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L’offesa a mezzo PEC integra il delitto di diffamazione aggravata anche nell’ipotesi di invio ad un solo indirizzo “mail”

 

Cass., Sez. V, 23 ottobre 2020, n. 34831

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. V, sentenza 23 ottobre 2020 (dep. 7 dicembre 2020), n. 34831, Miccoli Presidente – Tudino Relatore – Pirrelli P.M. (diff.) 

 

Nella sentenza in esame la Corte di cassazione ha ritenuto che la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata (PEC) di messaggi contenenti espressioni lesive dell’altrui reputazione integri il reato di diffamazione aggravata anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione ad un solo indirizzo “mail”.  

Invero, a parere della Corte, ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione aggravata, i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla trasmissione di comunicazioni a mezzo di una normale “e-mail” valgono anche per le comunicazioni trasmesse a mezzo Posta Elettronica Certificata (c.d. PEC). Secondo il percorso motivazionale seguito dalla Corte, la casella di posta elettronica certificata non si differenzia da una normale casella di posta elettronica, se non per ciò che riguarda il meccanismo di comunicazione (equivalente alla tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento) e la presenza delle ricevute inviate dai gestori PEC al mittente e al destinatario stesso (che garantisce la prova dell’invio e della consegna).

Con particolare riguardo alla giurisprudenza in materia di comunicazioni offensive inoltrate via “e-mail”, è stato più volte affermato che l’invio di una e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata quando è diretto a più destinatari (ex multis, v. Sez. V, 16 ottobre 2012, n. 44980, in questa rivista, 2013, p. 3522). Inoltre, nel caso in cui le frasi o le immagini lesive siano state inserite in un messaggio di posta elettronica diretto a più destinatari, non è sufficiente il mero inserimento nella rete, ma occorre quanto meno la prova dell’effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato “scaricato” mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario (cfr. Sez. V, 22 ottobre 2018, n. 55386, in C.E.D. Cass., n. 274608-01). 

Affinché sia integrata la fattispecie della diffamazione aggravata, la comunicazione lesiva dell’altrui reputazione può essere diretta anche ad una sola persona ma con modalità tali che venga sicuramente a conoscenza di altri, e tale requisito deve presumersi qualora l’espressione offensiva sia contenuta in un documento che, per sua natura, sia destinato ad essere visionato da più persone, come nel caso in cui, ad esempio, le frasi offensive vengano inserite in un vaglia postale, che per necessità operative del servizio postale, non resta riservato tra il mittente ed il destinatario (cfr. Sez. V, 26 maggio 2016, n. 522/17, in Guida al diritto, 2017, p. 34).

In tal caso, la Corte, nella sentenza in esame, evidenzia che la modalità di trasmissione a mezzo mail in nulla si distingue dall’ordinario inoltro per posta ordinaria, in busta chiusa non recante la dicitura “riservata – personale”, essendo tale comunicazione destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all’apertura e smistamento della corrispondenza (fattispecie relativa all’invio di una denuncia al Procuratore della Repubblica e, per conoscenza, al Procuratore generale presso la Corte d’appello e al Presidente della Corte d’appello) (Sez. V, 8 marzo 2019, n. 30727, in C.E.D. Cass., n. 276525-01).

In conclusione la Corte, pur ritenendo che le comunicazioni trasmesse tramite PEC non escludono tout court la potenziale accessibilità a terzi soggetti diversi dal destinatario, richiede un rafforzato onere di giustificazione riguardo all’elemento soggettivo del reato di diffamazione, con particolare riferimento alla prevedibilità in concreto dell’accessibilità al contenuto da parte di terzi. Gli indici da cui desumere la prevedibilità della diffusione possono essere, ad esempio, la conoscenza della prassi utilizzata dal destinatario ovvero la natura stessa dell’atto, se necessariamente implica l’accessibilità delle informazioni da parte di terzi. 

In dottrina, sulla diffamazione online, si veda da ultimo PEZZELLA, La diffamazione, Utet, 2020, p. 805 ss.

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