La disciplina della prevenzione amministrativa antimafia è stata sempre improntata alla tutela dell’ordine pubblico economico ponendosi quale scopo principale quello di impedire le infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti.
Prima della riforma intervenuta nel dicembre 2021 (D.L. n. 152/2021 coordinato con la legge di conversione n. 233/2021, artt. 47 – 49-bis) la disciplina della prevenzione amministrativa antimafia si risolveva in un sistema di tipo monistico ed inquisitorio[1]; ciò in quanto nel caso di tentativi di infiltrazione mafiosa in una compagine sociale – da accertarsi in assenza di contraddittorio e sulla sola base delle risultanze di indagine trasmesse dal gruppo investigativo antimafia – il prefetto aveva quale unica possibilità quella di rilasciare una informazione antimafia con la conseguenziale impossibilità per la società, ai sensi dell’art. 92 dlgs. n. 159/2011, di ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione e porto d’armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti.
Risulta dunque di intuitiva evidenza, da un lato, l’elevato grado di invasività di tale misura rispetto alla prosecuzione ed alla stessa sopravvivenza di un’attività di impresa; dall’altro come la previsione di una sola misura così grave si ponesse in totale contrasto rispetto ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità; ciò in quanto generalmente applicabile alle situazioni più disparate, a prescindere dalla tipologia del tentativo di infiltrazione mafiosa (fosse essa sporadica o abituale) ed a prescindere dal tipo di contiguità mafiosa incardinata con l’imprenditore (sia che si trattasse di una cd contiguità compiacente sia che si trattasse di una cd contiguità soggiacente).
Con il D.L. 152/2021 convertito in L. n. 233/2021 tale sistema monistico ed inquisitorio è sostanzialmente evoluto in un sistema dualistico ispirato al principio del contraddittorio; ciò anche e segnatamente attraverso l’introduzione della misura della prevenzione collaborativa disciplinata dall’art. 94 bis dlgs. 159/2011.
Tale misura risulta applicabile dal prefetto in tutti i casi in cui sussiste un tentativo di infiltrazione mafiosa in un’impresa – da accertarsi alla stregua del principio civilistico del “più probabile che non”) -riconducibile tuttavia a situazioni di agevolazione occasionale.
In tale evenienza il prefetto può disporre un periodo di osservazione non inferiore a sei mesi e non superiore ad un anno finalizzato al self-cleaning dell’impresa.
Più in particolare, oltre alla nomina di uno o più esperti iscritti all’albo di cui all’art. 35 co. 2 bis dlgs. 159/2011 che accompagnano l’impresa nella fase di self-cleaning, il prefetto piò richiedere all’imprenditore l’adozione ed attuazione di misure organizzative ex dlgs. 231/2001 atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; disporre l’obbligo di comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura tutte le operazioni economiche di gestione societaria di valore superiore ad € 5.000,00; di comunicare qualsivoglia operazione di finanziamento soci e/o aumento di capitale; di utilizzare un conto corrente dedicato per le attività di gestione societaria.
Ulteriore novità introdotta dal D.L. 152/2021 è stata la previsione di un contraddittorio attraverso cui l’imprenditore – prima di subire le conseguenze di una interdittiva antimafia – può nel termine di venti giorni dalla comunicazione notificatagli del prefetto fornire le proprie deduzioni in merito al contestato tentativo di infiltrazione mafiosa nella propria compagine sociale.
Un ulteriore passo in avanti verso la graduazione della portata afflittiva delle misure di prevenzione amministrativa antimafia è stato compiuto con il D.L. sicurezza 48/25 convertito in L. n. 80 del 09.06.2025.
Ed infatti l’art 3 lett. b) del D.L. in parola ha introdotto l’art. 94.1 dlgs. 159/2011 che consente al prefetto di modulare l’interdittiva antimafia escludendo nei confronti dell’impresa individuale alcuni divieti e decadenze previsti dall’art. 67 co. 5 (sopra riportati) ogni qualvolta tali misure possano comportare il venir meno dei mezzi di sostentamento familiare del titolare dell’impresa individuale.
Trattasi di un intervento normativo atteso da ben tre anni, segnatamente dalla pronunzia della Consulta n. 180/22 con cui è stata rigettata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 92 dlgs. 159/2011 nella parte in cui non prevede la possibilità di modulare i divieti e le decadenze per le imprese raggiunte da una interdittiva antimafia a differenza di quanto previsto dall’art. 67 co. 1 in relazione alle misure di prevenzione giurisdizionali proprio in relazione ai medesimi divieti ed alle medesime decadenze.
La Corte Costituzionale infatti pur dichiarando inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 92 del codice antimafia, sollevata in riferimento agli artt. 3, 4 e 24 della Costituzione, ha espressamente evidenziato che «stride con il principio di uguaglianza la circostanza che il prefetto non possa valutare, come invece può fare il giudice nei confronti del soggetto destinatario di una misura di prevenzione, l’incidenza degli effetti interdittivi sulle capacità di sostentamento dell’interessato e della sua famiglia»[2].
La Consulta dunque da un lato ha ritenuto ingiustificata la disparità di potere valutativo tra giudice e prefetto, dall’altro ha ritenuto opportuno un profondo intervento legislativo in materia evitando che fosse una pronunzia della Corte Costituzionale a decidere se conferire all’autorità amministrativa il potere di graduare gli effetti delle interdittive alla stessa stregua dell’autorità giudiziaria[3].
A distanza di ben tre anni da tale pronunzia il Governo è finalmente intervenuto al riguardo con il D.L. sicurezza 48/25 convertito in L. 80 del 9/6/2025 che con l’art. 3 co. 1 lett. b) ha introdotto, in aggiunta alle pregresse figure della prevenzione collaborativa e dell’interdittiva antimafia integralmente incapacitante, l’interdittiva temperata ex art. 94.1 dlgs. 159/2011.
Con essa i divieti e le decadenze previste dall’art. 67 co. 1 dlgs. 159/2011 risultano diversamente modulabili dal prefetto nei confronti di un imprenditore individuale cui possono venir a mancare, proprio in ragione di tali limitazioni, i mezzi di sostentamento familiari.
Tuttavia il predetto intervento normativo risulta sorprendentemente limitato al solo imprenditore individuale.
Risultano francamente di difficile comprensione le ragioni sottese a tale scelta soprattutto se si considera che tale previsione normativa mal si concilia con il tipo di economia contemporanea caratterizzata dalla proliferazione di società a responsabilità limitata unipersonali e semplificate con capitale sociale minimo; senza considerare il continuo incentivo statale all’esercizio di attività di impresa in forma societaria di capitali.
Dubbi maggiori sotto il profilo della legittimità costituzionale dell’intervento normativo in parola per violazione dell’art. 3 Cost sorgono se si considera che risultano in tal modo escluse dall’applicazione della cd. interdittiva temperata anche compagini sociali in cui vi è una vera e propria identificazione tra persona giuridica ed imprenditore come per la società di capitali unipersonali[4].
Proprio in ragione di ciò vari autori che hanno affrontato il tema dell’irragionevolezza di tale previsione normativa hanno auspicato nel corso degli ultimi mesi che in sede di conversione in Legge intervenisse una modifica della previsione di cui all’art 94.1 dlgs. 159/2011 attraverso l’eliminazione del riferimento “individuale” dopo la parola “impresa”; un’aspettativa purtroppo disattesa e che a questo punto potrà trovare soddisfacimento solo attraverso– salvo interventi legislativi – una pronunzia di illegittimità costituzionale della Consulta per violazione dell’art. 3 Cost.
La disciplina della prevenzione amministrativa antimafia presenta inoltre già da tempo un ulteriore aspetto problematico che potrebbe prestare il fianco a possibili censure da parte della Consulta.
Ed infatti l’estrema genericità del riferimento ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva per come delineati dall’art. 84 co. 4 lett. d) ed e) – che addirittura identificano tali situazioni in ogni elemento ravvisato dal prefetto – non consente una perimetrazione chiara, precisa, tassativa ma soprattutto prevedibile delle ipotesi che possono dar luogo all’applicazione di tale grave misura[5].
La Corte Costituzionale con sentenza 24/2019 – richiamando anche i principi consacrati dalla Corte EDU con la sentenza De Tommaso, n. 4/2017 – ha evidenziato (con riferimento alle misure di prevenzione giurisdizionali) che le misure idonee ad incidere sui diritti di proprietà e di libera iniziativa economica tutelati ex artt. 1 prot. addiz. CEDU e 41, 42 e 117 Cost., per potersi dire costituzionalmente e convenzionalmente legittime, restano subordinate: a) alla previsione attraverso una legge che possa consentire ai propri destinatari – in conformità alla costante giurisprudenza della Corte EDU sui requisiti di qualità della base legale della restrizione – di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure (art. 1 Prot. addiz. CEDU); b) all’essere la restrizione necessaria rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti e pertanto proporzionata rispetto a tali obiettivi; c) alla necessità che l’applicazione sia disposta in esito ad un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni giusto processo garantito dalla legge.
Sicuramente con le riforme governative disposte con i decreti legge del 2021 e del 2025 la disciplina della prevenzione amministrativa antimafia può dirsi tendenzialmente conforme al principio di proporzionalità parametrato allo scopo perseguito di evitare infiltrazioni mafiose nel circuito economico.
Tuttavia l’estrema genericità applicativa fondata su qualsivoglia elemento ravvisato dal prefetto ex art. 84 co. 4 lett. d) ed e) non consente ai possibili destinatari della misura di prevedere in quali precisi casi l’interdittiva antimafia può trovare applicazione con il rischio conseguenziale di applicazioni differenziate – in base a criteri devoluti di volta in volta alle personali valutazioni del prefetto di turno – tra soggetti che vengono a trovarsi in situazioni analoghe; ciò in palese violazione dell’art. 3 Cost.
Non si ignora certo che allorché si versi – come nella questione ora all’esame – al di fuori dell’ambito penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base dell’interpretazioni, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione[6].
Tuttavia nel caso di specie si è ben lontani dalla configurazione di una cd. zona grigia ove la giurisprudenza di legittimità può ed anzi deve ridefinirne i contorni con maggior precisione; ciò in quanto l’espressione “qualunque elemento ravvisato dal prefetto” è a tal punto generica da non poter essere sostanziata e precisata attraverso un intervento della Corte di Cassazione che finirebbe in tal modo per sostituirsi al legislatore.
Senza considerare il pericolo che può determinarsi nel caso in cui si vengano a creare diversi tipi di interpretazione da parte delle varie sezioni della Suprema Corte; ciò infatti produrrebbe l’effetto indesiderato di incrementare soluzioni discriminatorie- in base al tipo di orientamento cui si intende aderire di volta in volta – tra soggetti che vengono a trovarsi in situazioni tra loro analoghe.
Risulta pertanto auspicabile un intervento legislativo che quanto prima ponga fine all’arbitrarietà degli uffici di prefettura e riconduca la disciplina della prevenzione amministrativa antimafia – che, lo si ribadisce, si pone il nobile obiettivo di prevenire le infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti – nell’alveo delle misure costituzionalmente e convenzionalmente orientate nel rispetto del principio della riserva di legge, di proporzionalità e del contraddittorio.
PAROLE CHIAVE
Prevenzione amministrativa antimafia – prevenzione collaborativa – interdittiva temperata – interdittiva antimafia integralmente incapacitante – infiltrazione mafiosa
BIBLIOGRAFIA
Commentario Breve al Codice Antimafia di Giorgio Spangher e Antonella Marandola, Wolters Kluwer, 2024
Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici di Giuseppe Amarelli e Saverio Sticchi Damiani, Giappichelli, 2019
Misure di prevenzione, interdittive antimafia e procedimento di Luca Della Ragione, Marandola Antonia ed Angelo Zampaglione, Giuffrè, 2022
G. Amarelli “il decreto sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia: un fiore nel deserto in attesa di essere emendato”, maggio 2025, in Sistema Penale
G. Amarelli, butterfly effect e interdittive antimafia, luglio 2024, in Sistema Penale
[1] G. Amarelli, butterfly effect e interdittive antimafia, luglio 2024, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/articolo/amarelli-butterfly-effect-e-interdittive-antimafia-lincostituzionalita-di-una-norma-edilizia-regionale-puo-determinare-lillegittimita-delle-interdittive-generiche
[2] Corte Costituzionale, sentenza n. 180/2022
[3] G. Amarelli “il decreto sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia: un fiore nel deserto in attesa di essere emendato, maggio 2025, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/scheda/amarelli-il-decreto-sicurezza-e-la-riforma-degli-effetti-delle-interdittive-antimafia-un-fiore-nel-deserto-in-attesa-di-essere-emendato
[4] G. Amarelli “il decreto sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia: un fiore nel deserto in attesa di essere emendato, maggio 2025, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/scheda/amarelli-il-decreto-sicurezza-e-la-riforma-degli-effetti-delle-interdittive-antimafia-un-fiore-nel-deserto-in-attesa-di-essere-emendato
[5] G. Amarelli, butterfly effect e interdittive antimafia, luglio 2024, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/articolo/amarelli-butterfly-effect-e-interdittive-antimafia-lincostituzionalita-di-una-norma-edilizia-regionale-puo-determinare-lillegittimita-delle-interdittive-generiche
[6] Corte Costituzionale, sentenza n. 180/2022
Le recenti riforme della disciplina delle interdittive antimafia ed i perduranti dubbi di legittimità costituzionale
La disciplina della prevenzione amministrativa antimafia è stata sempre improntata alla tutela dell’ordine pubblico economico ponendosi quale scopo principale quello di impedire le infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti.
Prima della riforma intervenuta nel dicembre 2021 (D.L. n. 152/2021 coordinato con la legge di conversione n. 233/2021, artt. 47 – 49-bis) la disciplina della prevenzione amministrativa antimafia si risolveva in un sistema di tipo monistico ed inquisitorio[1]; ciò in quanto nel caso di tentativi di infiltrazione mafiosa in una compagine sociale – da accertarsi in assenza di contraddittorio e sulla sola base delle risultanze di indagine trasmesse dal gruppo investigativo antimafia – il prefetto aveva quale unica possibilità quella di rilasciare una informazione antimafia con la conseguenziale impossibilità per la società, ai sensi dell’art. 92 dlgs. n. 159/2011, di ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione e porto d’armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti.
Risulta dunque di intuitiva evidenza, da un lato, l’elevato grado di invasività di tale misura rispetto alla prosecuzione ed alla stessa sopravvivenza di un’attività di impresa; dall’altro come la previsione di una sola misura così grave si ponesse in totale contrasto rispetto ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità; ciò in quanto generalmente applicabile alle situazioni più disparate, a prescindere dalla tipologia del tentativo di infiltrazione mafiosa (fosse essa sporadica o abituale) ed a prescindere dal tipo di contiguità mafiosa incardinata con l’imprenditore (sia che si trattasse di una cd contiguità compiacente sia che si trattasse di una cd contiguità soggiacente).
Con il D.L. 152/2021 convertito in L. n. 233/2021 tale sistema monistico ed inquisitorio è sostanzialmente evoluto in un sistema dualistico ispirato al principio del contraddittorio; ciò anche e segnatamente attraverso l’introduzione della misura della prevenzione collaborativa disciplinata dall’art. 94 bis dlgs. 159/2011.
Tale misura risulta applicabile dal prefetto in tutti i casi in cui sussiste un tentativo di infiltrazione mafiosa in un’impresa – da accertarsi alla stregua del principio civilistico del “più probabile che non”) -riconducibile tuttavia a situazioni di agevolazione occasionale.
In tale evenienza il prefetto può disporre un periodo di osservazione non inferiore a sei mesi e non superiore ad un anno finalizzato al self-cleaning dell’impresa.
Più in particolare, oltre alla nomina di uno o più esperti iscritti all’albo di cui all’art. 35 co. 2 bis dlgs. 159/2011 che accompagnano l’impresa nella fase di self-cleaning, il prefetto piò richiedere all’imprenditore l’adozione ed attuazione di misure organizzative ex dlgs. 231/2001 atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; disporre l’obbligo di comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura tutte le operazioni economiche di gestione societaria di valore superiore ad € 5.000,00; di comunicare qualsivoglia operazione di finanziamento soci e/o aumento di capitale; di utilizzare un conto corrente dedicato per le attività di gestione societaria.
Ulteriore novità introdotta dal D.L. 152/2021 è stata la previsione di un contraddittorio attraverso cui l’imprenditore – prima di subire le conseguenze di una interdittiva antimafia – può nel termine di venti giorni dalla comunicazione notificatagli del prefetto fornire le proprie deduzioni in merito al contestato tentativo di infiltrazione mafiosa nella propria compagine sociale.
Un ulteriore passo in avanti verso la graduazione della portata afflittiva delle misure di prevenzione amministrativa antimafia è stato compiuto con il D.L. sicurezza 48/25 convertito in L. n. 80 del 09.06.2025.
Ed infatti l’art 3 lett. b) del D.L. in parola ha introdotto l’art. 94.1 dlgs. 159/2011 che consente al prefetto di modulare l’interdittiva antimafia escludendo nei confronti dell’impresa individuale alcuni divieti e decadenze previsti dall’art. 67 co. 5 (sopra riportati) ogni qualvolta tali misure possano comportare il venir meno dei mezzi di sostentamento familiare del titolare dell’impresa individuale.
Trattasi di un intervento normativo atteso da ben tre anni, segnatamente dalla pronunzia della Consulta n. 180/22 con cui è stata rigettata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 92 dlgs. 159/2011 nella parte in cui non prevede la possibilità di modulare i divieti e le decadenze per le imprese raggiunte da una interdittiva antimafia a differenza di quanto previsto dall’art. 67 co. 1 in relazione alle misure di prevenzione giurisdizionali proprio in relazione ai medesimi divieti ed alle medesime decadenze.
La Corte Costituzionale infatti pur dichiarando inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 92 del codice antimafia, sollevata in riferimento agli artt. 3, 4 e 24 della Costituzione, ha espressamente evidenziato che «stride con il principio di uguaglianza la circostanza che il prefetto non possa valutare, come invece può fare il giudice nei confronti del soggetto destinatario di una misura di prevenzione, l’incidenza degli effetti interdittivi sulle capacità di sostentamento dell’interessato e della sua famiglia»[2].
La Consulta dunque da un lato ha ritenuto ingiustificata la disparità di potere valutativo tra giudice e prefetto, dall’altro ha ritenuto opportuno un profondo intervento legislativo in materia evitando che fosse una pronunzia della Corte Costituzionale a decidere se conferire all’autorità amministrativa il potere di graduare gli effetti delle interdittive alla stessa stregua dell’autorità giudiziaria[3].
A distanza di ben tre anni da tale pronunzia il Governo è finalmente intervenuto al riguardo con il D.L. sicurezza 48/25 convertito in L. 80 del 9/6/2025 che con l’art. 3 co. 1 lett. b) ha introdotto, in aggiunta alle pregresse figure della prevenzione collaborativa e dell’interdittiva antimafia integralmente incapacitante, l’interdittiva temperata ex art. 94.1 dlgs. 159/2011.
Con essa i divieti e le decadenze previste dall’art. 67 co. 1 dlgs. 159/2011 risultano diversamente modulabili dal prefetto nei confronti di un imprenditore individuale cui possono venir a mancare, proprio in ragione di tali limitazioni, i mezzi di sostentamento familiari.
Tuttavia il predetto intervento normativo risulta sorprendentemente limitato al solo imprenditore individuale.
Risultano francamente di difficile comprensione le ragioni sottese a tale scelta soprattutto se si considera che tale previsione normativa mal si concilia con il tipo di economia contemporanea caratterizzata dalla proliferazione di società a responsabilità limitata unipersonali e semplificate con capitale sociale minimo; senza considerare il continuo incentivo statale all’esercizio di attività di impresa in forma societaria di capitali.
Dubbi maggiori sotto il profilo della legittimità costituzionale dell’intervento normativo in parola per violazione dell’art. 3 Cost sorgono se si considera che risultano in tal modo escluse dall’applicazione della cd. interdittiva temperata anche compagini sociali in cui vi è una vera e propria identificazione tra persona giuridica ed imprenditore come per la società di capitali unipersonali[4].
Proprio in ragione di ciò vari autori che hanno affrontato il tema dell’irragionevolezza di tale previsione normativa hanno auspicato nel corso degli ultimi mesi che in sede di conversione in Legge intervenisse una modifica della previsione di cui all’art 94.1 dlgs. 159/2011 attraverso l’eliminazione del riferimento “individuale” dopo la parola “impresa”; un’aspettativa purtroppo disattesa e che a questo punto potrà trovare soddisfacimento solo attraverso– salvo interventi legislativi – una pronunzia di illegittimità costituzionale della Consulta per violazione dell’art. 3 Cost.
La disciplina della prevenzione amministrativa antimafia presenta inoltre già da tempo un ulteriore aspetto problematico che potrebbe prestare il fianco a possibili censure da parte della Consulta.
Ed infatti l’estrema genericità del riferimento ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva per come delineati dall’art. 84 co. 4 lett. d) ed e) – che addirittura identificano tali situazioni in ogni elemento ravvisato dal prefetto – non consente una perimetrazione chiara, precisa, tassativa ma soprattutto prevedibile delle ipotesi che possono dar luogo all’applicazione di tale grave misura[5].
La Corte Costituzionale con sentenza 24/2019 – richiamando anche i principi consacrati dalla Corte EDU con la sentenza De Tommaso, n. 4/2017 – ha evidenziato (con riferimento alle misure di prevenzione giurisdizionali) che le misure idonee ad incidere sui diritti di proprietà e di libera iniziativa economica tutelati ex artt. 1 prot. addiz. CEDU e 41, 42 e 117 Cost., per potersi dire costituzionalmente e convenzionalmente legittime, restano subordinate: a) alla previsione attraverso una legge che possa consentire ai propri destinatari – in conformità alla costante giurisprudenza della Corte EDU sui requisiti di qualità della base legale della restrizione – di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure (art. 1 Prot. addiz. CEDU); b) all’essere la restrizione necessaria rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti e pertanto proporzionata rispetto a tali obiettivi; c) alla necessità che l’applicazione sia disposta in esito ad un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni giusto processo garantito dalla legge.
Sicuramente con le riforme governative disposte con i decreti legge del 2021 e del 2025 la disciplina della prevenzione amministrativa antimafia può dirsi tendenzialmente conforme al principio di proporzionalità parametrato allo scopo perseguito di evitare infiltrazioni mafiose nel circuito economico.
Tuttavia l’estrema genericità applicativa fondata su qualsivoglia elemento ravvisato dal prefetto ex art. 84 co. 4 lett. d) ed e) non consente ai possibili destinatari della misura di prevedere in quali precisi casi l’interdittiva antimafia può trovare applicazione con il rischio conseguenziale di applicazioni differenziate – in base a criteri devoluti di volta in volta alle personali valutazioni del prefetto di turno – tra soggetti che vengono a trovarsi in situazioni analoghe; ciò in palese violazione dell’art. 3 Cost.
Non si ignora certo che allorché si versi – come nella questione ora all’esame – al di fuori dell’ambito penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base dell’interpretazioni, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione[6].
Tuttavia nel caso di specie si è ben lontani dalla configurazione di una cd. zona grigia ove la giurisprudenza di legittimità può ed anzi deve ridefinirne i contorni con maggior precisione; ciò in quanto l’espressione “qualunque elemento ravvisato dal prefetto” è a tal punto generica da non poter essere sostanziata e precisata attraverso un intervento della Corte di Cassazione che finirebbe in tal modo per sostituirsi al legislatore.
Senza considerare il pericolo che può determinarsi nel caso in cui si vengano a creare diversi tipi di interpretazione da parte delle varie sezioni della Suprema Corte; ciò infatti produrrebbe l’effetto indesiderato di incrementare soluzioni discriminatorie- in base al tipo di orientamento cui si intende aderire di volta in volta – tra soggetti che vengono a trovarsi in situazioni tra loro analoghe.
Risulta pertanto auspicabile un intervento legislativo che quanto prima ponga fine all’arbitrarietà degli uffici di prefettura e riconduca la disciplina della prevenzione amministrativa antimafia – che, lo si ribadisce, si pone il nobile obiettivo di prevenire le infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti – nell’alveo delle misure costituzionalmente e convenzionalmente orientate nel rispetto del principio della riserva di legge, di proporzionalità e del contraddittorio.
PAROLE CHIAVE
Prevenzione amministrativa antimafia – prevenzione collaborativa – interdittiva temperata – interdittiva antimafia integralmente incapacitante – infiltrazione mafiosa
BIBLIOGRAFIA
Commentario Breve al Codice Antimafia di Giorgio Spangher e Antonella Marandola, Wolters Kluwer, 2024
Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici di Giuseppe Amarelli e Saverio Sticchi Damiani, Giappichelli, 2019
Misure di prevenzione, interdittive antimafia e procedimento di Luca Della Ragione, Marandola Antonia ed Angelo Zampaglione, Giuffrè, 2022
G. Amarelli “il decreto sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia: un fiore nel deserto in attesa di essere emendato”, maggio 2025, in Sistema Penale
G. Amarelli, butterfly effect e interdittive antimafia, luglio 2024, in Sistema Penale
[1] G. Amarelli, butterfly effect e interdittive antimafia, luglio 2024, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/articolo/amarelli-butterfly-effect-e-interdittive-antimafia-lincostituzionalita-di-una-norma-edilizia-regionale-puo-determinare-lillegittimita-delle-interdittive-generiche
[2] Corte Costituzionale, sentenza n. 180/2022
[3] G. Amarelli “il decreto sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia: un fiore nel deserto in attesa di essere emendato, maggio 2025, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/scheda/amarelli-il-decreto-sicurezza-e-la-riforma-degli-effetti-delle-interdittive-antimafia-un-fiore-nel-deserto-in-attesa-di-essere-emendato
[4] G. Amarelli “il decreto sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia: un fiore nel deserto in attesa di essere emendato, maggio 2025, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/scheda/amarelli-il-decreto-sicurezza-e-la-riforma-degli-effetti-delle-interdittive-antimafia-un-fiore-nel-deserto-in-attesa-di-essere-emendato
[5] G. Amarelli, butterfly effect e interdittive antimafia, luglio 2024, disponibile https://www.sistemapenale.it/it/articolo/amarelli-butterfly-effect-e-interdittive-antimafia-lincostituzionalita-di-una-norma-edilizia-regionale-puo-determinare-lillegittimita-delle-interdittive-generiche
[6] Corte Costituzionale, sentenza n. 180/2022
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