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Persona offesa e durata irragionevole delle indagini tra Corte costituzionale e Corte edu

Sentenza

Con la sentenza  il nostro Paese è stato nuovamente condannato per la durata irragionevole del processo, nei confronti di una persona offesa, in quanto dopo cinque anni e sei mesi dalla presentazione della denuncia senza che siano state svolte indagini, il procedimento veniva archiviato per prescrizione.

Analoga decisione era stata pronunciata nei confronti dell’Italia con la sentenza Corte edu 7 dicembre 2017, Arnoldi.

Lamentano le persone offese che in questo modo era stato pregiudicato il loro diritto di costituirsi parte civile, diritto riconosciuto nel nostro sistema processuale solo a seguito dell’esercizio dell’azione penale v., anche Corte EDU, 22 settembre 2015, Rokas c. Grecia; Corte Edu, 15 gennaio 2015, Korkolis c. Grecia).

La Corte di Strasburgo  non ritiene possibile superare il riconoscimento di una lesione dell’art. 6, comma 1, Cedu, considerata la possibilità per la persona offesa di attivare l’azione civile in sede civile. L’Italia viene altresì condannata anche in relazione alla violazione dell’art. 13 Cedu, per mancanza nella delineata situazione di una adeguata tutela per la persona offesa in considerazione dell’impossibilità per la stessa persona offesa di accedere alle previsioni di cui alla l. n. 89 del 2001 (legge Pinto).

Si tratta del profilo più rilevante della decisione, in relazione al quale infatti il giudice italiano ha espresso una formale riserva, ritenendo che sarebbe stato necessario prima accertare la presenza di eventuali meccanismi di tutela della persona offesa.

Va ricordato che con la sentenza C. Cost. n. 12 del 2016 i giudici delle leggi, affrontando una questione diversa relativa al mancato diritto della parte civile di ottenere l’applicazione dell’art. 2047 c.c. in caso di proscioglimento dibattimentale per totale infermità di mente dell’imputato, hanno affermato -tuttavia- che una tutela per la durata irragionevole fosse prospettabile nel caso in cui siano frustrate le legittime aspettative del danneggiato a causa di ingiustificati ritardi dell’autorità giudiziaria.

Sul punto va richiamata la recente sentenza della Corte costituzionale (C. cost. n. 249 del 2020) che ha escluso l’incostituzionalità dell’art. 2, comma 2 bis, l. n. 89 del 2001, in relazione al diritto della persona offesa ad accedere all’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole di validità delle indagini che abbia impedito la costituzione di parte civile, sulla base del diverso ruolo della persona offesa, rispetto all’imputato nel corso delle indagini preliminari al quale il diritto era stato riconosciuto anche in fase di indagini preliminari (v. C. cost. n. 184 del 2015), nonché rispetto alla parte civile (tutelata dalla l. Pinto). Secondo la Corte, infatti, la posizione processuale del soggetto (persona offesa) è diversa da quello delle altre due parti (imputato e parte civile), considerati i diversi profili e i differenti interessi di cui sono portatori, nonché per il diverso ruolo svolto dalla persona offesa durante le indagini preliminari.

Secondo la Corte, infatti, esula dalle finalità perseguite dai rimedi di cui alla l. Pinto la violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole del processo di cui all’art. 6, par. 1, Cedu, trovando appropriata ed effettiva risposta mediante ricorso ad altre azioni e in altre sedi, i profili attinenti all’accertamento di una qualche responsabilità correlata ai ritardi o alle inerzie nell’adozione o nella richiesta dei provvedimenti necessari a prevenire o reprimere comportamenti penalmente rilevanti.

Dalle considerazioni svolte emerge un palese contrasto tra l’impostazione dei giudici europei e quelli italiani che, tuttavia, dovrà trovare a breve un qualche componimento.

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