, dopo tale argomentare, i giudici di legittimità
estendono analogicamente il contenuto della littera legis dell’art. 603, co. 3-bis c.p.p. sino a ricomprendervi il dato assunto ex art. 392 c.p.p.
Una simile conclusione, a parere di chi scrive, stringe lodevolmente l’occhio al valore cognitivo del processo criminale, alla presunzione di innocenza e più in generale alle garanzie conoscitivo-probatorie che devono corredare l’equo accertamento della responsabilità penale dell’accusato. L’auspicio, pertanto, è che la sentenza commentata trovi accoglimento e diffusione nella prassi delle aule di giustizia.
* Il lavoro è frutto di una riflessione congiunta dei due Autori, i quali hanno comunque redatto singolarmente i singoli paragrafi. In particolare, i paragrafi 1, 2 (sez. I e sez. II), 3 e 5 sono di Marco Cecchi mentre i paragrafi 2 (sez. III) e 4 sono di Gaia Orlandini.
[1] Le ragioni della condivisione sono spiegate infra, all’interno del paragrafo conclusivo “Una chiosa finale”.
[2] Sul “doppio grado di giurisdizione”, si veda – da ultimo, come studi monografici – V. Aiuti, Contributo allo studio dell’appello penale, Torino, 2023, 105-303 (spec., 164-223) e F. Trapella, La nuova fisionomia dell’appello penale, Bari, 2024, 1-58 e 157-171.
[3] Questa considerazione vale a fortiori dopo la c.d. riforma Cartabia, ché – sull’onda lunga della legislazione emergenziale – ha previsto come regola la cartolarità delle impugnazioni e solo se richiesta o ritenuta necessaria la celebrazione in presenza del rito.
[4] Sul punto, ex multis, cfr. L. Suraci, Il sistema delle impugnazioni penali nel processo penale. Tradizione, riforme legislative e giurisprudenza conformativa, Pisa, 2020, 203-205 (ma altresì passim.).
[5] Sulle “fondamenta probatorie della decisione di seconda istanza”, v. la monografia a tesi di S. Ciampi, Eterogenesi dell’appello penale. Da una riforma mancata a una riforma possibile, Torino, 2024, 127-189 (spec., 127-162).
[6] Il leading case è Corte EDU, 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, in Arch. pen., 2012, 349, con nota di A. Gaito, Verso una crisi evolutiva per il giudizio d’appello. L’Europa impone la riassunzione delle prove dichiarative quando il p.m. impugna l’assoluzione.
[7] F. M. Iacoviello, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Milano, 2023, 1055. Insomma, “niente è in grado di assicurare che la decisione dei giudici di appello sia migliore di quella appellata ovvero che i giudici di secondo grado siano più attrezzati di quelli che hanno pronunciato la sentenza impugnata” (G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, Torino, 2015, 79-80).
[8] Sul carattere “convenzionale” del diritto alla rinnovazione e su come la Corte EDU sia arrivata a tale punto d’arrivo, v. S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della CEDU, in Dir. pen. cont., 2014, 239 ss.
[9] Per tutte, v. Cass., Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta, con nota di V. Aiuti, Poteri d’ufficio della cassazione e diritto all’equo processo, in Cass. pen., 2016, 3214 ss. (ampiamente richiamata dalle pronunce successive in parte qua).
[10] Sul punto, sia consentito rinviare a M. Cecchi, La motivazione rafforzata del provvedimento penale. Un nuovo modello logico-argomentativo di stilus curiae, Milano, 2021, 508-548.
[11] Vengono altresì irrogate le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, oltreché le statuizioni civili a favore del ministero dell’Interno, costituitosi parte civile.
[12] La Suprema Corte ritiene “allo stato” assorbito il motivo relativo alla durata della pena accessoria e infondati i vari motivi addotti dalla difesa, tranne uno, per le seguenti ragioni: i) è corredata da “specifiche censure”, e pertanto ammissibile, l’impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso l’assoluzione di primo grado, che ha dato il la alla pronuncia di seconde cure; ii) è legittimata da “evidenti ragioni di economia processuale” la mancata disamina “nel merito dell’appello del p.m., relativamente ai reati valutati come già prescritti”; iii) è priva di fondamento – sia in rito che nella sostanza – l’istanza di assunzione probatoria, non avendo la prova richiesta né il carattere della novità istruttoria né quello della decisività; iv) è corretta, sulla scorta della giurisprudenza sul punto (v. Cass., Sez. VI, 9 marzo 2021, n. 9364), “la sentenza impugnata [che] ha fatto seguire alla condanna penale nei confronti dell’imputato le statuizioni civili, pur in assenza di impugnazione proposta dal ministero dell’Interno avverso l’assoluzione appellata dal solo pubblico ministero”.
[13] Cfr. Cass., Sez. III, 17 aprile 2023, n. 16131, B., in CED Cass. n. 284493-03.
[14] Novella legislativa “con la quale si è precisato che l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sussiste nei soli casi di ‘prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli artt. 438, co. 5 e 441, co. 5’ c.p.p.”.
[15] Cfr. Cass., Sez. III, 3 luglio 2020, n. 24597, P., in CED Cass. n. 279863-01 – fattispecie relativa alla rinnovazione in appello dell’esame della persona offesa già effettuato in sede di incidente probatorio corredato da videoriprese, ritenute irrilevanti ai fini di escludere la necessità di percezione diretta della prova da parte del giudice che ha riformato in peius la sentenza di assoluzione di primo grado.
[16] Cass., Sez. Un., 19 gennaio 2017, n. 18620, Patalano, in CED Cass. n. 269785-01.
[17] Cass., Sez. I, 20 febbraio 2019, n. 21731, Alabi Kumbayo Gratien, in CED Cass. n. 275895-01.
[18] Ex plurimis, v. Cass., Sez. VI, 11 luglio 2019, n. 51898, P., in CED Cass. n. 278056: “In tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata – richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado – consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore”.
[19] In breve, motivazione rafforzata + riscontri rafforzati – v. Cass., Sez. un., 30 settembre 2021, n. 11586, D., in Dir. pen. proc., 2022, 1529.
[20] Si vedano i paragrafi da 7.1 a 7.4 della parte motivativa “in diritto”.
[21] Per un quadro generale sull’incidente probatorio, v. L. Suraci, L’incidente probatorio. Tra tutela della prova e protezione della persona, Pisa, 2017.
[22] Impieghiamo il lessico di C. Conti, Le due “anime” del contraddittorio nel nuovo art. 111 Cost., in Dir. pen. proc., 2000, 197 ss.
[23] C’è stato chi, con sguardo prospettico, ha sostenuto una concezione c.d. “utilitaristica” dell’incidente probatorio. L’on. Carlo Casini, nella sua Relazione sul Disegno di legge in discussione alla Camera, ha ad esempio affermato la possibilità di ricorrere all’istituto in questione per assumere «atti che possono avere un significato probatorio se assunti in un determinato momento delle indagini», laddove messi in rapporto con altri elementi che stanno maturando. In tale prospettiva, pertanto, si potrebbero assumere ex art. 392 c.p.p. quegli atti che non darebbero un risultato “utile” se compiuti successivamente, ad esempio «quando la memoria del deponente si è già appannata per il passaggio del tempo» (al riguardo, cfr. Cass., Sez. II, 22 novembre 2007, n. 43331, Poltronieri, in Dir. pen. proc., 2008, 890, con nota di P. Tonini, Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio).
[24] Si veda la Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, in G.U. n. 250 del 24 ottobre 1988 – Suppl. Ord. n. 93, 98 ss.
[25] In ordine: l. 15 febbraio 1996, n. 66 (assunzione anticipata della testimonianza del minore infra-sedicenne, in procedimenti per reati di natura sessuale); l. 7 agosto 1997, n. 267 (che ha svincolato l’esame sulla responsabilità altrui dell’indagato e l’esame dei soggetti ex art. 210 c.p.p. dal requisito della indifferibilità); l. 30 giugno 2009, n. 85 (perizia coattiva); l. 18 gennaio 2018, n. 6 (testimoni di giustizia). Vi è ancora da dare atto del fatto che il comma 1-bis dell’art. 392 c.p.p. (introdotto nel 1996, dalla citata legge n. 66) è stato ulteriormente arricchito – per quanto concerne i reati di riferimento (non più solamente fatti sessuali) e pure per quanto attiene ai soggetti esaminabili (tutti i minori, non solo infra-sedicenni; persona offesa maggiorenne vulnerabile) – in forza delle seguenti leggi: l. 3 agosto 1998, n. 269; l. 11 agosto 2003, n. 228; l. 6 febbraio 2006, n. 38; d.l. 23 febbraio 2009; l. 1° ottobre 2012, n. 172; d.lgs. 15 dicembre 20215, n. 212.
[26] La Corte costituzionale, con sentenza 10 marzo 1994, n. 77, ha dichiarato parzialmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., gli artt. 392 e 393 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano l’esperibilità dell’incidente probatorio in sede di udienza preliminare.
[27] Peraltro, stando all’attuale assetto codicistico, l’abbondante contraddittorio scritto sull’esistenza dei presupposti per l’assunzione anticipata della prova (secondo il meccanismo congegnato dagli artt. 396-398 c.p.p.: che, tra richiesta, deduzioni, decisione del giudice e fissazione dell’udienza, si dispiega lungo una finestra temporale che può arrivare fino a due settimane) rappresenta un’ingente attesa, per l’assunzione di una prova essenzialmente “urgente”. La necessità del confronto scritto è destinata poi a sfumare del tutto con riferimento a quei casi di incidente probatorio “a mera richiesta di parte”, i quali, fisiologicamente, non sottostanno ad alcun presupposto.
[28] Gli approdi raggiunti nell’ultimo ventennio dalla teoria generale sulla prova ci restituiscono in effetti l’immagine di una prova scientifica che, come tutte le altre, si forma attraverso i meccanismi del contraddittorio e del processo di parti. Sul punto, v. C. Conti, La prova scientifica alle soglie dei vent’anni dalla sentenza Franzese: vette e vertigini in epoca di pandemia, in www.sistemapenale.it, 9 febbraio 2021.
[29] È interessante notare che la Suprema Corte, in pronunce riguardanti altri istituti giuridici, ha lasciato trasparire una sorta di favor per la rinnovazione della prova dichiarativa assunta prima del dibattimento, nel caso disciplinato dal comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p. Cfr. Cass., Sez. V, 17 marzo 2021, n. 20863, in CED Cass. n. 281259 (obbligo di escussione della persona offesa di cui in primo grado sia stata acquisita solo la querela nella sua parte dichiarativa); Cass., Sez. VI, 24 ottobre 2017, n. 53336, in CED Cass. n. 271716 (prova oggetto di acquisizione concordata ex art. 493, co. 3 c.p.p.); Cass., Sez. II, 26 settembre 2017, n. 55068, in CED Cass. n. 271552 (non è obbligatoria la rinnovazione quando le dichiarazioni cartolari siano state acquisite ex. art. 500, co. 4 c.p.p. se permane lo stato di subordinazione: quindi, ragionando a contrariis, in assenza di protratta subordinazione la rinnovazione è necessaria); Cass., Sez. III, 8 gennaio 2020, n.10378, in CED Cass. n. 278540 (anche per i reati di cui all’art. 190-bis c.p.p., la condizione di vulnerabilità “non può ritenersi, in ogni caso ex se, elemento ostativo alla rinnovazione dell’istruttoria”).
[30] Per tutti, sull’“arretramento del baricentro nella fase delle indagini con il recupero/utilizzazione del materiale ivi raccolto, assurto al rango di materialia iudicii” (così F. Giunchedi, Autorità e libertà. Frammenti di storia e prospettive nuove, in www.nullumcrimen.it, 8 gennaio 2025, 7), v. A. Camon, La fase che “non conta e non pesa”: indagini governate dalla legge?, in Dir. pen. proc., 2017, 425. La celebre espressione citata nel testo è di M. Nobili, Diritti per la fase che ‘‘non conta e non pesa’’, in M. Nobili, Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, 1998, 35.
[31] L’importanza assunta dall’attività investigativa è tale da meritare persino una manualistica – nazionale e internazionale – dedicata. In proposito, si rinvia al seguente Manuale: Aa.Vv., Manuale delle investigazioni sulla scena del crimine. Norme, tecniche, scienze, logica, (a cura di) D. Curtotti – L. Saravo, Torino, 2022.
[32] Così M. Cassano – C. Conti, Due opposte letture della riforma Cartabia: mero efficientismo o ritorno al sistema?, in Dir. pen. proc., 2023, 1268. Secondo le Autrici, invero, “si tratta di un percorso in fieri da almeno un trentennio. Già con riferimento al modello del rito ordinario, occorre ricordare le ampie aperture alla utilizzabilità in dibattimento di prove dichiarative e di prove reali raccolte nel corso delle indagini. A quest’ultimo proposito, è ormai chiaro che l’importanza della prova scientifica e delle acquisizioni irripetibili compiute nello stadio iniziale dell’inchiesta hanno finito per determinare uno spostamento del baricentro del processo in questa fase. Oggi, il peso degli atti di indagine risulta ulteriormente valorizzato sia nel rito ordinario, attraverso la nuova regola della ragionevole previsione di condanna – che sortisce l’indiscutibile effetto di rafforzare il filtro dell’udienza preliminare a tutela della presunzione di innocenza – sia nell’ambito dei riti deflattivi del dibattimento sui quali punta la riforma [Cartabia], potenziando la giustizia consensuale. Considerazioni siffatte – che peraltro non destrutturano i paradigmi già presenti nel sistema – non devono spingere verso una scettica conclusione anti-cognitiva. All’opposto, esse impongono il rigoroso rispetto del principio di completezza delle indagini e la valorizzazione dell’applicazione delle norme sulle prove agli atti raccolti in tale fase, naturalmente nei limiti della compatibilità e del principio di adeguatezza”. Contra, per un approccio valutativo critico-negativo sulle ricadute paradigmatiche della riforma Cartabia, si veda ad esempio O. Mazza, Il processo che verrà: dal cognitivismo garantista al decisionismo efficientista, in Arch. pen., 2022, 2, 1 ss. (secondo cui si è davanti a “una svolta autoritaria di carattere marcatamente anti-cognitivo, compiuta in nome dell’efficienza punitiva e rieducativa”).
[33] Dante A., (Divina) Commedia, Paradiso – XXIX, 31-32.
[34] Sulle ragioni per cui la rinnovazione istruttoria, da un punto di vista (gnoseo)logico, debba essere sempre disposta se si vuol ribaltare una precedente decisione assolutoria in una pronuncia di condanna (anche se emanata a seguito di giudizio abbreviato secco), sia permesso rinviare a M. Cecchi, La motivazione rafforzata del provvedimento, cit., 508/514-520/530.