Cass., sez. VI, 18.6.2025 (dep. 9.7.2025) n. 25200 – Aprile, Presidente, D’Arcangelo, Relatore
Abstract: La Corte di Cassazione, preso atto che la pronuncia a Sezioni Unite 26.9.2024 n. 13783 ha stabilito che la confisca per equivalente ha natura ripristinatoria e non punitiva, ha precisato che la confisca per equivalente non può essere applicata con la declaratoria di estinzione del reato a condotte precedenti all’entrata in vigore dell’art. 578-bis c.p.p., poste in essere in epoca in cui il diritto vivente affermava la natura sanzionatoria di tale misura, perché questo si tradurrebbe nell’applicazione retroattiva di un mutamento giurisprudenziale sfavorevole in violazione del principio di prevedibilità del diritto.
Abstract: The Court of Cassation, having noted that the ruling of the United Sections on September 26, 2024, No. 13783 established that confiscation by equivalent has a restorative and not punitive nature, specified that confiscation by equivalent cannot be applied with the declaration of extinction of the crime to conduct preceding the entry into force of Article 578-bis of the Code of Criminal Procedure, carried out at a time when the prevailing law recognized the sanctioning nature of such measure, because this would result in the retroactive application of an unfavorable jurisprudential change in violation of the principle of legal foreseeability.
Sommario: 1. La vicenda giudiziaria. – 2. L’applicazione dell’art. 578-bis c.p.p. con riferimento alla confisca per sproporzione. – 3. Irretroattività dell’art. 578-bis c.p.p. con riguardo alla confisca per equivalente. – 4. Il principio convenzionale della prevedibilità. – 5. Prevedibilità del diritto e mutamento giurisprudenziale sfavorevole. -6. Brevi osservazioni conclusive
- La vicenda giudiziaria
Con sentenza del 15 luglio 2020 il Tribunale di Roma aveva emesso sentenza di condanna nei confronti di un brigadiere della Guardia di Finanza per più delitti di corruzione commessi nel corso del 2013.
Con la medesima sentenza il Tribunale aveva altresì disposto, ai sensi dell’art. 322-ter c.p. la confisca, qualificata come diretta, della somma di denaro pari a € 30.000 trovata nella cassaforte dell’imputato. Inoltre, in base all’art. 240-bis c.p., era stata disposta la confisca della somma di € 294.207, rinvenuta nella disponibilità dell’imputato in quanto ritenuta sproporzionata rispetto ai suoi redditi e di provenienza non giustificata.
Posto che nelle more del procedimento era maturata la prescrizione dei reati contestati, la Corte d’Appello di Roma aveva emesso sentenza di non doversi procedere provvedendo contestualmente a confermare entrambi i provvedimenti di confisca disposti in primo grado.
Nel proprio ricorso la difesa, sostenendo che entrambe le tipologie di confisca erano state disposte nella forma per equivalente, aveva invocato i principi espressi dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 4145/2022 Esposito, in base ai quali la confisca per equivalente, attesa la sua natura sanzionatoria, è inapplicabile retroattivamente in relazione a condotte anteriori all’entrata in vigore dell’art. 578-bis c.p.p. Di conseguenza, posto che i fatti di corruzione contestati si collocavano nel 2013, il ricorrente chiedeva l’annullamento dei capi relativi alla conferma delle confische.
Con riferimento alle doglianze relative alla confisca per sproporzione di € 294.207 la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso affermando che la Corte d’Appello non era incorsa in alcuna violazione del principio di irretroattività.
Invece, con riferimento alla somma di € 30.000 la sentenza ha annullato con rinvio il capo relativo alla misura ablativa affidando al Giudice del rinvio il compito di accertare la natura, diretta o per equivalente, della confisca del denaro.
Nel risolvere la questione di diritto sulla quale verteva il ricorso, la pronuncia in esame ha affrontato il tema relativo al potere del Giudice dell’impugnazione di mantenere il provvedimento relativo alla confisca del profitto del reato disposto nella fase processuale precedente, qualora nelle more del procedimento sia maturata la prescrizione del reato[1].
Come è noto, la disciplina relativa alla decisione sulla confisca in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, è contenuta nell’art. 578-bis c.p.p., disposizione introdotta nel codice di rito dal d.lgs. n. 21/2018 e quindi in periodo successivo alla data di consumazione dei reati contestati.
Pertanto, nel decidere il ricorso, la Corte di Cassazione ha dovuto ritornare sul controverso tema dell’applicazione dell’art. 578-bis c.p.p. a condotte antecedenti alla sua entrata in vigore.
- L’applicazione dell’art. 578-bis c.p.p. con riferimento alla confisca per sproporzione
Con riferimento alla conferma del capo relativo alla confisca per sproporzione la pronuncia ha esposto le proprie argomentazioni partendo dal presupposto, pacifico in giurisprudenza, che la confisca per sproporzione costituisca una misura di sicurezza ancorché atipica [2].
Da tale inquadramento, ne consegue che la misura in questione soggiace al principio desumibile dal combinato disposto degli artt. 200 e 236 c. p. in base al quale le misure di sicurezza patrimoniali sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione.
Ciò premesso, la Corte ha ribadito che la confisca allargata può essere applicata anche in relazione a condotte anteriori all’entrata in vigore dell’art. 578-bis c.p.p.[3]
E ciò perché, da un lato l’applicazione della misura di sicurezza è sottratta al principio di irretroattività, ed al contempo l’ art. 578-bis c.p., essendo una norma processuale, si applica secondo la regola del tempus regit actum.
Inoltre, come ricordato nella motivazione, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 578-bis c.p.p., il consolidato orientamento giurisprudenziale consentiva il mantenimento di tale tipologia di misura in caso di prescrizione del reato.
Infatti, chiarendo definitivamente la questione, la pronuncia a Sezioni Unite 26.6.2015 n. 31617, Lucci, aveva stabilito che il Giudice dell’impugnazione in caso di prescrizione del reato, poteva confermare il provvedimento di confisca disposto nelle fasi processuali precedenti purché si trattasse di una misura di sicurezza.[4]
Pertanto, qualificando la confisca allargata come misura di sicurezza, anche prima dell’introduzione dell’art. 578-bis c.p.p., l’impostazione giurisprudenziale ammetteva l’applicazione di tale misura in caso di prescrizione del reato.
In pratica, come sottolineato nella motivazione, l’art. 578-bis c.p.p. con riferimento alla confisca allargata, non ha fatto che formalizzare l’assetto normativo già fissato dall’elaborazione giurisprudenziale prima dell’entrata in vigore di detta disposizione normativa[5].
Ne consegue che l’applicazione retroattiva dell’art. 578-bis c.p.p. alla confisca per sproporzione, come precisato nella motivazione, «non comporta alcuna lesione del canone di prevedibilità».
In definitiva, con riguardo al punto relativo al mantenimento della confisca allargata, la pronuncia in esame non presenta profili di originalità essendosi limitata a ricalcare il consolidato orientamento secondo il quale l’art. 578-bis c.p.p. può essere applicato a condotte antecedenti alla sua entrata in vigore[6].
- Irretroattività dell’art. 578 –bis c.p.p. con riguardo alla confisca per equivalente
Con riferimento all’annullamento con rinvio del capo relativo alla confisca della somma di € 30.000, la Corte ha argomentato la decisione seguendo dei passaggi logici che possono riassumersi nel modo seguente.
La disposizione normativa di cui all’art. 578-bis c.p.p., risponde ad un interesse pubblico volto ad evitare che in caso di prescrizione del reato venga vanificato il provvedimento di confisca precedentemente disposto.
Come ricordato nella motivazione, prima dell’entrata in vigore di tale disposizione normativa, i presupposti per la conferma del provvedimento di confisca per equivalente contestualmente alla declaratoria di estinzione del reato erano stati definiti dall’orientamento giurisprudenziale. In tal senso, la già menzionata pronuncia a Sezioni Unite, Lucci, aveva escluso che il Giudice dell’impugnazione in caso di prescrizione del reato, potesse confermare una confisca disposta nella forma per equivalente. Il citato arresto aveva precisato che non avendo la confisca per equivalente alcun collegamento con il reato, ad essa va attribuita funzione «marcatamente sanzionatoria».[7] Pertanto, posto che tale forma di confisca esula dalla funzione di prevenzione che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza, deve escludersi che il giudice possa applicarla in caso di prescrizione del reato.
Successivamente, il d.lgs n. 21/2018 attuativo del principio della riserva di codice, ha inserito nel codice di rito l’art. 578-bis c.p.p. che nella originaria formulazione non prevedeva espressamente la possibilità di confermare la confisca per equivalente con la declaratoria di estinzione del reato. Infatti l’art. 578-bis c.p.p., nella versione iniziale stabiliva che «quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».
In seguito, come sottolineato dalla pronuncia in commento, il legislatore ha integrato l’art. 578-bis c.p.p. ponendosi in discontinuità con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite Lucci. Infatti, la l. n. 3/2019 ha integrato l’art. 578-bis c.p.p. aggiungendo “o la confisca prevista dall’articolo 322-ter del codice penale”, modifica che ha attribuito espressamente al giudice dell’impugnazione il potere di confermare, in caso di estinzione del reato, la confisca per equivalente prevista in relazione ai reati indicati dall’art. 322- ter c.p.
In ogni caso, come ricordato nella motivazione, l’orientamento della giurisprudenza facendo leva sulla locuzione “e da altre disposizioni di legge”, aveva prontamente chiarito che l’art. 578-bis c.p.p. doveva considerarsi ricognitivo di un principio generale applicabile in relazione a qualsiasi tipo di confisca.[8]
In buona sostanza, con riferimento alla confisca per equivalente, l’introduzione dell’art. 578-bis c.p.p. aveva contraddetto il principio di diritto precedentemente affermato dalle Sezioni Unite Lucci.
In tale contesto, era sorto un contrasto giurisprudenziale in relazione alla possibilità per il giudice dell’impugnazione di disporre la confisca per equivalente in caso di estinzione del reato in via retroattiva ovvero per condotte antecedenti all’entrata in vigore dell’art. 578-bis c.p.p.
Tale contrasto era stato risolto dalla pronuncia a Sezioni Unite 29.9.2022 n. 4145 Esposito.[9] Detta pronuncia, aveva ribadito il consolidato orientamento per il quale la funzione della confisca per equivalente, pur essendo anche ripristinatoria, deve comunque leggersi «in chiave marcatamente sanzionatoria», con conseguente applicazione dello statuto garantistico della pena ed in particolare del principio di irretroattività. Sulla base di tale premessa, le Sezioni Unite Esposito avevano precisato che con riferimento alla confisca per equivalente la disposizione dell’art. 578-bis c.p.p., andava qualificata come norma sostanziale e non meramente processuale ancorché inserita nel codice di rito. Ciò perché, avendo legislativamente previsto la possibilità di disporre la confisca per equivalente anche in caso di estinzione del reato, l’art. 578-bis c.p.p. aveva sostanzialmente ampliato i presupposti per l’applicazione di una pena. In conclusione, risolvendo il contrasto giurisprudenziale, la pronuncia Esposito aveva escluso che, con riferimento alla confisca per equivalente, l’art. 578-bis c.p.p. potesse essere applicato a condotte antecedenti alla sua introduzione perché ciò si sarebbe tradotto nella violazione del principio di irretroattività in tema di applicazione della pena.
Come sottolineato dalla pronuncia in commento, la premessa logica sulla quale si fondava la pronuncia a Sezioni Unite Esposito, ovvero la natura punitiva della confisca per equivalente, non appare più attuale all’esito della pronuncia a Sezioni Unite 26.9.2024 n. 13783, Massini [10].
Questa epocale pronuncia, nel risolvere l’annoso contrasto giurisprudenziale riguardante la questione dell’applicazione solidale della confisca per equivalente nell’ipotesi del concorso di persone nei reati, ha colto l’occasione per ristabilire la funzione della confisca per equivalente e i criteri di distinzione dalla confisca diretta.
Limitandoci a quanto di interesse in questa sede, le Sezioni Unite Massini hanno sottolineato che la confisca assume una finalità punitiva soltanto se non si limita a sottrarre il vantaggio patrimoniale che il soggetto ha acquisito mediante l’illecito ma determina, invece, un peggioramento della situazione patrimoniale antecedente alla condotta. Pertanto, posto che la confisca per equivalente si limita ad apprendere l’esatto tantundem rispetto al profitto o al prezzo, costituendo un “surrogato” di quella diretta, essa ha una natura afflittiva ma non strettamente punitiva.
Del resto, come ricordato nella pronuncia in esame, la funzione della confisca del profitto era già stata oggetto di riflessione da parte della Corte Costituzionale a partire dalla pronuncia n. 112/2019 [11]. In tale pronuncia, la Corte aveva già precisato che la confisca del profitto ha natura ripristinatoria mirando a riequilibrare la situazione patrimoniale riportandola allo stato precedente all’illecito. Pertanto, a prescindere dalla forma diretta o per equivalente attraverso la quale la confisca viene attuata, la misura ha carattere punitivo soltanto se, apprendendo in concreto beni di valore superiore all’arricchimento conseguito dal reo mediante l’illecito, esorbita rispetto alla funzione ripristinatoria. Sempre come precisato nella motivazione, detta impostazione è stata confermata dalla successiva pronuncia n. 7/2025.[12]
In definitiva, anche prima delle Sezioni Unite Massini la Corte Costituzionale aveva già chiarito che la confisca per equivalente, se limitata al profitto, non ha carattere punitivo.
Come puntualizzato dalla pronuncia in esame, tale nuova prospettiva non può non riflettersi sull’interpretazione dell’art. 578-bis c.p.p. Infatti, una volta stabilito che la confisca per equivalente non costituisce una pena, non vi è più ragione di escludere l’applicazione retroattiva dell’art. 578-bis c.p.p. in relazione a tale tipologia di confisca. In pratica, alla luce dei princìpi affermati dalle Sezioni Unite Massini, l’art. 578-bis c.p.p. potrebbe ormai trovare applicazione in via retroattiva a condotte antecedenti alla sua entrata in vigore anche con riferimento alla confisca per equivalente.
Tuttavia, come precisato dalla pronuncia, qualora la confisca del denaro fosse qualificabile come diretta, la conferma del provvedimento ablativo con la declaratoria di estinzione del reato apparirebbe in linea con l’assetto normativo da tempo stabilizzato.
Invece, se l’apprensione del denaro dovesse configurarsi come misura per equivalente, secondo la pronuncia il denaro andrebbe restituito al soggetto «facendo ancora applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite Esposito». E ciò perché l’applicazione in via retroattiva di una confisca per equivalente in caso di prescrizione del reato, «in radicale difformità con i principi di diritto delle Sezioni Unite Esposito», costituirebbe un overrulling sfavorevole. Infatti, è solo per il radicale cambiamento dell’orientamento giurisprudenziale dovuto alle Sezioni Unite Massini che la confisca per equivalente non si ritiene più una misura punitiva. Tuttavia, come puntualizzato dalla pronuncia, se tale ripensamento portasse all’applicazione del disposto di cui all’ art. 578-bis c.p.p. a una confisca di valore per condotte antecedenti all’entrata in vigore di tale disposizione, ciò si tradurrebbe nell’applicazione retroattiva di una tipologia di misura ablativa, ovvero la confisca per equivalente, che in base all’assetto normativo precedente alle Sezioni Unite Massini, non poteva essere disposta in via retroattiva.
Questo comporterebbe una lesione del principio di prevedibilità del diritto, fermo restando che per diritto deve intendersi non solo la norma di produzione legislativa ma anche il formante giurisprudenziale.
In tal senso, nella motivazione si è sottolineato che l’interpretazione giudiziale «non ha carattere meramente dichiarativo» ma contribuisce a svelare il significato dell’enunciato normativo creando un affidamento dei consociati sulla stabilità di un determinato orientamento. Pertanto, proprio a tutela di tale affidamento, è necessario che i giudici si conformino ad un tendenziale rispetto dei propri precedenti. Ne consegue che, fermo restando che il revirement giurisprudenziale deve ritenersi possibile per consentire l’evoluzione della giurisprudenza e il suo adattamento al mutare dei tempi, il mutamento sfavorevole deve tutelare l’affidamento del soggetto sul pregresso assetto normativo qualora egli non avrebbe potuto rappresentarsi il cambio di interpretazione.
In pratica, poiché nel caso di specie la qualificazione come diretta o per equivalente della confisca disposta dal Giudice di primo grado, ne condiziona il mantenimento in fase di impugnazione, posto che soltanto nel primo caso la misura ablativa potrebbe essere mantenuta per fatti precedenti all’entrata in vigore dell’art. 578-bis c.p.p., la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio il capo relativo alla confisca. Assegnando al Giudice del rinvio il compito di accertare se l’ablazione del denaro debba in concreto considerarsi confisca diretta oppure per equivalente.
Valutazione da svolgere sempre alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite Massini.[13] In tal senso, come sottolineato dalla predetta pronuncia, la confisca diretta del profitto presuppone sempre «la prova della derivazione dal reato della res oggetto di ablazione». E questo vale anche nel caso della confisca di denaro ancorché la fungibilità del denaro renda molto difficile provare con rigore la derivazione diretta dal reato. Sulla base di tale premessa, superando un decennale orientamento, la pronuncia Massini ha stabilito che anche con riferimento all’ablazione del denaro, il presupposto indefettibile per qualificare la confisca come diretta, è la sussistenza del nesso di derivazione causale delle somme dal reato.[14] Ne consegue che la confisca del denaro può considerarsi diretta soltanto quando risulta la prova che la somma confiscata è “proprio quella” derivata dal reato.
In conclusione, nel caso di specie, il Giudice del rinvio dovrà verificare se la somma di € 30.000 costituisca il profitto diretto dei contestati reati di corruzione.
- Il principio convenzionale della prevedibilità
In definitiva, la sentenza in esame ha affermato che la riqualificazione della confisca per equivalente come misura dal carattere ripristinatorio e non punitivo, porta a superare le ragioni che erano state tenute in considerazione dalle Sezioni Unite Esposito per sostenere l’irretroattività dell’art. 578- bis c.p.p. con riferimento a tale forma di confisca.
Infatti, riconoscere che la confisca per equivalente non ha funzione punitiva, se si limita a sottrarre l’arricchimento acquisito mediante l’illecito, potrebbe astrattamente consentire la possibilità di una applicazione retroattiva dell’art. 578-bis c.p.p.
Tuttavia, la pronuncia ha stabilito che il mutamento giurisprudenziale, a seguito del quale deve ritenersi applicabile la confisca per equivalente in caso di prescrizione anche per fatti pregressi all’introduzione dell’art. 578- bis c.p.p., non può essere applicato a condotte poste in essere prima dell’overruling poiché deve essere tutelato l’affidamento del soggetto sul preesistente assetto normativo.
L’aspetto più interessante della sentenza in esame attiene proprio alle argomentazioni esposte in ordine al principio di prevedibilità del diritto. Come è noto, questo canone di matrice convenzionale ha da tempo fatto ingresso nel nostro ordinamento a seguito della pronuncia della Corte E.D.U. nella vicenda Contrada.[15] Il ricorrente, all’esito della condanna inflittagli per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, aveva espresso le proprie doglianze in ordine al fatto che la condanna era il risultato di un’evoluzione estensiva della giurisprudenza, risultante dal combinato disposto dell’art. 110 c.p. e dell’art. 416-bis c.p., successiva all’epoca in cui si erano collocate le condotte oggetto dell’imputazione.
Accogliendo il ricorso, la Corte di Strasburgo aveva sottolineato che, nell’infliggere la condanna, la Corte di Cassazione era incorsa in violazione del principio di legalità sancito dall’art. 7 C.E.D.U., il cui corollario è la prevedibilità della legge penale in virtù della quale è necessario che l’individuo possa ragionevolmente prevedere, nel momento della commissione del fatto, gli esatti contorni della norma incriminatrice e le conseguenze sanzionatorie delle proprie azioni. Va osservato che nella ratio sostanzialistica dell’art. 7 della Convenzione, la quale si rivolge anche a Paesi della Convenzione che ammettono reati di creazione giurisprudenziale, non è rilevante il fatto che la fonte della norma incriminatrice sia una legge formale o una decisione giudiziale bensì il fatto che il soggetto possa conoscere il precetto e la pena prevista per la sua violazione.
In pratica, il principio convenzionale di prevedibilità impone che la norma, la quale è il risultato del testo legislativo e del formante giurisprudenziale, sia chiara ed accessibile al consociato[16].
Va altresì ricordato che nel periodo successivo alla sentenza Contrada, la Corte di Cassazione era stata investita da numerosi ricorsi di soggetti condannati per concorso esterno in associazione mafiosa i quali, pur lamentando di essere stati anch’essi sanzionati in base ad una giurisprudenza postuma rispetto ai fatti loro ascritti, non si erano rivolti alla Corte E.D.U.
La Corte Suprema, con la pronuncia relativa ai c.d. “fratelli minori di Contrada”, aveva respinto le istanze di revisione delle condanne definitive. A prescindere dalle argomentazioni svolte in tale pronuncia, fondamentalmente incentrate sul fatto che non si trattava di una sentenza “pilota”, ciò che in questa sede interessa sottolineare è che la Corte, esprimendosi sulla applicabilità del principio convenzionale della prevedibilità nell’ambito del nostro ordinamento, aveva precisato che tale principio non è estraneo al nostro ordinamento ma va ricondotto alla nozione di errore incolpevole già elaborata dalla Corte Costituzionale.[17]
Il riferimento è alla nota pronuncia del 24 marzo 1988 n. 364 attraverso la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. Non potendo approfondire i contenuti di tale storica sentenza, per quanto rilevante in questo contesto ci si limita a ricordare che l’articolata motivazione si era soffermata sul fatto che l’effettiva possibilità di conoscere la legge penale è un requisito minimo, che si ricava dall’intero sistema costituzionale, per postulare la rimproverabilità e quindi la colpevolezza del soggetto. Come precisato dalla Corte Costituzionale, l’inevitabilità dell’errore presuppone l’impossibilità di conoscere la legge penale, come nell’ipotesi di un testo legislativo assolutamente oscuro o di un atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari “gravemente caotico”.
Tale sentenza, ancorché acclamata come storica dalla dottrina penalistica in quanto portatrice di uno statuto costituzionale del principio di colpevolezza, è stata sostanzialmente ignorata dalla giurisprudenza. [18]
Di conseguenza, l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza dei “fratelli minori di Contrada” in base al quale la prevedibilità va declinata secondo i restrittivi parametri dell’errore incolpevole, ha di fatto determinato un’applicazione molto scarsa di tale principio convenzionale.
In tale panorama, la pronuncia in esame si distingue proprio per il fatto che rappresenta una delle poche applicazioni del canone della prevedibilità del diritto nell’ambito del nostro ordinamento.
Al riguardo la pronuncia stessa ha ammesso che «la giurisprudenza di legittimità non ha ancora raggiunto approdi consolidati sul tema del diritto fondamentale dell’imputato alla prevedibilità del diritto giurisprudenziale in ambito penale».
- Prevedibilità del diritto e mutamento giurisprudenziale sfavorevole
Nella pronuncia in esame il principio di prevedibilità è applicato in relazione allo specifico profilo del mutamento giurisprudenziale sfavorevole.
La rilevanza del mutamento giurisprudenziale ai fini dell’esclusione della colpevolezza si inserisce nella più generale tematica attinente alla scusabilità dell’errore sul precetto in presenza di un contrasto giurisprudenziale[19].
In base al canone convenzionale di prevedibilità di cui all’art. 7 C.E.D.U., il mutamento giurisprudenziale non è suscettibile di interpretazione retroattiva in malam partem qualora la nuova opzione ermeneutica non sia ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto.
Peraltro, tenuto conto che, come si è ricordato, la giurisprudenza ha sempre ricondotto la prevedibilità nei rigidi binari dell’errore incolpevole, il mutamento giurisprudenziale sfavorevole non ha mai trovato nel nostro ordinamento un concreto spazio applicativo ai fini dell’esclusione della colpevolezza.[20]
Pertanto, nel riconoscere l’imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale sfavorevole da parte del ricorrente, la sentenza in esame appare innovativa.
In questi termini si registra un solo precedente e precisamente la recente sentenza n. 28594/2024, anch’essa pronunciata dalla Sesta Sezione, la quale ha affermato che il principio di diritto stabilito da una pronuncia delle Sezioni Unite, che comporti un mutamento giurisprudenziale imprevedibile ed in malam partem, non può incidere sfavorevolmente nei confronti dell’imputato la cui condotta si sia collocata nel periodo antecedente rispetto al formarsi del nuovo orientamento[21].
Ai fini di una migliore comprensione del principio affermato dalla citata pronuncia, appare opportuno ricordare i termini essenziali della vicenda. La decisione postulava la soluzione della questione relativa alla rilevanza delle finalità dell’accesso al sistema informatico e telematico ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 615-ter c.p.[22]. Secondo l’orientamento cristallizzato dalla pronuncia a Sezioni Unite “Casani”, se il soggetto era legittimato ad entrare nel sistema e non violava le prescrizioni oggettive, dovevano ritenersi irrilevanti ai fini dell’integrazione della fattispecie gli scopi dell’accesso[23]. Successivamente a tale arresto, la Corte di Cassazione era intervenuta nuovamente a Sezioni Unite con la pronuncia “Savarese” la quale, superando il precedente arresto, aveva stabilito che costituiva reato l’ingresso nel sistema effettuato per ragioni diverse rispetto a quelle per le quali al soggetto era stata conferita la facoltà di accesso.[24] Ciò premesso, la vicenda sottesa alla pronuncia riguardava un pubblico ufficiale il quale, pur essendo autorizzato ad introdursi nella banca dati del sistema di indagini, aveva operato per finalità non d’ufficio bensì private e dunque difformi rispetto a quelle che lo legittimavano ad inserirsi nel sistema stesso. Peraltro, i fatti si erano collocati in un contesto temporale in cui, in base alla sentenza “Casani”, l’accesso avvenuto secondo modalità autorizzate, ancorché per finalità non consentite, non integrava la fattispecie criminosa di cui all’art. 615-ter c.p. Di conseguenza, la pronuncia n. 28594/2024 ha sottolineato che al momento in cui aveva commesso il fatto, il soggetto poteva fare affidamento su una regola stabilizzata dalle Sezioni Unite.
Come precisato nella motivazione, qualora attraverso una nuova pronuncia a Sezioni Unite sopravvenga un mutamento giurisprudenziale peggiorativo, è necessario tutelare l’affidamento che il consociato ha riposto nell’assetto normativo fissato dalle Sezioni Unite prima dell’overruling. In pratica, come affermato dalla pronuncia, un mutamento giurisprudenziale imprevedibile si riflette sul giudizio di rimproverabilità soggettiva secondo i parametri stabiliti dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 364/1998 in materia di ignoranza della legge penale. Quindi, in base ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 5 c.p., la mancata conoscenza della nuova interpretazione giurisprudenziale doveva ritenersi scusabile con conseguente esclusione della colpevolezza dell’imputato.
In conclusione, tenuto conto che all’epoca dei fatti l’imputato aveva agito confidando nella regola di diritto stabilizzata dalla pronuncia “Casani”, e che la condotta posta in essere dall’imputato era divenuta rilevante ex art. 615-ter c.p. soltanto in base ad un successivo ripensamento delle Sezioni Unite, la Corte suprema ha deciso che il fatto contestato non costituiva reato.
È evidente che la pronuncia in commento, nell’aver attribuito rilevanza all’imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale sfavorevole, si è collocata nel solco appena tracciato dalla pronuncia n. 28594/2024, anche se come si vedrà con una significativa differenza nel modo in cui è stato applicato il principio di prevedibilità.
- Brevi osservazioni conclusive
All’esito di questa breve disamina, la pronuncia appare rilevante in relazione ad alcuni profili di particolare interesse.
In primo luogo, come si è già sottolineato, la sentenza rappresenta uno dei pochi casi, rinvenibili nel panorama giurisprudenziale, in cui è stata riconosciuta la lesione del principio di prevedibilità del diritto a fronte di un mutamento giurisprudenziale imprevedibile.
È evidente che in un sistema in cui, come sottolineato nella motivazione, il formante giurisprudenziale influisce in modo decisivo nella definizione della norma,[25] appare fondamentale che l’evolversi della elaborazione interpretativa non leda il diritto dei consociati di conoscere, al momento della condotta, l’assetto normativo così come elaborato anche dal diritto vivente.
Al riguardo, appaiono meritevoli di nota le considerazioni svolte sulla lesione dei diritti dell’imputato che può derivare dal mutamento giurisprudenziale «in forme non meno incisive dell’intervento del legislatore che aggravi il trattamento penale retroattivamente in violazione dell’art. 25, 2 co. Cost.». E ciò perché, come sottolineato nella motivazione, il mutamento giurisprudenziale interviene retroattivamente posto che l’interpretazione giudiziale «è strutturalmente rivolta a fatti commessi nel passato».
Inoltre, con riferimento ai requisiti della accessibilità e della prevedibilità della norma, la motivazione ha ricordato che il mutamento giurisprudenziale non è percepibile nitidamente dai consociati «non conoscendo forme di pubblicazione ufficiale, quali quelle previste per la legge e per le sentenze della Corte Costituzionale».
Infine, la pronuncia ha sottolineato che «la tutela dell’imputato a fronte dell’overrulling sfavorevole non è garantita dalla disciplina della successione di leggi penali nel tempo» e quindi per garantire l’irretroattività della norma peggiorativa non può essere invocato il principio garantistico di cui all’art. 2, 4 co. c.p.
Per tali ragioni, come sottolineato nella pronuncia, occorre contemperare la necessità dell’adeguamento giurisprudenziale con il rispetto dei diritti fondamentali dell’imputato.[26]
In questa prospettiva, l’esigenza di tutelare l’affidamento riposto dai consociati sull’interpretazione consolidata, si pone soprattutto qualora una questione di diritto sia stata decisa da una pronuncia a Sezioni Unite, atteso l’effetto stabilizzante dell’assetto normativo che consegue a tale tipologia di pronunce.[27]
Il secondo aspetto relativo all’applicazione del principio di prevedibilità, che appare opportuno analizzare, è il seguente. Come già ricordato, nel sancire che il mutamento giurisprudenziale non può ledere l’affidamento sul pregresso assetto normativo, la sentenza in esame si è posta in conformità con la pronuncia n. 28594/2024. Tuttavia, pur sostenendo entrambe l’irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole, le due pronunce si discostano nella applicazione pratica del canone convenzionale. Infatti, nella sentenza n. 28594/2024 la violazione del principio di prevedibilità è stata risolta sul piano dell’elemento soggettivo, seguendo l’impostazione della già menzionata sentenza dei “fratelli minori” di Contrada. Nel caso di specie, invece, come precisato nella motivazione, l’applicazione della confisca pur postulando la commissione di un reato non richiede la verifica dell’elemento soggettivo del reato.
Di conseguenza, la pronuncia in esame non ha fatto ricorso alla scusabilità dell’errore dell’imputato ex art. 5 c.p. ma ha invece affermato che il canone convenzionale della prevedibilità attiene alla necessità che la base legale «così come definita anche dal diritto vivente» abbia le caratteristiche della chiarezza e della precisione.[28] Pertanto, la pronuncia appare interessante anche in ragione del fatto che ha considerato la prevedibilità, non un elemento da valutarsi sul piano soggettivo della colpevolezza, bensì un requisito di qualità della “base legale”.
Infine, ed è questo l’ultimo profilo da sottolineare, nella motivazione si è correttamente affermato che il principio convenzionale di prevedibilità affonda le sue radici non solo nell’art. 7 C.E.D.U. ma anche nell’art. 1 Prot. 1 C.E.D.U., il quale stabilisce che nessuno può essere privato della proprietà se non alle condizioni «previste dalla legge». In tal senso, la motivazione ha precisato che il rimedio per garantire la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie per l’imputato, a fronte del mutamento giurisprudenziale imprevedibile, è costituito «da un’interpretazione dell’art. 578-bis c.p.p. conforme all’art. 7 CEDU e all’art. 1 Prot. 1 CEDU».
A ben vedere, però, alla luce del caso concretamente deciso la sentenza ha finito per affermare che la “base legale” deve essere precisa anche in relazione a quei provvedimenti ablativi i quali, non essendo qualificabili come pene, non rientrano nell’alveo di tutela dell’art. 7 C.E.D.U., bensì in quello dell’art. 1 Prot. 1 C.E.D.U. Infatti, la Corte di Cassazione in nome del principio di prevedibilità ha escluso l’applicazione retroattiva dell’art. 578-bis c.p.p. non con riferimento ad una pena, tale non potendo più essere considerata la confisca per equivalente, bensì in relazione ad un provvedimento di natura ripristinatoria. A rigore, dunque, non era in questione il divieto di retroattività delle pene sancito dagli artt. 25, 2 co. Cost e 7 C.E.D.U. ma piuttosto la prevedibilità della base legale, alla quale fa riferimento l’art. 1 Prot. 1 C.E.D.U., dei provvedimenti che incidono sulla proprietà.[29]
Pertanto, la sentenza in commento si inserisce nel solco dell’orientamento nel quale si collocano pochi ma autorevoli precedenti, con il quale si è rimarcato che la base legale delle ipotesi di confisca deve avere i requisiti di precisione e chiarezza anche se i provvedimenti ablativi non configurano sanzioni penali.[30]
[1] La questione relativa alla confisca del profitto in caso di prescrizione del reato si inserisce nel più ampio tema relativo alla legittimità dei provvedimenti di confisca in assenza di una pronuncia di condanna definitiva. Sull’argomento, con riferimento alla confisca del profitto del reato in caso di prescrizione, si vedano F. Lumino, La confisca del prezzo e del profitto del reato nel caso di intervenuta prescrizione, in Cass. pen., 2016, 1384 ss; S. M. Melodia, Prescrizione del reato e confisca: il “nodo” dell’accertamento processuale, in Arch. nuova proc. pen., 2016, 407 ss.; T. Trinchera, Confisca del profitto in caso di prescrizione del reato: la Corte d’Assise d’appello di Milano estende il principio affermato dalle S.U. Lucci anche alla confisca del profitto ex art. 240, co. 1, c.p., in Dir. pen. cont., 25 marzo 2019. La confisca senza condanna ha sollevato critiche nella dottrina la quale ha posto in dubbio che l’accertamento di responsabilità, contenuto incidenter tantum in una sentenza di non doversi procedere per prescrizione, possa essere svolto nel rispetto del pieno contraddittorio tra le parti e delle sequenze garantistiche sottese al giusto processo. Si tratta di un profilo problematico che è stato messo a fuoco soprattutto in materia di confisca per condotte di lottizzazione abusiva di cui all’art. 44, co. 2, d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Il controverso tema della confisca urbanistica, come è noto, è stato al centro di serrati contrasti, anche sul piano della compatibilità tra la confisca senza condanna e l’art. 7 C.E.D.U. Al riguardo, ci si limita a ricordare che la Grande Camera della Corte E.D.U. con la pronuncia 28.6.2018, G.I.E.M, discostandosi dai princìpi enunciati nella precedente pronuncia della Corte E.D.U. 29.10.2013, Varvara, ha dichiarato la compatibilità della confisca urbanistica disposta a seguito di un accertamento che, pur non avendo le caratteristiche formali della condanna, ne presenti i requisiti sostanziali. Su tale profilo problematico si rinvia, fra gli altri e senza pretesa di esaustività a V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in Dir. pen. Cont., 13 aprile 2015; F. Viganò, La Consulta e la tela di Penelope. Osservazioni a primissima lettura su C. cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49, in materia di confisca di terreni abusivamente lottizzati e proscioglimento per prescrizione, in Riv. trim. dir. pen. cont. 2/2015; F. Galluzzo, Lottizzazione abusiva: la declaratoria della prescrizione preclude l’irrogazione della confisca, in Dir. pen. e proc., 2014, Speciale CEDU e ordinamento interno, 57; C. Liverani, La confisca urbanistica tra legalità penale e principio di colpevolezza ex art. 7 CEDU, in Cass. pen., 2014, 10, 3383; A. Balsamo, La Corte europea e la confisca senza condanna per la lottizzazione abusiva, in Cass. pen. 2014, 1395; L. Puccetti, Corte costituzionale e Corte EDU allo scontro sulla confisca urbanistica, in Rivista giuridica di urbanistica, 2015, 548 ss.; A. Dello Russo, Prescrizione e confisca. La Corte costituzionale stacca un nuovo biglietto per Strasburgo, in Arch. pen., 2015, 1.; A. Esposito, Il dialogo imperfetto sulla confisca urbanistica. Riflessioni a margine di sentenze europee e nazionali, in Arch. pen. 2/2019. Per un’ analisi della natura giuridica delle confische tra indici formali e criteri sostanziali, si vedano G. Gentile, Fisionomia e natura giuridica delle ipotesi speciali di confisca in Sequestro e Confisca (a cura) di M. Montagna, Torino, 2017, 387 ss; A. Massaro, Europeizzazione del diritto penale e razionalizzazione del sistema sanzionatorio. Il superamento dei doppi binari nazionali nel segno sostanzialistico-funzionale della “materia penale” in Dir. pen. cont., 15 luglio 2015 e L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018. Infine, per un approfondimento del rapporto tra ablazione urbanistica e proscioglimento per prescrizione nella cornice normativa comprensiva dell’art. 578-bis c.p.p., si rinvia a A. Pulvirenti, Il difficile connubio dell’art. 578-bis c.p.p. con la “sentenza Giem” della Corte europea tra arretramenti ermeneutici e ipotesi d’innalzamento del livello (interno) di tutela, in Arch. pen. 2/2019; R. Tecce, Confisca urbanistica e prescrizione del reato, in Proc. pen. e giustizia 472019 e A. Bassi, Confisca urbanistica e prescrizione del reato: le Sezioni unite aggiungono un nuovo tassello alla disciplina processuale della materia, in Sist. Pen., 5/ 2020, 285 ss.
[2] Come è noto, l’orientamento giurisprudenziale ha sempre attribuito alla confisca per sproporzione o allargata la qualificazione di misura di sicurezza patrimoniale “atipica” con funzione dissuasiva oltre che preventiva facendo discendere, da tale inquadramento, la retroattività della legge sopravvenuta nei limiti di cui all’art. 200, 1 comma, c.p. Cfr., Cass. Pen., Sez. Un. 17 luglio 2001, n. 29022, in Cass. pen. 2001, 3385; Cass. Pen., Sez. un., 17 dicembre 2004, n. 920, in Cass. pen., 2004, 1182; Cass. Pen. Sez. Un. 25 febbraio 2021, n. 27421, in Cass. pen. 2021, 11, 3499. Sulla natura della confisca allargata in dottrina, fra gli altri, A. Barazzetta, La confisca allargata, in T.E. Epidendio -G. Varraso (a cura di), Codice delle confische, Milano, 2018, 1001 ss; C. Cantone, La confisca per sproporzione, in Maiello (a cura di), La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Torino, 2015, 119 ss; V. Contrafatto, La confisca “estesa” ex art. 12-sexies d.l. 306/92: presupposti, effetti, profili processuali, in A. Balsamo-V. Contrafatto-G. Nicastro, Le misure patrimoniali contro la criminalità organizzata, Milano, 2010, 301; P. Corvi, La confisca nei reati di criminalità organizzata, in Sequestro e Confisca (a cura) di M. Montagna, Torino, 2017, 431 ss;D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bononia University Press, Bologna, 2007; A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001. L’afflittività della misura ha portato parte della dottrina a configurare la confisca allargata come vera e propria sanzione patrimoniale. Per questa opinione, si vedano, fra gli altri, A.M. Maugeri, op. cit., 317; G. Flora, Dalla “spazza corrotti” alla “spazza evasori”. Brevi note critiche sulle recenti innovazioni legislative in materia di reati tributari, in Rass. trib., 2020, 252 ss; A. Bargi, Processo al patrimonio e principi del giusto processo: regole probatorie e regole decisorie nella confisca penale, in Giustizia patrimoniale penale, (a cura) di Bargi-Cisterna, Torino, 2011, 21, il quale la definisce una actio in rem di natura repressiva.; F. Sgubbi, L’art. 12 quinquies della legge 356 del 1992 come ipotesi tipica di anticipazione: dalla Corte costituzionale all’art. 12 sexies, in Atti del IV congresso nazionale di diritto penale. Diritto penale, diritto di prevenzione e processo penale nella disciplina del mercato finanziario, Torino, 1996, 30, che ne ha rimarcato il carattere di sanzione del tutto svincolata da un fatto di reato. In tale prospettiva si veda anche E. Squillaci, La confisca allargata quale fronte avanzato di neutralizzazione dell’allarme criminalità, in Dir. pen. e proc.,2009, 1525 ss, per il quale questo modello di confisca corrisponde ad una sanzione espropriativa in contrasto con i princìpi costituzionali poiché apprende beni non avvinti da un nesso di pertinenzialità con il reato-spia e quindi slegati dal puntuale accertamento della responsabilità penale. Per altri Autori si tratterebbe di una poena mixta, ovvero una “sanzione penale con finalità preventive”: A. Cisterna, Strumenti e tecniche di accertamento della confisca per sproporzione e della confisca per valore equivalente, in Giur. it., 2009, 2085. Ritiene che la configurazione della confisca come misura di sicurezza susciti perplessità anche S. Finocchiaro, Confisca allargata e ragionevolezza temporale nei delitti contro la pubblica amministrazione: note a margine di una pronuncia della Cassazione, in Sist. pen., 5/2023, 184. Infine, per alcuni rilievi critici sull’espansione della confisca di sproporzione con riferimento ai reati tributari si rinvia a F. Giunchedi, La riforma dei reati tributari: profili processuali. La confisca “riformata”: massima efficienza e garanzie minime, in Proc. pen. e giust. 5/2020.
[3] Va ricordato che l’art. 578-bis c.p.p. trova il proprio diretto precedente proprio nell’ambito della disciplina della confisca allargata e precisamente nel comma 4-septies, aggiunto all’art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992 dall’art. 31 della l. n. 161/2017 n. 161. Le disposizioni normative relative alla confisca allargata sono state successivamente trasferite, con alcuni adattamenti nel codice di rito dal d.lgs n. 21/2018 attuativo del principio della riserva di codice. Tale decreto, ha inserito nel codice penale l’art. 240-bis, e contestualmente ha introdotto nel codice di rito l’art. 578-bis.
[4] Cfr. Cass. Pen. Sez. Un. 26.6.2015 n. 31617, Lucci, in Cass. pen. 2016, 4, 1362. Tale pronuncia, sulla quale si tornerà nel prosieguo, aveva stabilito che «il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare…omissis…la confisca del prezzo o del profitto del reato sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna rispetto alla quale il giudizio di merita permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato».
[5] In tal senso, Cass. Pen., Sez. III, 8.11.2018 n. 5936, con riferimento alla confisca in ipotesi di lottizzazione abusiva, ha espressamente affermato che l’introduzione dell’art. 578-bis c.p.p. ha codificato il principio di creazione giurisprudenziale secondo il quale può disporsi la confisca anche nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, a condizione che sia compiutamente accertata la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna.
[6] In tal senso, si vedano fra le altre, Cass. Pen. Sez. II, 11.7.2024 n. 1729 e Cass. Pen., Sez. II, 2.4.2021 n. 19645 in Cass. pen. 2021, 12, 3992.
[7] Sul tema relativo alla natura sanzionatoria della confisca per equivalente, si rinvia, fra gli altri A. Diddi, Il sequestro a fini di confisca, in Sequestro e Confisca (a cura) di M. Montagna, Torino, 2017, 184 ss; A. Alessandri, Confisca nel diritto penale, in Dig. Disc. Pen., vol. III, Utet, Torino, 1989, 50 e Criminalità economica e confisca del profitto, in Studi in onore di Giorgio Marinucci a cura di Dolcini-Paliero, III,Milano, 2006, 2108; D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. cit., 118; V.Mongillo, sub art. 322-ter in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Milano, 2015, 551 ss e Confisca per equivalente e risparmi di spesa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, II, 716 ss e A. Cisterna, La natura promiscua della confisca tra misura di sicurezza e sanzione punitiva in rapporto alle tecniche sanzionatorie della criminalità da profitto, in La giustizia patrimoniale penale a cura di A. Bargi- A. Cisterna, Torino, 2011, 49; O. Mazza, La confisca per equivalente fra reati tributari e responsabilità dell’ente (in margine al caso Unicredit), in www.penalecontemporaneo.it 23.1.2012; Gualtieri-Spangher, in Procedura penale, diretto da G. Spangher-A. Marandola-G. Garuti- L. Kalb, II, Le misure cautelari reali, Torino, 2015, 286; A. Bargi, La rarefazione delle garanzie costituzionali nella disciplina della confisca per equivalente, in Giur. it., 2009, 2071 e in Processo al patrimonio e principi del giusto processo: regole probatorie e regole decisorie nella confisca penale, in La giustizia patrimoniale penale (a cura di) A. Bargi-A. Cisterna, Torino, 2011, 41; F. Mazzacuva, Confisca per equivalente come sanzione penale: verso un nuovo statuto garantistico, in Cass. pen., 2009, 3423; L. Puccetti, in Trattato breve di diritto penale a cura di Cocco-Ambrosetti, Parte generale, vol. II, Punibilità e pene, Milano, 2025, 584 ss e La confisca per equivalente, in Sequestro e Confisca (a cura) di M. Montagna, Torino, 2017, 409 ss; A. Macchia, La confisca per equivalente nei confronti degli enti e dei responsabili delle persone giuridiche, in Giust. pen., 2014, 197; P. Auriemma, La confisca per equivalente, in Arch. pen. web 1, 14.
[8] In tal senso, si vedano le pronunce Cass. Pen. Sez. Un. 30.1.2020 n. 13539 con riferimento alla confisca ex art. 44 e Cass. Pen. 4.3.2021 n. 33429 con riguardo alla confisca prevista per i reati tributari. In realtà, si osserva che tale affermazione non appare aderente alla genesi e al testo letterale dell’art. 578-bis c.p.p. Come si è già ricordato in precedenza, l’art. 578-bis c.p.p. era stato introdotto nel codice di rito contestualmente all’inserimento nel codice penale dell’art. 240-bis c.p, nel quale era stata trasfusa la normativa speciale riguardante la confisca allargata ovvero il d.l. n. 306/1992. Come risultava evidente dalla formulazione iniziale e dalla rubrica stessa, denominata “decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione”, l’art. 578-bis c.p.p. si riferiva precipuamente all’ipotesi della confisca allargata prevista dall’art. 240-bis c.p. o da altre disposizioni di legge.
[9] Cfr. Cass. Pen. Sez. Un. 29.9.2022 n. 4145, Esposito, in Cass. pen. 2023, 12, 4009. Per una approfondita analisi di tale pronuncia si rinvia a I. Piccolo, La confisca tributaria di valore tra diritto intertemporale e prescrizione: una questione di principio…di legalità”, in questa Rivista, 19 febbraio 2024. In argomento, si veda altresì T. Trinchera, Rimessa alle sezioni unite una questione relativa alla definizione dell’ambito di applicazione temporale dell’art. 578-bis c.p.p. un’occasione per ripensare alla natura giuridica della confisca per equivalente’, in Sist. pen. web, 1 agosto 2022.
[10] Cass. pen. Sez. Un. 26.9.2024 n. 13783, Massini, in Guida dir. 2025, 8. Per un’analisi della pronuncia si rinvia a G. Soldini, Brevi note alle Sezioni Unite n. 13783 del 2025 in tema di confisca: sulla solidarietà passiva dei correi e sulla natura della confisca di denaro, in questa Rivista, 2 settembre 2025 e S. Finocchiaro, L’attesa sentenza delle Sezioni unite sul sequestro e la confisca nel concorso di persone nel reato: un’importante svolta in tema di natura (ripristinatoria) della confisca per equivalente e di (ri)qualificazione della confisca del denaro, in Sist. pen. web, 15 aprile 2025.
[11] Corte Cost. 10.5.2019 n. 112, in Giur. cost., 2019, 3, 1364, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’originario testo dell’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998, nella parte in cui prevedeva la confisca del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Va precisato che con tale pronuncia, la quale attiene alla confisca amministrativa prevista dal predetto art. 187-sexies, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che, per la loro onerosità, le sanzioni amministrative previste dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, hanno natura sostanzialmente penale. Ciò premesso, la Corte costituzionale aveva argomentato la declaratoria di incostituzionalità, nei termini anzidetti, osservando che la confisca assume carattere punitivo qualora infligga all’autore dell’illecito una limitazione al diritto di proprietà superiore a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell’arricchimento conseguito dall’illecito. Sulla base di tale premessa, la pronuncia ha chiarito che la confisca del profitto, sia nella forma diretta sia in quella per equivalente, ha natura ripristinatoria poiché si limita a sottrarre al destinatario l’ingiusto vantaggio economico ottenuto dall’illecito. Invece, la confisca del prodotto dell’illecito o dei beni utilizzati per commetterlo, comportando in capo al trasgressore un peggioramento dello stato patrimoniale che il trasgressore aveva prima dell’illecito, assume carattere punitivo. proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, 2021, 119 e 239 ss. Per un’analisi dei profili di interesse della pronuncia si rinvia a R. Acquaroli, La confisca e il controllo di proporzionalità: una buona notizia dalla Corte Costituzionale, in Dir. pen. proc., 2020, 2, 197 ss.; F. Di Vizio, Sequestri e confische degli illeciti di market abuse e dei delitti societari di infedeltà informativa, in disCrimen, 7 giugno 2019, 79 e F. Mazzacuva, Il principio di proporzionalità delle sanzioni nei recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale: le variazioni sul tema rispetto alla confisca, in Leg. Pen. 14 dicembre 2020.
[12] Le riflessioni svolte nella pronuncia n. 112/2019 sono state sviluppate dalla pronuncia della Corte Costituzionale 4.2.2025 n. 7 in Cass. pen. 2025, 5, 1494, anche in relazione alla confisca penale di cui all’art. 2641 c.c. Con tale pronuncia è stata infatti dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641 c.c. con riferimento al co. 1, c.c. nella parte in cui dispone la confisca «dei beni utilizzati per commettere il reato»nonché al co. 2 in ordine alla confisca «di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato». Tralasciando le complesse questioni sottese al caso de quo e limitandoci a richiamare gli aspetti della motivazione che sono di interesse in questa sede, la Corte Costituzionale ha sottolineato che il nostro ordinamento contempla una molteplice varietà di confische la cui effettiva natura deve essere desunta dalla specifica finalità perseguita dal provvedimento ablativo. È dunque dall’analisi della effettiva funzione svolta dalla misura ablativa che devono prendersi le mosse per stabilire la natura di ciascuna tipologia di confisca e conseguentemente il regime giuridico cui essa deve assoggettarsi. In base al predetto criterio funzionalistico, la Corte Costituzionale ha confermato che mentre la confisca del profitto, mirando a sottrarre al reo l’utilità economica acquisita mediante l’illecito, ha carattere ripristinatorio, la misura che comporti per l’autore dell’illecito un peggioramento della situazione patrimoniale preesistente, assume una natura punitiva. Sulla scorta di tale premessa, la pronuncia ha osservato che l’ablazione dei beni utilizzati per commettere il reato, determinando per il reo un peggioramento della situazione patrimoniale antecedente al reato, ha carattere punitivo. Per un’analisi della pronuncia si rinvia a B. Nacar, CC. N. 7 del 2025: una pronuncia prevedibile e una questione irrisolta, in questa Rivista, 28 maggio 2025. Per alcune riflessioni si vedano altresì M. Arbotti, La proporzionalità sanzionatoria al cospetto delle confische dei proventi: legalità della pena, vecchie geometrie, nuove vocazioni funzionali, in questa Rivista, 26 giugno 2024 e G. Civello, Costituzionalmente illegittima la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, dei beni strumentali nei reati societari (art. 2641 c.c.), in Arch. pen. web 2/2025.
[13]La pronuncia a Sezioni Unite Massini ha affrontato il complesso tema della confisca del denaro, misura che risente della difficoltà di declinare i princìpi elaborati in materia in ragione della fungibilità del denaro, caratteristica che rende difficoltosa la distinzione tra confisca diretta e per equivalente. È evidente infatti, che se la caratteristica precipua della confisca diretta è quella della derivazione causale del bene dal reato, nel caso del denaro risulta molto difficile provare con rigore tale derivazione diretta. La difficoltà di qualificare la confisca del denaro come diretta o per equivalente è dimostrata dai molteplici interventi attraverso i quali le Sezioni Unite hanno cercato di tracciare i princìpi per delimitare il confine tra confisca diretta e per equivalente. La motivazione in particolare, si è soffermata sull’aspetto relativo alla rilevanza, ai fini della distinzione tra confisca diretta e per equivalente, dell’identità fisica dei beni nummari oggetto di ablazione, profilo che è stato per molto tempo al centro di un disallineamento della giurisprudenza. Ponendo quindi fine ad una questione controversa, la pronuncia in esame ha stabilito che presupposto indefettibile per qualificare la confisca del denaro come diretta è la sussistenza del nesso di derivazione causale delle somme dal reato. La fungibilità del denaro rende certamente più complesso il tracciamento delle somme ma, e questo vale sia per il profitto sia per prezzo, senza la prova della derivazione causale dal reato, la confisca del denaro non può essere qualificata come diretta. Ne consegue che la confisca del denaro deve considerarsi per equivalente tutte le volte in cui si smarrisce la rintracciabilità fisica, risultando impossibile dimostrare che quelle somme provengono dal reato. All’esito di questa disamina, le Sezioni Unite hanno concluso che la confisca del denaro è diretta quando risulta la prova che la somma confiscata è proprio quella derivata dal reato o che il bene confiscato rappresenta un’utilità economica acquisita successivamente al reato mediante l’investimento dello specifico profitto o del prezzo del reato. Invece, la confisca del denaro non è configurabile come diretta quando ha ad oggetto somme sopravvenute o preesistenti al reato o comunque in tutti i casi in cui non è provato che il denaro sia riconducibile al reato stesso.
[14] Per un’analisi del principio espresso dalle Sezioni Unite Lucci e Gubert secondo cui il denaro che costituisce profitto del reato, trattandosi di bene fungibile, può sempre essere attinto dalla confisca diretta e della successiva giurisprudenza che aveva incrinato tale principio affermando che se l’interessato fornisce la prova della assenza di pertinenzialità deve escludersi che la confisca sia qualificabile come diretta, si rinvia a A. Keller, Confisca diretta del denaro e prova dell’assenza di pertinenzialità: la recente giurisprudenza di legittimità erige i primi fragili argini alle sentenze Gubert e Lucci, in Dir. pen. cont., 6/2019.
[15] Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, ric. 66655/13, in Redazione giurisprudenza penale, 2015
[16] Sull’argomento, fra gli altri, si vedano C. Iasevoli, L’imprevedibilità degli esiti interpretativi, in Arch. pen., 3/2018, 589 ss; F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Dir. pen. cont., 19 dicembre 2016; F. Consulich, Così è (se vi pare) Alla ricerca del volto dell’illecito penale, tra legge indeterminata e giurisprudenza imprevedibile; in Sist. pen., 9 aprile 2020; R. Bartoli, Nuovi scenari della legalità penale, in Sist. pen., 30 aprile 2022; F. Palazzo, Considerazioni minime sulla prevedibilità della decisione giudiziale (tra miti, illusioni, pragmatismi), in Cass. pen., 2022, 3, 941 ss.; C. Cupelli, Tentazioni e contraddizioni del sistema penale contemporaneo: creazionismo giudiziario, panpenalismo legislativo e caccia al colpevole, inquesta Rivista, 3/2023, 379 ss.; R. Rampioni, Dalla ultronea ma chiara prevedibilità eurounitaria-convenzionale alla rilevante quanto dissimulata prevedibilità “nostrana”, in Diritto di difesa, 9 marzo 2023.
[17]Cfr. Cass. Pen. Sez. Un., 24 ottobre 2019, n. 8544, in Cass. pen., 2020, 6 la quale ha precisato che «la Corte Europea ha ricondotto al principio di legalità convenzionale quella nozione di prevedibilità che la giurisprudenza costituzionale italiana aveva già riconosciuto, pur se correlata al principio di colpevolezza, in termini altrettanto funzionali per la garanzia del cittadino». Sul punto si vedaG.Amarelli, Le Sezioni Unite negano efficacia “erga alios” alla Contrada: i fratelli minori vanno a Strasburgo, in Giur. it., 2020, 898 ss.; R. Bartoli, Chiusa la saga Contrada: in caso di contrasto giurisprudenziale opera la colpevolezza, in questa Rivista, 6, 2020, 775 ss.; S. Bernardi, Le Sezioni unite chiudono la saga dei “fratelli minori” di Bruno Contrada: la sentenza Contrada c. Italia non può produrre effetti erga omnes,in Sist. pen., 11 marzo 2020.
[18] In questi termini si veda F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, cit., 8.
[19] Il contrasto giurisprudenziale “sincronico” sussiste quando nel medesimo intervallo temporale coesistano due o più interpretazioni difformi mentre il contrasto giurisprudenziale “diacronico” presuppone l’esistenza di una linea interpretativa che ad un certo punto viene smentita da un nuovo orientamento com’è appunto il caso dell’overrulling.
[20] In particolare, l’orientamento giurisprudenziale è sempre stato granitico nell’affermare che quando vi sia un contrasto giurisprudenziale poi risolto da una decisione delle Sezioni Unite, non può dirsi imprevedibile l’interpretazione che si fondi su uno degli orientamenti analizzati dalla predetta decisione. Di conseguenza, poiché la soluzione delle Sezioni Unite normalmente sceglie quale avallare fra gli orientamenti in contrasto, l’eventuale mutamento giurisprudenziale contenuto nel principio di diritto non può quasi mai considerarsi imprevedibile. In tal senso, ex multis, si vedano Cass. Pen. Sez. Un., 24 ottobre.2019, n. 8544 cit.; Cass. Pen. Sez. V, 17 maggio 2018 n. 41846 in Cass pen. 2019, 10, 3683; Cass. pen., Sez. V, 24 aprile 2018 n. 37857. Con riguardo alla retroattività del mutamento giurisprudenziale in materia processuale si veda Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2020 n. 1731, in Sist. Pen., 17 marzo 2021, con nota di B. Fragasso, in Sist. Pen., 17 marzo 2021, Sulla retroattività dell’overruling in materia processuale, tra soggezione del giudice alla legge e giusto processo. Tale pronuncia ha precisato che l’overruling imprevedibile è ravvisabile «nei soli casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile nelle precedenti decisioni».
[21] Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 16.7.2024, n. 28594 in Cass. pen. 2025, 1, 64. Per un’analisi degli aspetti innovativi di tale pronuncia in ordine al riconoscimento della imprevedibilità del mutamento giurisprudenziale, si rinvia a F. Palazzo-R. Bartoli, Mutamenti giurisprudenziali sfavorevoli ed irretroattività, in Sist. pen. web, 17 settembre 2024. e J. Della Valentina, Quando il custode custodisce se stesso: note a margine della censura di un mutamento giurisprudenziale sfavorevole, in Dir. pen. proc., 11, 2024, 1482.
[22] L’ampiezza della fattispecie era stata a lungo controversa sotto un duplice profilo. In primo luogo, sul piano della condotta materiale, si era dibattuto se il delitto dovesse ritenersi integrato soltanto nell’ipotesi in cui il soggetto si fosse inserito nel sistema informatico o telematico senza essere munito delle apposite credenziali o anche quando l’accesso, pur autorizzato, sia stato effettuato in violazione delle prescrizioni impartire dal titolare del sistema. Inoltre, si era posto il dubbio se, in assenza di violazioni relative alle condizioni che regolano l’accesso, potesse avere rilevanza il fatto che il soggetto si fosse introdotto nel sistema per finalità estranee a quelle per le quali è prevista la facoltà di accedere.
[23] Cass. Pen. Sez. Un. 27.10.2011 n. 4694, Casani, in Riv. pen. 2012, 4, 381.
[24] Cass. Pen. Sez. Un., 18.5.2017, n. 41210, Savarese, in Riv. it. dir. proc. pen. 2018, 4, 2256.
[25] Nel punto 3.10 la motivazione ha affermato che «la giurisprudenza non si limita a disvelare il significato, univoco e immutabile, impresso dal legislatore all’enunciato normativo, ma ne ricostruisce, nel limite della compatibilità con la sua formulazione letterale, una pluralità di significati, non di rado storicamente mutevoli; una pluralità di norme, a fronte della medesima disposizione, secondo il lessico della Corte Costituzionale.».
Correttamente la pronuncia ha sottolineato che la soluzione interpretativa deve essere compatibile con il testo della disposizione normativa. Su tale aspetto, da tempo la dottrina ha espresso preoccupazione per il sempre maggiore “protagonismo” della dimensione giudiziale del diritto”. L’espressione è di V. Manes, Dalla fattispecie al precedente: appunti di deontologia ermeneutica, in Dir. Pen. cont., 17 gennaio 2018 e Sui vincoli costituzionali dell’interpretazione in materia penale (a margine della recente giurisprudenza della Consulta), in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, 1233. Sull’argomento si veda A. Cadoppi, Il valore del precedente nel diritto penale. Uno studio sulla dimensione in action della legalità, Torino, 2014, fra i primi a mettere in luce la marcata creatività giurisprudenziale nel nostro sistema, evidenziando tratti di sostanziale analogia con esperienze tratte dal mondo di common law. Fra le voci che esprimono preoccupazione si vedano, fra gli altri, G. Insolera, Dall’imprevedibilità del diritto all’imprevedibilità del giudizio, in Riv. it. dir. pen. proc., 2016, 2001 ss; A. Lanzi, La tutela dei diritti del cittadino fra giustizialismo e garantismo; legalità e giustizia, in Ind. pen., 2017, 988 ss; D. Negri, splendori e miserie della legalità processuale. Genealogie culturali, éthos delle fonti, dialettica tra le Corti, in Arch. pen., 2017, 421 ss; G. Amarelli, Dalla legolatria alla post-legalità: eclissi o rinnovamento di un principio?, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 1406 ss; G. Civello, La legalità come inconveniente: la “dimenticanza della legge” e le sue conseguenze nella teoria del reato, in Arch. pen., 2, 2017, 407 ss; F. Caprioli, Il giudice e la legge processuale: il paradigma rovesciato, in Ind. pen., 2017, 967 ss., N. Mazzacuva: Tra analogia e interpretazione estensiva. A proposito di alcuni casi problematici tratti dalla recente giurisprudenza, in Criminalia, 2010, 367 ss.
[26] Va ricordato che l’esigenza di un tendenziale rispetto dei precedenti è stata più volte rimarcata dalla Corte Costituzionale. In particolare, nella sentenza 29.10.2024 n. 203 la Corte ha precisato che «il tendenziale rispetto dei propri precedenti -unitamente alla coerenza dell’interpretazione con il testo delle norme interpretate e alla persuasività delle motivazioni – è, per le giurisdizioni superiori, condizione essenziale dell’autorevolezza delle loro decisioni» e che «ogni revirement scuote gli affidamenti che la precedente giurisprudenza ha creato».
[27] Anche se nella pronuncia in commento non se ne fa menzione esplicitamente, il tema dell’affidamento sull’assetto normativo stabilizzato dal diritto vivente, si intreccia con quello relativo alla valenza dell’art. 618, co. 1-bis c.p.p., introdotto dalla l. 23.6.2017 n. 103. Come è noto, tale norma prevede che la Sezione semplice della Corte di Cassazione, qualora ritenga di non condividere il principio di diritto formulato in una sentenza delle Sezioni unite, “rimette” a queste ultime la decisione del ricorso. Non potendo in questa sede approfondire tale tematica, ci si limita a ricordare che secondo l’orientamento della giurisprudenza attraverso tale norma sarebbe stato introdotto il “vincolo del precedente” ancorché relativo in quanto limitato all’interno della sola Corte di Cassazione e non operante nei confronti dei giudici di merito. In questa prospettiva, la necessità di attribuire maggiore rilievo al tema del mutamento giurisprudenziale viene collegata proprio alla predetta disposizione normativa. In tal senso, si veda la già citata pronuncia n. 28594/2024 nella quale si è precisato che «il sistema del precedente vincolante, attribuendo alla regola enunciata dalle sezioni Unite una valenza di tendenziale stabilizzazione dei rapporti, è funzionale ad assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie e, quindi, ad offrire al cittadino la possibilità di conoscere le conseguenze delle libere scelte di azione e di fare affidamento su un assetto normativo stabile». La dottrina si è espressa in senso critico nei confronti dell’inserimento dell’art. 618, co. 1-bis e ha espresso preoccupazione sul fatto che l’introduzione di tale regola possa finire per riconoscere alle decisioni delle Sezioni unite il valore di fonte del diritto. In tal senso, si vedano A. De Caro, Riflessioni sparse sul nuovo assetto nomofilattico. Le decisioni vincolanti delle sezioni unite al cospetto del principio del giudice soggetto solo alla legge: un confine violato o una frontiera conquistata?,in Arch. pen., Suppl. al n. 1 del 2018, La giustizia penale riformata, 760; R. Aprati, Le sezioni unite fra l’esatta applicazione della legge e l’uniforme interpretazione della legge (commi 66-69 l. n. 103/2017) in A. Marandola – T. Bene (a cura di), La riforma della giustizia penale,Milano, 2017, 278. Ha sottolineato che a seguito dell’aggiunta all’art. 618 c.p.p. del comma 1-bis il sistema si è irrigidito anche C. Iasevoli, Le nuove prospettive della Cassazione penale: verso l’autonomia dalla Costituzione?,in Giur. it., 2017, 2301 ss., si esprime in senso critico verso la novella dell’art. 618 c.p.p. osservando che l’introduzione del vincolo del precedente consentirà alle Sezioni Unite di erigersi a «fonti di diritto penale e di diritto processuale penale, ponendosi in contrasto con le più elementari esigenze di uno stato di diritto». Nei medesimi termini O. Mazza, Conciliare l’inconciliabile: il vincolo del precedente nel sistema di stretta legalità (civil law),in Arch. pen., Suppl. al n. 1 del 2018, La giustizia penale riformata, 723 ss. il quale ha espresso considerazioni critiche su una lettura del vincolo del precedente che porti a ritenere vincolanti le scelte interpretative del Supremo Collegio al punto da considerarle “fonti formali del diritto”. Per una trattazione dell’argomento si rinvia altresì a E. Reccia, Il valore del precedente e il carattere vincolante delle pronunce delle Sezioni Unite, Torino, 2020, 112
[28] In tal senso, nel punto 3.11 della motivazione si è precisato che «nel caso di specie, non viene in rilievo il tema della conoscibilità o meno per l’imputato della fattispecie di reato, quanto la questione, radicalmente diversa, della base legale, così come definita anche dal diritto vivente, del potere del giudice penale di disporre la confisca per equivalente in assenza di condanna».
[29] Con riferimento all’art. 1 Prot. 1 C.E.D.U. va ricordata la recente pronuncia della Corte E.D.U. 19.12.2024, n. 47284, Episcopo-Bassani, in Cass. pen., 2025, 3, 975. In questa pronuncia, era in questione una confisca diretta dei proventi del reato disposta nel 2008, all’esito della sentenza di condanna di primo grado, confermata in appello contestualmente alla sentenza di proscioglimento e successivamente confermata anche dalla Corte di Cassazione. La Corte E.D.U., ha sottolineato che a quell’epoca, «la giurisprudenza consolidata considerava che la misura della confisca non potesse essere applicata dopo che un reato aveva cessato di essere punibile. Soltanto successivamente la Corte di Cassazione ha iniziato a riconoscere che la misura della confisca potesse essere in realtà applicata in una simile situazione; tuttavia, anche allora, la questione è stata per diversi anni oggetto di un contrasto giurisprudenziale». Pertanto, la Corte ha concluso che al momento pertinente – che nell’applicazione dell’art. 1 coincide con il momento in cui il provvedimento di confisca è emesso per la prima volta – la confisca non era fondata su una base giuridica sufficientemente prevedibile con conseguente violazione dell’articolo 1 Prot. 1 C.E.D.U.
[30] In tal senso, va in primo luogo citata la fondamentale pronuncia 24/2019 della Corte Costituzionale 27.2.2019 n. 24, in Dir.& Giust., 28.2.2019, emessa in materia di misure di prevenzione. In tale pronuncia, sul presupposto che il sequestro e la confisca di prevenzione non hanno natura penale, la Corte ha sottolineato che tali misure «incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (art. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. addiz. CEDU)». Ne consegue che anche «al di fuori della materia penale» non può escludersi l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può essere limitato un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto. Con la conseguenza che, come affermato in tale sentenza, eventuali ipotesi di sequestro e confisca prive di una base legale che consenta ai destinatari di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure, si porrebbero in contrasto con i parametri costituzionali e convenzionali. Inoltre, sempre in tema di prevedibilità in relazione a misure ablative non ritenute penali dall’orientamento giurisprudenziale, e segnatamente in materia di confisca allargata, va ricordata la pronuncia a Sezioni Unite 26.10.2023 n. 8052, Rizzi, in Dir.&Giust. 2024, 26. Si tratta della pronuncia che ha risolto la questione dell’efficacia intertemporale della l. 17.10.2017, n. 161 che ha inserito nell’ambito dell’art. 240-bis c.p. la previsione secondo la quale «il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale». Tale pronuncia delle Sezioni Unite, ha ricordato che «il tema della prevedibilità e dell’ampliamento garantistico ad esso sotteso è stato allargato oltre la stessa nozione estesa di materia penale trovando applicazione anche alla confisca allargata e alle misure di prevenzione». Di conseguenza, «i requisiti di accessibilità e prevedibilità assumono rilievo anche per la confisca allargata». Per un’analisi di tale pronuncia, si rinvia a P. Giustozzi- L. Puccetti, Le Sezioni Unite sull’efficacia intertemporale del divieto probatorio introdotto dall’art. 31, L. n. 161/2017, in Dir. Pen. Proc., 11, 2024, 1456.

