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Le Sezioni Unite Mariotti: tra prospettive e criticità aperte

Riportiamo gli scritti del dr. Daniele Cenci della Sua relazione svolta nel corso dell’evento formativo del 30 novembre 2020, sul tema “La responsabilità penale in ambito sanitario. Questioni tradizionali e nuovi scenari”.

1.Premessa. – Se estremamente bassa è, da un punto di vista puramente numerico, l’incidenza statistica dei processi per colpa sanitaria nel lavoro della Corte di cassazione penale (meno di cento all’anno a fronte di più di 50.000 ricorsi che pervengono nello stesso arco di tempo alla S.C. [1]), è tuttavia innegabile che la materia rivesta estrema importanza in ragione della tutela, di rango costituzionale (art. 32), da accordarsi al valore essenziale della salute.

 

2.Peculiarità. – L’interesse per la tematica si giustifica non solo in ragione della cura della salute ma anche per una serie di peculiarità dei processi penali per colpa, specialmente anche se non esclusivamente per colpa sanitaria, peculiarità che, seppure non sono tali da costituire un vero e proprio “sotto-sistema”, tuttavia vanno tenute presenti dal dall’operatore del diritto (magistrato, avvocato) che si accinga a misurarsi con un’ipotesi di colpa sanitaria.

 

2.1.Ciò a partire della ratio stessa dell’incriminazione: è ben noto, infatti, che vi sono ordinamenti che non prevedono la possibilità di sottoporre a processo penale il medico per fatti  di tipo colposo, affidando la risoluzione delle controversie per “medical malpractice” alla giurisdizione civile; l’ordinamento italiano, invece, non prevede esenzioni dalla giurisdizione penale – o “scudi” pur talvolta invocati, anche di recente – per le attività sanitarie, applicandosi gli artt. 40, 589 e 590 cod. pen. a qualunque attività svolta dai consociati. E, tuttavia, non può trascurasi, come è stato efficacemente detto, che «Lo strumento chirurgico nella mano di chi l’impugna è un mezzo per realizzare un progetto di cura che impegna la mente e la mano con un pizzico di coraggio e passione. Il gesto del chirurgo […] è realizzato da un manufatto inerte che trasmette la volontà di guarire il corpo con una serie di atti che indicano il percorso della tecnica chirurgica […] Il bisturi non è altro che un coltello poco diverso da quello per uccidere … è l’intenzione di guarire che lo rende speciale. Molti dei nostri strumenti sono mutuati da sarti, materassai, guantai ma è il modo di impugnarli che li rende diversi» ([2]).

 

2.2.Né può trascurarsi che si tratta di casi in cui si è chiamati a rispondere non già per condotte intenzionali ma per colpa, nelle sue varie declinazioni (c. generica, c. specifica, c. commissiva, c. omissiva), per la violazione di precetti cautelari che mirano a governare un’attività delicata e rischiosa, ma ineliminabile, poiché necessaria ed essenziale, in un ambito nel quale le regole – sia di tipo rigido che elastico – non sono né matematiche né certe, dipendendo l’esito di un intervento terapeutico da molteplici fattori, alcuni soltanto dei quali, in realtà, governabili dal soggetto agente. Senza trascurare che anche nell’ipotesi di realizzazione di delitti dolosi può ravvisarsi una violazione di regole cautelari penalmente rilevante: infatti il medico che, in ipotesi, procuri aborti clandestini (art. 19 della legge 22 maggio 1978, n. 194) deve, comunque, attenersi alle leges artis.

 

2.3.Ulteriore peculiarità dei processi per colpa sanitaria sta nella sostanziale irrilevanza dei riti alternativi: nessun caso di giudizio direttissimo o immediato, per intuitive ragioni; bassissimo è il ricorso all’applicazione di pena su richiesta, attesa la opinabilità delle valutazioni in tema di colpa, e persino all’abbreviato, con ogni probabilità disincentivato in dipendenza dell’effetto sanante delle nullità non assolute e delle inutilizzabilità non patologiche in ragione della richiesta – recte: dell’ammissione – del rito a seguito della novella apportata dall’art. 1, comma 43, della legge 23 giugno 2017, n. 103, c.d. legge- Orlando all’art. 438 cod. proc. pen. con introduzione di un comma 6-bis, così recependo un già diffuso orientamento giurisprudenziale di legittimità ([3]).

 

2.4.Si tratta, ancora, di un ambito nel quale, in netta “contro-tendenza” rispetto all’ambito dei reati dolosi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 stesso codice, sicché si ritiene possibile, quantomeno quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati senza che ciò valga a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione; la giustificazione di tale orientamento sta nell’osservazione che il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere ([4]).

 

2.5.A ciò deve aggiungersi la singolarità che la prova documentale (referti, cartelle cliniche, certificati) sta – in significativa parte – proprio nelle mani dei soggetti “controllati”, quantomeno sino all’eventuale sequestro, sicché non è infrequente il caso dell’assoluzione dagli addebiti di lesioni od omicidio colposi con contestuale condanna per falso, spiegabile – anche se non giustificabile – con l’alterazione da parte dell’innocente, che sia spaventato dall’avvio dell’indagine o che si ritenga a corto di persuasivi elementi difensivi, di documenti fidefacenti.

 

2.6.Altre peculiarità dei processi per colpa, non solo di tipo sanitario, sono la necessità di una penetrante indagine sul fatto, per lo più da svolgersi mediante l’indispensabile apporto di conoscenze qualificate, veicolate nel processo tramite consulenze e perizie e la centralità a tal fine (della corretta individuazione e della adeguata valutazione) del sapere scientifico.

 

3.Progressivo  mutamento di “approccio culturale” al tema della responsabilità sanitaria e sintetico richiamo di passaggi temporali e logici essenziali. – Si ritiene, dati i limiti di tempo e le finalità del presente intervento, di dovere svolgere solo cenni minimi agli  aspetti – peraltro  notissimi – del progressivo passaggio culturale:

da un atteggiamento di “benevola supremazia” del medico (con la correlata tendenziale comprensione del giudice nel caso di eventuali errori) imperante sino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, in un approccio che è stato efficacemente definito di “paternalismo indulgenziale”;

alla valutazione dell’operato del medico quale “professionista” (quasi) alla stessa stregua degli altri negli anni ’80, in cui si registra un controllo giudiziale più stringente sul medico, parallelamente ad una maggiore considerazione, anche nell’ambito della giurisdizione civile, degli interessi del paziente ipoteticamente danneggiato;

sino ad una concezione del medico come “erogatore di servizi” nell’ambito di un sistema sanitario più complesso, che non si riduce al rapporto bilaterale tra paziente e medico, e che dovrebbe tendenzialmente realizzare un rafforzamento della responsabilità civile degli enti, pubblici e privati, in cui sono incardinati o nel cui interesse agiscono i soggetti agenti.

I passaggi legislativi essenziali – con la consapevolezza che si tratta di un ambito che, per sua stessa natura – è difficile “normativizzare”, volendo schematizzare al massimo, pur correndo il rischio di  banalizzazione, sono i seguenti.

 

3.1.L’approccio al tema della responsabilità del sanitario anteriore all’adozione della legge c.d. “Balduzzi” (decreto legge n. 158 del 13 settembre 2012, convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189), era caratterizzato essenzialmente dal richiamo alla tradizionale nozione che si trae dall’art. 2236 cod. civ., secondo cui «Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave».

L’individuazione della condotta doverosa del sanitario avveniva tradizionalmente attraverso le opinioni di periti e di consulenti; nel tempo, si avvertì la necessità di individuare in modo, per quanto sia possibile, più oggettivo il parametro comportamentale del sanitario, e ciò avvenne facendo richiamo a linee guida, a protocolli e a best practices, intese a standardizzare, sul piano delle regole di comportamento, le procedure da adottare in determinate situazioni  diagnostico-terapeutiche (ferma, tuttavia, la libertà di scelta professionale – e la correlativa  responsabilità – del sanitario nel rapportarsi al caso concreto). Per lungo tempo la giurisprudenza, di merito e di legittimità, applicò il richiamato principio civilistico di cui all’art. 2236 cod. civ., secondo il quale il prestatore d’opera risponde solo in caso di dolo o di colpa grave (ed in specie, sotto quest’ultimo profilo, in caso di errore grossolano secondo il parametro dell’imperizia) quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Tale orientamento trovò l’autorevole avallo della Corte costituzionale nella nota sentenza n. 166 del 22-28 novembre 1973, in cui la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 del codice penale, nella parte in cui consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare (questione che era stata sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione dal Tribunale di Varese). Nella parte motiva la Consulta ha precisato, tra l’altro, che «La particolare disciplina in tema di responsabilità penale, desumibile dagli artt. 589 e 42 (e meglio, 43) del codice penale, in relazione all’art. 2236 del codice civile, per l’esercente una professione intellettuale quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, é il riflesso di una normativa dettata (come si legge nella relazione del Guardasigilli al codice civile n. 917) “di fronte a due opposte esigenze, quella di non mortificare la iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista” stesso. Ne consegue che solo la colpa grave e cioè quella derivante da errore inescusabile, dalla ignoranza dei principi elementari attinenti all’esercizio di una determinata attività professionale o propri di una data specializzazione, possa […] rilevare ai fini della responsabilità penale. Siffatta esenzione o limitazione di responsabilità, d’altra parte, secondo la giurisprudenza e dottrina, non conduce a dover ammettere che, accanto al minimo di perizia richiesta, basti pure un minimo di prudenza o di diligenza. Anzi, c’é da riconoscere che, mentre nella prima l’indulgenza del giudizio del magistrato é direttamente proporzionata alle difficoltà del compito, per le altre due forme di colpa [ossia l’imprudenza e la negligenza, che secondo la Consulta sono integrate da “non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista”] ogni giudizio non può che essere improntato a criteri di normale severità».

 

3.2.Nondimeno, a partire dagli anni ’90 si era fatto spazio la riflessione circa la mancanza di riferimento nell’art. 43 cod. pen., che disciplina l’elemento psicologico del reato, al grado della colpa, sicchè si era formato e poi consolidato un ulteriore orientamento, il quale respingeva la possibilità di applicare, in sede penale, l’art. 2236 cod. civ. e valutava la colpa del medico sulla base delle regole generali in tema di colpa, contenute, appunto, nell’art. 43 cod. pen. Alle esigenze di unità e coerenza dell’intero ordinamento giuridico, invocate dai sostenitori del primo orientamento, veniva contrapposta l’esigenza di unità e coerenza del sistema penale, che non può tollerare metri diversi nella valutazione della colpa. Quale espressione di siffatto orientamento, si veda, a mero titolo di esempio, la seguente, emblematica, puntualizzazione: «In tema di colpa professionale medica l’accertamento va effettuato in base non alle norme civilistiche sull’inadempimento nell’esecuzione del rapporto contrattuale, ma a quelle penali; ciò in quanto la condotta colposa, implicante giudizio di responsabilità penale, incide su beni primari, quali la vita o la salute delle persone, e non già su aspetti patrimoniali-economici» ([5]).

In definitiva, si riteneva che la gravità della colpa potesse avere eventualmente rilievo solo ai fini della graduazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p.: il che è come a dire che “la colpa – penale – è uguale per tutti”.

 

3.3. Accanto ai due orientamenti richiamati se ne è registrato, più avanti nel tempo, un altro, per così dire, intermedio, secondo il quale, ferma l’autonomia del diritto penale rispetto al civile,  «In tema di colpa professionale medica, la norma prevista dall’art. 2236 cod. civ. trova applicazione come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia del sanitario qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di specifica difficoltà di carattere tecnico-scientifico» ([6]).

 

3.4.L’art. 3, comma 1, della legge c.d. Balduzzi (legge n. 189 del 2012) ([7]) viene a stabilire che «L’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve».

Tale previsione, dopo alcune oscillazioni iniziali, è stata intesa dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la responsabilità del medico, in caso di colpa lieve e di condotta professionale conforme alle linee guida ed alle buone pratiche, è esclusa anche nell’ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica diversi dall’imperizia ([8]). In particolare, si è affermato che la disciplina di cui all’art. 3 della legge Balduzzi, introduttiva della limitazione della responsabilità penale del sanitario rispettoso delle linee guida, pur trovando terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza ([9]).

In sostanza, si è ritenuta essere stata oggetto di abolitio criminis parziale ad opera della novella la colpa lieve del sanitario che si sia attenuto nell’agire a linee guida e buone pratiche; e, poiché rispetto alla disciplina anteriore, la previsione di cui all’art. 3 della legge 189 del 2012 aveva determinato, secondo la Corte di legittimità, la parziale abrogazione delle fattispecie colpose in relazione alle ipotesi di omicidio e lesioni colpose connotate da colpa lieve in ambito sanitario, si è conseguentemente affermato che, «nei procedimenti relativi a tali reati, pendenti in sede di merito alla data di entrata in vigore della novella [i.e. il 13 settembre 2012, data di entrata in vigore del d.l. n. 158 del 2012], il giudice, in applicazione dell’art. 2, comma secondo, cod. pen., deve procedere d’ufficio all’accertamento del grado della colpa, in particolare verificando se la condotta del sanitario poteva dirsi aderente ad accreditate linee guida» ([10]).

La questione è, con ogni evidenza, strettamente correlata sia alla concreta selezione delle linee guide e delle buone pratiche la cui osservanza è idonea a scriminare l’agente sia alla individuazione della natura e del grado di vincolatività delle stesse: ebbene, secondo il consolidato insegnamento della S.C., le linee guida «non sono in grado di offrire standard legali precostituiti; non divengono, cioè, regole cautelari secondo il classico modello della colpa specifica: da un lato, [per] la varietà ed il diverso grado di qualificazione delle linee guida; dall’altro, soprattutto, [per] la loro natura di strumenti di indirizzo ed orientamento, privi della prescrittività propria di una regola cautelare, per quanto elastica» ([11]). Si tratta, allora, di «“raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche“ […,] raccomandazioni di comportamento clinico, con diverso grado di cogenza, presuppongono l’esistenza e la plausibilità di molteplici comportamenti degli esercenti le professioni sanitarie, a fronte della medesima situazione data e sono volte a ridurre la variabilità e la soggettivizzazione dei comportamenti clinici. […] le direttive di cui si discute non sono in grado di offrire standard legali precostituiti […] non divengono, cioè, regole cautelari, secondo il classico modello della colpa specifica […] si tratta di un prodotto multiforme, originato da una pluralità di fonti, con diverso grado di affidabilità […] vengono in rilievo, nel momento in cui si procede alla valutazione ex ante della condotta dell’esercente la professione sanitaria, tipica del giudizio sulla colpa, valutazione che deve essere rapportata alla difficoltà delle valutazioni richieste al professionista» ([12]).

 

3.5. Il comma 1 dell’art. 3 della “legge-Balduzzi” viene espressamente abrogato dall’art. 6, comma 2, della legge n. 24 dell’8 marzo 2017 (in vigore dal 1° aprile 2017), c.d. legge Gelli-Bianco ([13]); l’art. 6, comma 1, della stessa introduce l’art. 590-sexies cod. pen., che recita:

«1. Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della  professione  sanitaria,  si applicano le pene ivi previste  salvo  quanto  disposto  dal  secondo comma.

  1. Qualora l’evento si sia  verificato  a  causa  di  imperizia,  la punibilità è esclusa  quando  sono  rispettate  le  raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e  pubblicate  ai  sensi  di legge  ovvero,   in   mancanza   di   queste,   le   buone   pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni  previste  dalle predette linee guida risultino adeguate alle  specificità  del  caso concreto».

Ai sensi dell’art. 5 della legge n. 24 del 2017 l’obbligo di attenersi alle linee guida riguarda gli esercenti che agiscano «nell’esecuzione  delle prestazioni  sanitarie  con   finalità   preventive,   diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative  e  di  medicina  legale».

Gli artt. 3 e 5 della legge n. 24 del 2017 disciplinano la raccolta e la pubblicazione in determinate forme delle linee guida raccolte.

 

3.6. Già una prima lettura delle richiamate disposizioni ha consentito di affermare:

1) che l’ambito di applicazione della novella involge tutte le professioni sanitarie (es., infermieristiche, ostetriche, fisioterapiche etc.), non solo quella medica in senso stretto;

2) che manca nel testo di legge ogni riferimento esplicito al grado della colpa;

3) che l’ambito di applicazione è limitato ai soli reati codicistici di omicidio colposo e di lesioni  colpose, non già ad illeciti previsti da leggi speciali (es., interruzione di gravidanza colposa ex art. 17, comma 1, della legge n. 194 del 1978);

4) che le “linee guida” nell’accezione di cui alla novella sono quelle di cui all’art. 5, ossia il frutto della elaborazione di enti ed istituzioni, pubblici e privati, di società scientifiche ed  associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco, che sarà  istituito e regolamentato con apposito decreto del Ministro della salute; devono essere raccolte e quindi pubblicate (ai sensi del comma 3 dell’art. 5 della legge n. 24 del 2017) sempre a cura  del Ministero della salute – Istituto superiore di sanità;

5) che, in mancanza di linee guida raccolte e pubblicate nelle forme indicate, gli esercenti le professioni sanitarie si avvalgono delle buone pratiche clinico-assistenziali;

6) che indice della aspirazione del legislatore a selezionare fonti qualificate sta nella previsione di criteri per regolamentare l’iscrizione nell’apposito elenco delle predette società e associazioni, sotto il profilo della rappresentatività, della costituzione mediante atto pubblico, delle garanzie di accesso libero di professionisti aventi titolo alla loro partecipazione alle decisioni, all’assenza di scopo di lucro aut similia (art. 5, comma 2, della legge n 24 del 2017).

Si è, dunque, posto il problema del tendenziale spostamento – o meno – verso il piano delle vere e proprie regole cautelari secondo il modello classico della colpa specifica, essendosi sottolineato da parte della dottrina più attenta che si è introdotta con il comma 2 dell’art. 590-sexies cod. pen. una sorta di “presunzione relativa di non punibilità”, essendosi tentato da parte del legislatore – ma senza riuscirvi – di «traghettare la responsabilità medica verso un modello di c.d. colpa specifica» ([14]).

 

3.7. Sono balzate subito evidenti, però, attesa la scarsa chiarezza del testo normativo, le criticità della novella, schematicamente individuate nelle seguenti:

– la limitazione della punibilità solo in caso di imperizia, a condizione, però, che siano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida (o, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali) e che tali raccomandazioni risultino adeguate alle  specificità  del  caso concreto;

– la individuazione della esatta natura di tale limitazione, se cioè si tratti di una causa di non punibilità ovvero di una scriminante (con le connesse, importanti, conseguenze, anche sotto il profilo risarcitorio);

– la specificazione se, nel silenzio normativo, di cui si è detto, il grado della colpa abbia un qualche rilievo oppure no;

– quid iuris, poi, ci si è domandati, sotto il profilo intertemporale, in tema di legge penale più favorevole ?

– ultimo, importante, aspetto da comprendere appieno è quello della individuazione della linee-guida e del grado di vincolatività delle stesse.

 

3.8. Alle difficoltà interpretative della legge Gelli-Bianco ha offerto una prima risposta la Corte di cassazione, Sez. 4, con la sentenza n. 28187 del 20/04/2017, p.c. Tarabori in proc. De Luca, Rv. 270213 e Rv. 2701214, secondo cui:

«In tema di colpa medica, la nuova disciplina dettata dall’art. 590-sexies, cod. pen. (introdotta dall’art. 6, comma secondo, della legge 8 marzo 2017, n. 24) – che, nel caso di evento lesivo o mortale verificatosi a causa di imperizia dell’esercente la professione sanitaria, esclude la punibilità dell’agente il quale abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida ufficiali ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche assistenziali, e sempre che tali raccomandazioni risultino adeguate alle specificità del caso concreto – non trova applicazione: a) negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida; b) nelle situazioni concrete in cui le suddette raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiari condizioni del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate; c) in relazione alle condotte che, sebbene collocate nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo, come nel caso di errore nell’esecuzione materiale di atto chirurgico pur correttamente impostato secondo le raccomandazioni ufficiali»;

e «In tema di colpa medica, l’art. 6, comma secondo, l. 8 marzo 2017, n. 24 ha abrogato l’art. 3, comma primo, D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito, con modificazioni, dalla l. 8 novembre 2012, n. 189), il quale aveva escluso la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve in contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; ne consegue la reviviscenza della previgente più severa normativa che non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa, mentre per i fatti anteriori all’entrata in vigore del nuovo regime trova ancora applicazione, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen., la citata normativa del 2012, in quanto più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave».

In estrema sintesi, la sentenza, che ha suscitato immediatamente grande interesse in dottrina ([15]), ha ritenuto doversi escludere, nonostante il dato testuale, di trovarsi in presenza di una causa di non punibilità, individuando  nel comma 2 dell’art. 590-sexies cod. pen. una «regola di parametrazione della colpa» (così in motivazione, p. 20), ha affermato essere la disciplina posta dalla legge-Balduzzi sempre più favorevole ed ha richiamato l’art. 2236 cod. civ. come «regola di esperienza» valida anche in campo penale siccome «espressione di un principio di razionalità» (così alla p. 22 della motivazione) del sistema.

 

3.9. E’ solo di pochi mesi più tardi un intervento difforme della stessa Sezione della Corte di cassazione.

Secondo Sez. 4, n. 50078 del 19/10/32017, Cavazza, Rv. 270985, «Il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), è norma più favorevole rispetto all’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, in quanto prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria collocata al di fuori dell’area di operatività della colpevolezza, operante – ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso) – nel solo caso di imperizia e indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta (anche gravemente) imperita nell’applicazione delle stesse. (Fattispecie di colpa grave per imperizia nell’esecuzione di un intervento di lifting)».

Si tratta di decisione, a sua volta ampiamente commentata ([16]), che, interpretando letteralmente l’art. 6, comma 2, della legge n. 24 del 2017, vi ravvisa una vera  propria causa di non punibilità (pp. 7-8 della motivazione) e puntualizza che, ferma la responsabilità civile di cui all’art. 7 della legge Gelli-Bianco, tale causa di non punibilità opera limitatamente al caso di imperizia quando siano rispettate le linee guida adeguate validamente selezionate in rapporto al caso di specie, ma l’errore determinato da colpa, anche grave, interviene in  fase esecutiva e ciò al fine di restituire serenità al medico, almeno rispetto alle incriminazioni penali, e di limitare il ricorso alla c.d. “medicina difensiva” (pp. 7-8 della motivazione).

 

3.10. Ineluttabile appariva, a questo punto, il ricorso alle Sezioni Unite della S.C.

 

  1. Le Sezioni Unite Mariotti: alcuni punti fermi. – Chiamate, dunque, a pronunziarsi sul ravvisato contrasto le Sezioni Unite della S.C. con la sentenza n. 8770 del 21/12/2017, dep. 2018, Mariotti, Rv. 272174, Rv. 272175 e Rv. 272176, con ampia motivazione hanno fissato i seguenti principi di diritto:

 

«In tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, prevede una causa di non punibilità applicabile ai soli fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., e operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse; la suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse»;

 

«In tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’abrogato art. 3 comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, si configura come norma più favorevole rispetto all’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge n. 24 del 2017, sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto»;

 

«In tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, le raccomandazioni contenute nelle linee guida definite e pubblicate ai sensi dell’art. 5 della legge 8 marzo 2017, n. 24 – pur rappresentando i parametri precostituiti a cui il giudice deve tendenzialmente attenersi nel valutare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia – non integrano veri e propri precetti cautelari vincolanti, capaci di integrare, in caso di violazione rimproverabile, ipotesi di colpa specifica, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto; ne consegue che, nel caso in cui tali raccomandazioni non siano adeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente, l’esercente la professione sanitaria ha il dovere di discostarsene».

 

Accolto con alterne valutazioni ([17]), può dirsi assodato che l’intervento nomofilattico sia valso a fissare i seguenti punti fermi:

1) la legge Gelli-Bianco prevede all’art. 6, comma 2 (che introduce l’art. 590-sexies cod. pen.), una vera e propria causa di non punibilità (pp. 18-19 della motivazione della richiamata sentenza delle Sezioni Unite, Mariotti);

2) la legge-Balduzzi, prevedendo una vera e proprio abrogatio criminis dei profili di colpa lieve, è più favorevole e si applica a tutti i fatti commessi sino all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, cioè sino al 1° aprile 2017 (p. 29 della motivazione delle Sez. Unite), anche retroattivamente (art. 2, comma 2, cod. pen.);

3) si valorizza in modo particolare l’art. 2236 cod. civ. quale cardine del sistema (p. 23 della motivazione), così spostando l’attenzione dal rispetto di regole scritte da parte del sanitario al grado della colpa;

4)le linee-guida non sono vincolanti (pp. 9-10) e, anzi, è doveroso discostarsi da esse ove non siano adeguate  (p. 10; del resto, gli artt. 5, comma 1, e 6, comma 1, della legge Gelli-Bianco fanno espressamente “salve le specificità del caso concreto”[18]);

5) la decisione delle Sezioni Unite “recupera“ e ri-attualizza la tradizionale distinzione tra colpa grave e colpa lieve (pp.  23-28).

E proprio con riferimento al tema della colpa lieve è di estremo rilievo identificarne esattamente la relativa nozione, in quanto essa ha tre importanti ambiti di applicazione:

  1. a) è causa di non punibilità, limitatamente alla sola imperizia, per i fatti successivi all’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco (1° aprile 2017);
  2. b) determina la irrilevanza penale (per mancanza di un elemento costitutivo dell’illecito) indifferentemente per i tre profili di colpa sino al 1° aprile 2017;
  3. c) in ogni caso, può rilevare per la quantificazione della pena e del risarcimento danni.

“Colpa lieve”, infatti, può essere intesa sia in senso oggettivo sia in senso oggettivo (cfr. p. 26 della motivazione della decisione delle Sezioni Unite, Mariotti): in senso oggettivo, misura la distanza tra il comportamento diligente, prudente e perito che ci si doveva attendere dal soggetto agente in base alla norma cautelare e quello effettivamente posto in essere ([19]); in senso soggettivo, descrive la  situazione concreta dal punto di vista del medico (grado di esperienza, specializzazione, livello di urgenza,  novità della situazione, oscurità della vicenda, disponibilità di mezzi, impegno profuso etc.) e, conseguentemente, il rimprovero personale che si può ragionevolmente muovere all’agente ([20]).

 

5.Permanenti criticità dopo le Sezioni Unite Mariotti. – Pur con le precisazioni che si sono effettuate, permangono, dopo l’autorevole intervento delle S.C. nel massimo consesso, non poche e  non lievi criticità in tema di colpa sanitaria.

 

5.1. Anzitutto, quanto alla individuazione delle linee guida rilevanti ai sensi della legge Gelli-Bianco e al valore da attribuirsi alle stesse.

Posto, infatti, che è onere del medico la individuazione, in una prospettiva non speculativa ma  concreta, delle linee guida o delle buone prassi adeguate al caso concreto ed applicabili (e, conseguentemente,  applicate ovvero scientemente disapplicate) – infatti il medico deve essere sempre professionalmente aggiornato, come si sottolinea alla p. 21 della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite Mariotti – si pone il tema del perché della eventuale consapevole disapplicazione, ad esempio in presenza di patologie multifattoriali (che possono imporre il ricorso a più linee-guida, da coordinarsi tra loro, ovvero la non applicazione di linee-guida non “tarate” sulla peculiare situazione).

Il sistema prefigurato dalla novella tende, una volta “a regime”, ad istituzionalizzare le linee-guida mediante un meccanismo di “formalizzazione-positivizzazione” di regole (con ogni probabilità pensate dal legislatore, con scarsa aderenza alla realtà sanitaria, come qualcosa di simile a fonti di grado inferiore e a regole cautelari, ed esempio, circolari rispetto a regolamenti e regolamenti rispetto a leggi), per quanto di tipo elastico: con il vantaggio indubbio di una maggiore facilità nel reperimento sia per l’operatore sanitario che per quello giudiziario, ma anche con l’indubbio rischio di un approccio meramente “legalista” e de-responsabilizzante del sanitario e di un aumento del ricorso alla “medicina difensiva”.

Dopo una partenza in vistoso ritardo del meccanismo di raccolta e pubblicazione delle linee-guida “accreditate” (ed infatti, sino al febbraio dell’anno in corso se ne rinvenivano soltanto tre, relative ai controlli sanitari alle frontiere, alla prevenzione degli incidenti domestici in età infantile ed all’emorragia post partum), il meccanismo si è velocizzato a partire da febbraio 2020, risultandone pubblicate a fine novembre 2020, nella parte relativa all’Istituto superiore di sanità del sito ufficiale del  Ministero della salute, complessive ventiquattro.

Nel frattempo, come è ovvio, nei giudici in corso di celebrazione presso i Tribunali e le Corti «In tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, nelle more pubblicazione delle linee guida di cui all’art. 5 della legge n. 24 del 2017, la rilevanza penale della condotta ai sensi dell’art. 590-sexies cod. pen. può essere valutata con esclusivo riferimento alle buone pratiche clinico assistenziali adeguate al caso concreto» ([21]).

Le linee-guida non raccolte e non pubblicate ufficialmente nelle forme prescritte dagli artt. 3 e  5 della legge n. 24 del 2017 (ovvero – è lo stesso – non ancora raccolte e pubblicate) equivalgono, in sostanza ai “protocolli”, essendo termini impiegati nella pratica quasi come sinonimi, con una sottile sfumatura – non sempre percepibile – nel senso di una tendenziale maggiore puntualità contenutistica e vincolatività dei protocolli e di una tendenziale maggiore genericità e valore di suggerimento qualificato le linee-guida; ad essi sono sostanzialmente equiparabili le cd. checklist (vere e proprie liste da cui “spuntare” gli adempimenti).

E’ assai dubbio che le linee-guida e i protocolli possano rappresentare regole cautelari integranti, ove disattese, profili di colpa specifica, tanto che si è opportunamente proposta la prudente definizione di “fonti di cognizione delle regola cautelari” ([22]); e, ove mai lo fossero, sarebbero comunque regola cautelari improprie ([23]) ed elastiche.

Al momento debbono ritenersi regole non vincolanti o, al più, tali solo tendenzialmente tali, essendo derogabili – deve sottolinearsi: consapevolmente – in ragione delle peculiarità del caso concreto che si presenta all’attenzione del sanitario.

Appare opportuno al riguardo richiamare la definizione dello scomparso Ordinario di Medicina legale dell’Università degli studi di Torino, Prof. Mario Portigliatti Barbos, secondo cui le linee-guida in realtà «sono contingenti […] un work in progress» ([24]). Del resto, dottrina e giurisprudenza convengono nel ritenere che le linee guida, per loro stessa natura, non possono essere cristallizzate «una volta per tutte» ([25]): il giurista potrebbe, dunque, dire che si tratta di regole cautelari ma solo in senso improprio ed in linea di tendenza e, comunque “allo stato degli atti”, essendo mantenuta la libertà di cura ed il riferimento del medico ai tradizionali  parametri della “scienza e coscienza” di cui al codice di deontologia.

“Buone prassi” per lo più è espressione adoperata come semplice sinonimo di protocolli o di linee-guida (in quanto prassi recepite in studi pubblicati etc.); talora indica “usi virtuosi” del settore ovvero procedure non previste da linee-guida ma comunemente applicate e di cui sia riconosciuta scientificamente o l’efficacia terapeutica o, quantomeno, la non dannosità per il paziente, essendone riconosciuta la possibilità di una somministrazione purché consapevole e prudente ([26]).

Nell’innovativo sistema pubblicistico di accreditamento delineato dagli artt. 3 e 5 della legge Gelli-Bianco è assai delicato il momento della selezione delle linee-guida, specialmente in riferimento alla valutazione circa la qualificazione ed il disinteresse  della fonte:  vi è a monte, infatti, un fenomeno di “attività regolativa privata” che ben potrebbe essere, in ipotesi, maliziosamente sponsorizzata da assicurazioni e / o da case farmaceutiche  in qualche misura patrimonialmente “interessate” ad una certa soluzione piuttosto che ad un’altra; in ogni caso, balza evidente la necessità di un continuo aggiornamento delle linee-guida.

Tematica affine è quella delle scelte “aziendalistiche”, quali potrebbero essere, ad esempio, la incentivazione – in determinati protocolli – di dimissioni ospedaliere per mere questioni di contenimento di spesa o, peggio ancora, in relazione a calcoli circa statistiche di mortalità in regime di ricovero. In questi e consimili casi si leva netto il monito della Corte di cassazione:

«In tema di responsabilità medica, le linee guida rilevanti ai fini dell’accertamento della colpa ex art. 3 legge n. 189 del 2012, non devono essere ispirate ad esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento della spesa, poiché l’efficienza del bilancio può e deve essere perseguita sempre garantendo il miglior livello di cura, con la conseguenza del dovere del sanitario di disattendere indicazioni stringenti dal punto di vista economico che si risolvano in un pregiudizio per il paziente» ([27]).

 

5.2. Altro profilo critico sta nella frequente difficoltà di distinguere nettamente tra negligenza, imprudenza ed imperizia.

Tradizionalmente nella manualistica si descrivono: la negligenza come trascuratezza, mancanza di attenzione e di accortezza, pigrizia, disinteresse, mancata considerazione dei segnali di pericolo – riguardante per lo più condotte omissive (in altre parole, non avere fatto ciò che era doveroso fare); l’imprudenza come avventatezza, scarsa  ponderazione, mancato uso delle cautele necessarie, sottovalutazione dei, pur colti, segnali di pericolo – attenendo per lo più a colpa commissiva (avere fatto ciò che era doveroso non fare); e l’imperizia l’agire senza la conoscenza  (inesperienza) o senza l’applicazione delle leges artis che disciplinano le attività (si tratta di categoria che  riguarda regole cautelari a contenuto tecnico, specialmente ma non solo professionali, a fronte di condotte che possono avere carattere sia commissivo sia omissivo) ([28]).

Il punto è, che nella pratica, la distinzione concettuale, netta e chiara nella descrizione astratta, diviene più di qualche volta incerta (come si constata alla p. 15 della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, Mariotti, facendosi opportuno riferimento alla indubbia “fluidità dei confini” tra le categorie). Si pensi, infatti, ai seguenti casi:

il medico che somministri le terapie corrette ma con ritardo è da considerarsi negligente ovvero imperito ?

il medico che non conosca un farmaco di recente sperimentato con esito positivo e quindi immesso in commercio è imperito ovvero è stato negligente, “a monte”, nell’aggiornamento professionale (che deve essere costante, p. 21 della motivazione della sentenza Mariotti) ?

il medico che ritardi ovvero ometta un approfondimento diagnostico è imperito ovvero negligente ([29]) ?

il medico che dimetta frettolosamente un paziente è imperito ovvero è imprudente ?

il medico che somministri, provocando conseguenze negative, in modalità off-label ([30]) un farmaco, che è frequentemente così impiegato senza causare effetti negativi, è da ritenersi imprudente ?

Si tratta, con ogni evidenza, di questioni non astratte e di grande importanza pratica, poiché l’eventuale riconduzione di una condotta ad imperizia, anziché alle altre categorie, ove riconosciuta di grado lieve, potrebbe condurre all’applicazione della causa di non punibilità introdotta dalla legge Gelli-Bianco.

 

5.3. Una questione ulteriore discende dalla delimitazione della possibile rilevanza della imperizia di grado lieve alla sola fase esecutiva.

Posto, infatti, che si suole convenzionalmente distinguere nella complessa attività di cura quattro passaggi (1. anamnesi; 2. diagnosi; 3. individuazione della terapia o “alleanza terapeutica col paziente”; 4. esecuzione della terapia), ritenere rilevante solo la imperizia attinente alla fase esecutiva, cioè  per così dire “attuativo- dinamica”, porterebbe ad escludere radicalmente dalla possibilità di beneficiare della causa di non punibilità per imperizia lieve intere categorie di professionisti della sanità che, “per statuto”, effettuano diagnosi (si pensi al radiologo, all’ecografista, al tecnico sanitario di laboratorio): ciò con il rischio di una disparità di trattamento non costituzionalmente giustificabile.

 

5.4. E’ agevole rilevare, poi, che l’art. 590-sexies cod. pen. opera esclusivo riferimento ai reati di lesioni e di omicidio colposi: rimangono così fuori dalla possibilità di ritenere sussistente la causa di non punibilità per “imperizia lieve in fase esecutiva” altre – non poco importanti – fattispecie quali l’epidemia colposa (artt. 438-452 cod. pen.) e l’interruzione di gravidanza colposa (art. 17, comma 1, della legge n. 194 del 1978).

 

5.5. Infine, non può non rilevarsi che sinora non è stato possibile per i giudici di merito avvalersi del qualificato apporto della Corte di legittimità nella interpretazione della novella ([31]), e ciò per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, perché il sistema delineato dalla legge Gelli-Bianco si applica, in quanto ritenuto, come si è visto, meno favorevole della previgente disciplina, soltanto ai fatti posti in essere dal 1° aprile 2017 (data di entrata in vigore della legge n. 24 del 2017) in avanti, fatti che, in ragione dei tempi di celebrazione dei processi, non possono essere sinora giunti all’attenzione della S.C.; ed anche a causa del ridotto numero (quantomeno sino ai primi mesi dell’anno in corso) di linee guida selezionate e pubblicate nelle innovative forme di cui all’art. 5 della legge Gelli-Bianco.

 

Sussistono, dunque, plurimi aspetti critici che le Sezioni Unite nell’occasione che offre da spunto alla presenti riflessioni non avrebbero potuto affrontare ma che dovranno essere presi in considerazione – e risolti – dalla Corte di legittimità in una prospettiva che auspicabilmente valga a fare chiarezza, per quanto sia possibile in un tessuto normativo che risulta essere estremamente disagevole, circa i doveri dei sanitari e, per l’evenienza di inosservanza degli stessi, circa le eventuali responsabilità penali.

Al riguardo, potrebbe costituire utile punto di riferimento ancora una volta il risalente insegnamento della Consulta che, nella già richiamata sentenza n. 166 del 1973, assai opportunamente aveva sottolineato la necessità di tenere conto, nel peculiare ambito in esame, di «due opposte esigenze, quella di non mortificare la iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista».

La previsione dell’art. 590-sexies cod. pen., come interpretata dalle Sezioni Unite della S.C., suggerisce peraltro che la verifica sulla tenuta logica delle motivazioni delle decisioni di merito possa seguire il seguente schema (sulla falsariga, per rimanere in tema, di una checklist):

1) vi è o meno un nesso di causa ? (se la risposta è negativa, la verifica giudiziale, sia penale che civile, evidentemente, termina; se è positiva, si può procedere nel seguente ordine);

2) esistono linee-guida o buone prassi che disciplinano il caso ? (se la risposta è negativa, si è nell’ambito della colpa generica e occorre valutare la vicenda secondo i consueti canoni; se la risposta è positiva, si può ulteriormente procedere);

3) ove esistano linee-guida o buone prassi pertinenti, esse sono o meno adeguate alla concreta situazione ?

3-A) se esse, pur esistenti, non siano adeguate, è dovere del medico disattenderle e, in conseguenza, si torna alla valutazione di colpa generica;

3-B) ove, invece, le linee-guida esistano e risultino adeguate (con valutazione  da effettuarsi, naturalmente, ex ante), occorre domandarsi se il medico abbia scelto o meno di attenersi ad esse;

3-B-1) se il medico non vi si è attenuto, occorre passare ad esaminare l’elemento soggettivo, con particolare riferimento al perché abbia scelto  di non attenersi alle stesse;

3-B-2) se la risposta è positiva sotto i vari profili (cioè: le linee-guida esistono; esse sono adeguate al caso; ed il medico vi si è attenuto), è necessario passare ad esaminare il quomodo dell’attività, le modalità cioè di svolgimento della stessa;

4) ove, infatti, si accerti una imperizia di grado lieve in fase esecutiva, il fatto (inteso come contestazione di lesioni colpose ovvero di omicidio colposo), ai sensi dell’art. 590-sexies, comma 2, cod. pen., non è penalmente punibile, potendo però permanere la illeceità civile;

5) al contrario, la eventuale imperizia grave, esecutiva o meno, così come la imprudenza e la imperizia (queste ultime in ogni grado, indifferentemente lieve o grave) e, in ogni caso, i reati diversi da omicidio e lesioni colpose (aborto colposo, epidemia colposa) restano fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 590-sexies, comma 2, cod. pen. e sono governati dalle regole generali;

6) è in ogni caso opportuno che l’istruttoria si soffermi e la decisione accerti il grado della colpa, anche ove irrilevante sotto il profilo della punibilità, onde valutare il quantum di pena.

 

6.Introduzione ed impiego del sapere scientifico nel processo. – Aspettando che la Corte di legittimità si pronunzia su ricorsi in vicende che postulino l’applicazione della novella introdotta dalla legge Gelli-Bianco in tema di responsabilità penale dei sanitari, un ulteriore punto fermo (oltre a quelli di cui si è detto in precedenza, sub n. 4) può intanto fissarsi a proposito della introduzione nel processo e dell’impiego del sapere scientifico da parte del giudice, tema che qualifica non solo i processi per colpa sanitaria ma tutti quelli basati essenzialmente su prova scientifica (si pensi, ad esempio, ai processi per lesioni o per omicidio colposi derivanti da esposizione a sostanze pericolose o in conseguenza di infortuni sul lavoro o di incidenti stradali ovvero per disastro colposo).

Non vi è ragione alcuna, ad oggi, che faccia ritenere che la Corte di cassazione non ribadisca i propri capisaldi in materia, che appare opportuno richiamare:

mai il decidente potrà acquisire le conoscenze scientifiche necessarie per decidere dalla lettura solitaria, svolta nel proprio ufficio o a casa, di un dizionario medico (o di un testo di medicina o dalla navigazione in internet, quale  che si il grado di qualificazione della fonte di conoscenza o di approfondimento consultata): infatti, «Il giudice, indubbiamente, è libero di valutare tutti gli atti processuali e, quindi, anche gli esiti di una perizia. Il fatto, però, che il giudice sia, come si suol dire, peritus peritorum, non significa che può impunemente disattendere una serie di concordi conclusioni provenienti da plurime fonti qualificate, sulla base della propria scienza personale derivante dalla lettura della voce […] tratta da un semplice Dizionario di medicina […] E’ certamente encomiabile il giudice che non si adagi sulle conclusioni peritali che non lo convincono, ma, quello che non può fare, salvo casi eclatanti di perizie incongrue ed errate, è quello di disattendere le conclusioni peritali […] sulla base della propria scienza personale derivante da incerte e generiche letture di testi destinati ad un indifferenziato pubblico […] In altri termini, nei casi in cui il giudice dubiti delle conclusioni del perito, ha due strade: A) convocarlo e, nel contraddittorio delle parti, porre tutte le domande finalizzate a dissipare i dubbi derivanti dalla perizia; B) ove tale strada non lo soddisfi, nominare un altro perito al quale –dopo avere evidenziato i punti critici e le parti non convincenti della prima perizia – sottoporre tutti i dubbi» ([32]); dunque, tertium non datur.

Più recentemente, con non minore chiarezza: «In tema di istruzione dibattimentale, quando per la ricostruzione della eziologia dell’evento sia necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, il giudice non può prescindere dall’apporto della perizia per avvalersi direttamente di proprie, personali, specifiche competenze scientifiche e tecniche, perché l’impiego della scienza privata costituisce una violazione del principio del contraddittorio nell'”iter” di acquisizione della prova e del diritto delle parti di vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello stesso» ([33]); nella motivazione di tale sentenza si è spiegato che «È vero […] che l’ammissione della perizia è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice (Cass., Sez. 6, n. 34089 del 7-7-2003; Sez. 5, n.22770 del 15-4-2004). Tuttavia non si può prescindere dal rilievo che la perizia rappresenta un indispensabile strumento probatorio, allorché si accerti il ricorrere del presupposto inerente alla specificità delle competenze occorrenti per l’acquisizione e la valutazione di dati, perfino laddove il giudice possieda le specifiche conoscenze dell’esperto, perché l’eventuale impiego, ad opera del giudicante, della sua scienza privata costituirebbe una violazione del principio del contraddittorio e del diritto delle parti sia di vedere applicato un metodo scientifico sia di interloquire sulla validità dello stesso (Cass., Sez. 5, n. 9047 del 15-6-1999, Rv. 214295). L’ontologica terzietà del sapere scientifico accreditato è lo strumento a disposizione del giudice e delle parti per conferire oggettività e concretezza al precetto e al giudizio di rimprovero personale. È ben vero infatti che al giudice è attribuito il ruolo di peritus peritorum. Ma ciò non lo autorizza affatto ad intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, avventurandosi in opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica. Il ruolo di peritus peritorum abilita invece il giudice a individuare, con l’aiuto dell’esperto, il sapere accreditato che può orientare la decisione e a farne un uso oculato, pervenendo a una spiegazione razionale dell’evento. Il perito non è l’arbitro che decide il processo ma l’esperto che espone al giudice il quadro del sapere scientifico nell’ambito fenomenologico al quale attiene il giudizio, spiegando quale sia lo stato del dibattito, nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilità degli enunciati a cui è possibile addivenire, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili in un dato momento storico. Toccherà poi al giudice tirare le fila […]» ([34]).

Simili pronunzie connotano il passaggio dalla tradizionale – ormai insostenibile – fictio del giudice “peritus peritorum” al giudice quale garante del corretto metodo di acquisizione di una prova, anche di tipo tecnico-scientifico ([35]), ossia «custode e garante della scientificità delle conoscenza fattuale espressa dal processo» ([36]).

In definitiva, dunque:

non spetta – e  non può spettare – alla Corte di legittimità stabilire se una determinata tesi scientifica sia esatta o meno, non possedendo la S.C., nemmeno nella particolare  composizione a Sezioni Unite, né idonea qualificazione né proprie conoscenze privilegiate ([37]);

alla Corte di cassazione spetta soltanto – e non è poco – di valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, cioè se la spiegazione della sentenza sia razionale e logica ([38]);

«la Corte di legittimità non è per nulla detentrice dì proprie certezze in ordine all’affidabilità della scienza, sicché non può essere chiamata a decidere, neppure a Sezioni Unite, se una legge scientifica di cui si postula l’utilizzabilità nell’inferenza probatoria sia o meno fondata. Tale valutazione, giova ripeterlo, attiene al fatto. Al contrario, il controllo che la Corte Suprema è chiamata ad esercitare attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime» ([39]);

ne consegue – ulteriormente – che non sono più tollerabili e che meritano severo annullamento le non infrequenti prassi di sostituire il momento giustificativo della sentenza con il “copia ed incolla” della perizia o della consulenza, al più arricchito dalla espressione di apodittica condivisione del relativo ragionamento, risolvendosi in tal modo l’obbligo – costituzionale (art. 111) – di motivazione in un’inaccettabile “delega in bianco” ai testimoni esperti, il cui sapere, però, deve essere non già fotocopiato ma metabolizzato dal decidente, il quale è tenuto a dare conto delle difformi opinioni emerse e, più in generale, a risolvere le aporie del processo.

[1] Cfr. Carlo Brusco, La colpa penale  e civile. La colpa medica dopo la l. 8 marzo 2017, n. 24 (legge Gelli – Bianco), Milano, Giuffrè, 2017, pp. 187 ss.

[2] Così il Prof. Giovanni Persico, “I ferri del mestiere: il chirurgo ed i suoi strumenti”, nella pagina della Facoltà di Medicina e chirurgia del sito Ufficiale dell’Università di Napoli “Federico II”

(http://www.unina.it/-/1335446-i-ferri-del-mestiere-il-chirurgo-ed-i-suoi-strumenti#:~:text=Il%20bisturi%20non%20%C3%A8%20altro,impugnarli%20che%20li%20rende%20diversi).

[3] V., tra le numerose, Sez. 2, n. 19483 del 16/04/2013, Avallone ed altri, Rv. 256038; Sez. 5, n. 46406 del 06/06/2012, Paludi e altro, Rv. 254081;  Sez. 3, n. 29240 del 09/06/2005, Fiero, Rv. 232374; Sez. 2, n. 42559 del 08/10/2004, Calabrese, Rv. 230219; Sez. 1, n. 4501 del 08/01/2002, Marchegiani, Rv. 220622.

[4] Si tratta di consolidato orientamento di cui sono espressione, tra le altre, Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, p.c. in proc. Di Landa, Rv. 273265; Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313; Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005, dep. 2006, Tucci ed altro, Rv. 232973; Sez. 4, ord. n. 38818 del 04/05/2005, De Bona, Rv. 232427; Sez. 4, n. 27851 del 04/03/2004, Del Bono, Rv. 229071; Sez. 1, n. 11538 del 23/10/1997, Geremia, Rv. 209136; Sez. 4, n. 9812 del 06/05/1994, P.G., p.c. in proc. Cortese, Rv. 199692.

[5] Sez. 4, n. 1693 del 29/09/1997, dep. 1998, Azzini ed altro, Rv. 210351. In senso conforme, tra le altre, Sez. 4, n. 28617 del 16/06/2005, De Stefano ed altri, Rv. 232447; Sez. 4, n. 21473 del 21/04/2006, Maccarone e altri, Rv. 234414;  Sez. 4, n. 46412 del 28/10/2008, Calò, Rv. 242251.

[6] Sez. 4, n. 16328 del 05/04/2011, p.c. in proc. Montalto ed altro, Rv. 251960; nello stesso senso Sez. 4, n. 4391 del 22/11/2011, dep. 2012, P.C. in proc. Di Lella, Rv. 251941.

[7] Cfr., per un primo orientamento, tra i numerosissimi contributi: Carlo Brusco, La colpa penale  e civile, cit., pp. 193 ss.; Ombretta Di Giovine, “In difesa del c.d. decreto Balduzzi (ovvero: perché non è possibile ragionare di medicina come se fosse diritto e di diritto come se fosse matematica)”, in Arch. Pen., 2014, n. 1, p. 1; Cristiano Cupelli, “I limiti di una codificazione terapeutica (a proposito di colpa grave del medico e linee guida)”, osservazioni a Cass., Sez. 4, n. 16237 del 23/01/2013, imp. Cantore, in www.penalecontemporaneo.it (inserito il 10 giugno 2013); Fabio Basile, “Un itinerario giurisprudenziale sulla responsabilità medica colposa tra art. 2236 cod. civ. e legge Balduzzi (aspettando la riforma della riforma)”, ivi (ins. il 23 febbraio 2017).

[8] V., tra le altre, Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 266903 (edita in www.penalecontemporaneo.it. con osservazioni di Cristiano Cupelli “La  colpa lieve del medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il passo avanti della Cassazione (e i rischi della riforma alle porte)”); Sez. 4, n. 53453 del 15/11/2018, Di Marco, Rv. 274499.

[9] V. Sez. 4, n. 2168 del 08/07/2014, dep. 2015, Anelli, Rv. 261764; Sez. 4, n. 45527 del 01/07/2015, Cerracchio, Rv. 264897.

[10] Così la già richiamata sentenza di Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, ric. Denegri.

[11] Così al par. n. 8 del “considerato in diritto”, p. 14, di Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105 (edita in Cass. pen., 2013, f. 9, p. 2984, con osservazioni di Cristiano Cupelli, “I limiti di una codificazione terapeutica. Linee guida, buone pratiche e colpa grave al vaglio della Cassazione”; e in Giur. It., 2013, f. 12, p. 2628, con osservazioni di Giuseppe Debernardi, “La colpa lieve del sanitario; e in La Giust. Pen., 3013, f. 12, p. 686, con osservazioni di Cecilia Valbonesi, “La cassazione apre alle linee guida quale criterio di accertamento della colpa medica”), al par. n. 8 del “considerato in diritto”, p. 14.

[12] Così Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, cit., sub n. 3.4. del “considerato in diritto”, p. 11.

[13] Cfr., tra i numerosissimi contributi disponibili: Carlo Brusco, La colpa penale  e civile, cit., pp. 233 ss.; Cristiano Cupelli, “Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità della legge Gelli-Bianco”, in www.penalecontemporaneo.it (ins. il 3 aprile 2017); Gianfranco Iadecola, “Qualche riflessione sulla nuova disciplina della colpa medica per imperizia nella legge 8 marzo 2017 n. 24 (legge c.d. Gelli-Bianco)”, ivi (ins. il 13 giugno 2017); Paolo Piras, “Imperitia sine culpa non datur. A proposito del nuovo articolo 590 sexies c.p.”, ivi (ins. il 1° marzo 2017); Gian Marco Caletti, Matteo Leonida Mattheudakis, “Una prima lettura della legge Gelli-Bianco nella prospettiva del diritto penale”, ivi (ins. il 9 marzo 207); Riccardo Lucev, “La responsabilità penale del medico dopo la legge Gelli-Bianco: riflessioni sull’art. 590-sexies c.p.”, in www.giurisprudenzapenale.com (ins. il 1° settembre 2017); Francesco D’Alessandro, “La responsabilità penale del sanitario alla luce della riforma “Gelli-Bianco”, in Dir. pen. e proc., 2017, f. 5, p. 573 ss.

[14] Così Cristiano Cupelli, “Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità delle legge Gelli Bianco” cit., pp. 8 e 14.

[15] Cfr., in vari sensi, Matteo Caputo, “’Promossa con riserva’. La legge Gelli-Bianco passa l’esame della Cassazione e viene ‘rimandata a settembre’ per i decreti attuativi”, in  Riv.it. med. legale, 2017, f. 2, p. 713; Marco Colacurci, “La legge Gelli-Bianco tra interpretazione ‘correttiva’ della colpa medica e valorizzazione delle linee guida nella lettura della Suprema Corte”, ivi, 2017, f. 3, p. 1155; Cristiano Cupelli, “La legge Gelli-Bianco e il primo vaglio della Cassazione. Linee guida sì, ma con giudizio”, in www.penalecontemporaneo.it (ins. il 13 giugno 2017); Id., “La legge Gelli-Bianco in Cassazione: un primo passo verso la concretizzazione del tipo”, in Cass. pen., 2017, f. 9, p. 3164; Manuel Formica, “La responsabilità penale del medico: la sedazione ermeneutica di una riforma dal lessico infelice”, ivi  (ins. il 13 novembre 2017); Licia Risicato, “Colpa dello psichiatra e legge Gelli-Bianco: la prima stroncatura della Cassazione (concorso colposo in omicidio doloso)”, in Giur. It., 2017, f. 19, p. 2199; Gian Marco Caletti e Matteo Leonida Mattheudakis, “La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco” (colpa medica), in Dir. pen. e proc., 2017, f. 10, p. 1369; Giuseppe Amato, “Psichiatra condannato per condotta ‘leggera’ con paziente psicotico”, in Guida al diritto. Il sole 24ore settimanale, 2017, f. 28, p. 72.

Le critiche principali mosse alla decisione in questione si sono incentrate sulla segnalata interpretazione riduttiva, se non addirittura ritenuta abrogatrice, della novella, in contrasto con il tenore letterale della norma.

[16] Cfr., anche qui in vari sensi, Cristiano Cupelli, “Quale (non) punibilità per l’imperizia ? La Cassazione torna sull’ambito applicativo della legge Gelli-Bianco ed emerge il contrasto; si avvicinando le Sezioni Unite”, in www.penalecontemporaneo.it (ins. il 7 novembre 2017); Paolo Piras, “La non punibilità dell’imperizia medica in executivis”, ivi (ins. il 5 dicembre 2017); Francesca Pia Bisceglia, “Il discutibile secondo ‘lifting’ giurisprudenziale su di un tessuto normativo difettoso”, in www.archiviopenale.it (ins. il 18 gennaio 2018); Giuseppe Amato, “Sussiste la colpa quando è ravvisato un errore inescusabile”, in Guida al diritto. Il sole 24ore settimanale, 2018, f. 1, p. 74.

Tra le ritenute aporie si è evidenziata la eccessiva latitudine della portata della causa di non punibilità, anche in caso di colpa grave (con conseguente ipotetico vulnus del principio di pari responsabilità rispetto ad altre professioni intellettuali) ed il  contrasto della non punibilità anche in caso di colpa grave con il principio costituzionale del diritto alla salute e le esigenze di ristoro della vittima.

 

 

 

[17] Cfr., in vari sensi: Cristiano Cupelli, “L’art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle Sezioni Unite: un’interpretazione ‘costituzionalmente conforme’ dell’imperizia medica (ancora) punibile”, in www.penalecontemporaneo.it (ins. il 1° marzo 2018); Id., “La legge Gelli-Bianco nell’interpretazione delle Sezioni Unite: torna la gradazione della colpa e si riffaccia l’art. 2236 c.c.”, ivi, (ins. 22 dicembre 2017); Rocco Blaiotta, “Niente resurrezioni per favore. A proposito di S.U. Mariotti in tema di responsabilità medica”, ivi, (ins. il 28 maggio 2018); Gian Marco Caletti, Matteo Leonida Mattheudakis, “La fisionomia dell’art. 590-sexies c.p. dopo le Sezioni Unite tra ‘nuovi’ spazi di graduazione dell’imperizia e ‘antiche’ incertezze”, ivi (ins. il 9 aprile 2018); Paolo Piras, “Un distillato di nomofilachia: l’imperizia lieve intrinseca quale causa di non punibilità del medico”, ivi, (ins. il 20 aprile 2018); Roberto Bartoli, “Riforma Gelli-Bianco e Sezioni Unite non placano il tormento: una proposta per limitare la colpa medica”, ivi (ins. il 24 maggio 2018); Lucia Risicato, “Le Sezioni Unite salvano la rilevanza in bonam partem dell’imperizia ‘lieve’ del medico”, in Giur. It., 2018, f. 4, p. 948 ss.; Giuseppe Nuara, “Riflessioni in tema di responsabilità medica”, in www.giurisprudenzapenale.com (ins. 28 febbraio 2019); Giuseppe Amato, “Conclusione giusta in linea con la norma e contro le negligenze”, in Guida al diritto. Il sole 24ore settimanale, 2018, f. 12, p. 13; Carlo Brusco, “Responsabilità medica penale: le Sezioni Unite applicano le regole sulla responsabilità civile del prestatore d’opera”, in Dir. pen. e proc., 2018, f. 5, p. 646; Rocco Alagna, “La colpa penale del medico dinanzi alle Sezioni Unite: innovazioni, incertezze e perplessità”, in Resp. civ. e previd., 2018, f. 3, sez. 2, p. 888; Luisa Bettiol, “L’intervento delle Sezioni Unite sulla causa di non punibilità dell’art. 590 sexies c.p. in tema di responsabilità medica”, in  Foro It., 2018, f. 6, parte II, p. 366; Giovanni Canzio, Paola Proto Pisani, “Evoluzione storica e linee di tendenza della giurisprudenza di legittimità in tema di colpa medica”, in www.discrimen.it (ins. il15 ottobre 2019).

[18] Come sottolineato da Cristiano Cupelli, “Lo statuto penale della colpa medica”, cit., p. 8.

[19] Quali esempi di valutazione giudiziale di colpa in senso oggettivo si può fare utilmente riferimento alle vicende sottostanti le decisioni rese da Sez. 4, n. 3869 del 14/12/2017, dep. 2018, Boccia, non mass. (edita in Dir. pen., 2018, pp. 1695 ss, con osservazioni di Antonella Massaro “Colpa e causalità nella responsabilità penale del medico di base”) e di Sez. 4, n. 23283 dell’11/05/2016, Ric. Denegri, Rv. 266903 (edita in www.penalecontemporanoe.it, ins. il 27 giugno 2016, con osservazioni di Cristiano Cupelli, “La colpa lieve del medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il passo avanti della Cassazione (e i rischi della riforma alle porte)”: nel primo caso la  vicenda di un medico di base che omette, pur chiamato, di visitare un paziente non autosufficiente ricoverato in un centro di riabilitazione che ha una frattura ad una gamba, limitandosi a suggerire verbalmente di contattare uno specialista, con successivo decesso del paziente per tromboembolia polmonare (ricorso dell’imputato giudicato inammissibile dalla S.C.); nel secondo caso omessa diagnosi di fessurazione dell’aneurisma dell’aorta addominale (esito: annullamento con rinvio per approfondire la situazione di fatto e valutare il grado, se lieve o grave, della colpa).

[20] Si vedano, ad esempio, le valutazioni svolte nel “considerato in diritto” di Sez. 4, n. 10396 del 30/01/2018, Capuano, non mass., sempre in tema di ipotizzato ritardo da parte dell’imputato nel diagnosticare un’aneurisma dell’aorta addominale in fase di rottura.

[21] Così Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018, De Renzo, Rv. 273464.

[22] Gian Marco Caletti, “La colpa professionale del medico a due anni dalla legge Balduzzi”, in www.penalecontemporaneo.it (ins. il 10 dicembre 2014).

[23] Sulla nozione di regole cautelari improprie (tali da poter solo diminuire, ma non evitare, la probabilità di  verificazione di un determinato evento), si fa rinvio alla monografia di Paolo Veneziani, “Regole cautelari ‘proprie’ ed ‘improprie’ nella prospettiva delle fattispecie colpose causalmente orientate”, Cedam, Padova, 2003.

[24] V. Mario Portigliatti Barbos, “Le linee guida nell’esercizio della pratica clinica”, in Dir. pen. e proc., 1996, n. 7, 891-893.

[25] Così Cristiano Cupelli, “I limiti di una codificazione terapeutica” cit. p. 14. Suona chiaro il riferimento nello stesso senso che si trae dal passaggio «senza pretesa di immobilismo» che si rinviene alla p. 9 della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite, Mariotti.

[26] Esempi – in negativo – di impiego di farmaci che non può essere ricondotto a “buone prassi” si ricava dalle vicende esaminate da Sez 4, n. 37077 del 24/06/2008, ric. Ruocco e altro, Rv. 240962 (edita in Cass. pen., 2009, f. 5, p. 1953, con osservazioni di Paolo Piras, “La responsabilità del medico per le prescrizioni off label”; ed in “Guida al diritto. Il sole24ore settimanale”, 2008, f. 45, p. 65, con osservazioni di Gianfranco Iadecola, “La libertà terapeutica del sanitario va esercitata secondo ‘scienza e coscienza’”): somministrazione di un farmaco antiepilettico per combattere l’obesità, così causando lesioni al paziente; e da Sez. 4, n. 17499 del 13/03/2008, ric. Remorgida, v. 240055: somministrazione di farmaco antitumorale per tumore della prostata ad una ragazza affetta da ovaio policistico, acne, caduta di capelli ed irsutismo, in seguito deceduta a causa delle elevata tossicità del farmaco.

[27] Così Sez. 4, n. 7951 del 08/10/2013, ric. Fiorito e altro, Rv. 259334 (edita in Cass. pen., 2015, f. 2, p. 642, con osservazioni di Simona Sergio “Le condizioni per l’applicabilità dell’esonero da responsabilità per colpa professionale medica previsto dalla legge n. 189/2012”); in conformità, Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, ric. P.C. in proc. Ingrassia, Rv. 254618 (edita in Riv. it. med. legale, 2013, f. 1, p. 258, con osservazioni di Giuseppe Rotolo “Guidelines e leges artis in ambito medico”, oltre che in Dir. pen. e proc., 2013, f. 2, p. 191, con osservazioni di Lucia Risicato “Le linee guida e i nuovi confini della responsabilità medico-chirurgica: un problema irrisolto”, ed in Cass. pen., 2013, f. 5, p. 1887, con osservazioni di Maria Giuseppina Ferraro “Valore delle ‘linee guida” di sicura scientificità per l’apprezzamento della diligenza e capacità del sanitario”).

Si tratta di affermazioni rese nella vigenza della legge-Balduzzi ma integralmente riproponibili nel vigore della legge Gelli-Bianco.

[28] Per una efficace distinzione tra negligenza, imprudenza ed imperizia v. Sez. 4, n. 24384 del 2018, ric. Masoni, Rv. 273536, sub n. 5 del “considerato in diritto”, pp. 11-14 (si tratta di un caso in cui si è ritenuto costituire condotta sia negligente sia imperita l’avere sottovalutato i segni, pur presenti nella paziente, di un’occlusione intestinale degenerata in perforazione, seguita da morte della stessa).

Può anche essere utile richiamare una distinzione che si rinviene nella motivazione di una interessante sentenza della Cassazione civile, Sez. 3 civile, n. 9471 del 19/05/2004, B.A. vs. Assitalia  spa, Rv. 572945 (edita in Giur. It., 2005, f. 3, p. 472, con nota di Elisabetta Giovardi; ed in Riv. It. med. legale, 2005, f. 6, p. 1141, con osservazioni di Sabrina Pecora, “Entra in scena la responsabilità ‘paraoggettiva’ del medico. L’incidenza del dovere d’informativa e la natura di ‘(quasi) risultato’ dell’obbligazione professionale nel recente pronunciamento della Corte di cassazione”) in un caso di rettifica chirurgica dei caratteri sessuali esteriori mal riuscita). Vi si legge che oggi può intendersi la negligenza come violazione di regole sociali e non solo come mera disattenzione, l’imprudenza quale violazione delle modalità imposte dalle regole sociali per l’espletamento di certe attività e l’imperizia come violazione delle regole tecniche di settori determinati della vita di relazione e non più soltanto come insufficiente attitudine all’esercizio di arti e professioni.

[29] E’ il caso sottostante la richiamata (alla nota precedente) decisione di Sez. 4, n. 24384 del 2018, ric. Masoni, Rv. 273536, che afferma sussistere nella fattispecie sia imperizia che negligenza (p. 14 della motivazione).

[30] Si intende per impiego off-label (letteralmente: al di fuori dell’etichetta o del foglietto) quello consapevolmente operato, con il consenso del paziente, per indicazioni diverse da quelle per le quali il medicinale è stato autorizzato. Precedente di legittimità interessante sul punto è quello già richiamato (alla nota n. 25) di Sez. 4, n. 37077 del 24/06/2008, Ruocco e altro, Rv. 240962, che ha precisato che «Il medico che prescriva medicinali “off label” (cioè per finalità terapeutiche diverse da quelle che gli sono riconosciute) e che non agisca in via del tutto sperimentale, risponde a titolo di colpa e non di dolo delle lesioni riportate dal paziente a causa della loro somministrazione, qualora non abbia compiuto un’attenta valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla particolare utilizzazione del farmaco che era possibile prevedere sulla base della situazione clinica del paziente medesimo. (Fattispecie relativa alla prescrizione di un medicinale antiepilettico nell’ambito di un terapia relativa alla cura dell’obesità, in cui il medico, nell’aumentare il dosaggio del farmaco, aveva omesso di procedere ad adeguata attività di monitoraggio del paziente e di valutare le ragioni della mancanza di una reazione positiva ai dosaggi inferiori)».

[31] Cfr. i contributi di Laura Anna Terrizzi, “Linee guida e saperi scientifici ‘interferenti’: la Cassazione continua a non applicare la legge Gelli Bianco” (nota a Cass., Sez. 4, n. 15178 del 12 gennaio 2018, ric. Tessitore, Rv. 273012), in www.penalecontemporaneo.it  (ins. il 12 luglio 2018), e di Paolo Piras, “L’accertamento della colpa medica nella giurisprudenza post Mariotti”, ivi (ins. il 18 gennaio 2019).

[32] Così, con particolare efficacia, la motivazione, alla p. 7, di Sez. 2, n. 9358 del 12/02/2015, P.C. in proc. Renna, Rv. 262840, la cui massima ufficiale recita: «Il giudice non può disattendere i risultati di una perizia sulla sola base della propria scienza personale derivante da incerti e generici elementi non specialistici, essendo tenuto a risolvere i dubbi e i punti critici mediante l’esame dell’ausiliario o la nomina di un altro perito. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto illegittima la confutazione dei dati medici relativi alle condizioni della vittima del reato di circonvenzione di incapace sulla base del contenuto della voce “demenza” tratta da un dizionario medico».

[33] Massima ufficiale tratta da Sez. 4, n. 54795 del 13/07/2017, Grossi, Rv. 271668.

[34] Così alla p. della motivazione della hià richiamata sentenza di Sez. 4, n. 54795 del 13/07/2017, Grossi, pp. 4-5.

[35] Si vedano al riguardo le efficaci considerazioni svolte al n. 2 del “considerato in diritto” (specc. pp. 6-7) di Sez. 4, n. 49884 del 16/10/2018, Pinto, Rv. 274045, la cui massima ufficiale recita: «In tema di prova scientifica, la perizia rappresenta un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l’accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l’utilizzo di saperi extragiuridici e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al giudice è chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale è chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell’apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un’altra. (Fattispecie in tema di responsabilità sanitaria)».

[36] Così nella motivazione (par. n. 14, p. 37,  del “considerato in diritto”) di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e  altri, Rv. 248943 (edita  in Cass. pen., 2011, f. 5, p. 1713, con osservazioni di Roberto Bartoli, “Responsabilità penale da amianto: una sentenza destinata a segnare un punto di svolta?” ; oltre che in Dir. pen. e proc., 2011, f. 11, p. 1341, con osservazioni di Paolo Tonini, “La Cassazione accoglie i criteri Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza”, ed in Riv. it. med. legale, 2011, f. 2, p. 489, con osservazioni di Mauro Barni, “Il medico legale e il giudizio di causalità: il caso del mesotelioma da asbesto”).

[37] Affermazione risalente alla già richiamata sentenza di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini ed altri (par. n. 14 del “considerato in diritto”,  p. 37); nello stesso senso, ex plurimis, di recente, Sez. 4, n. 25532 del 16/01/2019, P.G. in proc. Abbona,Tupini ed altri, Rv. 276339-01-02, in motivazione, sub n. 6.5.2 del “considerato in diritto”, p. 110.

[38] Al riguardo appaiono illuminanti le considerazioni svolte, tra l’altro, ai paragrafi nn. 14, 15 e 16 del “considerato in diritto” della già richiamata decisione di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, riprese, di recente, dalla sentenza di Sez. 4, n. 55055 del 10/11/2017, P.G. ed altri in proc. Pesenti, Rv. 271718 e Rv. 271719 (v. spec. punto n. 4 del “considerato in diritto”, pp. 33-34).

[39] Così Sez. 4, n. 27521 del 07/03/2018, Rollo, non mass., sub n. 4.4. del “considerato in diritto”.

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