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Tra colibrì e calabrone…

1.

Il tema della libertà personale sia sotto il profilo della custodia cautelare, sia sotto l’aspetto dell’esecuzione della pena è da sempre oggetto di scelte condizionate dall’equilibrio – precario – tra diritti della persona (presunzione di innocenza; dignità ed esigenze rieducative) e istanze generali (processuali; sicuritarie).

Il punto di equilibrio risente del contesto legato al modello processuale ed alla consistenza dei fenomeni criminali.

Ancorché si tratti di elementi che richiederebbero non poche specificazioni, la schematizzazione appena effettuata appare adeguata alle considerazioni che si vogliono sviluppare.

L’irrompere dell’emergenza sanitaria ha inevitabilmente interessato anche il comparto giustizia ed in particolare anche quello delle strutture penitenziarie (dall’inizio coinvolte in alcune rivolte). Con il d.l. n. 18, poi convertito nella l. n. 27 sono stati assunti i provvedimenti tesi al decongestionamento delle strutture carcerarie, tenuto conto della gravità del rischio di diffusione epidemico in contesti nei quali la contiguità fisica poteva facilmente accentuare la diffusione del Covid-19.

Si è così prevista la concessione della detenzione domiciliare per soggetti con pene in corso di esaurimento a sei e diciotto mesi con conseguenti varie modalità applicative (controllo elettronico).

Se l’intervento d’urgenza ha interessato l’esecuzione della pena (artt. 123 e 124 del cit. d.l. n. 18), nulla ha ritenuto di affermare il legislatore con riferimento alla custodia cautelare in carcere. Anzi, con riferimento alle misure cautelari personali il legislatore ha previsto la proroga dei termini ordinari di restrizione in conseguenza della stasi dei processi nei quali erano state disposte le misure.

Ancorché siano state segnalate molte criticità nell’individuazione dei rischi del sovraffollamento e delle condizioni sanitarie all’interno delle carceri (individuazione delle patologie costituenti aggravamento del rischio del virus), la situazione emergenziale (pur nella sua gravità, ma proprio per questo) era percepita come una “felice” occasione per una “rilettura” dei presupposti delle situazioni restrittive.

Considerate le resistenze culturali, politiche e ideologiche ad una lettura diversamente bilanciata della questione “carcere”, le nuove previsioni venivano viste come proiettabili al di là della contingenza.

Per un verso, infatti, le nuove previsioni si collocavano nella stessa prospettiva della riforma elaborata dagli stati generali dell’esecuzione penale e delle proposte della Commissione Giostra, sulla riforma dell’ordinamento penitenziario, per un altro, la necessaria valutazione della condizione dei soggetti in custodia cautelare, pur in mancanza di espressa previsione, consentiva di recepire la lettura della dottrina sugli ambiti applicativi della restrizione prima della condanna, ove è previsto che il carcere sia l’extrema ratio, che siano adeguatamente tutelati i soggetti deboli, che sia valutata la proporzionalità della misura rispetto alla prognosi di condanna, che siano escluse le valutazioni presuntive.

Sul piano dell’esecuzione della pena i giudici di sorveglianza, oltre ad applicare le riferite previsioni d’urgenza, in presenza di situazioni patologiche suscettibili di pregiudizio alla salute (cioè, al diritto alla vita) hanno ampliato con l’art. 47 ter ord. penit. le situazioni suscettibili di favorire le detenzioni domiciliari.

Sul punto della cautela, non può non essere segnalata la circolare del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione che ha evidenziato gli ambiti nei quali la situazione epidemica doveva essere oggetto di valutazione nel momento di applicazione e gestione dello strumento cautelare inframurario: nella valutazione delle situazioni di arresto obbligatorio e di fermo; nelle misure applicabili; nei differimenti esecutivi.

Mentre è difficile dire quali ricadute abbiano avuto queste indicazioni sulla varietà delle situazioni processuali, troppo frammentate ed inevitabilmente casistiche, forti reazioni presso l’opinione pubblica, alimentate inizialmente dalla stampa (da una parte) e poi dalla politica (da una parte) hanno indotto ad una reazione fortemente restrittiva, culminata nella decretazione d’urgenza n. 28 e n. 29 (ora convertiti nella l. n. 70) che ha imposto la rivalutazione delle situazioni che avevano disposto le detenzioni domiciliari e gli arresti domiciliari.

 

2.

La situazione, seppur così sommariamente delineata, suggerisce alcune riflessioni di sistema.

In primo luogo, si evidenzia una distinzione strutturale non secondaria tra il momento della cognizione e quello della fase esecutiva.

Si ricava la netta sensazione, pur nella presenza di collegamenti tra i due momento, evidenziati dalla decisione che definisce il processo, di una sempre più accentuata autonomia della fase esecutiva-penitenziaria.

Scontando i riferiti ritardi di adeguamento ai diritti costituzionali, il momento di esecuzione si struttura in vari segmenti integrati (costituzione del titolo; gestione del titolo; trattamento penitenziario), non solo giurisdizionalizzati, ma governati da una magistratura specializzata che ne ha progressivamente plasmato forme e contenuti. Un ruolo decisivo in materia è stato svolto dalla Corte costituzionale con molte e significative declaratorie di incostituzionalità, in linea con le decisioni di condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.

In secondo luogo, a conferma di quanto detto, si è evidenziata negli sviluppi normativi segnalati, una notevole capacità di autonomia e di resistenza della magistratura di sorveglianza che ha saputo reagire con fermezza e determinazione, in punto di diritto, ai tentativi, piuttosto rozzi, della politica di condizionarne le decisioni, ribadendo la propria voluntas.

In terzo luogo, sono emerse le fragilità delle strutture di vertice del ministero, coinvolte in tematiche condizionate fortemente dal dibattito politico, incentrato sulle esigenze sicuritarie, chiamate a prevalere non solo su quelle sanitarie, ma anche più in generale su quelle rieducative e su quelle connesse alla dignità dei detenuti.

Questa autonomia della magistratura di sorveglianza, che ha trovato adeguata sponda in una Corte costituzionale dove sono evidenti le posizioni soggettive all’interno della camera di consiglio, sembra consegnarci un futuro più garantito e rispettoso dei diritti dei carcerati. A questo dato si aggiunge la presenza del garante dei detenuti che costituisce un ulteriore strumento di tutela.

Restano, invece, incerte le sorti della riferita lettura della procura generale della Cassazione in ordine alle scelte che devono essere poste a fondamento della custodia cautelare, una volta superata la fase emergenziale. Sarà opportuno farvi spesso riferimento come punto di non ritorno, nella speranza che quelle opzioni si siano sedimentate.

A conferma che quando ci sono termini sanzionati con la perdita di efficacia delle misure (artt. 391, 309 e 294 c.p.p.) le scansioni processuali sono rispettate, la celebrazione di questa attività è continuata, a differenza del resto dell’attività giudiziaria.

 

 

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