L’effettività dell’art. 115-bis c.p.p. a tutela della presunzione di innocenza, tra dimensione processuale ed extraprocessuale: il recente approdo della Cassazione

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha chiarito che l’istanza di correzione prevista dall’art. 115-bis c.p.p. è l’unico rimedio esperibile avverso un provvedimento di archiviazione nel quale siano spese indebite affermazioni colpevoliste. Il presente contributo si pone l’obiettivo di porre in rilievo la fragilità del rimedio codicistico di recente conio, anche in virtù delle plurime dimensioni che la presunzione di innocenza ha assunto in una prospettiva multilivello.

The italian Supreme Court has clarified that the request for correction given by article 115-bis c.p.p. is the only remedy available against a dismissal order in which are also made statements of guilt. This paper aims to highlight the fragility of the remedy enlisted above, by focusing also on the multiple dimensions that the presumption of innocence has assumed in the multilevel system of rights protection.

Sommario: 1. – Il diritto fondamentale alla presunzione di innocenza, tra dimensione nazionale e sovranazionale; 2. –  Il precedente della Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1999 n. 1560: l’abnormità del decreto di archiviazione che operi indebite affermazioni sulla colpevolezza della persona indagata; 3. – Il recente intervento della Corte costituzionale (sent. 41/2024): il diritto dell’indagato e dell’imputato ad un rimedio effettivo dinanzi ad una decisione giudiziaria lesiva della presunzione di innocenza; 4. –  Il recente arresto dei giudici di Piazza Cavour: la non cumulabilità del ricorso per abnormità e dell’istanza ex art. 115-bis c.p.p.

  1. Il diritto fondamentale alla presunzione di innocenza, tra dimensione nazionale e sovranazionale

Sullo sfondo della pronuncia in esame si erge il diritto fondamentale alla presunzione di innocenza, per come declinato nell’odierno sistema di tutela multilivello dei diritti.  

Indubbiamente tale profilo va posto anche in rapporto alla natura neutra del decreto di archiviazione[1], che proprio in ossequio a tale caratteristica ontologica non solo non può farsi contenitore di una valutazione di colpevolezza dell’indagato ma non può nemmeno di per sé avere per il medesimo effetti pregiudizievoli, specularmente a quanto accade con la mera iscrizione della notitia criminis nel registro delle notizie di reato[2].

La presunzione di innocenza trova, come noto, un suo referente costituzionale nell’art. 27 comma 2[3] e in innumerevoli proiezioni di carattere sovranazionale ed internazionale nelle principali carte dei diritti[4].

Senza dilungarsi sul punto, è ormai pacifico che la nostra mirabile Carta fondamentale riconosca il diritto alla presunzione di innocenza con il tanto dibattuto[5] inciso «L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva».

Ad oggi, anche alla luce del contesto sovranazionale e internazionale non ha più alcuna utilità la distinzione tra presunzione di innocenza e presunzione di non colpevolezza, come non hanno più ragion d’essere le accese riflessioni che hanno caratterizzato il secolo scorso circa l’insita contraddizione sussistente tra il discorrere di “presunto innocente” da un lato, e l’operare l’accertamento penale, dall’altro[6].

Il principio, nella sua attuale conformazione, per come declinato anche in prospettiva multilivello funge sia da regola di trattamento dell’indagato/imputato, sia da regola probatoria e di giudizio[7].

Con particolare riferimento alle questioni oggetto della presente nota assume spiccato rilievo la prima tipologia di regola, che impedisce di trattare la persona sottoposta alle indagini o l’imputato come se fosse colpevole[8], ancorché con indubbi e conseguenti riflessi in termini di riparto dell’onere della prova e di applicazione del canone dell’in dubio pro reo[9].

Tale principio trova enunciazione anche nell’art. 6 paragrafo 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in innumerevoli pronunce[10].

Tali arresti hanno consentito di mettere ancora di più a fuoco la presunzione di innocenza, evidenziandone aspetti che talora sembrano essere posti in secondo piano. In particolare, come già sottolineato in dottrina[11], l’interpretazione consegnataci dalla sentenza Allen c. Regno Unito può essere intesa come punto di partenza per il recente approdo sovranazionale con l’adozione della direttiva (UE) 2016/343. Nel citato caso deciso dai giudici di Strasburgo si staglia nitidamente sullo sfondo concettuale la tutela rafforzata che il principio qua in esame presta anche alla sfera reputazionale della persona indagata o imputata, non limitandosi pertanto a fornire protezione dinanzi ad un indebito trattamento endoprocessuale di dette persone alla stregua di veri e propri colpevoli[12]. Assumerebbe pertanto rilevanza, così opinando, non soltanto una dimensione processuale della presunzione di innocenza ma altresì una componente di natura extraprocessuale.

Rispetto al contesto europeo, non molti anni addietro è entrata in vigore la Direttiva (UE) 2016/343[13] volta a rafforzare le normative previste dagli Stati membri a tutela della presunzione di innocenza. Lo Stato italiano è addivenuto solamente nel 2021 all’attuazione di tale fonte europea con d.lgs. 188/2021, cercando di correre ai ripari una volta che ha iniziato a scorgere all’orizzonte il rischio dell’avvio di una procedura di infrazione nei suoi confronti[14]. Ciò in quanto in prima battuta si era ritenuto che l’ordinamento giuridico italiano fosse già dotato delle previsioni normative sufficienti a fornire il livello di tutela richiesta dalla citata direttiva. Ecco perché la prima legge delega sul punto è sostanzialmente naufragata. Solo successivamente, per i motivi (decisamente poco virtuosi) poc’anzi enunciati, si è deciso di delegare di nuovo il governo per l’attuazione della direttiva europea, addivenendo in tal modo all’adozione del decreto legislativo n. 188 del 2021 che è stato capace, fin da subito, di agitare gli animi dei più illustri giuristi[15].

Andando con ordine ed incominciando dalla fonte europea. Dalla lettura del considerando n. 9 emerge come la direttiva in commento si sia posta come obiettivo principale quello di addivenire ad un rafforzamento della presunzione di innocenza, come parte del diritto ad un equo processo, attraverso la sollecitazione degli Stati membri affinché adottino, a tal fine, “norme minime” volte ad apprestare una tutela che non sia inferiore agli standard minimi imposti dalla direttiva[16].

Di centrale importanza è poi – anche rispetto alla novizia decisione della Corte di cassazione qua in esame – il considerando n. 16 che induce a ravvisare una chiara violazione della presunzione di innocenza tutte le volte in cui la persona indagata o imputata sia presentata come colpevole all’interno delle decisioni giudiziarie diverse da quelle volte a statuire sulla colpevolezza. Il considerando specifica poi che non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della tutela altre tipologie di atti come quello – esemplificato dalla direttiva – attraverso il quale il pubblico ministero formula l’imputazione[17]. Dovrebbero poi rimanere estranee alla tutela in esame, sempre volgendo lo sguardo alle esemplificazioni operate dalla direttiva, le decisioni concernenti le misure cautelari in virtù delle valutazioni che, come noto, sono richieste al giudice per la loro applicazione[18].

Tale considerando trova poi una sua proiezione nell’art. 4 del corpo della direttiva che si riferisce proprio alla necessità che gli Stati membri adottino delle normative volte: da un lato, ad evitare che la persona sia presentata come colpevole fino a quando la colpevolezza della stessa non sia stata legalmente accertata[19]; dall’altro, a porre rimedio a possibili violazioni di tali previsioni attraverso la predisposizione – ai sensi dell’art. 10 della direttiva – di un ricorso effettivo.

Per quanto attiene al tema in esame relativo alle decisioni giudiziarie colpevoliste, il domestico decreto delegato del 2021 non ha poi condotto ad una soddisfacente attuazione della direttiva europea essendosi limitato, come sottolineato da più voci[20], ad una mera trasposizione acritica del relativo contenuto, anche letterale. L’art. 4 comma 1 lett. a) del d.lgs. 188/2021 ha introdotto nel codice di procedura penale il nuovo art. 115-bis che non fa altro che riprendere pedissequamente la formulazione delle disposizioni sovranazionali che sono formulate in modo tale da poter essere filtrate dai diversi ordinamenti degli Stati membri entro una discrezionalità limitata dalla necessità che sia garantito un livello di tutela almeno pari a quello previsto dalle varie fonti europee e internazionali per le situazioni giuridiche qua rilevanti[21].

Ciò che è scaturito dal recepimento è una normativa dal contenuto alquanto opaco e poco incline a riflettere una effettiva “garanzia della presunzione di innocenza”, volendo riprendere la rubrica della norma in esame.

Cercando di operare un esame più approfondito dell’art. 115-bis, si può innanzi tutto scindere il suo contenuto in tre parti: a) la prima consistente nell’enunciazione al comma 1 di un generale divieto di presentare la persona indagata/imputata come colpevole prima che sia intervenuta una condanna definitiva salvi gli “atti del pubblico ministero volti a dimostrarne la colpevolezza”; b) la seconda consistente nel prevedere – al comma 2 –  alcune eccezioni al divieto di cui al comma 1, attraverso una sua edulcorazione volta a imporre nella sostanza ai magistrati l’impiego di un lessico maggiormente ponderato e asciutto in tutti quei provvedimenti – sempre diversi da quelli volti ad accertare la responsabilità penale – che richiedono, per la loro adozione, delle valutazioni di prove o indizi che latu sensu potrebbero richiamare, soprattutto nella mente del profano, una statuizione in termini di colpevolezza; c) La previsione nei commi 3 e 4 di un rimedio per la violazione del generale divieto di cui al comma 1.

I principali problemi di questa nuova norma sono sostanzialmente due: in primo luogo nella sua formulazione letterale, che non fa altro che appiattirsi sulla lettera della direttiva, consegnando agli interpreti una disciplina alquanto oscura; sotto un altro aspetto di pari importanza v’è la declinazione di un rimedio che in taluni casi, come si dirà più avanti, rischia di creare un vero e proprio corto circuito, foriero di una grave (e non “emendata”) lesione della presunzione di innocenza.

Fin dalla lettura del primo comma emergono infatti seri interrogativi circa l’ampiezza di operatività del divieto menzionato[22], soprattutto alla luce della già richiamata affermazione nebulosa volta ad escludere dalla sua sfera di applicazione tutti gli atti del pubblico ministero che sono volti a dimostrare la colpevolezza della persona. Ovviamente, attraverso la lettura del considerando 16 della direttiva, appare chiaro come il legislatore, nell’intento di ricalcare a pieno tale previsione sovranazionale, si sia limitato ad includere nella norma domestica il principio generale (riflesso poi nell’art. 4 della direttiva) ma non la relativa e chiara esemplificazione che già nella direttiva viene operata rispetto all’atto di imputazione. Operando in questi termini, senza una chiara indicazione di quali atti rientrino o non rientrano nel divieto, ha messo dinanzi all’esegeta una disciplina a maglie larghe, che rischia soltanto di disorientare e rendere difficile la concreta applicazione della norma.

Sul punto, è di recente intervenuta la giurisprudenza di legittimità[23] nel senso di escludere la possibilità di censurare attraverso il rimedio di cui all’art. 115-bis il contenuto degli atti della polizia giudiziaria o degli articoli giornalistici.

La lettera delle ulteriori eccezioni al divieto, previste dal comma 2, parimenti non crea alcun tipo di conforto. Di nuovo, considerando n. 16 e art. 4 alla mano, pare che il legislatore non abbia fatto altro che riprendere letteralmente tali previsioni, seppur con qualche lieve adattamento resosi necessario per rendere il testo della norma maggiormente affine alla disciplina dell’adozione delle misure cautelari, che la direttiva riporta come esempio nel citato considerando.

Peraltro, rispetto al tema delle ordinanze de libertate attenta dottrina[24] sottolinea come in relazione all’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. c) sia richiesta al giudice una valutazione che certamente postula una anticipazione del giudizio di colpevolezza, dovendosi infatti valutare se vi sia il pericolo concreto e attuale che la persona indagata/imputata possa commettere ulteriorireati della stessa specie di quello per il quale si sta procedendo. Così delineata la situazione, appare con sufficiente nitidezza la difficoltà di applicare il rimedio di cui all’art. 115-bis rispetto a questa particolare tipologia di provvedimenti, proprio in ossequio alle peculiari valutazioni – anche di ordine personologico – che si impongono al giudice.

L’ulteriore profilo problematico della recente disciplina concerne proprio la strutturazione del rimedio esperibile dinanzi ad una violazione del divieto di decisioni penali colpevoliste, che siano diverse da quelle volte ad accertare la responsabilità penale.

Come anticipato, è possibile chiedere la correzione al giudice che procede[25] potendosi poi esperire opposizione, avverso il relativo decreto motivato, dinanzi al presidente del tribunale o della corte, che decide con decreto senza formalità. Qualora il provvedimento da opporre sia stato adottato proprio dal Presidente del Tribunale o della Corte, si seguono le previsioni di cui all’art. 36 c.p.p.

L’iniziale formulazione letterale della norma prevedeva, sul punto, la possibilità di ottenere la correzione del provvedimento esperendo ricorso allo stessogiudice che lo aveva emesso. Dinanzi sempre allo stesso giudice era poi prevista la possibilità di opposizione al decreto motivato dallo stesso adottato in precedenza[26].

Fin da subito sono apparsi con nitore gli ovvi rischi connessi all’effettività del rimedio declinato in tali termini e sono stati posti in rilievo nel Dossier del Senato[27], che per fortuna ha poi condotto all’attuale formulazione che, ancorché imperfetta, fornisce quantomeno una lontana parvenza di tutela.

2. Il precedente della Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1999 n. 1560: l’abnormità del decreto di archiviazione che operi indebite affermazioni sulla colpevolezza della persona indagata

La sentenza in commento richiama – al pari della pronuncia della Consulta alla quale si farà cenno nel prosieguo – un risalente orientamento della Corte di cassazione che individuava come unico rimedio esperibile dinanzi a decisioni colpevoliste quello del ricorso per cassazione volto a censurare l’abnormità delle stesse.

L’abnormità è una tipologia peculiare di vizio che può affliggere un provvedimento e che ha una genesi squisitamente giurisprudenziale[28].

L’ammissione del ricorso immediato per cassazione per dolersi dell’abnormità del provvedimento sorge come deroga al principio di tassatività delle impugnazioni, muovendo dall’esegesi dell’art. 111 comma 7 Cost.[29] e consentendo così di poter censurare in sede di legittimità tutti quei provvedimenti affetti da vizi molto gravi ma che, per ovvie ragioni, non furono fisiologicamente prevedibili ex ante dal legislatore codicistico[30].

Ad oggi, infatti, il ricorso per abnormità è un rimedio ontologicamente dotato del carattere di residualità[31] e di sussidiarietà[32], essendo pertanto esperibile ogni volta in cui non siano previsti rimedi alternativi.

Tale patologia caratterizza tutti quei provvedimenti che per l’eccentricità del loro contenuto si pongono al di fuori degli schemi previsti dal sistema processuale ovvero che, pur rientrando all’interno di tale sistema, facciano conseguire la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo[33].

Rispetto alla prima categoria di provvedimenti menzionata si suole discorrere di abnormità strutturale mentre per quanto attiene alla seconda, si suole discorrere di abnormità funzionale[34].

Connotata da elevato nitore è la definizione contenuta in una sentenza della cassazione del 1997[35], richiamata dalla recente pronuncia qua in commento, che definisce come « […] affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite».

L’atto che fu oggetto di censura in sede di legittimità era un provvedimento di archiviazione per amnistia nel quale il giudice si è indebitamente speso con «ampia e particolareggiata motivazione» nell’attribuire della responsabilità penale per il delitto di strage[36]. Ciò, ad avviso del supremo collegio, contrasta a pieno con la neutralità del decreto di archiviazione che, proprio per tale caratteristica, è fisiologicamente sfornito di mezzi di impugnazione.

Il caso delle archiviazioni “vestite”[37], in base alla sentenza qua richiamata, rientra nella categoria dell’abnormità strutturale[38]. Ciò in quanto il provvedimento con il quale si dispone l’archiviazione ma che, al contempo, operi anche indebite affermazioni volte ad ascrivere la responsabilità penale all’indagato, si mostra caratterizzato da un contenuto così eccentrico rispetto a quello tipico e legato indissolubilmente alla natura neutra del provvedimento di archiviazione che non solo echeggia quello tipico della sentenza di condanna[39], ma conduce altresì a collocare tale provvedimento al di fuori del limiti imposti dal sistema processuale.

E sul punto non potrebbe trovare mai applicazione durante la fase delle indagini, si sottolinea[40], la disciplina dettata per il processo di cui all’art. 129 c.p.p., che fa prevalere la declaratoria di non punibilità – più favorevole – rispetto a quella di estinzione del reato.

Pertanto, l’assenza di strumenti di impugnazione per quanto attiene al provvedimento di archiviazione[41], unita all’assenza di rimedi ad hoc per correggere il contenuto dell’atto ha condotto la giurisprudenza di legittimità, da questo primo arresto fino ad oggi, ad individuare nel ricorso per abnormità l’unico rimedio concretamente esperibile.

3. Il recente intervento della Corte costituzionale (sent. 41/2024): il diritto dell’indagato e dell’imputato ad un rimedio effettivo dinanzi ad una decisione giudiziaria lesiva della presunzione di innocenza.

Altro precedente rilevante e che viene richiamato espressamente nel corpo della sentenza in commento è il recente approdo della Corte costituzionale[42] che si è espressa sulla questione ad essa sottoposta nel senso di non dichiarare illegittima costituzionalmente la parte dell’art. 411 c.p.p. in cui non si prevede che – al pari di quanto delineato per l’indagato che si è visto archiviare il procedimento penale a suo carico per aver commesso un fatto di particolare tenuità – debba essere notificato alla persona sottoposta alle indagini il provvedimento con il quale viene disposta l’archiviazione.

Nel caso concreto v’era un decreto di archiviazione per intervenuta prescrizione con il quale, in sostanza, si è altresì affermata la sussistenza di elementi idonei a fondare la responsabilità penale dell’indagato e del quale la persona sottoposta alle indagini è venuta a conoscenza solamente in corrispondenza di un altro procedimento penale da lei promosso[43]. Questi ha allora proposto reclamo ex art. 410-bis c.p.p. avverso tale decreto per lamentare la violazione del contraddittorio in quanto non ha ritenuto di essere stato posto – a causa della mancata informazione della richiesta di archiviazione in quanto non legislativamente prevista – nelle condizioni di esercitare il proprio diritto a rinunciare alla prescrizione e, conseguentemente, a difendersi provando.

Il giudice del reclamo ha sollevato questione di costituzionalità in quanto il rimedio ex art. 410-bis c.p.p. sarebbe: da un lato, volto ad apprestare la necessaria tutela al diritto al contraddittorio ma dall’altro, non potrebbe essere esperito oltre le ipotesi tassative ivi previste.

La Consulta, oltre a non ritenere fondate le censure di costituzionalità mosse alla disciplina dell’archiviazione ordinaria, ha altresì statuito che non debba reputarsi incostituzionale la mancata previsione per l’indagato[44] della possibilità di provocare un accertamento negativo sulla notizia di reato ogni volta in cui si venga poi a trovare dinanzi ad un provvedimento nel quale sono utilizzate affermazioni colpevoliste lesive della presunzione di innocenza, della sua reputazione e per il quale non è stato apprestato dall’ordinamento un rimedio effettivo[45], non potendosi poi subordinare tale tutela alla rinuncia a profittare della prescrizione del reato, che comunque costituisce un suo diritto[46].

Ciò che sta a monte del ragionamento della Consulta è la natura neutra sia del provvedimento con il quale viene disposta l’archiviazione, sia di quello di iscrizione della notizia di reato nel relativo registro: solo postulando la totale assenza di conseguenze pregiudizievoli – e da qui la natura neutra dei provvedimenti in questione – per la persona indagata è possibile sostenere che questa non abbia al pari dell’imputato il diritto a rinunciare alla prescrizione per provocare un accertamento in contraddittorio sull’infondatezza dell’accusa mossa a suo carico. L’acquisizione della qualifica di imputato postula a monte, come noto, la formulazione di un’accusa a suo carico con l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero e dinanzi alla quale avrebbe, ad avviso della Corte, maggiore coerenza logica il riconoscimento del diritto a rinunciare alla prescrizione – come poi è stato formalizzato nell’art. 157 c.p. – e a provocare l’accertamento negativo dianzi richiamato. Sul punto, l’impiego della disciplina di cui all’art. 61 c.p.p.  – volto ad estendere i diritti e le garanzie riconosciute dell’imputato anche alla persona indagata – per applicare il richiamato art. 157 anche all’indagato non pare possibile: ad avviso della Corte costituzionale non potrebbe accogliersi un’interpretazione volta ad estendere all’indagato la proiezione processuale dell’istituto della prescrizione, la cui natura è squisitamente sostanziale.

Dalla lettura della sentenza la Corte sembra far prevalere – anche rispetto ad esigenze di economia processuale[47] – il fondamentale diritto a non essere presentati come colpevoli prima che si sia concluso l’accertamento penale, anche a tutela della sua sfera reputazionale[48].

Per quello che poi interessa maggiormente in questa sede, i giudici costituzionali si sono espressi in termini di “patologia” rispetto ad una richiesta di archiviazione nella quale siano spese affermazioni sulla colpevolezza della persona indagata, poi fatte interamente proprie dal giudice per le indagini preliminari nel proprio e consequenziale provvedimento col quale ha disposto l’archiviazione.

La Consulta sottolinea come siffatta decisione sia lesiva della presunzione di innocenza e altresì del diritto di difesa a causa dell’assenza di un rimedio volto a censuare tali indebite affermazioni, che nel caso in esame contrastano altresì – come già rilevato – con la neutralità propria del provvedimento di archiviazione e con la tendenziale segretezza che connota la fase delle indagini preliminari.

Sul punto ecco che i giudici in primis richiamano il precedente prima citato del 1999 della Corte di cassazione, che parrebbe qualificare in termini di abnormità strutturale[49] siffatta tipologia di provvedimenti, per poi dar conto della recente direttiva europea e della sua attuazione nel 2021 che ha condotto all’introduzione del nuovo rimedio codicistico nell’art. 115-bis.

In realtà – si sottolinea al paragrafo 4.3 muovendo dal combinato degli artt. 4 e 10 della direttiva 343 – anche in assenza di tale disciplina rimediale ad hoc si sarebbe comunque potuto riconoscere in capo all’indagato e all’imputato un diritto immediatamente azionabile ad un rimedio effettivo.

In seguito alla pronuncia della Consulta, qua richiamata, è intervenuta la Corte di cassazione con una ulteriore sentenza, depositata il 4 marzo 2025[50].

Tale occasione ha consentito alla Suprema Corte di chiarire, facendo proprie le riflessioni della Corte costituzionale (sent. 41/2024), che avverso i provvedimenti di archiviazione colpevolisti emessi successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 188/2021 può essere esperito solamente il rimedio di cui all’art. 115-bis c.p.p., dovendosi invece far applicazione del solo ricorso per cassazione volto a censurarne l’abnormità ex art. 111 comma 7 Cost. nelle restanti ipotesi in cui i provvedimenti siano antecedenti alla riforma.

4. Il recente arresto dei giudici di Piazza Cavour: la non cumulabilità del ricorso per abnormità e dell’istanza ex art. 115-bis c.p.p.

Come si è dato conto in apertura del presente contributo, la cassazione si è espressa nel senso di non ammettere il cumulo dei rimedi fin qua delineati, delineando un regime che non è qualificabile neppure in termini di alternatività[51].

A tale conclusione si perviene agevolmente – volendo riproporre il ragionamento dei magistrati – facendo correre la mente alla natura residuale del ricorso per cassazione volto a censurare l’abnormità del provvedimento: ciò viene sottolineato dalla Corte nella risalente sentenza del 1999 e viene richiamato in termini perentori nella pronuncia qua in commento.

Essendo infatti l’assenza di rimedi la condicio sine qua non per poter discorrere di ricorso ex art. 111 Cost. per lamentare l’abnormità del provvedimento, ecco che dinanzi all’introduzione della disciplina di cui all’art. 115-bis c.p.p. non sembra più ammissibile ravvisare nel ricorso per abnormità un possibile rimedio per le archiviazioni colpevoliste.

Tale conclusione, che qualifica in termini di effettività il rimedio di recente conio, rischia di condurre a seri vulnus di tutela delle fondamentali istanze che vengono qua in evidenza.

L’art. 115-bis prevede infatti che l’istanza di correzione debba essere rivolta al giudice che procede e che nelle indagini preliminari è il G.i.p., colui che altresì dispone l’archiviazione. Ecco che è probabile, almeno rispetto al caso delle archiviazioni colpevoliste, che questo primo livello di tutela previsto dal comma 3 sia nei fatti di scarsa effettività: difficilmente il magistrato che ha adottato un certo provvedimento con una certa motivazione tornerà sui suoi passi.

Invero, anche l’eventuale opposizione esperibile avverso il decreto motivato adottato ai sensi di tale comma 3 parrebbe mostrarsi ben poco capace di tutelare il diritto alla presunzione di innocenza: viene infatti rivolta al presidente del tribunale o della corte della quale fa parte lo stesso magistrato che si è pronunciato in sede di correzione.

Il Consiglio Superiore della Magistratura[52], acutamente, ha posto in evidenza l’eccessiva brevità dei termini che il giudice è tenuto a rispettare per operare la correzione del provvedimento. L’art. 115-bis c.p.p. prevede infatti che il giudice debba provvedere sull’istanza di correzione entro 48 ore, termine irragionevolmente ristretto se solo si considera l’arretrato che, purtroppo, fisiologicamente affligge il nostro sistema.

Di fatto è poi possibile, come occorso nel merito della vicenda che ha condotto poi alla Suprema Corte, che non si riesca ad ottenere la correzione in quanto l’istanza è stata dichiarata inammissibile e la successiva opposizione è stata rigettata.

La mancata correzione, per qualsivoglia motivo, conduce pertanto alla conservazione del contenuto colpevolista di un provvedimento diverso da quelli volti ad accertare la responsabilità penale e che si pone per tali ragioni come chiaramente lesivo della presunzione di innocenza nelle sue varie declinazioni, siano esse più risalenti – e volte a garantire, nel complesso, un equo processo – siano invece di derivazione più recente, come quella sfumatura del principio delineata dalla Corte di Strasburgo nel già richiamato caso Allen c. Regno Unito[53] e volta a garantire una tutela rafforzata della reputazione della persona indagata o imputata[54].

L’impossibilità di esperire il ricorso per abnormità in virtù delle motivazioni esposte consente di ravvisare chiaramente la fragilità del rimedio di cui all’art. 115-bis[55].

Ciò pare desumibile anche da un ancor più recente arresto[56] – richiamato nel paragrafo precedente – col quale, soffermandosi su questioni di diritto intertemporale, la Corte di cassazione ha altresì confermato l’interpretazione prospettata in precedenza con la pronuncia qua in commento.

In tale provvedimento, la Corte: da un lato, chiarisce – facendo proprie le valutazioni della Corte costituzionale – che il rimedio di cui all’art. 115-bis è applicabile, in virtù del principio sintetizzabile col brocardo tempus regit actum[57], soltanto alle decisioni giudiziarie adottate in seguito all’entrata in vigore della riforma intervenuta con d.lgs. 188/2021; dall’altro, ribadisce che, alla luce della natura residuale del ricorso per abnormità, l’unico rimedio esperibile in queste ipotesi patologiche sia quello previsto dall’art. 115-bis.

Ricostruito in questi termini il contesto, le valutazioni che possono essere mosse tendono a rimarcare la debolezza intrinseca alla normativa introdotta per rafforzare la presunzione di innocenza.

Il ricorso per abnormità avrebbe consentito di ottenere una tutela più incisiva, anche a fronte della natura non impugnatoria del rimedio ex art. 115-bis c.p.p. e delle criticità dianzi avanzate relative a profili non soltanto di oscurità del testo normativo, ma altresì di concreta effettività del meccanismo di correzione.

Mediante il ricorso per abnormità – ancora esperibile ex art. 111 Cost. dinanzi ai provvedimenti ai quali ratione temporis non sia applicabile il recente rimedio codicistico[58] – si consentiva di ottenere un annullamento senza rinvio dell’archiviazione limitatamente all’inciso lesivo della presunzione di innocenza, con la conseguente restituzione degli atti al pubblico ministero o al giudice competente[59].

Volendo scorgere qualche aspetto positivo del rimedio codicistico si può mettere in evidenza come, diversamente dal ricorso per abnormità, questi consenta di avanzare l’istanza di correzione anche rispetto agli atti del pubblico ministero[60] lesivi della presunzione di innocenza. Come anticipato, anche in tal caso, è competente il giudice per le indagini preliminari.

Si delinea pertanto un istituto che, eccettuate alcune categorie di provvedimenti variamente declinate nell’art. 115-bis, consente di censurare non soltanto gli atti adottati dal giudice, ma altresì quelli del pubblico ministero, restandone invece esclusi, come già si è dato conto, gli atti della polizia giudiziaria.

L’insoddisfazione che, nel complesso, suscita il nuovo rimedio è destinata ad essere alimentata ove si faccia correre la mente anche alla risonanza mediatica della quale sono sovente caratterizzati taluni processi.

Sono infatti note le prospettazioni distorte della stampa – amplificate nell’era della socializzazione del processo[61] – capaci di presentare all’opinione pubblica come sicuro colpevole anche una persona per la quale sia stata operata la mera iscrizione della notizia di reato[62], che ha natura neutra al pari del provvedimento con il quale viene disposta l’archiviazione.

Ecco, quindi, l’ulteriore conseguenza sulla presunzione di innocenza per come declinata nella richiamata giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’art. 6 par. 2 CEDU, che ne sottolinea le fitte trame anche rispetto alla tutela della reputazione della persona indagata o imputata e che, per quanto attiene alla tutela di cui all’art. 115-bis[63], assume quantomeno valenza indiretta.

A tale conclusione si può forse pervenire attraverso una pura esegesi del dato letterale della Direttiva europea. Questa infatti già nel considerando 16 ritiene che violino la presunzione di innocenza le decisioni giudiziarie che presentino l’indagato o l’imputato come colpevole, esplicitando che tali provvedimenti “non dovrebbero rispecchiare l’idea che una persona sia colpevole”. In questo senso potrebbe altresì deporre l’unica rubrica dell’art. 4 Direttiva “Riferimenti in pubblico alla colpevolezza”, richiedendo nuovamente nel corpo della previsione normativa che le decisioni (oltre alle dichiarazioni pubbliche rilasciate dalle autorità pubbliche) “non presentino la persona come colpevole”. A fortiori, a tale conclusione si può pervenire anche riflettendo sull’etimologia del verbo presentare, che per l’appunto significa “mostrare ad altri”[64].

In questo senso sembra poi deporre la già richiamata interpretazione volta a ricondurre nell’area di esperibilità dell’art. 115-bis anche le dichiarazioni delle autorità pubbliche riproduttive del contenuto del provvedimento colpevolista[65].

Peraltro, la direttiva europea, come già è stato sottolineato da più voci[66], ha erroneamente circoscritto il perimetro di applicazione alle autorità pubbliche, dimenticandosi completamente dei possibili vulnus che gli organi di stampa possono arrecare alla componente extraprocessuale del diritto fondamentale qua rilevante. Tale noncuranza ha poi avuto immancabili riflessi nella successiva attuazione da parte dell’ordinamento giuridico italiano.

Di recente, la Corte costituzionale[67], richiamando un suo precedente[68], ha fatto nuovamente proprie le valutazioni sottese alla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Allen c. Regno Unito dalle quali è possibile enucleare una duplice dimensione della presunzione di innocenza: endoprocessuale ed extraprocessuale. In tale occasione la Consulta ha altresì ribadito che la presunzione di innocenza deve essere intesa nel senso di non far discendere conseguenze negative sia nell’ipotesi in cui la persona sia meramente indagata, sia nel caso in cui nei suoi confronti sia stata formulata una imputazione[69].

Ciò detto, il dualismo insito nell’attuale concezione, multilivello, della presunzione di innocenza conduce a ritenere che il rimedio di cui all’art. 115-bis c.p.p. difficilmente possa essere ritenuto idoneo a restituire a tale diritto fondamentale una tutela pienamente effettiva.


[1] G. Negri, Archiviazioni non neutrali, c’è il diritto alla correzione, in Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 2025; V. Aiuti, E. Penco (a cura di), Osservatorio della Corte Costituzionale, in questa Rivista, 5, 2024, 603; V. Manes, Con l’archiviazione non c’è colpevolezza, in Il Sole 24 Ore, 15 marzo 2024; Archiviazione per prescrizione del reato e presunzione di non colpevolezza: la pronuncia n. 41/2024 della Corte costituzionale, in Sistema Penale, 13 marzo 2024, reperibile al seguente indirizzo: https://sistemapenale.it/it/notizie/archiviazione-per-prescrizione-del-reato-e-presunzione-di-non-colpevolezza-la-pronuncia-n-41-2024-della-corte-costituzionale?; C. De Robbio, In caso di richiesta di archiviazione per prescrizione l’indagato non ha diritto di chiedere al giudice un provvedimento che attesti l’infondatezza della notizia di reato, in Cass. pen., 7-8, 2024, 2135 ss; A. Trinci, La Consulta sui rapporti fra archiviazione per prescrizione e presunzione di non colpevolezza, in IUS Penale, 5 aprile 2024; M. Cazzaniga, Teoria e prassi della presunzione di non colpevolezza: la Corte costituzionale tra divieto di rinuncia alla prescrizione per l’indagato e neutralità delle indagini preliminari, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 1 settembre 2024, 1209 ss; C. Conti, Cronaca giudiziaria e processo mediatico: l’etica della responsabilità verso nuovi paradigmi, in Arch. pen., 2022, 1, 17, sottolinea, in generale, come il rimedio di cui all’art. 115-bis sia applicabile a provvedimenti che per loro natura non siano confacenti ad una valutazione in termini di colpevolezza della persona.

[2] Non è infatti casuale l’introduzione del recente art. 335-bis c.p.p. In questo senso, le riflessioni di A. Trinci, op. cit.; V. Manes, op. cit.; Id, Qualifica di indagato (o imputato) senza effetti pregiudizievoli, in Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, 19 marzo 2025, 40; C. De Robbio, op. cit., 2135 ss.

[3] Per una prospettiva, in chiave storica, sulla tutela costituzionale della presunzione di innocenza, G, Illuminati, La presunzione di innocenza dell’imputato, Bologna, 1979, 11-30, che ricorda come il principio qua in esame sia sorto con le teorie garantiste della scuola classica, contrapposta all’opposta visione meno garantista della scuola positiva. L’illustre A. sottolinea come sia di per sé errato identificare tale principio come il chiaro discrimine tra un processo inquisitorio e uno di stampo accusatorio, dovendosi piuttosto aderire ad una lettura del primo sistema processuale che ne evidenzi più che l’accoglimento della c.d. presunzione di colpevolezza, la grande assenza di quei principi che possono sintetizzarsi nei noti brocardi “nulla poena sine lege” e “nulla poena sine iudicio”, che costituiscono portato della presunzione di innocenza per come intesa dalla scuola classica. Dopo la parentesi della scuola tecnico giuridica e del regime fascista, l’attuale formulazione del principio è contenuta nell’art. 27 comma 2 Cost. che si esprime in termini di presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino a che non sia intervenuta la condanna definitiva. Tale declinazione del principio è frutto di un chiaro compromesso politico, necessario se si considera l’accesa contrapposizione che era allora presente e che era solita distinguere in punto di diritto tra “presunzione di innocenza” e “presunzione di non colpevolezza”, attribuendo ai due incisi sfumature di significato differenti. Tanto che, l’A. sottolinea come venisse attribuita proprio una caratteristica di neutralità alla formulazione letterale prescelta. L’A. ci sottolinea poi come, giustamente, alla luce del mutato contesto internazionale non sia più possibile operare la netta distinzione dianzi richiamata, dovendosi pertanto attribuire a entrambe le formulazioni il medesimo significato. Ad oggi, il principio della presunzione di innocenza viene considerato come diritto fondamentale della persona, parte delle garanzie afferenti al c.d. giusto processo e assume molteplici funzioni: il principio rileva infatti non solo come regola di trattamento, ma anche come regola probatoria e di giudizio. Sul tema si veda anche la ricostruzione di V. Garofoli, Presunzione d’innocenza e. considerazione di non colpevolezza. La fungibilità delle due formulazioni, in Riv. it. dir. e proc. pen., 4, 1998,1168 ss; C. Quaglierini, In tema di onere della prova nel processo penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 4, 1998, 1255 ss.

[4] La Direttiva fa esplicito riferimento non solo all’art. 6 par. 2 CEDU, ma altresì all’art. 48 par. 1 Carta di Nizza, caratterizzati da una formulazione che è pressoché identica. D. Fanciullo, Il principio della presunzione di innocenza ed i suoi corollari alla luce della dir. 2016/343: un’occasione mancata?, in Studi sull’integrazione europea, 2016, 566 ss, sostiene che la Direttiva abbia fatto solo parziale attuazione dei principi delineati dalle varie Corti europee interpretando le norme poc’anzi richiamate.

[5] Come sottolinea G, Illuminati, op. cit., 20-21 esso è frutto di un compromesso tra le forze politiche in costituente e non ha mancato, anche dopo la sua adozione, di essere oggetto di molteplici critiche e soprattutto interpretazioni volte a diluirne, nei fatti, la portata applicativa. Non ritiene che il contenuto dell’attuale formulazione sia frutto di un compromesso, in senso stretto, V. Garofoli, op. cit., 1168.

[6] Si allude a quanto ricordato da G, Illuminati, op. cit., 18, che richiama le tesi di Manzini, volte a contestare fermamente l’accostamento della presunzione, mezzo di prova indiretto, e l’innocenza della persona. Nel senso di una piena sovrapposizione di significato delle due proposizioni, anche V. Garofoli, op. cit., 1168; C. Quaglierini, op. cit.,1255 ss; O. Mazza, La presunzione di innocenza messa alla prova, in Dir. pen. cont., 9 aprile 2019, 2; P. Tonini – C. Conti, Manuale di procedura penale, Milano, 2023, 272; P. Ferrua, Tre temi corderiani: modelli di giustizia procedurale, prove critico-indiziarie, regole di giudizio, in E. M. Catalano – P. Ferrua (a cura di), Corderiana. Sulle orme di un maestro del rito penale, Torino, 2023, 81-82.

[7] C. Quaglierini, loc. cit.; F. M. Iacoviello, Lo standard probatorio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio e il suo controllo in cassazione, in Cass. pen., fasc. 11, 2006, 3857 ss; O. Mazza, op. cit., 2; G. Marinucci – E. Dolcini – G. L. Gatta, Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, Milano, 2020, 25 ss; S. Buzzelli – R. Casiraghi – F. Cassibba – P. Concolino – L. Pressacco, ART. 6. Diritto a un equo processo, in G. Ubertis – F. Viganò (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino, 2022, 214 ss; P. Tonini – C. Conti, op. cit., 272 ss; Ciò viene ribadito anche dalla recente Corte cost., 7 marzo 2025 (ud. 28 gennaio 2025), n. 24
Presidente Amoroso, Relatore Viganò in cortecostituzionale.it.

[8] Si pensi al mutamento di prospettiva occorso in relazione alla custodia cautelare in carcere, che non può mai divenire carcerazione preventiva nell’ottica di una anticipazione del trattamento sanzionatorio. Nonostante questo, il giudice deve motivare circa la sussistenza delle esigenze cautelari ove quella prevista alla lett. c) del 274 c.p.p. echeggia una considerazione di colpevolezza. Ecco allora che in queste ipotesi peculiari, ove sono necessarie certe valutazioni prognostiche, trova applicazione l’eccezione di cui all’art. 115-bis volta a sottrarre simili ipotesi al divieto di cui al comma 1 della medesima disposizione. In questo senso, A. Riviezzo, Il difetto della presunzione (La presunzione di innocenza dopo il d.lgs. n. 188 del 2021), in Giur. Cost., 3, 2022, 1845 ss.

[9] Sul punto, v. le risalenti riflessioni di G, Illuminati, op. cit., 28 ss. Più recenti sono invece le parole di P. Tonini – C. Conti, loc. cit.

[10] Per il tema qua in esame sono rilevanti le seguenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo: C. eur. dir. umani, 1983 Minelli c. Svizzera, in www.echr.coe.int; C. eur. dir. umani, 21 marzo 2000, Asan Rushiti c. Austria, www.echr.coe.int; C. eur. dir. umani, 14 aprile 2009, Didu c. Romania, www.echr.coe.int; C. eur. dir. umani, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, in www.echr.coe.int; C. eur. dir. umani, 7 dicembre 2021, Lashun c. Russia, in www.echr.coe.int.

[11] R. Orlandi, La duplice radice della presunzione di innocenza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2, 2022, 627 ss.

[12] Cfr. C. eur. dir. umani, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, cit.

[13] Sulla quale, D. Fanciullo, op. cit., 557 ss, che si mostra scettico circa la capacità della fonte europea di addivenire ad un reale rafforzamento della garanzia della presunzione di innocenza.

[14] Ciò emerge in modo lampante dalla lettura della Relazione illustrativa al d.lgs. 188 del 2021 in attuazione della Dir. 2016/343, reperibile al seguente indirizzo: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_2_1.page?facetNode_1=1_8%282021%29&facetNode_2=0_10&facetNode_3=0_10_18&facetNode_4=0_0&facetNode_5=1_6_5&contentId=SAN347255&previsiousPage=mg_1_2#rel; G. M. Baccari, Le nuove norme sul rafforzamento della presunzione di innocenza dell’imputato, in questa Rivista, 2, 2022, 159-160; G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza: verso un’estensione della garanzia?, in Arc. pen., 3, 2021, 10-11; G. Spangher, Un’informazione sui processi nel rispetto delle garanzie, in Guida al diritto, 48, 2021, 36-39; A. Carchietti, Tutela endoprocessuale della presunzione di innocenza: ovvero del recepimento senza passione, in Sistema penale, 25 ottobre 2022.

[15] G. Giostra, Un catechismo per atei, in Medialaws, 3 febbraio 2022; G. Caneschi, Corte europea dei diritti dell’uomo – la presunzione di innocenza negli atti del procedimento, tra affermazioni della corte di Strasburgo e tentativi di codificazione interna (D.lgs. 188 del 2021), in Riv. it. dir. e proc. pen., 2, 2022, 891 ss; A. Trinci, op. cit.; A. Carchietti, op. cit.; In relazione al processo mediatico c.d. parallelo v. G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza: verso un’estensione della garanzia?, in Arch. pen., 3, 2021.

[16] Sul punto, v. il considerando n. 48 della Dir. 2016/343.

[17] Parere del CSM sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, in csm.it, che mette in evidenza la necessità di prendere in considerazione quanto previsto dalla c.d. riforma Cartabia, che ha indicato nella ragionevole prognosi di condanna la nuova regola per chiedere il rinvio a giudizio.

[18] P. Tonini – C. Conti, op. cit., 500 ss.

[19] Nell’ordinamento giuridico italiano, da un punto di vista cronologico, assume rilevanza il momento in cui la sentenza di condanna passa in giudicato, divenendo irrevocabile. Sul punto, per tutti, le riflessioni di P. Tonini – C. Conti, op. cit., 273; O. Mazza, op. cit., 2-3, acutamente evidenzia come la specificazione che non si è colpevoli fino all’intervenuta condanna definitiva evidentemente sta a significare che la regola di trattamento assuma ancor più rilevanza a seguito della condanna intervenuta nei gradi di giudizio antecedenti.

[20] A. Giarda – G. Spangher, Codice di procedura penale commentato, sub art. 115-bis, Milano, 2023, 1544; A. Malacarne, La presunzione di non colpevolezza nell’ambito del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188: breve sguardo d’insieme, in Sistema Penale, 17 gennaio 2022; G. Giostra, Un catechismo per atei, in Medialaws, 3 febbraio 2022; A. Carchietti, loc. cit.

[21] Sul punto, v. la clausola di non regressione di cui all’art. 13 della dir. 2016/343.

[22] G. Spangher, op. cit., 36-39; A. Carchietti, loc. cit.; A. Malacarne, loc. cit.; Parere del CSM sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, cit.

[23] Cass. pen., Sez. V, 27 aprile 2022, n. 19543 (rv. 283217-01) in One Legale, sulla quale A. Carchietti, Tutela endoprocedimentale della presunzione di innocenza: ovvero, del recepimento del senza passione, in Sistema Penale, 25 ottobre 2022.

[24]  A. Riviezzo, op. cit., 1845 ss.

[25] Cfr. comma 4, che prevede espressamente che durante le indagini sia competente il giudice per le indagini preliminari. Ciò anche in ipotesi di atti del pubblico ministero. Sul punto, C. Conti, op. cit., 17.

[26] Tale meccanismo, ancor meno idoneo ad apprestare una tutela effettiva alla presunzione d’innocenza, emerge dalla lettura della Relazione illustrativa, cit. e del Dossier studi del Senato n. 429 sullo schema di decreto legislativo, in Senato.it.

[27] Dossier studi del Senato, cit., 5, che si esprime, richiamando l’art. 10 dir., in questi termini: “Si valuti se la richiesta di una correzione alla stessa autorità giudiziaria che ha adottato il provvedimento lesivo, nonché la previsione di una opposizione alla stessa autorità, soddisfi quanto richiesto dall’art. 10 della Direttiva, circa la previsione di un “ricorso effettivo in caso di violazione dei diritti conferiti dalla presente direttiva“”.

[28] Come ricostruito da V. Maffeo, L’abnormità, in (a cura di) A. Marandola, Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici, Milano, 2015, 235 ss, è una categoria che risale alle elaborazioni giurisprudenziali della prima metà del secolo scorso. In particolare, si veda Cass., Sez. I, 20 marzo 1933, Lo Cascio, in Giust. Pen., 1933, II, 1829, che ha ritenuto censurabile in sede di legittimità una sentenza di merito nella quale il giudicante si è speso nell’affermare la responsabilità penale dell’imputato nonostante il reato si fosse estinto per amnistia. Sul tema dell’abnormità si vedano anche le riflessioni di E. M. Catalano, Giurisprudenza creativa nel processo penale italiano e nella common law: abnormità, inesistenza e plain error rule, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1, 1996, 299 ss; A. Capone, L’invalidità nel processo penale. Tra teoria e dogmatica, Milano, 2012, 229 ss; P. Tonini-C. Conti, op. cit., 241.

[29] Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999, Bentivegna, n. 1560, cit., punto IV n. 2; P. Tonini-C. Conti, op. cit., 1062.

[30] Sul punto, V. Maffeo, L’abnormità, in (a cura di) A. Marandola, Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici, Milano, 2015, 231.

[31] A. Capone, op. cit., 229; V. Maffeo, op. cit., 232, che si esprime in termini di “valvola di sicurezza” rispetto al principio di tassatività delle impugnazioni; E. M. Catalano, op. cit., 229 ss.

[32] Così, A. Capone, op. cit., 240.

[33] A. Capone, op. cit., 233; V. Maffeo, op. cit., 233.

[34] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999,Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999, n. 1560, Bentivegna, n. 1560, cit., punto IV n. 2. Sul punto, v. P. Tonini – C. Conti, op. cit., 241.

[35] Cass. pen., Sez. Unite, 10 dicembre 1997, n. 17 (rv. 209603), in One Legale.

[36] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999,Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999, n. 1560, Bentivegna, n. 1560, cit., punto IV, n. 3.

[37] Fa impiego di questo termine G. B. Cherchi, End game per le “archiviazioni vestite”, in Cass. pen., 9, 2024, 2654B ss.

[38] Parrebbe ravvisare invece un’ipotesi di abnormità funzionale V. Aiuti, E. Penco (a cura di), op. cit., 603.

[39] Così Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999,Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999, n. 1560, Bentivegna, n. 1560, cit., III, n. 4. Tale considerazione richiama alla mente un altro precedente, relativo a una ordinanza di archiviazione emessa dal G.i.p. del Tribunale di Bolzano il 18 febbraio 2021 sul caso Schwazer, recante una struttura motivazionale che chiaramente riprende quella tipica della sentenza, di condanna. Il G.i.p. se da un lato disponeva l’archiviazione nei confronti di Schwazer, dall’altro si è speso nell’attribuire altri e diversi illeciti penali ad alcuni appartenenti alle organizzazioni WADA e IAAF. Sul provvedimento in questione, si veda il commento di J. Della Torre, Ritratto di un’archiviazione come atto di (cripto)accusa, in Arch. pen., 2, 2021.

[40] Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999,Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999, n. 1560, Bentivegna, n. 1560, cit., punto IV, n. 4.

[41] Sul punto v. Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999,Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999, n. 1560, Bentivegna, n. 1560, cit., punto IV n. 1, che mette in relazione l’assenza di mezzi di impugnazione con la natura neutra del decreto di archiviazione. 

[42] Corte Cost., 11 marzo 2024, n. 41, pres. Barbera, est. Viganò, in Consulta Online. Su tale pronuncia, A. Marandola, Archiviazione per prescrizione con affermazioni di responsabilità: esclusa la sua contestabilità processuale, in Giur. Cost., 2, 2024, 0515C ss; V. Aiuti, E. Penco (a cura di), loc. cit.; Archiviazione per prescrizione del reato e presunzione di non colpevolezza: la pronuncia n. 41/2024 della Corte costituzionale, cit.; C. De Robbio, op. cit., 2135 ss; A. Trinci, loc. cit.; M. Cazzaniga, op. cit., 1209 ss.

[43] In estrema sintesi: un magistrato era stato accusato da un imprenditore di corruzione in atti giudiziari. Presa contezza di tale accusa attraverso la lettura dei giornali, il magistrato sporgeva querela per calunnia contro l’imprenditore. Nel corso del procedimento per calunnia, nel momento in cui al magistrato persona offesa veniva notificato l’avviso della richiesta di archiviazione, prendeva contezza della richiesta di archiviazione per prescrizione intervenuta nell’altro procedimento, nel quale era persona indagata. Il magistrato dichiara allora di voler rinunciare alla prescrizione del reato in modo da impedire l’adozione del provvedimento di archiviazione che però poi scopre, a seguito di non luogo a provvedere sulla sua istanza, essere già stato adottato dal G.i.p. Il principale problema è che tale provvedimento recepisce a pieno le affermazioni colpevoliste già delineate dal p.m. nella richiesta di archiviazione. Il magistrato tenta quindi di esperire reclamo avverso il decreto di archiviazione al Tribunale facendo impiego dello strumento previsto dall’art. 410-bis c.p.p., lamentando la lesione del diritto al contraddittorio e difendersi provando. Secondo il Tribunale, il rimedio azionato sarebbe esperibile solamente entro il perimetro di ipotesi di nullità del provvedimento di archiviazione ivi indicate. A fronte dell’inesistenza di un rimedio impiegabile, il giudice decide allora di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 411 c.p.p.

[44] A tale conclusione la Corte perviene in quanto nei confronti dell’indagato non è ancora stata formalizzata alcun tipo di accusa e pertanto – in virtù della già richiamata natura neutra dell’iscrizione della notizia di reato e del provvedimento di archiviazione – tale circostanza induce a non ritenere integrata la lesione del diritto di difendersi provando. È sul solco di un siffatto ragionamento che la Consulta esclude l’estensione all’indagato della disciplina espressamente prevista per l’imputato, dato che solo quest’ultimo ha effettivamente un’accusa formulata dalla quale difendersi nel processo, luogo elettivo di esplicazione del diritto alla prova.

[45] Cfr. Corte Cost., 11 marzo 2024, n. 41, cit., punto 4.4.

[46] V. Aiuti, E. Penco (a cura di), loc. cit.

[47] La Consulta al punto 3.9 sottolinea come il processo penale sia in realtà una risorsa scarsa tale, pertanto, da impedire la profilazione di un potere delle parti volto ad imporre l’esercizio dell’azione penale al pubblico ministero.

[48] Sulla ratio della pronuncia in esame v. la breve nota di V. Aiuti, E. Penco (a cura di), loc. cit.

[49] Sarebbero infatti ipotesi di carenza di potere in concreto visto che l’atto, per il suo contenuto, devia completamente dal suo scopo tipico previsto dal legislatore. La sentenza Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1999, n. 1560, cit, si esprime infatti al punto IV n. 3) statuendo che “un provvedimento che abbia le caratteristiche denunziate nel ricorso si pone pertanto al di fuori del sistema legislativo”, echeggiando con nitore la definizione di abnormità strutturale riportata al precedente punto 2.

[50] Cass. pen., Sez. VI, 4 marzo 2025, 8297, in De Jure, sulla quale G. Negri, Doppia via per il rafforzamento della presunzione d’innocenza, in Il Sole 24 Ore, 11 marzo 2025.

[51] Brevemente, sul punto, K. La Regina, Osservatorio Corte di cassazione – Processo penale, in questa Rivista, 3, 2025, 303-305.

[52] Parere del CSM sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, cit., 19.

[53] C. eur. dir. umani, grande camera, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, cit., che al par. 94 statuisce che per poter realmente rendere effettiva la tutela del diritto alla presunzione di innocenza, di cui all’art. 6 par. 2 CEDU, è necessario ampliare le proprie vedute, estendendo la protezione ivi fornita anche all’aspetto reputazionale. Sottolinea, parimenti, i riflessi sociali e reputazionali la recente sentenza della cassazione in commento, nel momento in cui cita la pronuncia della Corte Cost., 11 marzo 2024, n. 41, cit., che si spende nel rimarcare la gravità delle lesioni che di riflesso incidono su detta sfera reputazionale.

[54] R. Orlandi, op. cit., 627 ss. Sul punto, anche l’articolo Archiviazione per prescrizione del reato e presunzione di non colpevolezza: la pronuncia n. 41/2024 della Corte costituzionale, cit. Già sul finire degli anni Settanta del secolo scorso G. Illuminati, op. cit., 28-30, ha messo in evidenza – nel soffermarsi sulla presunzione di innocenza come regola di trattamento, per come letta alla luce del contesto internazionale – il rischio di diminuzione sociale e morale insito nell’aver presentato la persona come colpevole. In relazione all’incidenza del processo mediatico su tali aspetti, V. Manes, loc. cit.

[55] M. Cazzaniga, op. cit., 1209 ss, si esprime ritenendo tale rimedio un “palliativo” a causa della mancata interiorizzazione del principio qua in discussione. In questo senso si veda anche G. Caneschi, op. cit., 891 ss; G. Varano, Un garante dei diritti delle persone sottoposte ad indagine e processo, in Diritto di Difesa, 4, 1 dicembre 2021, 779 ss.

[56] Si allude a Cass. pen., Sez. VI, 4 marzo 2025, 8297, cit.

[57] P. Tonini – C. Conti, op. cit., 60-62.

[58] Corte Cost., 11 marzo 2024, n. 41, cit.; Cass. pen., Sez. VI, 4 marzo 2025, 8297, cit.

[59] A. Capone, op. cit., 230; P. Tonini – C. Conti, op. cit., 1061-1062.

[60] A. Giarda – G. Spangher, op. cit., 1546; G. Amato, Divieto di “presentare” come colpevole la persona che è sottoposta a indagine, cit., 40-48; C. Conti, op. cit., 17.

[61] P. Sammarco, La presunzione di innocenza. Un nuovo diritto della personalità, Milano, 2022.

[62] V. Manes, op. cit., 36; Archiviazione per prescrizione del reato e presunzione di non colpevolezza: la pronuncia n. 41/2024 della Corte costituzionale, cit. Le distorsioni mediatiche sono ben poste in evidenza da G. Varano, op. cit., 779 ss.

[63] L. Bartoli, Richiesta di messa alla prova valutata in giudizio e incompatibilità del giudice: una partita persa?, in Diritto di Difesa, 1, 2022, 95 ss, che espressamente mette in relazione il rimedio di cui all’art. 115-bis c.p.p. con la tutela della reputazione della persona indagata o imputata.

[64] In Treccani.it.

[65] A. Giarda – G. Spangher, loc. cit.; G. Amato, op. cit., 40-48.

[66] Per tutti, G. Varano, op. cit., 779 ss; G. Giostra, op. cit., 15. Sul punto, pare maggiormente temperata la lettura fornita da G. M. Baccari, op. cit., 160 ss.

[67] Corte cost., 7 marzo 2025 (ud. 28 gennaio 2025), n. 24, cit., sulla quale v. V. Manes, op. cit., 40.

[68] Corte Cost., 30 luglio 2021, n. 182, in cortecostituzionale.it.

[69] Sul punto, V. Manes, op. cit., 40, che mette in evidenza come solamente ragionando in questi termini è possibile conferire al principio in commento una tutela piena ed effettiva.

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