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PRIMI APPUNTI SULLA “LEGGE ZANETTIN” IN MATERIA DI INTERCETTAZIONI

  1. Un nuovo intervento in materia di intercettazioni

Il legislatore interviene ancora in materia di intercettazioni, questa volta per fissare un’inedita regolamentazione della durata massima dell’attività di captazione (1).
La l. 31 marzo 2025, n. 47, si caratterizza per una struttura estremamente sintetica (un articolo, composto di due commi) che però, attingendo l’art. 267, comma 3, c.p.p. e l’art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. con modif. dalla l. 12 luglio 1991, n. 203), introduce modifiche di cruciale importanza per il futuro impiego investigativo dell’istituto, non soltanto in chiave probatoria (2).
Nel dettaglio, il primo comma dell’art. 1 aggiunge un nuovo periodo all’art. 267, comma 3, c.p.p., che detta le cadenze temporali dell’attività di captazione. E così, se il regime previgente consentiva di prorogare l’autorizzazione concessa con il provvedimento genetico di quindici giorni in quindici giorni, senza contemplare un limite massimo, adesso, l’attività di intercettazione – ancorché prorogata – non può superare, nel complesso, un periodo di quarantacinque giorni. In altre parole, il provvedimento genetico può essere seguito soltanto da due proroghe (3).
Questo limite, comunque, non è assoluto poiché può essere superato qualora le operazioni di captazione siano assolutamente indispensabili e a condizione che tale necessità emerga da “sopravvenuti” elementi specifici e concreti che il giudice deve compiutamente indicare in motivazione.
Il secondo comma, secondo la logica del doppio binario, apporta le modifiche necessarie affinché i reati indicati dall’art. 13, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, siano sottratti al campo di applicazione del nuovo regime.
La novella – che non è stata oggetto di unanime condivisione (4)– pone l’interprete dinanzi ad alcuni quesiti di ordine teorico e pratico.
Quanto al primo profilo, l’interrogativo riguarda l’impatto della riforma sul delicato bilanciamento tra gli interessi in gioco. C’è da chiarire, infatti, se la compressione dei tempi dell’intercettazione mini irreversibilmente l’efficacia delle investigatizioni o se, al contrario, inserisca un ingranaggio che, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità, riconduce la ricerca della prova mediante captazione in un perimetro più ristretto, senza però spuntare le armi degli inquirenti.
Quanto al secondo profilo, a ridosso dell’entrata in vigore della riforma, è opportuno soffermarsi sulla successione di leggi nel tempo, aspetto che non è direttamente regolato.

2. Verso un uso “responsabile” dell’intercettazione?

In linea di principio, non si può dubitare che, alla luce del dettato costituzionale e della sua concreta declinazione nel codice di rito, si può ricorrere alla ricerca della prova tramite intercettazione soltanto quando ogni altro strumento non è più adeguato (5). Ma ciò non significa che l’intercettazione possa essere relegata ad ipotesi eccezionali o residuali, soprattutto quando si indaga per fattispecie delittuose di maggiore gravità o particolarmente complesse da accertare e in un momento nel quale le comunicazioni si svolgono in una dimensione “eterea”, difficilmente penetrabile in altro modo (6).
In questa dimensione si scorge il pregio della “legge Zanettin” che assicura che il mezzo di ricerca della prova non si trasformi in uno strumento di sorveglianza sine die per svolgere indagini ad explorandum e rintraccia un punto di equilibrio tra le esigenze investigative e la tutela dei diritti fondamentali, esigendo che il ricorso a tale strumento sia giustificato da significative acquisizioni probatorie.
Ciò posto, la scelta di mantenere ferma la distinzione tipica del doppio binario, escludendo l’applicazione delle nuove disposizioni per talune categorie di reati di maggiore gravità o che non possono essere accertati in altro modo, contribuisce a definire un preciso rapporto di proporzionalità tra lo strumento investigativo e la compressione dei diritti fondamentali interessati dall’attività inquirente (7).
Dunque, su questo versante, non si percepisce alcun pericolo per l’efficienza della macchina investigativa, poiché la novella non incide né sui presupposti per disporre le intercettazioni, né tantomeno sui termini di durata massima (8).
Si deve allora sondare quale possa essere l’impatto sui procedimenti relativi ai c.d. reati comuni.
Sul punto, la scelta di contenere l’attività di intercettazione in soli quarantacinque giorni, a primo acchito, potrebbe apparire eccessivamente rigorosa e potenzialmente pregiudizievole per l’efficacia del mezzo di ricerca della prova.
Qui, c’è da rilevare, innanzitutto, che non sembra possibile predeterminare, in astratto, un periodo di tempo minimo o massimo adeguato per una captazione fruttuosa, trattandosi di aspetto peculiare di ciascuna indagine (9). Il compito del legislatore, pertanto, consiste nell’allestire meccanismi che non siano manifestamente inefficaci (10)o, viceversa, sproporzionati (11). E in questa ottica, l’impostazione non è assolutamente viziata da irragionevolezza: la novella concede alla autorità giudiziaria un congruo periodo per la ricerca della prova e per conseguire gli elementi necessari per continuare ad avvalersi di tale strumento.
Questa convinzione è rafforzata da un esame più approfondito e da due ulteriori considerazioni: in primo luogo, a ben vedere, l’introduzione di un requisito più stringente per la concessione delle proroghe è solo apparente; in secondo luogo, come detto, la soglia di durata massima non è invalicabile.
Per chiarire questo ragionamento, occorre inquadrare le condizioni fissate dal legislatore per la concessione delle proroghe successive alla seconda ovvero di quelle che esulano dal termine massimo di quarantacinque giorni.
La prima condizione è rappresentata dalla assoluta indispensabilità delle operazioni ai fini della prosecuzione delle indagini. Una formula stringente che, tuttavia, conferisce ancora ampi margini interpretativi e non sembra frapporre soverchi ostacoli alla prosecuzione delle captazioni.
Del resto, si tratta del medesimo requisito che deve sussistere fin dal momento della richiesta di intercettazione e per le prime due proroghe (12).
Un contributo dirimente, allora, proviene dalla successiva precisazione secondo la quale la sussistenza del requisito in parola deve originare da sopravvenuti elementi specifici e concreti dei quali si deve dar conto nella motivazione.
A ben vedere, anche in questo caso, la pretesa si pone come la fisiologica conseguenza del ricorso al mezzo di ricerca della prova: se l’intercettazione è disposta per ottenere risultati investigativi che non possono essere conseguiti altrimenti, è indispensabile fornire prova dell’effettivo contributo che un prolungamento del periodo di captazione ha apportato e può continuare ad apportare all’indagine.
Peraltro, la rigidità della previsione può essere temperata utilizzando almeno due correttivi in via interpretativa. Per un verso, si potrebbe ritenere che gli ulteriori elementi possono essere desunti da altre attività investigative e che devono avere ad oggetto il più ampio contesto dell’indagine o, quantomeno, del reato per il quale si procede (13), dovendo essere escluse parcellizzazioni dal punto di vista oggettivo e soggettivo. Per altro verso, si potrebbero includere in tale nozione anche le difficoltà di carattere tecnico che possono insorgere durante l’investigazione e che possono rallentare la fruizione del compendio intercettato (14).
Senz’altro condivisibile è poi l’introduzione di uno specifico impegno argomentativo del giudice. Invero, una precisazione simile sarebbe superflua se nella prassi il sindacato giurisdizionale non si fosse adagiato, almeno per quanto riguarda i provvedimenti di proroga, su un margine di tolleranza eccessivo, che a volte legittima motivazioni soltanto apparenti (15).
Dunque, si auspica che un effetto tangibile della novella sia quello di espellere dal circuito processuale quel simulacro di argomentazione che spesso e ingiustamente trova riparo nell’espediente della motivazione per relationem (16).
Concludendo, l’intervento del legislatore non sembra compromettere il ricorso alla attività di intercettazione, ma – sebbene con alcune venature di carattere pedagogico – orienta l’applicazione dell’istituto verso prassi più aderenti allo spirito della Costituzione. Come dire che, lasciando intatti i margini di manovra per gli inquirenti, si restringe il rischio di abusi o prassi elusive.

3. Il regime di diritto intertemporale

Il legislatore, a differenza di quanto accaduto in altre occasioni (17), non ha disciplinato espressamente il periodo di transizione tra la vecchia e la nuova disciplina ed è perciò necessario interrogarsi sul regime di diritto intertemporale.
Escluso che possa attribuirsi rilevanza al tempus commissi delicti (18), si deve declinare il principio classico di diritto processuale compendiato nella massima tempus regit actum (19) e in forza del quale, in sintesi, «si applica la disciplina vigente al momento del compimento del singolo atto processuale, a nulla rilevando nè la disciplina del tempo in cui è stato commesso il fatto di reato per cui si procede, nè quella del tempo in cui si è aperto il procedimento penale, nè, soprattutto, la disciplina sopravvenuta al compimento dell’atto» (20).
Seguendo tali indicazioni, nessun problema interpretativo sorge per le procedure avviate a seguito di richieste di autorizzazione inoltrate successivamente all’entrata in vigore della riforma, così come, specularmente, non saranno interessati i procedimenti nei quali l’attività di intercettazione è terminata prima dell’entrata in vigore ovvero è destinata a terminare immediatamente dopo, se, avviata o prorogata prima dell’entrata in vigore, non si protrarrà oltre.
Il nodo da sciogliere riguarda, quindi, la sorte delle intercettazioni avviate prima dell’entrata in vigore, qualora il pubblico ministero sia intenzionato a coltivare ancora la captazione.
Il principio generale che regola la successione di leggi penali nel tempo non consente di raggiungere soluzioni univoche, poiché le conclusioni variano secondo l’atto al quale si intende dare rilevanza (21).
Una prima lettura, basata su una visione unitaria dell’intera procedura di captazione (che comprende la richiesta del pubblico ministero, il decreto di autorizzazione e le eventuali proroghe), àncora l’applicazione della disciplina alla richiesta del pubblico ministero oppure all’emissione del provvedimento con il quale il giudice autorizza la captazione. Se questi atti sono stati compiuti prima del 24 aprile 2025, la disciplina previgente continuerebbe ad essere applicata per un consistente periodo di tempo, finché non saranno esauriti tutti i rapporti avviati ante riforma.
Altra lettura, invece, suddivide la procedura di intercettazione distinguendo una fase genetica, composta dalla richiesta del pubblico ministero e dal provvedimento del giudice, dalle successive ed eventuali proroghe. Se tali segmenti sono autonomi, l’atto “di durata” rilevante è rappresentato dal subprocedimento per la proroga.
Pertanto, la nuova disciplina troverebbe applicazione per tutte le richieste di proseguire le captazioni formulate dopo le prime due proroghe ovvero decorso il termine massimo di quarantacinque giorni (22).
Una lettura intermedia, invece, considera la tipologia di proroga che deve essere concessa: se la richiesta si colloca quando l’attività di captazione si trova nel primo segmento di quarantacinque giorni, segue il nuovo regime; se, diversamente, la richiesta di proroga è inoltrata quando il termine massimo è già stato superato, trova applicazione la disciplina previgente.
In attesa di un riscontro dalla prassi, le soluzioni ancorate alla proroga appaiono le più corrette dal punto di vista teorico, anche alla luce del fatto che la riforma interessa esclusivamente tale aspetto della disciplina delle intercettazioni e non riguarda in alcun modo la fase genetica. Tuttavia, la prima soluzione potrebbe rivelarsi meno traumatica, poichè, permettendo agli operatori di metabolizzare il nuovo assetto normativo, consentirebbe un passaggio graduale dal vecchio al nuovo regime.

  1. Il legislatore è intervenuto più volte per modellare la materia, soprattutto nell’ultimo decennio, perseguendo scopi differenti e, a volte, contrastanti: dalla tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti, al potenziamento dell’istituto, passando per la regolamentazione delle modalità di custodia del materiale captato. Ci si riferisce, in particolare, alla riforma operata dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1 della l. 23 giugno 2017, n. 103 (cosiddetta “Riforma Orlando”) – che prevedeva, almeno in origine, profonde innovazioni sistematiche della disciplina, ma che, ancor prima di vedere la luce, ha subìto consistenti modifiche ad opera del d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. dalla l. 28 febbraio 2020, n. 7 (cosiddetta “controriforma Bonafede”) e della l. 9 gennaio 2019, n. 3 (cosiddetta “legge Spazzacorrotti) – e al più recente intervento realizzato con la l. 9 agosto 2024, n. 114 (cosiddetta “Legge Nordio”).
  2. La novella, infatti, spiegherà effetti anche sul ricorso alle intercettazioni per la cattura del latitante (sulla applicabilità dell’art. 267, comma 3, c.p.p. in tale contesto, volendo, COLAIACOVO, Il latitante, Padova, 2015, p. 166).
  3. Beninteso: ove tali proroghe, come del resto avviene nella prassi, siano concesse nella loro massima estensione.
  4. In chiave fortemente critica, GATTA, Durata massima delle intercettazioni (45 giorni). Note a caldo sulla legge Zanettin, in Sist. pen., 2025, n. 3, p. 189; analogamente, ma sul disegno di legge, FIMIANI, Sulla proposta di legge C. 2084 in materia di “Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione”, in www.sistemapenale.it, 28 novembre 2024.
  5. Per tutti, SPANGHER, Sicurezza, dignità e identità personale, in Dir. pen. e proc., 2019, p. 1567.
  6. Oggi si avverte piuttosto la concorrente esigenza di regolare le molteplici evoluzioni offerte dalla tecnologia e l’apporto sempre maggiore che le nuove tecniche captative conferiscono all’accertamento e alla repressione della criminalità. In questo senso, occorrerebbe rivedere con urgenza la normativa sulle captazioni mediante strumenti tecnici di registrazione e controllo che, nonostante la convulsa stagione di riforme culminate nella l. 28 febbraio 2020 n. 71, continua a presentare numerose criticità operative, non superabili in via interpretativa (sul punto, sia consentito il rinvio a NOCERINO, Le recenti riforme in materia di intercettazioni: alcune criticità e qualche prospettiva, in www.legislazionepenale.eu).
  7. Icastico l’insegnamento di SPANGHER, Intervento in Commissione Giustizia Senato nel contesto della indagine conoscitiva in materia di intercettazioni, in questa rivista, 31 gennaio 2023, secondo il quale «più gravi i reati più debole la tutela individuale, meno gravi i reati più forti le tutele individuali».
  8. A ciò si aggiunga che il legislatore si è impegnato ad ampliare il catalogo dei reati, inserendo altre fattispecie (si vedano, a tal proposito, gli ordini del giorno approvati dalla Camera il 19 marzo 2025).
  9. Ad esempio, soggetti loquaci agevolano il lavoro degli inquirenti, diversamente da quanto avviene ove siano taciturni ovvero usino un linguaggio criptico.
  10. Tale sarebbe, ad esempio, una normativa che subordinasse l’autorizzazione o la proroga a condizioni estremamente difficili da soddisfare o che fissasse termini manifestamente brevi.
  11. Tale sarebbe, ad esempio, una normativa che non contemplasse un meccanismo di controllo periodico sulla persistenza dei presupposti per il ricorso alla captazione.
  12. Il presupposto per le prime due proroghe è, infatti, immutato poiché possono essere concesse sussistendo i presupposti di cui al comma 1, id est: l’assoluta indispensabilità.
  13. Così, già FIMIANI, Sulla proposta di legge, cit.
  14. È ciò che potrebbe accadere allorquando sorgano particolari difficoltà nella traduzione del linguaggio criptico o della lingua straniera degli interlocutori.
  15. Ex plurimis, Sez. IV, 19 marzo 2015, n. 16430, in www.archiviopenale.it, 2015, n. 2, con nota critica di ALONZI, La Costituzione impone rigore nell’interpretare i presupposti applicativi delle intercettazioni telefoniche.
  16. Invero, il ricorso a tale tecnica poteva ritenersi legittimo soltanto ove fossero state scrupolosamente rispettate le condizioni fissate da Sez. un., 21 giugno 2000, n. 17, in Dir. pen. proc., 2001, p. 621, con nota di FILIPPI, Decreto che autorizza l’intercettazione telefonica e motivazione per relationem.
  17. È il caso, ad esempio, della articolata disciplina di diritto transitorio contenuta nel d. lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 (sulla quale GAMBARDELLA, Entrata in vigore e profili di diritto transitorio, in Giostra-Orlandi, Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, Torino, 2018, p. 159 e ss., e, più di recente, Sez. un., 18 aprile 2024, n. 36764, in www.sistemapenale.it, 9 ottobre 2024).
  18. Sulla inapplicabilità di tale criterio al diritto processuale, ex plurimis, GAMBARDELLA, Entrata in vigore, cit., p. 162.
  19. Principio dall’incerto significato, come notava già LEONE, Diritto processuale penale, Napoli, 1975, p. 23, e come le più recenti vicende interpretative sembrano confermare, in questo periodo nel quale il legislatore mostra sempre più spesso disinteresse per questo fondamentale aspetto dell’attività normativa.
  20. Così GAMBARDELLA, Entrata in vigore, cit., p. 165.
  21. Da questo punto di vista, infatti, le intercettazioni sono riconducibili nel novero delle degli atti “di durata” che, a differenza di quelli “istantanei” o “unisussistenti”, si compongono di una pluralità di adempimenti che ben possono collocarsi in distinti frangenti temporali, con la conseguenza che, potendo risentire dell’avvicendamento delle norme nel tempo, è più complesso individuare con precisione il discrimine dal punto di vista cronologico (in tema, ancora, GAMBARDELLA, Entrata in vigore, cit., p. 167).
  22. In questo senso, GATTA, Durata massima delle intercettazioni, cit.

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