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Notifiche a mezzo pec da parte del difensore: la Consulta “pressa” il Governo.

La Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità dell’art. 153 c.p.p., sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 della Cost., formula un “pressante auspicio”: il Governo dia attuazione alla delega conferitagli dall’art. 1, commi 5 e 6, della legge n. 134 del 2021, e confermi la facoltà per il difensore di giovarsi di modalità telematiche per l’effettuazione di notificazioni e depositi presso l’autorità giudiziaria.

Nel caso di specie il rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 153 c.p.p., nella parte in cui non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante posta elettronica certificata. Ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione, nella disposizione censurata, della possibilità di utilizzare quale mezzo di notificazione la PEC, di cui invece il pubblico ministero può avvalersi per le notifiche al difensore ai sensi degli artt. 148, comma 2-bis, e 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., sarebbe lesiva:

– dell’art. 3 Cost., perché non vi sarebbe alcuna ragione che giustifichi l’esclusione per il difensore dell’indagato della medesima facoltà riconosciuta al pubblico ministero, nonché

– degli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost., dal momento che la disciplina censurata comprometterebbe, assieme, il diritto di difesa, l’uguaglianza processuale delle parti e il canone di ragionevole durata del processo.

Seppure la Consulta ravvisa le lesioni degli artt. 3 e 24 Cost., l’auspicata pronuncia di illegittimità costituzionale avrebbe determinato – a parere della Corte – nuove disarmonie e incongruenze, sia per la mancanza di specifica normazione primaria e secondaria sul punto, volta a creare le condizioni pratiche perché tale facoltà possa essere utilmente esercitata, sia per l‘assenza di idonei servizi di ricezione delle notificazioni telematiche da parte degli uffici giudiziari.

La Corte, infatti, non potrebbe introdurre una nuova modalità a disposizione dei difensori per effettuare notificazioni o comunicazioni al pubblico ministero, se manca una previsione legislative che assicuri il corretto funzionamento dei flussi comunicativi. Si legge, infatti, nella sentenza che l’ “intervento richiesto ora a questa Corte inevitabilmente si sovrapporrebbe in maniera disorganica all’esercizio della delega di cui all’art. 1, commi 5 e 6, della legge n. 134 del 2021, finalizzata a introdurre una compiuta e stabile disciplina del processo penale telematico“.

Di qui l’inammissibilità delle questioni prospettate, poichè il rimedio al vulnus riscontrato richiede interventi normativi di sistema, implicanti scelte di fondo tra opzioni alternative rientranti tutte nella discrezionalità del legislatore. La logica conseguenza è quindi il monito che la Corte Costituzionale dà al Governo: dare puntuale attuazione alla delega conferitagli dall’art. 1, commi 5 e 6, della legge n. 134 del 2021, confermando così anche per il futuro la facoltà per il difensore di giovarsi di modalità telematiche per l’effettuazione di notificazioni e depositi presso l’autorità giudiziaria. Ciò in coerenza con il dovere costituzionale di assicurare piena effettività al diritto di difesa, e assieme di superare definitivamente l’irragionevole disparità di trattamento tra parte pubblica e privata ravvisata, a ragione, dal giudice rimettente.

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