L’abnormità del provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio. Dalle Sezioni unite un nuovo “colpo” al principio di immediatezza

Abstract: L’introduzione di un meccanismo di controllo della tempestività delle iscrizioni sul registro delle notizie di reato costituisce un’esigenza avvertita fin dai primi anni successivi all’entrata in vigore del nuovo codice. Dopo qualche apertura giurisprudenziale, qualche chiarimento della Corte costituzionale e numerosi disegni di legge la “Riforma Cartabia” ha modificato la disciplina codicistica introducendo un sistema di verifica alquanto complesso e per taluni aspetti farraginoso.

Abstract: The introduction of a mechanism to monitor the timeliness of registrations in the criminal news register has been a felt need since the early years following the enactment of the new code. After some judicial openings, some clarifications from the Constitutional Court, and numerous draft laws, the ‘Cartabia Reform’ has modified the legal framework by introducing a rather complex verification system that is cumbersome in some respects.

Sommario: 1. Premessa introduttiva. – 2. La decisione del giudice sulla richiesta di incidente probatorio. – 3. L’art. 392, co. 1-bis c.p.p. – 4. Gli approdi delle Sezioni unite. – 5. La Costituzione e le fonti sovranazionali: l’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata. – 6. La disposizione processuale. – 7. La parabola dell’immediatezza.

  1. Premessa introduttiva.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 12 dicembre 2024-18 marzo 2025, n. 10869, sono intervenute sul tema dell’impugnabilità del provvedimento del gip di rigetto della richiesta di incidente probatorio.

Il caso, come tutti quelli esaminati dalle sezioni semplici, era del tutto peculiare sia per quel che riguarda la tipologia della richiesta – riconducibile alle ipotesi compendiate dall’art. 392, co. 1-bis c.p.p. – sia per quel che attiene ai dati contenutistici del provvedimento adottato, ragione per cui appare difficoltoso trarre dalla vicenda conclusioni di carattere generale rispetto al tema della impugnabilità dell’ordinanza ex art. 398 c.p.p.

Ma la sentenza prospetta riflessi sistematici di sicuro rilievo nell’ambito di una situazione normativa complessa, intrisa di valori di portata prioritaria che si concentrano sulla fattispecie introduttiva di una procedura incidentale che riguarda il delicatissimo tema della formazione della prova          e incide sui <<fondamenti accusatori del processo>>[1].

Le Sezioni unite, nell’occasione, hanno ritenuto viziata di abnormità l’ordinanza con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, co. 1-bis, primo periodo c.p.p., motivata con riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova, trattandosi di presupposti la cui esistenza è presunta per legge.

  1. La decisione del giudice sulla richiesta di incidente probatorio.

Come è noto, i requisiti di tempo, di forma e di contenuto della decisione giudiziale sulla richiesta di incidente probatorio sono delineati dall’art. 398 c.p.p.

Al giudice è demandato un sindacato giurisdizionale che si svolge a livello binario[2], avendo il compito di vagliare l’ammissibilità e la fondatezza della richiesta con una pronuncia che, alla luce dell’art. 401, co. 4 c.p.p., assume carattere definitivo.

Il primo giudizio viene condotto sulla scorta delle indicazioni prospettate dall’art. 393, co. 1 e 2 c.p.p., compresi i termini imposti per la presentazione della domanda e la legittimazione del proponente[3].

Quanto alla valutazione della fondatezza, invece, il giudice deve ordinariamente accertare la sussistenza dei presupposti individuati dall’art. 392 c.p.p., effettuando un giudizio che non può prescindere, altresì, dalle disposizioni generali in tema di prova[4].

E si tratta di una valutazione che deve essere svolta in maniera quantomai rigorosa, dal momento che l’ordinanza con la quale il giudice decide sulla richiesta di incidente probatorio è ritenuta ordinariamente inoppugnabile – per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione[5] – e non è ricorribile in cassazione, in quanto considerata non abnorme[6].

L’attuale formulazione dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p. – norma introdotta dall’art. 13, l. 5 febbraio 1996, n. 66 e ritenuta dalla dottrina <<[i]l primo intervento nel segno della polifunzionalità dell’istituto>>[7] – scaturisce da una sequenza di interventi correttivi che ne hanno progressivamente ampliato l’ambito applicativo sia sul piano oggettivo che sul versante soggettivo[8].

Secondo la disposizione in discorso, nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis c.p. il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza[9] di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal co. 1.

Più tardi, seguendo un’impostazione ispirata ad una filosofia che sposta decisamente il baricentro del sistema nella direzione di un più marcato sacrificio dei principi ispiratori del processo accusatorio al fine di soddisfare esigenze di protezione dei soggetti deboli coinvolti nel processo penale, il d.lgs. 18 dicembre 2015, n. 212 ha introdotto un nuovo periodo nel testo dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p. il quale, in relazione ad una figura soggettiva dai contorni complessi la condizione qualificante della quale – la particolare vulnerabilità – viene in qualche modo delineata dall’art. 90-quater c.p.p., prevede la possibilità di ricorrere all’incidente speciale per assumere la testimonianza della persona offesa che versi in condizione di particolare vulnerabilità.

Sembra essersi, dunque, completato un percorso che, ridisegnando il quadro complessivo dei valori di protezione sottesi alla procedura incidentale e sintetizzati nella nota qualificativa dell’indifferibilità, colloca la vittima del reato al centro del micro-sistema incidentale e le esigenze di tutela di essa al vertice della gerarchia dei valori di rilevanza processuale.

L’incidente probatorio consolida il suo inserimento a pieno titolo, dunque, tra le componenti normative di quello che le Sezioni unite definiscono lo <<speciale “statuto” normativo per l’assunzione della testimonianza delle persone “vulnerabili”, alle quali – in ragione della incidenza di molteplici fattori di carattere temporale, psicologico o relazionale, cui le stesse sono sottoposte – il legislatore ha inteso riservare speciali “meccanismi processuali” di ascolto, per tutelarne la “sfera” personale e, nello stesso tempo, per garantire la genuinità e, dunque, l’affidabilità, del relativo apporto conoscitivo>>[10].  

  1. L’art. 392, co. 1-bis c.p.p.

L’inserimento dell’ipotesi specifica di incidente probatorio prevista dall’art. 392, co. 1-bis c.p.p realizza una severa inversione dello schema configurato per disegnare il rapporto tra dibattimento e indagini preliminari: <<[s]e, infatti, si esclude la necessità di dimostrare l’indifferibilità o il rischio di inquinamento della prova, l’incidente probatorio dismette la veste di istituto eccezionale per assumere i connotati di strumento ordinario per l’assunzione della testimonianza di un minore […]>>[11].

Per questa ragione la dottrina si è soffermata sulla ratio della previsione – le correzioni successive della norma, infatti, non ne hanno stravolto la funzione sebbene ne abbiano contaminato la linearità soprattutto sul terreno dell’ambito oggettivo di applicazione[12] – al fine di verificare se il momento introduttivo dell’istituto speciale sia scandito da rigidi automatismi ovvero riservi al giudice margini di valutazione significativi, ancorché rispetto a presupposti diversi da quelli previsti dall’art. 392, co. 1 c.p.p.

Orbene, se, da un lato, il nostro codice non pone alcuna preclusione in materia di testimonianza, di talché nulla impedisce che un minorenne assuma la veste di testimone, dall’altro, le vicende di abuso sessuale in danno di minori si caratterizzano per il fatto che, di regola, esse non coinvolgono persone diverse dall’agente e dalla vittima, per cui la narrazione di quest’ultima diviene elemento di prova essenziale ed imprescindibile ai fini dell’accertamento[13].

<<Non si può trascurare>> – è stato inoltre ribadito – <<che la testimonianza del minore rappresenta un evento molto più complesso e specifico che, perciò, necessita di maggiore riflessione soprattutto con riferimento agli elementi e i fattori che la influenzano. Primo fra tutti, il tempo. Questo, può condizionare i ricordi, sia perché esso incide sulla capacità di trattenere i ricordi in memoria, sia perché col tempo i ricordi possono inquinarsi, arricchendosi di eventi autobiografici che finiscono con il contaminarsi, senza trascurare, poi, che il tempo interviene sul trauma subito e aiuta a ridurne gli effetti>>[14].

L’ascolto del minore, dunque, <<dovrebbe essere quanto più possibile, vicino agli accadimenti che lo hanno coinvolto [così] soddisfacendo a pieno sia i suoi bisogni di protezione, sia l’attendibilità delle sue dichiarazioni>>[15].

È chiaro, pertanto, che il fondamento della scelta legislativa di cui si discute <<è rinvenibile nella necessità di soddisfare una serie di interessi tra loro complementari>>[16].

Sotto un primo profilo, <<rileva la necessità di assicurare la genuinità della prova, perché l’incidente probatorio consente di ridurre il tempo intercorrente tra il fatto di reato e l’acquisizione del contributo dichiarativo e, quindi, di limitare quei fenomeni di rielaborazione e di rimozione che, stando agli approdi delle ricerche condotte dagli studiosi di psicologia dell’età evolutiva, caratterizzano la capacità mnestica del minore>>[17].

Dunque, <<[p]rima si cristallizza il contributo probatorio del minore, più lo si sottrae al pericolo di dispersione e di inquinamento, ineluttabilmente legato al trascorrere del tempo>>[18].

Vengono in rilievo, inoltre, fondamentali e preponderanti interessi di rango extraprocessuale[19], essendo evidente <<la necessità di tutelare la dignità e la riservatezza del minore attraverso un meccanismo che, in quanto destinato ad operare in un contesto non pubblico, lo protegge dal trauma dello strepitus fori>>[20].

Lo scopo è, in altri termini, quello di rendere residuale la partecipazione dell’interessato alla fase dibattimentale[21], mediate un’estensione delle condizioni applicative dell’istituto incidentale correlata ad una ridefinizione dell’ambito della discovery anticipata degli atti d’indagine – che l’art. 392, co. 2-bis c.p.p., come è noto, riferisce a tutti gli atti d’indagine – e la rimodulazione in termini restrittivi dei parametri di ammissibilità della prova in dibattimento (art. 190-bis c.p.p.).

La ratio della norma è, dunque, composita ed infatti, la Corte di cassazione ha già in passato riconosciuto, pur collocando il dato su una sorta di piano di secondario rilievo, che, al di là di quanto sostenuto rispetto ai pericoli di vittimizzazione secondaria, la norma <<resta comunque ancorata anche ad esigenze investigative ed all’opportunità, in reati in cui la prova a carico è spesso principalmente fondata sulle dichiarazioni della persona offesa, di assumerne quanto prima la testimonianza nel contraddittorio delle parti, al fine di garantirne la genuinità rispetto a possibili fattori di condizionamento esterni, oltre che al semplice passare del tempo>>[22].

Se, da un lato, già il quadro degli interessi coinvolti nel contesto valutativo che apre le porte all’incidente speciale è abbastanza complesso, non può essere trascurato il fatto che anche l’insieme delle persone protette dalla disposizione permette di identificare una categoria abbastanza disomogenea, nell’ambito della quale trovano collocazione personalità che, diversificate sotto il profilo anagrafico, sul versante della maturità in concreto, in riferimento a circostanze ambientali ed in relazione al grado di coinvolgimento nel fatto di reato[23], manifestano altrettanto differenziate necessità di tutela. 

Il problema dell’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione della fattispecie speciale, è bene ricordare, era stato affrontato dalla Corte costituzionale a fronte di una sequenza di ordinanze che ponevano dubbi di costituzionalità in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.

I giudici della Consulta, nel dichiarare infondata la questione attinente alla legittimità costituzionale dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p., nella parte in cui non prevedeva che le disposizioni in essa previste si applicassero anche all’assunzione della testimonianza della persona inferma di mente, avevano affermato che la norma impugnata apparisse riconducibile ad una scelta del legislatore, rispetto alla quale <<non è possibile individuare ragioni costituzionali che ne impongano l’estensione al caso di teste infermo di mente, la cui situazione non è di per sé meccanicamente equiparabile a quella del teste minore infrasedicenne>>[24].

Rigettata, sulla base di una riflessione ulteriormente ribadita in seguito[25], la tesi di una generalizzata presunzione di ricorrenza delle esigenze di protezione che hanno indotto il legislatore ad ampliare le possibilità di ricorso all’incidente probatorio[26], la Corte aveva, inoltre, escluso la lamentata violazione dell’art. 24 Cost., posto che la regola della formazione dibattimentale della prova appare, nell’attuale sistema processuale, idonea ad assicurare in linea di principio l’effettività del diritto di difesa della persona sottoposta a procedimento penale[27].

L’analisi dei complessivi e delicatissimi profili della riforma dell’incidente probatorio lascia intravedere, dunque, margini sufficienti per giustificare la previsione di un ampio e non meramente formale controllo del giudice sulla richiesta ex art. 392, co. 1-bis c.p.p., trattandosi non soltanto – e abbastanza semplicemente – di verificare la ricorrenza in concreto degli elementi soggettivi e oggettivi della fattispecie introduttiva[28], bensì di calibrare l’ingresso alla procedura anticipata in considerazione della ricorrenza di effettive esigenze di tutela, probabilmente – ma non automaticamente – sussistenti rispetto ai minori – ed il grado di probabilità è più elevato quanto più ci si allontana dal compimento della maggiore età – e tutte da verificare rispetto alle altre categorie soggettive[29]

  1. Gli approdi delle Sezioni unite.

Come già visto, le Sezioni unite hanno ritenuto viziata di abnormità strutturale – per difetto di potere in concreto – l’ordinanza con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, co. 1-bis, primo periodo c.p.p., motivata con riferimento alla insussistenza della vulnerabilità della persona offesa o della non rinviabilità della prova, trattandosi di presupposti la cui esistenza è presunta per legge.

Carenza di potere “in concreto”, dunque, poiché l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio speciale costituisce, alla luce del sistema di presunzioni configurato dalla Corte stessa, <<manifestazione di un potere riconosciuto dall’ordinamento, ma esercitato al di fuori dei casi consentiti, in un contesto processuale del tutto diverso da quello previsto dalla legge>>, per cui diventa riconoscibile una <<radicale deviazione del provvedimento dallo scopo del suo modello legale.

Deve essere chiarito fin da subito, per evitare equivoci, che non è in discussione la necessità di assicurare un elevato livello di protezione alle vittime di reato che versino in stato di particolare vulnerabilità, così come non può trascurarsi l’esigenza di predisporre percorsi processuali idonei ad assicurare la genuinità della prova dichiarativa allorquando la fonte sia un minore d’età[30].

Si tratta di esigenze che, tuttavia, devono trovare soddisfacenti forme di bilanciamento con altri valori di rango costituzionale e, anche, con i principi informatori del modello processuale al quale il legislatore – e, per suo tramite, il titolare della sovranità – ha scelto, sulla base di valutazioni che affondano le proprie radici sulla dimensione culturale della comunità di riferimento, di affidare il percorso di accertamento di fatti penalmente rilevanti.

Il processo penale, difatti, è un frammento di quella produzione del corpo sociale che definiamo “diritto” e, come sappiamo, valori, comunità e cultura sono termini che necessariamente concorrono a comporre il relativo concetto, non potendo un sistema giuridico essere concepito come prodotto dell’esistenza e dell’esperienza umana[31] in assenza di fasi – certamente organizzate anche se, eventualmente, secondo modelli rudimentali, ma comunque insostituibili ed ineliminabili – di manifestazione e valutazione di interessi all’interno di una comunità – anche essa, eventualmente, in modo rudimentale – strutturata. 

Il diritto, dunque, costituisce un complesso di principi e di regole[32] il quale, nella sua strutturazione globale e integrata, è il prodotto (il più importante fra tutti)[33] di un modello culturale che diviene soltanto in seconda battuta politico-organizzativo e, in ultima istanza, anche normativo[34]: quel modello, cioè, che un complesso umano[35] manifesta formalmente con mezzi dati e diffonde al fine di generare innanzitutto i fondamenti del vivere comune, quei valori sommi la cui essenza dota la comunità di precisi tratti identificativi e la cui ablazione o il cui decisivo ridimensionamento rendono quella comunità – semplicemente – non più “quella”[36].  

Anche nel processo – in quello penale, innanzitutto – si proietta la dimensione culturale della società[37], la quale pensa ad esso come ad un fenomeno da dotare del primato della giuridicità[38] e, quale componente dell’ordine pubblico statuale[39], da plasmare nei meccanismi di funzionamento perché ad esso sceglie di affidarsi tutte le volte in cui la commissione di un fatto (penalmente rilevante, si dice) esige che l’autore subisca l’inflizione – anche essa somministrata secondo un modello assiologicamente orientato[40] – della sofferenza che costituisce l’essenza della pena criminale[41].   

  1. La Costituzione e le fonti sovranazionali: l’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata.

Ribadita, dunque, l’elementare necessità di “proteggere” anche i principi fondamentali del modello processuale, deve rilevarsi come le Sezioni unite abbiano fatto ripetutamente riferimento all’esigenza di fornire una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p., identificando nel canone ermeneutico uno degli assi portanti dell’intera ricostruzione normativa.

Ed allora, occorre innanzitutto verificare se l’interpretazione patrocinata dalla Corte lascia emergere l’unica norma capace di rendere il modello conforme alle fonti interne e sovranazionali di riferimento, fermo rimanendo che deve essere in seconda battuta affrontato il differente problema ermeneutico concernente la possibilità o meno di estrarre dalla disposizione e dal sistema – dunque, dalla situazione normativa – la norma predetta. 

La giurisprudenza costituzionale, ovviamente, ha da tempo posto al centro della sua attività valutativa le esigenze di protezione di determinate categorie soggettive – innanzitutto, ed in modo paradigmatico, dei minori d’età – chiamate ad offrire contributi dichiarativi nell’ambito del procedimento penale.

<<È un dato acquisito>> – si ha modo di leggere in una recente presa di posizione <<che i minori, in quanto soggetti in età evolutiva, possono subire un trauma psicologico a seguito della loro esperienza in un contesto giudiziario penale. I fattori atti a provocare una maggiore tensione emozionale sono il dover deporre in pubblica udienza nell’aula del tribunale, l’essere sottoposti all’esame e al controesame condotto dal pubblico ministero e dai difensori e il trovarsi a testimoniare di fronte all’imputato, la cui sola presenza può suggestionare e intimorire il dichiarante. Se il minore è vittima del reato, d’altra parte, il dover testimoniare contro l’imputato si presta a innescare un meccanismo di cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, per il quale egli è portato a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto. Il trauma cui il minore è esposto durante l’esame testimoniale si ripercuote, d’altronde, negativamente sulla sua capacità di comunicare e di rievocare correttamente e con precisione i fatti che lo hanno coinvolto, o ai quali ha assistito, rischiando così di compromettere la genuinità della prova. Far sì che la testimonianza del minorenne venga acquisita in condizioni tali da tutelare la serenità del teste è, dunque, necessario anche al fine di una più completa e attendibile ricostruzione dell’accaduto>>[42].

Posta sul tappeto l’esigenza di protezione, la Corte ha rilevato che <<[d]i tale esigenza il nuovo codice di procedura penale del 1988 si era fatto originariamente carico solo in ristretti limiti. In risposta ad essa, si erano previste, da un lato, la possibilità di svolgere l’esame testimoniale del minore a porte chiuse (art. 472, co. 4 c.p.p.), facoltà trasformata poi in obbligo, ove il minore sia vittima di determinati reati (art. 472, co. 3-bis c.p.p.); dall’altro, una deroga alle ordinarie forme dell’esame incrociato, con l’affidamento in via prioritaria al giudice del compito di condurre l’esame del minore “su domande e contestazioni proposte dalle parti”, avvalendosi, se del caso, dell’ausilio di un familiare del minore stesso o di un esperto in psicologia infantile: salva la possibilità di disporre, sentite le parti, che la deposizione prosegua nelle forme consuete “se ritiene che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste” (art. 498, co. 4 c.p.p.)>>[43].

La maturata consapevolezza delle esigenze di protezione di persone c.d. vulnerabili ha determinato una progressiva evoluzione della disciplina codicistica e siffatti profili evolutivi non sono passati inosservati all’interno di un percorso motivazionale costantemente ispirato ad una innovata dimensione assiologica. 

<<In prosieguo di tempo>> – ha evidenziato la Corte costituzionale – <<il ventaglio degli strumenti di salvaguardia del minore si è progressivamente e sensibilmente arricchito per effetto di una serie di interventi innovativi. Nel procedere in tale direzione, il legislatore ha tenuto conto, tra l’altro, anche della necessità di uniformare l’ordinamento interno alle previsioni di norme sovranazionali attinenti, in modo specifico, alle modalità di assunzione della testimonianza del minore vittima di reati o, amplius, alla tutela del testimone “vulnerabile”: norme molto più pertinenti alla tematica in esame rispetto ai generalissimi enunciati della Convenzione di New York […]. Previsioni di tal fatta si rinvengono, in specie, oltre che in talune raccomandazioni, nella Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, ratificata e resa esecutiva con l. 1 ottobre 2012, n. 172 (artt. 30, 31 e 35), nonché, quanto al diritto dell’Unione europea, nella decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (artt. 2, paragrafo 2; 3, paragrafo 3; 8, paragrafi 3 e 4), e indi nella direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (artt. 19, paragrafo 1; 22, paragrafo 4; 23)>>[44].

Nell’ambito del processo di implementazione dei presidi a tutela del minorenne chiamato a rendere testimonianza si colloca la sequenza di interventi legislativi che ha preso avvio dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66, la quale ha aggiunto all’art. 392 c.p.p. il co. 1-bis, finalizzato a consentire che, nei procedimenti per fatti riconducibili alle più gravi tra le nuove figure di reato introdotte dalla stessa legge, le parti potessero chiedere di procedere con le forme dell’incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche “al di fuori delle ipotesi previste dal co. 1”, ossia – riconosce la Corte costituzionale, <<a prescindere dalle condizioni di indifferibilità della prova cui è ordinariamente subordinata la possibilità di una sua assunzione anticipata rispetto alla naturale sede dibattimentale>>[45].

Secondo quanto emerge dai lavori parlamentari relativi alla l. 15 febbraio 1996, n. 66, l’introduzione della ricordata nuova ipotesi di incidente probatorio c.d. “speciale” o “atipico” – proprio perché svincolato dall’ordinario presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento – era sorretta anche e soprattutto da una finalità di tutela della personalità del minore, consentendogli di uscire al più presto dal circuito processuale per aiutarlo a liberarsi più rapidamente dalle conseguenze psicologiche dell’esperienza vissuta.

Tale ratio extraprocessuale è stata resa maggiormente evidente dalle modifiche che, nel tempo, hanno interessato gli artt. 190-bis, 398 e 498 c.p.p., nel complesso venendo a generarsi un sistema processuale che offre al giudice un ampio e duttile complesso di strumenti di salvaguardia della personalità del minore chiamato a rendere testimonianza.

Come è facile notare, la presa di posizione della Corte costituzionale, esposta nella sentenza sopra richiamata e dalla quale le Sezioni unite hanno estratto i riferimenti fondamentali dell’interpretazione conforme a Costituzione, offre il quadro complessivo di un sistema costituzionalmente (e convenzionalmente) orientato, nell’ambito del quale l’inciso “al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1” che chiude il testo dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p. assolve ad una funzione ben precisa, ossia quella di creare una fattispecie introduttiva dell’incidente probatorio nel cui ambito non ha più valore la condizione di indifferibilità della prova alla quale è ordinariamente subordinata la possibilità di una sua assunzione anticipata rispetto alla naturale sede dibattimentale[46].

Il concorso delle finalità tipiche dell’incidente speciale – ha modo di precisare più tardi la Corte costituzionale[47] – se da un lato sorregge la disposizione e il sistema normativo in cui essa si inserisce, dall’altro lato non fa tuttavia venir meno la sua natura eccezionale, poiché essa, nel momento in cui consente l’ingresso di contenuti testimoniali in una fase antecedente a quella dibattimentale, sulla base, peraltro, di una presunzione di indifferibilità e di non rinviabilità di essi in ragione della natura dei reati contestati e della condizione di vulnerabilità dei soggetti da udire, introduce una deroga al principio fondamentale di immediatezza della prova, il quale postula – salve le deroghe espressamente previste dalla legge – l’identità tra il giudice che acquisisce le prove e quello che decide e risulta anche strettamente correlato al principio di oralità[48].

La condizione di equilibrio tra i valori in tensione – quel bilanciamento tra contrapposti valori operato dalla normativa processuale vigente che la Corte non aveva ritenuto inadeguato – dunque, è determinata dalla Corte costituzionale facendo leva proprio sulla rimozione del requisito della indifferibilità della prova, resa quindi liberamente acquisibile in via anticipata in forza di una presunzione che si fonda su due requisiti concomitanti, la ricorrenza del secondo dei quali – la condizione di vulnerabilità che fonda l’esigenza di protezione – deve essere oggetto di uno specifico accertamento che, sebbene variamente modulabile sotto i profili dell’intensità e delle forme, non può comunque mancare.

E proprio la Corte lo ha lasciato intendere, in maniera nemmeno tanto velata, nella parte della motivazione in cui, in relazione alla posizione della persona offesa minore d’età, ha avuto modo di puntualizzare che la condizione di vulnerabilità è <<quasi>> in re ipsa: un “quasi”, dunque, che, riferito esclusivamente alla persona offesa, implica la necessità di un accertamento che sia parametrato sulla scorta delle condizioni che in concreto caratterizzano la vicenda  nella sua duplice dimensione soggettiva ed oggettiva.

D’altra parte, nell’esaminare il combinato disposto degli artt. 398 e 498 c.p.p. – norme strettamente correlate a quella che delinea la fattispecie introduttiva dell’incidente – la Corte ha specificato che esso attribuisce al giudice procedente <<un vasto spettro di soluzioni>>, che vanno dalla possibilità di impiegare un contraddittorio pieno, con facoltà per il pubblico ministero e per il difensore di porre domande dirette al minorenne, in particolare laddove il giudice ritenga che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, alle forme contrassegnate da un grado via via crescente di protezione per il soggetto vulnerabile.

Così, ove il giudice ritenga che <<né la condizione personale del minorenne>> mero testimone chiamato a deporre (magari perché prossimo alla maggiore età, […]), <<né la delicatezza o scabrosità del suo contributo testimoniale>> giustifichino forme di audizione protetta, tali da comprimere legittime esigenze di contraddittorio con la difesa della persona sottoposta alle indagini, egli potrà pur sempre evitare che l’escussione avvenga nelle forme protette di cui al citato art. 398, co. 5-bis c.p.p. (da disporre solo quando «le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno») o anche solo nella forma dell’esame attutito di cui all’art. 498, co. 4 c.p.p., ripristinando così il contraddittorio pieno con l’indagato[49].

Il disegno costituzionale preordinato alla protezione delle persone vulnerabili coinvolte nel procedimento penale ed alla tutela della genuinità della prova, come può vedersi, non compendia indefettibili automatismi nemmeno quando è chiamata in causa la posizione della persona offesa, ma, al contrario, si regge, tra le altre cose, sulla libertà di accesso ad uno strumento acquisitivo la cui necessarietà è rimessa alla valutazione giudiziale, così come al giudice è rimessa la gestione delle peculiari modalità di svolgimento. 

Si tratta di un disegno, come già detto, anche convenzionalmente orientato con specifico riferimento ai principi delineati dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012.

L’atto normativo di matrice europea, difatti, non soltanto rifiuta di elevare al rango di meccanismi di protezione indefettibili strumenti processuali ispirati a rigide forme di automatismo, ma, al contrario, sottolinea ripetutamente l’importanza della “valutazione individuale” come mezzo necessario di parametrazione delle misure protettive da adattare – quindi – alle esigenze della “persona” anziché alle caratteristiche ipotetiche di “categorie soggettive”.

Ed infatti, il considerando n. 55 della direttiva, dopo avere premesso che nel corso dei procedimenti penali <<alcune vittime sono particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni da parte dell’autore del reato>> e che <<tale rischio [può] derivare dalle caratteristiche personali della vittima o dal tipo, dalla natura o dalle circostanze del reato>>, specifica che  <<[s]olo una valutazione individuale, svolta al più presto, può permettere di riconoscere efficacemente tale rischio>>.

Il considerando n. 56, poi, declina i parametri sulla base dei quali procedere alle “valutazioni individuali”, chiarendo che esse <<dovrebbero tenere conto delle caratteristiche personali della vittima, quali età, genere, identità o espressione di genere, appartenenza etnica, razza, religione, orientamento sessuale, stato di salute, disabilità, status in materia di soggiorno, difficoltà di comunicazione, relazione con la persona indagata o dipendenza da essa e precedente esperienza di reati>>. Dovrebbero, altresì, tenere conto <<del tipo o della natura e delle circostanze dei reati, ad esempio se si tratti di reati basati sull’odio, generati da danni o commessi con la discriminazione quale movente, violenza sessuale, violenza in una relazione stretta, se l’autore del reato godesse di una posizione di autorità, se la residenza della vittima sia in una zona ad elevata criminalità o controllata da gruppi criminali o se il paese d’origine della vittima non sia lo Stato membro in cui è stato commesso il reato>>.

Il principio di necessaria individualizzazione delle misure protettive è, poi, ribadito nitidamente nel testo normativo, anche se emerge esplicitamente già dal titolo dell’art. 22, emblematicamente rubricato: “Valutazione individuale delle vittime per individuarne le specifiche esigenze di protezione”.

Si tratta di una funzionalizzazione espressa ed inscindibile della prima rispetto alla determinazione delle seconde che fotografa già di per sé il contenuto della disposizione, la quale statuisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le vittime siano tempestivamente oggetto di una valutazione individuale, conformemente alle procedure nazionali – ma tenendo conto, in particolare, delle caratteristiche personali della vittima, del tipo o della natura del reato e delle circostanze del reato – per individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura trarrebbero beneficio da misure speciali nel corso del procedimento penale, come previsto a norma degli articoli 23 e 24, essendo particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni.

L’art. 22, par. 4 della direttiva, sebbene presuma che i minori vittime di reato abbiano specifiche esigenze di protezione – essendo particolarmente esposti al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni – stabilisce che per determinare “se” e in quale misura debbano avvalersi delle misure speciali di cui agli articoli 23 e 24, i minori vittime di reato sono (id est: “devono essere”) oggetto di una valutazione individuale come previsto nel precedente par. 1, la portata della quale può essere adattata secondo la gravità del reato e il grado di danno apparente subito dalla vittima[50].

  1. La disposizione processuale.

Come già detto, l’art. 392, co. 1-bis c.p.p. stabilisce, innanzitutto, che nei procedimenti per i delitti ivi indicati, il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal co. 1.

In ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il pubblico ministero, anche su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della sua testimonianza.

La seconda parte della disposizione è stata introdotta dall’art. 1, d.lgs. 18 dicembre 2015, n. 212, e, come è facile in primo luogo notare, entrambe le disposizioni normative sono costruite non già rivolgendosi al giudice per le indagini preliminari al fine di imporre lui un obbligo, bensì rivolgendosi ai soggetti legittimati a formulare la richiesta d’incidente probatorio ed al fine di conferire loro una mera facoltà.

La struttura normativa è completamente diversa da quella utilizzata dal legislatore nel medesimo provvedimento normativo allorquando, per esempio, si è proposto di disciplinare peculiari profili dell’atto di assunzione di informazioni da parte del pubblico ministero o della polizia giudiziaria.

Difatti, nell’ambito degli artt. 351, co. 1-ter e 362, co. 1-bis c.p.p., l’innovazione introdotta dal d.lgs. 18 dicembre 2015, n. 212 è strutturata in maniera tale da avere quale destinatario l’autorità procedente, a carico della quale è introdotta una situazione giuridica di “dovere”.

Ed è, se si vuole approfondire ulteriormente, diametralmente opposta a quella rinvenibile, per esempio, nell’ambito dell’art. 438 c.p.p., norma la quale, in materia di giudizio abbreviato, attribuisce all’imputato una facoltà (id est: un diritto) di richiesta alla quale correla una situazione giuridica di “dovere” in capo all’autorità decidente.

Se in relazione alla prima ipotesi esemplificativa non sfugge che manca la relazione tra organi differenti che determini la necessità di conformare una specifica situazione giuridica, nel secondo caso non può non notarsi che l’obbligo del giudice si correla alla configurazione, sul versante del soggetto attivo, di un vero e proprio diritto soggettivo. 

Nel caso che ci occupa la situazione giuridica in capo all’istante è costruita intorno alla figura del potere e, d’altra parte, sebbene potesse pensarsi ad un’impostazione diversa in un contesto di riforma globale del sistema protettivo, la scelta si spiega alla luce, soprattutto, della posizione del pubblico ministero, dal momento che l’evolversi dell’attività investigativa potrebbe prospettare esigenze tali da imporre il mantenimento di uno stato di segretezza degli atti d’indagine incompatibile con l’obbligo di discovery – peraltro generale – correlata ad una richiesta ex art. 392, co. 1-bis c.p.p.

Se tutto questo è vero, però, non può sottacersi che, come è di tutta evidenza, la soluzione costituisce il prodotto di un giudizio di bilanciamento da cui, alla fine, esce ridimensionato proprio il valore al quale si vorrebbe a tutti i costi attribuire carattere preminente, le esigenze investigative rendendo cedevolissima ogni altra istanza di protezione facente capo a persone vulnerabili, ivi incluse quelle da cui potrebbe scaturire la necessità di una celerissima assunzione di informazioni (art. 362, co. 1-ter c.p.p.) e di una acquisizione non reiterata (art. 351, co. 1-ter c.p.p.).   

Il <<dato di inequivoco valore semantico>> che le Sezioni unite rinvengono nell’inciso finale dell’art. 392, co. 1-bis, prima parte c.p.p. (“anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”) è, dunque: semanticamente tutt’altro che inequivoco e produttivo di una enorme sproporzione rispetto ai prefigurati obiettivi di tutela. Anzi, realizzando l’assoluta abrogazione di qualsiasi potere giudiziale di verifica, esso appare finanche inutile ed a tratti controproducente.

Il significato di quell’inciso – comodamente estraibile dalla disposizione ed in linea con gli standards di protezione costituzionalmente e internazionalmente imposti – deve identificarsi correttamente rispetto ai soggetti di riferimento – i soggetti legittimati a proporre la richiesta – ed alla situazione giuridica di riferimento – di potere e non già di dovere – oltre che in relazione alle ipotesi richiamate in funzione escludente, che sono quelle che consentono di acquisire la testimonianza mediante incidente probatorio nei casi ordinari, ossia il fondato motivo di ritenere che la persona non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento ovvero che, in virtù della ricorrenza di elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altre forme di utilità affinché non deponga o deponga il falso.

Ed infatti, le Sezioni unite stesse si ritrovano nella situazione paradossale di dovere escogitare un meccanismo che attenui i rigori del sistema introduttivo appena ricostruito in termini di “vincolatività”, attraverso la creazione di una norma immaginaria tesa a ripristinare il potere valutativo del giudice nel caso in cui l’esame della persona in stato di vulnerabilità non sia “praticabile” per via delle particolari condizioni in cui si trova il dichiarante – non è un caso, tuttavia, che nel corpo dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p. non vi sia una clausola di salvaguardia dello stesso tipo di quella contenuta nell’ambito dell’art. 362, co. 1-ter c.p.p. in relazione ad “imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto” – bilanciato però dalla previsione di un obbligo di motivazione rafforzata dell’ordinanza di rigetto, in cui diviene doveroso esporre in maniera puntuale le specifiche ragioni della decisione <<per evitare il rischio che le […] determinazioni [del giudice] possano tradursi in una sostanziale elusione delle indicate presunzioni di legge>>.

Viene prefigurata, dunque, una situazione del tutto peculiare, in cui da un lato il giudice viene privato del potere di valutare in concreto la ricorrenza della situazione di particolare vulnerabilità, mentre dall’altro viene posto nella condizione di statuire su una sorta di particolare vulnerabilità “rafforzata”, con un provvedimento a sua volta rafforzato nel contenuto motivazionale e dotato di un effetto paralizzante.

Ma il carattere schizofrenico del meccanismo di protezione “corretto” dalla Corte emerge visualizzando il sistema anche sotto un altro profilo.

Ossia: come già detto, l’art. 398, co. 5-bis c.p.p. si inserisce a pieno titolo nel sistema di protezione delle vittime vulnerabili, al punto tale che la Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione con la quale l’imputato abbia a dedurre la violazione delle norme che prescrivono particolari cautele per l’assunzione della prova testimoniale del minore, ha precisato che esse compendiano <<modalità previste nell’esclusivo interesse del soggetto debole sottoposto all’audizione, onde salvaguardarne l’integrità fisica e psicologica, ed evitare l’insorgere di fenomeni di vittimizzazione secondaria>>[51].

La soluzione fotografa una situazione in cui, come è di tutta evidenza, il perseguimento degli obiettivi di tutela che costituiscono, poi, lo stesso sostrato assiologico del meccanismo introduttivo dell’incidente “speciale” è affidato ad una norma la quale <<lascia alla piena discrezionalità dell’organo giurisdizionale la scelta di applicare le misure di protezione, ed eventualmente a quale tipologie ricorrere, tra quelle che comportano deroghe alla disciplina ordinaria in relazione al luogo, ai tempi e alle modalità di svolgimento dell’udienza>>[52].

E dunque, non può escludersi che, con un provvedimento non censurabile, il giudice ritenga che, in concreto, non ricorrano quelle esigenze di protezione che il legislatore, paradossalmente, presume.

Ritenere, come hanno fatto le Sezioni unite, che da quell’inciso finale possa desumersi una inscindibile connessione tra due presunzioni – quella relativa allo status di “vittima vulnerabile” e quella concernente l’indifferibilità della prova – con il conseguente obbligo di disporre l’incidente probatorio nell’ambito di determinati procedimenti, costituisce una forzatura che appare abbastanza evidente, portando ad estrarre dalla disposizione un significato che non sembra potersi in alcun modo enucleare anche alla luce della equiparazione che la disposizione stessa pone tra persona offesa e testimone minorenne, equiparazione non eliminabile se non a seguito di una inammissibile destrutturazione del testo normativo.

Né ad esiti diversi consente di pervenire la relazione intercorrente tra le due parti dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p., la quale non ha altro significato che quello di “liberalizzare” l’incidente probatorio in relazione a tutte le situazioni di particolare vulnerabilità della persona offesa.

Ed infatti, la formula normativa “in ogni caso” figura nell’altra norma modificata dal d.lgs. 18 dicembre 2015, n. 212, ossia l’art. 190-bis, co. 1-bis c.p.p., con una funzione che non può che essere estensiva dell’ambito applicativo della disposizione precedente.

Tra l’altro, la chiave ermeneutica delle Sezioni unite si scontra con un elemento di insanabile contraddizione se la si colloca proprio all’interno del quadro sistematico che va a comporre insieme all’art. 190-bis, co. 1-bis c.p.p.

Difatti, combinando le due disposizioni nell’ambito di una lettura univocamente protesa al conseguimento di obiettivi protettivi di soggetti vulnerabili, il sistema disperde irrimediabilmente la propria coerenza interna laddove la presunzione di vulnerabilità della persona offesa maggiorenne finisce inspiegabilmente col deflagrare nel passaggio dalla fattispecie introduttiva dell’incidente probatorio a quella che dovrebbe costituire la barriera protettiva rispetto al pericolo di reiterazione di atti acquisitivi, così come la presunzione si dissolve nei casi di non sovrapponibilità delle ipotesi di reato prese in considerazione dalle due norme.

Per cui, in tutti questi casi, la presunzione di vulnerabilità cede il passo ad un accertamento in concreto ex art. 90-quater c.p.p. in relazione ad uno dei passaggi chiave – la previsione di limiti di ammissibilità della prova – del percorso protettivo del dichiarante, potendo il secondo smentire ancora una volta l’astratta ed aprioristica valutazione fondante la prima.

La linea interpretativa seguita dalla Corte di cassazione, oltre a non soffermarsi sulla complessità dell’intervento attuato con il d.lgs. 18 dicembre 2015, n. 212 sul codice processuale, trascura finanche di prendere in considerazione il carattere intimamente contraddittorio e metodologicamente scorretto del processo legislativo di costruzione della situazione normativa patrocinata dalla sentenza in esame, non sfuggendo a nessuno come, ragionando seguendo il percorso delle Sezioni unite, dovrebbe immaginarsi un legislatore bizzarro che dapprima avrebbe introdotto la previsione di carattere speciale che compendia la presunzione di ricorrenza di uno status di soggetto vulnerabile e, solo successivamente, quella generale riguardante i casi di vulnerabilità da accertare in concreto.

La chiave di lettura da privilegiare poiché necessaria è, dunque, diversa e, sebbene non vi sia dubbio alcuno circa il fatto che il legislatore avrebbe potuto impegnarsi di più sul piano della forma al fine di prevenire le usuali discrasie proprie dei testi normativi interessati da rimaneggiamenti e sopravvenienze[53], essa emerge chiaramente, tra l’altro, dalla lettera dell’art. 392, co. 1-bis c.p.p. e dalla sistematica delle modifiche codicistiche apportate dal d.lgs. 18 dicembre 2015, n. 212.

La riforma, cioè, ha creato uno statuto processuale della persona offesa vulnerabile del tutto peculiare al fine di realizzare obiettivi di protezione sul duplice versante della genuinità probatoria e della vittimizzazione della persona, innanzitutto delineando la nozione di persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità e configurando uno status che va sempre desunto da determinati elementi specifici alla luce anche di altri fattori (sia gli uni che gli altri tipizzati dall’art. 90-quater c.p.p.), quindi rimuovendo il limite di ammissibilità dell’incidente probatorio connesso al requisito della indifferibilità della prova (art. 392 c.p.p.) e, infine, ridisegnando in maniera stringente i criteri di ammissibilità della prova, essendo l’esame della persona offesa vulnerabile ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze (art. 190-bis c.p.p.).

Si tratta, in fin dei conti, dell’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale allorquando, nel delineare il sistema di protezione equilibrato del testimone vulnerabile, ha chiarito, con una lettura costituzionalmente e anche – visti i copiosi richiami di fonti sovranazionali – convenzionalmente orientata, che l’inciso “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1” che figura nell’art. 392, co. 1-bis c.p.p. apre le porte di accesso alla procedura incidentale anche <<a prescindere dalle condizioni di indifferibilità della prova cui è ordinariamente subordinata la possibilità di una sua assunzione anticipata rispetto alla naturale sede dibattimentale>>.

  1. La parabola dell’immediatezza.

La Corte di cassazione, è evidente, ha assunto una posizione contraddittoria rispetto ad uno dei principi fondamentali del processo accusatorio: proclamato solennemente il ruolo fondamentale del principio di immediatezza, infatti, di esso si proclama allo stesso tempo ed altrettanto solennemente il carattere eternamente soccombente.

Come è noto, tramite il principio di non dispersione probatoria la Corte costituzionale ha, nel corso degli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore del nuovo codice processuale, determinato il generale ribaltamento del modello processuale sul terreno della metodologia di formazione della prova, travolgendo in un impeto controriformista i corollari di esso.

La riforma dell’art. 111 Cost. e l’inserimento dei principi del giusto processo – tra essi, il principio del contraddittorio nella formazione della prova – hanno imposto una rinnovata visione costituzionale del processo penale e la Corte costituzionale stessa ne ha tratto – con due decisioni molto lineari e coerenti nelle argomentazioni[54] – la conclusione fondamentale costituita dal divieto di attribuire valore di prova alle dichiarazioni raccolte unilateralmente dagli organi investigativi.

La Corte ha, innanzitutto e con chiarezza, aderito all’impostazione che intravede nel primo periodo dell’art. 111, co. 4 Cost. una generale regola di esclusione, interdittiva di qualsiasi osmosi tra risultanze investigative e patrimonio probatorio[55].

I medesimi concetti sono stati ribaditi, quasi contestualmente, cogliendo l’occasione costituita dall’intervento sul tema delicatissimo delle contestazioni probatorie per rimarcare, con una motivazione <<quasi blindata>>[56], l’impermeabilità del dibattimento rispetto al materiale raccolto in assenza della dialettica tra le parti[57].

Chiuso, con la riforma costituzionale del giusto processo, il versante di scontro con la Corte costituzionale sul terreno dei rapporti tra il dibattimento e la fase investigativa, le sorti dell’immediatezza si sono misurate soprattutto sul fronte, meno blasonato – non è più in gioco, infatti, il contraddittorio – ma egualmente emblematico della disciplina dei meccanismi di rinnovazione del dibattimento in caso di mutamento della persona fisica del giudice.  

Sul punto, la premessa di fondo è costituita dal principio sancito nell’art. 525, co. 2 c.p.p., secondo cui “alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”.

Nella sua essenzialità – addirittura presidiata dalla tipologia più grave di nullità prevista dall’ordinamento processuale[58] – il principio predetto garantisce l’effettività dei principi di oralità e immediatezza[59], assicurando che <<il patrimonio di impressioni e sensazioni acquisito al momento dell’assunzione dei mezzi di prova non vada disperso>>[60].

La norma, la quale conferma la tradizionale regola della immutabilità del giudice già prevista dall’art. 472, co. 2 c.p.p. abr.[61], impone che in caso di mutamento della persona del giudice si proceda alla integrale rinnovazione del dibattimento[62], sebbene sul versante dinamico e dell’efficacia giuridica i verbali delle dichiarazioni rese nella precedente fase dibattimentale facciano già parte del contenuto del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice, dal momento che tale contenuto non è cristallizzato in quello indicato nell’art. 431 c.p.p., ma è soggetto a notevoli variazioni, sia nella fase degli atti preliminari al dibattimento sia, soprattutto, nel corso del dibattimento medesimo, e certamente si arricchisce del verbale delle prove assunte nella pregressa fase dibattimentale, la quale, pur soggetta a rinnovazione a cagione di evenienze che modificano la composizione dell’organo giudicante, conserva comunque il carattere di attività legittimamente compiuta[63].

Ed allora, poste le premesse sistematiche di ordine generale, le Sezioni unite della Corte di cassazione[64] hanno statuito, ponendo un principio che ha orientato le soluzioni in tema di rinnovazione per oltre un ventennio, che è da escludere che quando l’ammissione della prova sia nuovamente richiesta, il giudice che la ammetta ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p. abbia il potere di disporre la lettura delle dichiarazioni raccolte nel dibattimento precedente alla quale non consentano entrambe le parti, senza previo riesame del dichiarante.

Ma la giurisprudenza, quasi a voler sottolineare che la garanzia presidia la competenza funzionale dei giudici che hanno partecipato al dibattimento – e, quindi, all’istruzione dibattimentale – quali unici legittimati a deliberare la sentenza e che il vizio derivante dalla sua inosservanza risiede in un difetto di legittimazione più che in un limite intrinseco all’attività probatoria, ha messo in rilievo il carattere indefettibile del rapporto che lega rispetto alle prove formate in dibattimento il giudice che è investito della deliberazione, statuendo che l’invalidità di cui all’art. 525, co. 2 c.p.p. non è suscettibile di essere sanata facendo ricorso al c.d. criterio della resistenza, posto che il divieto di deliberare su materiale istruttorio acquisito da un collegio in diversa composizione prescinde dal contenuto e dalla portata del materiale stesso[65].

La presa di posizione poco indulgente della giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni indotto la giurisdizione di merito a chiamare in causa la Corte costituzionale, occasioni rivelatesi assai preziose per ribadire la centralità dell’immediatezza nel processo penale soprattutto rispetto alla marcata cedevolezza del principio di ragionevole durata.

Ed infatti, la Corte costituzionale ha, già a ridosso della modifica dell’art. 111 Cost., riconosciuto che l’art. 525, co. 2 c.p.p. conferma la tradizionale regola della immutabilità del giudice, attraverso la quale trova attuazione il principio di immediatezza, definito come “connaturale alla stessa essenza del processo”[66].

Poco più tardi, la stessa Corte ha avuto modo di ribadire che al principio di immediatezza – di cui la tradizionale regola dell’immutabilità del giudice rappresenta lo strumento attuativo – ispira l’impianto del codice di rito e, con un’affermazione da non sottovalutare, ha statuito che esso “garantisce” il diritto della parte che chiede la rinnovazione dell’esame del dichiarante <<all’assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere>>[67].

Come può notarsi, il salto di qualità nella sistematizzazione del principio è notevole dal momento che l’immediatezza viene concepita non più, e semplicemente, come un canone ispiratore del modello processuale, bensì come fonte di un diritto delle parti che, rispetto all’imputato, risulta finanche rafforzato dal raccordo con la garanzia prevista dall’art. 111, co. 3 Cost., nella parte in cui riconosce alla persona accusata di un reato la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico e di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa[68].

Una sistematizzazione significativa, quest’ultima, espressione di una svolta culturale epocale che, se si vuole considerare di per sé non ancora sufficiente a fare ritenere costituzionalizzato il principio di immediatezza[69] – difficile affermarlo, però, se si tiene conto del fatto chela Corte costituzionale ha anche chiarito che  il principio di ragionevole durata del processo deve essere contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali rilevanti nel processo penale, garanzie la cui attuazione positiva il legislatore <<avrebbe inteso operare […] tramite la previsione di un regime allineato al principio di immediatezza>>[70] – certamente lo dota di una forza di resistenza capace di sottrarlo a spinte centrifughe determinate da esigenze di mera speditezza processuale.

Sotto questo punto di vista, è ben vero che la Corte costituzionale ha riconosciuto che il diritto della parte alla nuova audizione non è assoluto, ma “modulabile” – entro limiti di ragionevolezza – dal legislatore in modo da predisporre <<presidi normativi volti a prevenir[ne] il possibile uso strumentale e dilatorio>>[71], ma è la stessa Corte a delineare i confini di un ipotetico intervento legislativo chiarendo che <<il riesame del dichiarante, in presenza di una richiesta di parte, continui a rappresentare la regola>>[72].

E non si tratta, si badi bene, di una regola qualsiasi, ma di una regola che per la Corte costituisce <<uno dei profili del diritto alla prova, strumento necessario del diritto di azione e di difesa, da riconoscere lungo l’arco di tutto il complesso procedimento probatorio, quale diritto alla ricerca della prova, alla sua introduzione nel processo, alla partecipazione diretta alla sua acquisizione davanti al giudice terzo e imparziale, da ultimo alla sua valutazione ai fini della decisione da parte dello stesso giudice>>[73].

Ed allora, il quadro che viene fornito dalla giurisprudenza costituzionale delinea le forme di un principio di rango “quasi” costituzionale, la cui forza attinge a piene mani ai paradigmi del giusto processo e ne rende intangibile il nucleo essenziale, ferma rimanendo la possibilità che il legislatore – e soltanto lui – possa modellarne i contorni mediante interventi finalizzati a prevenire modalità abusive di utilizzo dei diritti individuali che esso presidia.

La linea costituzionale volta ad assicurare una copertura di rango quasi massimo al principio di immediatezza ha trovato elementi di conferma proprio nelle sentenze che hanno esaminato il profilo costituito dagli ambiti operativi della fattispecie introduttiva dell’incidente probatorio, occasioni in cui la Corte, come si è già visto, non si è mai spinta fino al punto di evocare la necessità costituzionale di rigidi automatismi rispetto alle ipotesi di coinvolgimento di specifiche figure soggettive.

La visione delle Sezioni unite, invece, è diversa ed è emersa in più occasioni negli ultimi anni: come già detto, essa riconosce la valenza di principio ad un valore destinato, però, a “cedere sempre” allorché immesso all’interno di percorsi interpretativi ispirati a logiche di bilanciamento.

La questione della rinnovazione del dibattimento per effetto del mutamento della persona fisica del giudice, è stato evidenziato, <<al di là dei profili pratici e operativi, sottende significative e profonde questioni dogmatiche, con conseguenti diversificati approcci culturali e di sistema>[74] e la notissima e più recente presa di posizione della Corte di cassazione sul tema[75], tesa a valorizzare le disfunzioni del processo per privilegiare la lettura alla riassunzione, è emblematica di un mutamento di prospettiva radicale sulla questione centrale costituita non solo (e non tanto) dai meccanismi di gestione dell’evenienza costituita dal mutamento della composizione personale dell’organo giudicante, ma dal ruolo che nel sistema processuale si intende attribuire al valore dell’oralità-immediatezza.

E la Suprema Corte, come è evidente, non vi attribuisce alcun ruolo, come confermato dall’innovata strutturazione del modello introduttivo dell’incidente probatorio, il quale si pone come soluzione assolutamente sproporzionata rispetto alla finalità di tutela di persone che, in concreto, non presentano elementi di debolezza e non esprimono esigente di protezione.

Sono i tratti di una tendenza, questi, che consentono di ribadire, ancora una volta, che la primavera dell’immediatezza, tanto cara al nuovo codice e, dopo non poche traversie, in qualche modo apprezzata dalla Corte costituzionale, volge al termine.


[1] Spangher, Separazione delle carriere, solo interventi settoriali in attesa della vera riforma, in Guida al dir., 2025, 18, 12.

[2] Morselli, L’incidente probatorio, Torino, 2000, 228.         

[3] La Regina, Incidente probatorio, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, III, Indagini preliminari e udienza preliminare,Milanofiori Assago, 2009, 624.

[4] V., in questi termini e tra gli altri, La Regina, Incidente probatorio, cit., 625; Biondi, L’incidente probatorio nel processo penale, Milano, 2000, 285; Di Chiara, Incidente probatorio, in Enc. dir., Agg. VI, 559; Bargis, Incidente probatorio, in Dig. disc. pen., VI, 353; La Rocca, Incidente probatorio, in Dig. disc. pen., Agg. VI, 302.

[5] V., tra le tante, Cass. pen., Sez. VI, 27 gennaio 2005, Scipioni e altri.

[6] V., tra le più recenti e nell’ambito di un indirizzo giurisprudenziale consolidatissimo, Cass. pen., Sez. V, 17 luglio 2017, n. 49030; Cass. pen., Sez. I, 28 aprile 2014, n. 37212.

[7] La Regina, Incidente probatorio, cit., 570. Per mezzo di siffatta legge, rilevano Camaldo, Di Paolo, La Corte costituzionale nega l’estensione dell’incidente probatorio per assumere la testimonianza del minorenne al di fuori dei procedimenti per reati sessuali, in Cass. pen., 2003, 870, il legislatore <<ha tentato di dare una risposta al fenomeno degli abusi sessuali in danno dei minorenni […] anche sul versante processuale ed extraprocessuale>>.

[8] Essi possono ricondursi all’art. 13, l. 3 agosto 1998, n. 269, all’art. 15, l. 11 agosto 2003, n. 228, all’art. 14, l. 6 febbraio 2006, n. 38, all’art. 9, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in l. 23 aprile 2009, n. 38) e, poi, all’art. 5, l. 1 ottobre 2012, n. 172.

[9] In senso critico rispetto alla delimitazione dell’istituto speciale al mezzo di prova costituito dalla testimonianza v., fra gli altri, Bargis, Commento alla l. 15.2.1996 n. 66 (Norme contro la violenza sessuale). Art. 13, in Leg. pen., 1996, 498.

[10] Così, testualmente, Cass. pen., Sez. un., 18 marzo 2025, n. 10869.

[11] La Regina, Incidente probatorio, cit., 571.

[12] V., in particolare, Spangher, Commento alla l. 269/1998. Le norme di diritto processuale penale, in Dir. pen. e proc., 1998, 1233. 

[13] <<A fortiori>> – fa notare Caporale, L’audizione dei minori in incidente probatorio: una questione di equilibri, in Arch. pen., 2015, 959 – <<il minore presunta vittima di abuso sessuale è portatore di dati testimoniali necessari: è una fonte di prova, dalla quale non si può prescindere per l’accertamento della responsabilità>>.

[14] Caporale, L’audizione dei minori in incidente probatorio, cit., 960. Come rileva Giostra, La testimonianza del minore: tutela del dichiarante e tutela della verità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2005, 1023, il contributo conoscitivo del minore è <<reperibilissimo e manipolabilissimo>>.

[15] Caporale, L’audizione dei minori in incidente probatorio, cit., 960.

[16] La Regina, Incidente probatorio, cit., 572.

[17] La Regina, Incidente probatorio, cit., 572.

[18] Coppetta, Il contributo dichiarativo del minorenne nell’incidente probatorio, in Il minorenne fonte di prova nel processo penale, a cura di Cesari, Milano, 2015, 158.

[19] Di Chiara, Incidente probatorio, cit., 552

[20] La Regina, Incidente probatorio, cit., 572. V., poi, Coppetta, Il contributo dichiarativo del minorenne nell’incidente probatorio, cit., 158, V., sulle problematiche connesse agli effetti primari e secondari del reato sulle vittime e limitandosi alle voci enciclopediche, Bandini, Vittimologia, in Enc. dir., XLVI, 1008; Portigliatti Barbos, Vittimologia, in Dig. disc. pen., XV, 314.

[21] Coppetta, Il contributo dichiarativo del minorenne nell’incidente probatorio, cit., 158.

[22] Cass. pen., Sez. III, 26 luglio 2019, n. 34091.

[23] Casibba, La tutela dei testimoni vulnerabili, in Il “pacchetto sicurezza” 2009 (Commento al d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38 e alla legge 15 luglio 2009, n. 94), a cura di Mazza, Viganò, Torino, 2009, 300.

[24] C. cost., 29 dicembre 2000, n. 583.

[25] V., infatti, C. cost., 5 febbraio 2021, n. 14, in cui la scelta legislativa di equiparare alla persona offesa minorenne il testimone minorenne è <<non implausibile>>, sebbene costituzionalmente <<non imposta>>.

[26] C. cost., 29 dicembre 2000, n. 583. V., in precedenza, C. cost., 30 luglio 1997, n. 283.

[27] C. cost., 29 dicembre 2000, n. 583. V., in precedenza, C. cost., 30 luglio 1997, n. 283. Nonché, dopo qualche anno, C. cost., 18 dicembre 2002, n. 529; C. cost., 1 aprile 2003, n. 108.

[28] V., in senso critico rispetto ad un’interpretazione che, a dispetto di quanto previsto dall’art. 393 c.p.p., riduce il ruolo del giudice ad un mero adempimento notarile di presa d’atto dei contenuti di una richiesta vincolante, Morselli, L’incidente probatorio, cit., 132.

[29] Pertanto, rileva Caporale, L’audizione dei minori in incidente probatorio, cit., 955, <<quando, concretamente, non sussistono esigenze legate alla tutela dell’integrità psico-affettiva del minorenne o, ancor di più, della genuinità della prova, il rapporto tra regola ed eccezione dovrebbe tornare ad invertirsi e il dibattimento essere il contesto privilegiato per l’assunzione della testimonianza, sia pure nel rispetto di tutte le cautele per proteggere il minore>>.

[30] V., chiaramente, Giostra, La testimonianza del minore: tutela del dichiarante e tutela della verità, cit., 1019, il quale attribuisce carattere prioritario alla <<preoccupazione, quando si ha a che fare con la testimonianza del minorenne, […] di adottare ogni accorgimento che consenta di non disperdere né di adulterare il patrimonio cognitivo del soggetto, curando, subordinatamente, di recargli meno pregiudizio possibile>>.

[31] Come insegna Opocher, Esperienza giuridica, in Enc. dir., XV, 736, la funzione culturale, e quindi la più profonda giustificazione dell’espressione “esperienza giuridica”, <<è, in definitiva, quella di richiamare filosofi e giuristi ad una più immediata consapevolezza delle dimensioni “umane” e quindi del carattere essenzialmente problematico del fenomeno giuridico>>.  Ma v., altresì, Pellingra, Le nullità nel processo penale. Teoria generale, Milano, 1967, 17: <<Il fenomeno giuridico, come acutamente è stato rilevato, è un fatto storico-sociale giuridicamente qualificato: il nucleo, elemento sostanziale, sta nel fatto; l’elemento qualificativo, elemento formale, promana dalla norma>>.

[32] Come spiega benissimo Manes, Carcere e umanità delle pene, oggi un principio disabilitato, in Guida al diritto, 2024, 37, 12, è la “cultura” che cementa (anche) i “principi” e ciò e talmente vero che – fa notare – dinanzi a determinate situazioni di disabilitazione dei principi, la consapevolezza giuridica deve essere preceduta da una consapevolezza “culturale”.

[33] Falzea, Complessità giuridica, in Enc. dir., Annali, I, 205, individua nel sistema delle regole giuridiche <<un settore culturale che si differenzia da tutti gli altri per le sue prerogative, dalle quali gli deriva una posizione preminente nell’intero contesto dei sistemi culturali>>. 

[34] Per Falzea, Complessità giuridica, cit., 202, <<[n]el sistema generale, quello particolare del diritto rappresenta un sottosistema che si distingue perché […] è il più dotato di garanzie empiriche di realizzazione, sia nel settore organizzativo sia nel settore delle relazioni intersoggettive>>.

[35] Falzea, Complessità giuridica, cit., 204, definisce i complessi umani <<degli insiemi in quanto i componenti condividono gli aspetti fondamentali della realtà umana: l’esistenza materiale nella forma della coesistenza; la vita materiale nella modalità della convivenza; la coscienza istintiva nell’atteggiarsi del comune sentire; la coscienza spirituale nella forma creativa della comune cultura>>.

[36] <<Possiamo dire che il valere di un valore>> – nota Opocher, Valore (filosofia), in Enc. dir., XLVI, 123 – <<è tanto più oggettivo quanto più esprime i dati essenziali e perciò, difficilmente trasformabili nel modo di essere dell’esistenza e quanto più riesce a mantenere nello sviluppo storico la propria funzione e ad adattare il proprio “significare” allo spirito dei tempi>>. 

[37] Come mette in rilievo Spangher, Ragionamenti sul processo penale, Milano, 2018, 3, <<il processo appartiene alla storia, alla cultura, alla politica di un Paese>>. Di recente v., inoltre, Minafra, Accusato e accusatore, Milano, 2023, 395: <<I principi del processo penale riflettono fortemente quelli previsti dalla società che li disciplina>>. Ma v., con estrema chiarezza, Buzzelli, Gli sfondi normativi, in Procedura penale minorile, a cura di Bargis, Ed. V, Torino, 2024, 1, la quale inizia il proprio lavoro precisando che il processo penale è <<un fatto culturale>> e probabilmente lo è ancora di più quello che ha come protagonista un accusato minorenne.

[38] Per il tramite di scelte politiche, ovviamente, e, evidenzia Petrelli, Quella falsa percezione del carcere che blocca ogni vera progettualità, in Guida al diritto, 2024, 35, 12, <<[i] sistemi penali sono luoghi esemplari nei quali il diritto si fa inevitabilmente politica>>.

[39] Intendendosi per ordine pubblico, secondo la definizione ribadita da ultimo da Cass. civ., Sez. III (ord.), 12 aprile 2023, n. 9766, <<il complesso dei principi e dei valori che contraddistinguono l’organizzazione politica ed economica della società in un determinato momento storico>>.

[40] Sul tema della funzione della pena v., tra gli altri, Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale, Ed. VI, Torino, 2016, 11.

[41] Palazzo, Corso, cit., 15. D’altra parte, come mette in evidenza Tognazzi, Profili critici del segreto sulle intercettazioni. Tra tutela della riservatezza e cronaca giudiziaria, Padova, 2024, 5, sono i singoli, ossia la comunità statuale, ad affidare allo Stato l’esercizio della pretesa di giustizia in caso di violazione delle regole della convivenza collettiva.

[42] C. cost., 27 aprile 2018, n. 92.

[43] C. cost., 27 aprile 2018, n. 92.

[44] C. cost., 27 aprile 2018, n. 92.

[45] C. cost., 27 aprile 2018, n. 92.

[46] Deve notarsi, d’altra parte, che la Corte costituzionale avvia il proprio itinerario argomentativo evidenziando che <<il bilanciamento tra i contrapposti valori operato dalla normativa processuale vigente non può essere reputato inadeguato, sul versante della protezione del minore: e ciò particolarmente in rapporto a procedimenti per reati quale quello oggetto del giudizio a quo>>. Secondo Gabrielli, Costituzionalmente legittima la disciplina dell’ascolto protetto del minore: un approdo condivisibile, al di là di qualche ambiguità argomentativa, in Giur. cost., 2018, I, 815, la Corte, con la propria declaratoria di infondatezza, ha constatato <<che l’ordinamento assicura nel complesso al testimone minorenne una protezione non insoddisfacente>>.

[47] C. cost., 5 febbraio 2021, n. 14.

[48] C. cost., 27 aprile 2018, n. 92.

[49] C. cost., 5 febbraio 2021, n. 14. Ma già C. cost., 27 aprile 2018, n. 92, fondamentalmente, aveva chiarito che <<[l]a disposizione abilita […] il giudice a conformare discrezionalmente le modalità di escussione del minore alla luce delle concrete esigenze di tutela – apprezzabili non solo in termini di “necessità”, ma anche di semplice “opportunità” – ferma restando, s’intende, la contrapposta esigenza di rispetto del principio del contraddittorio. Tale discrezionalità investe anzitutto il “luogo” dell’assunzione della prova, potendo il giudice disporre che l’esame del minore avvenga extra moenia, cioè in luoghi alternativi e di minore impatto emotivo rispetto alle aule di tribunale, ed eventualmente – quando ciò sia richiesto dalle contingenze – anche in località diversa da quella in cui ha sede l’ufficio giudiziario. Il giudice può calibrare, altresì, discrezionalmente il “tempo” dell’esame, fissando l’udienza di là dal limite temporale di dieci giorni previsto dall’art. 398, co. 2, lett. c) c.p.p., in accordo con le specifiche esigenze di tutela del minore. Da ultimo, il giudice può stabilire “modalità particolari” di escussione, adeguate alle circostanze: formula ampia e generica, che abbraccia la generalità delle forme di acquisizione della prova>>. L’art. 498, co. 4-quater c.p.p., richiamato dall’art. 398, co. 5-quater c.p.p., stabilisce che quando occorre procedere all’esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità, il giudice, se la persona offesa o il suo difensore ne fa richiesta, dispone l’adozione di modalità protette.

[50] In linea, dunque, con quanto stabilito da Corte giustizia Unione Europea, Sez. II, 21 dicembre 2011, n. 507 in relazione alla decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, la quale in ordine alla posizione della vittima nel procedimento penale, ha avuto modo di precisare che non può essere contestato che qualora un bambino “in tenera età” (non qualsiasi minore, dunque) sostenga di essere stato vittima, ripetutamente, di atti di natura sessuale commessi dal padre, questo bambino possa, manifestamente, essere qualificato come persona vulnerabile, tenuto conto, in particolare, della sua età, nonché della natura, della gravità e delle conseguenze dei reati di cui ritiene di essere stato vittima, al fine di beneficiare della tutela specifica richiesta dalle disposizioni della decisione quadro.

[51] Cass. pen., Sez. III, 11 gennaio 2024, n. 8648.

[52] Coppetta, Il contributo dichiarativo del minorenne nell’incidente probatorio, cit., 179. V., inoltre, Famiglietti, La testimonianza del minore di sedici anni in incidente probatorio ed il raggiungimento della maggiore età, cit., 296.

[53] Lo evidenzia, opportunamente, Gabrielli, Una censura respinta piuttosto agevolmente, una disciplina che resta da rimeditare, in Giur. cost., 2021, I, 94.

[54] Spangher, I limiti al recupero del <<precedente>> investigativo al vaglio costituzionale del giusto processo, in Studium iuris, 2002, 717.

[55] C. cost., 14 febbraio 2002, n. 32.

[56] Spangher, I precedenti investigativi discordanti al primo vaglio del <<giusto processo>>, in Giur. cost., 2002, 327, il quale ricollega questa caratteristica al fine di non offrire appigli ed anticipazioni a future eccezioni.

[57] C. cost., 14 febbraio 2002, n. 36.

[58] Sulla configurazione di siffatta sanzione v., tra gli altri, Gallucci, La rinnovazione del dibattimento a seguito di rinnovazione del giudice, in Cass. pen., 2004, 1446; Martines, La rinnovazione delle prove in caso di mutamento del giudice, in Cass. pen., 2015, 2334.

[59] Rigo, La sentenza dibattimentale, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, a cura di Spangher, Marandola, Garuti, Kalb, II, Milanofiori Assago, 2015, 1434; Id., La sentenza, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, IV, Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, t. 2, Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, Torino, 2009, 515.

[60] Tamietti, Il principio dell’immutabilità del giudice nella giurisprudenza europea: divergenze e similitudini con la disciplina interna, in Cass. pen., 2006, 705.

[61] C. cost., 11 dicembre 2001, n. 399.

[62] C. cost., 24 gennaio 1994, n. 17. Nonchè, poco dopo, C. cost., 3 aprile 1996, n. 99.

[63] C. cost., 24 gennaio 1994, n. 17.

[64] Cass. pen., Sez. un., 15 gennaio 1999, Iannasso.

[65] Cass. pen., Sez. VI, 11 dicembre 2014, n. 672.

[66] C. cost., 11 dicembre 2001, n. 399.

[67] C. cost., 9 marzo 2007, n. 67. Lo stesso principio era stato enunciato da C. cost., 23 dicembre 2004, n. 418, secondo la quale <<la parte che chiede la rinnovazione della prova esercita il proprio diritto, garantito dai principî di oralità e immediatezza che connotano il codice di rito, all’assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere>>.

[68] C. cost., 10 giugno 2010, n. 205. La sentenza richiama, altresì, quanto reiteratamente affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione all’omologa previsione dell’art. 6, par. 3 lett. d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con l. 4 agosto 1955, n. 848 e, cioè, che la possibilità per l’imputato di confrontarsi con i testimoni in presenza del giudice che dovrà poi decidere sul merito delle accuse costituisce una garanzia del processo equo, in quanto permette a quest’ultimo di formarsi un’opinione circa la credibilità dei testimoni fondata su un’osservazione diretta del loro comportamento; con la conseguenza che ogni mutamento di composizione dell’organo giudicante deve comportare, di norma, una nuova audizione del testimone le cui dichiarazioni possano apparire determinanti per l’esito del processo. Vengono richiamate, a tale proposito, C. EDU, 27 settembre 2007, Reiner e altri contro Romania; C. EDU, 30 novembre 2006, Grecu contro Romania; C. EDU, 10 febbraio 2005, Graviano contro Italia; C. EDU, 4 dicembre 2003, Milan contro Italia; C. EDU, 9 luglio 2002, P. K. contro Finlandia.

[69] Di diverso avviso, invece, Daniele, Le “ragionevoli deroghe” all’oralità in caso di mutamento del collegio giudicante: l’arduo compito assegnato dalla Corte costituzionale al legislatore, in discrimen, 14 giugno 2019, 4.

[70] C. cost., 30 luglio 2008, n. 318.

[71] C. cost., 10 giugno 2010, n. 205, la quale richiama, in particolare, C. cost., 30 luglio 2008, n. 318 e C. cost., 9 marzo 2007, n. 67.

[72] C. cost., 10 giugno 2010, n. 205.

[73] C. cost., 10 giugno 2010, n. 205.

[74]Spangher, Sentenza Bajrami, il nuovo dibattimento nel solco delle divisioni, in Guida al dir., 2019, 47, 13.

[75]Il riferimento è, ovviamente, a Cass. pen., Sez. un., 10 ottobre 2019, Bajrami.

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