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UNA NUOVA FRONTIERA PER LA GIUSTIZIA RIPARATIVA: L’ILLECITO ONLINE

Sommario: 1. L’illecito online a connotazione personalistica e la giustizia riparativa. – 1.1.  Alcune conferme trattedalle prime esperienze applicative. – 2. Le risposte riparative all’illecito online in prospettiva complementare: la disciplina organica italiana della restorative justice. – 2.1. La perenne necessità di minimizzare i rischi di vittimizzazione secondaria. – 2.2. I programmi riparativi in modalità telematica. – 3. La restorative justice come alternativa (non esclusiva) alla giustizia tradizionale: un primo contributo che i fornitori delle piattaforme online potrebbero offrire.

abstract

L’articolo è volto a riflettere sulle potenzialità della giustizia riparativa nel contesto delle manifestazioni criminose che si realizzano “in rete”, con particolare riferimento agli illeciti con una spiccata connotazione personalistica. Esaminati i contributi più significativi che i programmi riparativi possono dare nel rispondere a questa forma di criminalità in prospettiva sia complementare che alternativa rispetto alla giustizia punitiva, si entra nel merito di alcune specifiche questioni che vanno affrontate per garantire un accesso sicuro ed efficiente a questi strumenti in presenza di reati, anche violenti, commessi con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. I fornitori delle piattaforme online, per esempio, potrebbero rivestire un ruolo fondamentale per l’implementazione di un sistema del tutto autonomo di giustizia riparativa, mettendo gratuitamente a disposizione delle vittime e degli autori di reato degli organismi, formati da mediatori, che siano riconosciuti attraverso un sistema di certificazione.

The article aims to reflect on the potential of restorative justice in the context of criminal manifestations that take place “online”, with reference to offences with a strong personalistic connotation. Having examined the most significant contributions that restorative programmes can make in responding to these forms of crime in a perspective both complementary and alternative to punitive justice, we enter into the merits of some specific issues that need to be addressed to ensure a safe and efficient access to these tools in the presence of crimes, including violent ones, committed with the use of information and communication technologies. Providers of online platforms, for instance, could play a key role in the implementation of a fully autonomous restorative justice system, by providing victims and offenders with bodies, trained by mediators, that are recognized through a certification system, free of charge.

  1. L’illecito online a connotazione personalistica e la giustizia riparativa[1]

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresentano ormai, sempre più spesso, lo strumento attraverso il quale vengono commessi molti reati. In particolare, con l’esplosione di Internet, nello spazio cibernetico di costante scambio e comunicazione (il c.d. Cyberspace), gli utenti possono essere frequentemente autori e vittime di illeciti penali, in conseguenza della struttura interattiva della rete e della crescente ampiezza dei contenuti caricati, diffusi e scambiati, che vengono gestiti da sistemi esperti e da motori di ricerca sempre più potenti. Molti reati, per esempio, sono perpetrati attraverso le piattaforme digitali, che consentono a chiunque si crei un account di produrre contenuti e di interagire[2].

Una compiuta analisi dei fenomeni che rientrano nella “criminalità informatica” – nel cui ambito si è assistito all’affiancarsi della nozione più ampia di “cybercrime” (o reato cibernetico) a quella di “computer crime[3] – esorbita tuttavia dagli scopi del presente lavoro, che è volto invece a riflettere, più in generale, sulle potenzialità della giustizia riparativa nel contesto delle manifestazioni criminose che si realizzano “in rete”, con specifico riferimento ai reati che potrebbero essere più adatti ad essere trattati con questi strumenti. Ci concentreremo quindi in via prioritaria sugli illeciti caratterizzati da una più spiccata connotazione personalistica, e in particolare su quelli che consentono di puntare l’attenzione su profili di carattere relazionale tra autore e persona offesa[4].

Si tratta per la maggior parte di reati cibernetici caratterizzati da modalità di offesa nuove – e in qualche misura violente – ai beni giuridici tradizionalmente tutelati, come la personalità individuale, la libertà morale, l’onore o la reputazione, ma che sono in grado di produrre effetti dalla portata dirompente in conseguenza della natura immediata della comunicazione digitale e delle potenzialità pervasive del c.d. “cyberspazio”.

Se ci riferiamo, solo a titolo di esempio, al cyberstalking, ai reati riconducibili al cyberbullismo, all’hate speech, alla pedopornografia online o alla condivisione non consensuale di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, entrano in gioco condotte finalizzate a interferire, o che comunque finiscono per interferire negativamente, in modo drammatico, nella vita quotidiana e nel benessere della vittima, che tuttavia si colloca spesso ad una significativa distanza, sul piano spaziale, dall’autore e, come tale, anche per questa ragione finisce per essere percepita come “de-umanizzata”.

Dal lato dell’autore, è bene ricordare che le modalità di sviluppo delle tecnologie e la struttura di Internet possono influenzare nel profondo le condotte umane. Alcune caratteristiche dell’agire online favoriscono infatti meccanismi di disinibizione e di deresponsabilizzazione: ci si percepisce come non identificabili, anonimi, in relazione al contesto di appartenenza, anche quando si usa il proprio nome, e progressivamente sempre di più nell’ipotesi in cui si usi un nickname, si utilizzino dati falsi o procedure ancora più complesse che garantiscono anonimato totale (come TOR, che permette una navigazione anonima sul web); a causa della menzionata distanza fisica, poi, si fa più fatica a percepire l’offesa arrecata alla vittima perché non la si vede, non la si guarda in faccia[5].

È decisiva, in particolare, la circostanza che il mezzo tecnologico – che dà vita ad un’interazione mediata che sostituisce la fisicità del corpo – non consente di regola di cogliere le emozioni altrui e quindi di reagire adeguatamente alle stesse e ai comportamenti che ne scaturiscono; per le sue intrinseche caratteristiche questo mezzo non permette di relazionarsi con esse e favorisce una sorta di analfabetismo emotivo. É proprio l’osservazione della risposta emotiva della persona offesa, con possibile condivisione della sua sofferenza, che al contrario – nel “mondo reale” – spesso causa, sul piano psicologico, effetti di inibizione dell’agire[6].

Come si legge nelle fonti sovranazionali, e in particolare nella Direttiva UE 2024/1385 del 14 maggio 2024 “sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica” (Considerando 25), laddove si sofferma sull’aumento dei casi di istigazione pubblica alla violenza e all’odio che è derivato dall’ampio uso di internet e dei social media – ma il discorso può essere generalizzato ed esteso, con i necessari adattamenti, a buona parte dei reati sopra menzionati –, non possiamo dimenticare che «l’effetto disinibente di internet moltiplica la condivisione facile, rapida e vasta dei discorsi d’odio nel mondo digitale, in quanto il presunto anonimato sul web e il senso di impunità che ne deriva riducono il senso di inibizione che normalmente frenerebbe le persone».

Dal lato della vittima alcuni effetti negativi sul piano psicologico, che reati analoghi, commessi nel “mondo reale”, di solito producono, risultano invero di molto amplificati in questo contesto e non solo per la rapidità con cui le notizie o le immagini possono circolare, ma anche per la natura irreversibile della loro diffusione mediatica. Le conseguenze in termini di ansia e stress emozionale possono essere devastanti per la persona offesa, con un peggioramento sensibile della qualità della vita, anche relazionale[7].

La mancata conoscenza o comunque il dubbio sull’identità dell’autore suscitano poi nelle vittime degli specifici sentimenti di timore, causati dall’idea per cui il responsabile del reato potrebbe essere davvero chiunque, anche qualcuno di famigliare; taluno che, peraltro, potrebbe abbandonare il mondo virtuale per materializzarsi in quello reale, in qualsiasi momento[8].

Se questo è l’orizzonte entro il quale la giustizia punitiva è chiamata ad offrire qualche risposta, è facile intuire perché invece molti dei reati cibernetici sopra citati potrebbero essere particolarmente adatti ad essere trattati piuttosto con gli strumenti caratteristici di un modello di giustizia che si propone di “prendersi cura” delle persone coinvolte dalla vicenda criminale e che si interessa della dimensione relazionale, come la giustizia riparativa[9], dando corso ad un processo «che consente alle persone che subiscono pregiudizio a seguito di un reato e a quelle responsabili di tale pregiudizio, se vi acconsentono liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni derivanti dall’illecito, attraverso l’aiuto di un soggetto terzo formato e imparziale (da qui in avanti ‘facilitatore’)»[10].

1.1.  Alcune conferme tratte dalle prime esperienze applicative

Sebbene non si possa attingere ancora ad un’ampia casistica di riferimento, la letteratura internazionale offre alcune conferme a questa prima intuizione.

Si registrano, infatti, esperienze interessanti che testimoniano l’uso di programmi riparativi in questi contesti, per quanto riguarda il cyberbullismo e il cyberstalking, l’hate speech nonché la diffusione di immagini a contenuto sessualmente esplicito.

La descrizione di queste sperimentazioni è accompagnata dai risultati delle indagini di vittimizzazione e dai dati raccolti in merito a ciò che le vittime provano e a ciò che si aspettano dal sistema giudiziario in tali circostanze. Si descrivono in particolare sentimenti quali la paura, il senso di colpa, l’impotenza, la vergogna o la rabbia – particolarmente accentuati nel caso di diffusione di immagini a connotazione sessuale[11] – che possono trovare tuttavia un luogo di espressione e di accoglienza più idoneo nell’ambito di un programma di giustizia riparativa, piuttosto che in seno al sistema di giustizia penale formalizzato e istituzionale.

Un incontro realizzato anche a distanza – se ci sono ostacoli materiali per un incontro in presenza – tra offender e vittima di un reato commesso con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, allora, può essere vantaggioso innanzitutto per quest’ultima che può essere “riconosciuta” nella sua dimensione umana, esprimendo le proprie aspettative, le proprie debolezze e la propria sofferenza e dando finalmente un volto all’autore del reato.

 Anche l’offender, però, potrebbe uscire dall’incontro “riconosciuto” nei suoi limiti, nelle sue motivazioni e nelle sue opportunità riparatorie e più facilmente responsabilizzato, dopo aver guardato in faccia la vittima e compreso anche per tale via la portata dell’offesa che ha causato[12].

I programmi di giustizia riparativa, infatti, consentono alle vittime di avere uno spazio ed un tempo adeguati per descrivere al presunto autore della condotta illecita le conseguenze che il reato ha determinato nella loro vita e per sentirsi accolte in un contesto sicuro e idoneo a ricevere alcune risposte anche di natura riparativa; per tale via esse possono riuscire a gestire e a superare meglio l’esperienza di vittimizzazione. Allo stesso tempo, questi strumenti, grazie all’incontro con la sofferenza della vittima, creano le condizioni affinché vengano limitati nei colpevoli gli effetti dei meccanismi di neutralizzazione che essi di regola adottano per rimuovere i sensi di colpa associati al loro agire; i rei riescono spesso a maturare una nuova consapevolezza, in merito al disvalore della propria condotta, che di regola riduce la probabilità di ricadere nel reato e quindi i tassi di recidiva[13].

Molti, in dottrina, enfatizzano le molteplici conseguenze positive – di natura lato sensu “terapeutica”[14] – che derivano dai programmi di giustizia riparativa e l’elevata soddisfazione delle aspettative delle persone convolte.

In un programma di mediazione molto interessante svoltosi in Finlandia, nel 2018, in seguito ad un episodio di hate speech, la vittima ha avuto modo di precisare quanto sia stato importante per lei avere la possibilità di descrivere al reo l’impatto che il discorso d’odio aveva avuto sul suo lavoro, sulla sua famiglia e sulla sua vita quotidiana; la semplice narrazione del suo punto di vista l’aveva fatta sentire subito più libera ed “empowered”.

Il punto più significativo del suo racconto è quello in cui ella si dice sorpresa che l’uomo seduto davanti a lei fosse solo un ragazzo finlandese “normale”, con bambini piccoli a casa. Accade spesso, infatti, che la percezione della persona offesa in merito all’autore del reato – e anche allo stesso fatto illecito – cambi dopo un programma di giustizia riparativa e ciò è ancora più frequente se i reati sono commessi con strumenti tecnologici, senza che i protagonisti si siano mai visti prima. L’incontro con “il volto dell’altro” può aiutare la persona offesa a ridisegnare le false immagini che si siano formate in lei, unilateralmente[15].

In alcuni casi, invece, il programma può portare al coinvolgimento delle comunità di riferimento. Una restorative conference, per esempio, svoltasi nel Minnesota nel 2011 per un reato di pedopornografia commesso da alcuni studenti, tra gli 11 e i 14 anni – i quali avevano condiviso per via telematica con altri colleghi immagini sessualmente esplicite di una loro compagna, dopo averle sottratte dal cellulare del suo ragazzo – si è conclusa con un accordo ad ampio spettro che ha interessato l’istituzione scolastica e i genitori, oltre ai ragazzi[16].

Per concludere sul punto è necessario precisare che, come in tutte le pratiche di giustizia riparativa, pure gli incontri che seguono alla commissione di un illecito online devono essere ben preparati da facilitatori formati e hanno luogo solo se sono accettati volontariamente da tutte le parti.

Anche nell’ipotesi in cui l’autore o la vittima non esprimano il loro consenso alla partecipazione, nonché nell’ipotesi, non del tutto remota, in cui l’autore della condotta non sia stato identificato, la flessibilità che caratterizza la giustizia riparativa è tuttavia in grado di offrire qualche opportunità.

I processi di giustizia riparativa con vittime e/o autori del reato surrogati e addirittura le soluzioni più complesse che coinvolgono in uno stesso programma diverse vittime di reati simili che incontrano autori di reati simili (Victim-Offender Panels) costituiscono opzioni comunque praticabili[17].

2. Le risposte riparative all’illecito online in prospettiva complementare: la disciplina organica italiana della restorative justice

Se gli strumenti riconducibili alla giustizia riparativa possono intercettare plurime istanze che – a maggior ragione pensando a queste forme di criminalità – non trovano accoglimento nella giustizia tradizionale, dobbiamo comunque chiederci se sia preferibile che essi rispondano ad una logica alternativa/autonoma o complementare rispetto alla giustizia punitiva.

Uno sguardo anche superficiale al dibattito internazionale sulla nozione di giustizia riparativa ci rivela punti di vista ben poco convergenti, espressi da concezioni ancorate alla prevalenza della dimensione dell’incontro su quella della riparazione, o viceversa[18].

In una diversa prospettiva si coglie una contrapposizione teorica forte tra un’opzione purista ed un’opzione massimalista di restorative justice[19]. In quella “purista” di McCold, ad esempio, tale nuovo modello di giustizia deve essere concepito come integralmente alternativo ed estraneo a quello tradizionale, evitando di mutuarne metodi, prassi e concetti, rifiutando ogni forma di coazione e valorizzando il consenso, la volontarietà e l’informalità[20]. In quella “massimalista” di Walgrave, invece, la restorative justice è solo «un’opzione nel fare giustizia, a seguito della commissione di un reato, che è primariamente orientata alla riparazione del danno individuale, relazionale e sociale causato da quel fatto criminoso»[21]. Il ricorso a percorsi e a soluzioni consensuali (mediazione, restorative conferencing, sentencing circles) è da preferire, ma non si esclude l’applicazione della sanzione penale o, addirittura, di forme di imposizione della riparazione, quando necessario.

Entrambe le prospettive sono abbracciabili, ma perché la seconda possa essere presa in considerazione è pur sempre necessario, in via preliminare, che il sistema della giustizia tradizionale possa concretamente ed efficacemente operare rispetto a quel fatto di reato. Quando si ha a che fare con l’illecito online, invece, gli ostacoli tecnici e giuridici – anche solo per quanto attiene alla legge applicabile e alla giurisdizione, in ipotesi di reati “a dimensione “transfrontaliera” – sono tali da non consentire di dare nulla per scontato.

Affrontando, quindi, – innanzitutto – le ipotesi più semplici, in cui gli ostacoli appena menzionati siano superabili e il sistema giudiziario nazionale possa intervenire efficacemente, un esempio molto chiaro di incontro tra la giustizia riparativa e quella punitiva – nel segno della complementarità[22] – è offerto proprio dall’ordinamento italiano, grazie alla disciplina organica della giustizia riparativa, che è stata introdotta con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150[23] e che non prevede nessuna esclusione per queste forme di criminalità, essendo i programmi accessibili «senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità» (art. 44 c. 1), nonché «in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto delle condizione di procedibilità […] o per intervenuta causa estintiva del reato» (art. 44 c. 2).

Due specifici aspetti ci sembrano tuttavia meritevoli di essere evidenziati, se si vuole garantire un accesso sicuro ed efficiente a questi strumenti da parte di soggetti che esprimano un genuino consenso alla partecipazione, qualora ci si trovi in presenza di reati, anche violenti, commessi con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: quello relativo alla minimizzazione dei rischi di vittimizzazione secondaria, ai quali sono sempre esposte le persone offese anche in questi contesti, e quello attinente agli strumenti telematici che potrebbero essere utilizzati per favorire lo svolgimento di alcuni programmi.

2.1.La perenne necessità di minimizzare i rischi di vittimizzazione secondaria

Non si possono sottovalutare i rischi di vittimizzazione secondaria ai quali la vittima è esposta anche nell’ambito dei programmi di restorative justice. La giustizia informale non è esente da tali pericoli per la persona offesa, soprattutto quando si innesta su relazioni connotate dalla violenza, anche se perpetrata con strumenti tecnologici, e in particolare in caso di violenza domestica o di “violenza nelle relazioni strette” – a prescindere dal genere, ma spesso praticata contro le donne – definita nel 18° Considerando della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, come «commessa da una persona che è l’attuale o l’ex coniuge o partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l’autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima».

Le prese di posizione pubbliche contro l’accesso alla giustizia riparativa riguardano soprattutto il tema della violenza contro le donne e si fondano su alcuni argomenti ricorrenti[24] .

In primo luogo – nella ricerca di un fondamento normativo insuperabile, ma in realtà non così preclusivo come si vorrebbe – si pone l’accento sulla contrarietà della giustizia riparativa e di ogni altra forma di conciliazione rispetto alla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa (aperta alla firma l’11 maggio 2011) ratificata dall’Italia e più precisamente rispetto al suo art. 48,che le vieterebbe in presenza di donne vittime di violenza[25].

Sul piano criminologico si ricorda poi, in breve, come nel caso di violenze di genere perpetrate all’interno di una coppia la donna sia particolarmente vulnerabile e non si collochi in una posizione paritaria rispetto all’uomo, mentre la giustizia riparativa presuppone, al contrario, che le parti siano in posizione di parità anche solo per esprimere una volontà libera e consapevole. Il rischio è quindi quello che la prima, in soggezione nei confronti dell’autore dell’offesa, vada incontro ad una seconda vittimizzazione, dichiarando di partecipare al programma solo per senso di colpa, adattando i propri bisogni a quelli dell’autore del reato ed accettando all’esito, per esempio, delle scuse non sincere, che nelle relazioni violente vengono usate frequentemente dall’uomo per riconquistare il favore della donna. Allo stesso tempo, si teme che lo squilibrio di potere tra le parti possa essere perpetuato e addirittura aggravato a causa o durante lo svolgimento dei programmi riparativi fondati sull’incontro, spesso a causa dell’atteggiamento manipolatorio dell’offender violento, che tende a minimizzare episodi anche gravi. Egli può utilizzare quanto emerso negli incontri per accrescere ulteriormente il proprio ruolo di dominio all’interno della coppia[26].

Anche alcuni reati commessi in rete possono essere espressione di questo fenomeno, se si pensa che la Direttiva UE 2024/1385 “sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica” (Considerando 21) evidenzia, per esempio, come lo stalking online sia «una forma moderna di violenza spesso perpetrata nei confronti di familiari o persone che convivono con l’autore del reato, ma anche ad opera di ex partner o conoscenti». L’autore del reato usa la tecnologia per rendere più pressante un comportamento coercitivo e controllante.

In questo quadro, non si può escludere in concreto il rischio che i soggetti abusanti, che abbiano utilizzato tecnologie dell’informazione e della comunicazione per commettere il reato, possano poi strumentalizzare deliberatamente i programmi di giustizia riparativa solo per acquistare un controllo ancora più penetrante sulla vittima.

Così, sebbene l’art. 48 della Convenzione di Istanbul – ad una attenta lettura – non escluda affatto che gli Stati possano prevedere l’accesso alla giustizia riparativa in materia, se esso è opzionale e dunque caratterizzato dalla volontarietà, la cautela deve essere massima. Più che pensare ad un’occasione di incontro – anche a distanza – tra le parti, in alcune circostanze potrebbe essere necessario adottare piuttosto degli ordini di protezione per tutelare la persona offesa; gli ordini potrebbero comprendere il divieto per l’indagato di accedere a determinate località, di avvicinarsi alla vittima o alle persone a carico a una distanza inferiore a quella prescritta o di contattarla, anche attraverso interfacce online[27].

La disciplina organica della giustizia riparativa, del resto, si mostra in generale molto cauta, nel momento in cui richiede un duplice, imprescindibile, vaglio di fattibilità dei programmi. L’art. 129-bis c.p.p., innanzitutto, prevede che l’invio ai Centri degli interessati sia disposto dall’autorità giudiziaria, qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti. È quindi necessario che l’autorità giudiziaria, soprattutto di fronte a forme di criminalità come queste, si ponga il problema della sicurezza delle vittime e apra le porte ai programmi solo se non ci sono rischi concreti per loro.

Superato questo primo vaglio – che potrebbe mancare solo in ipotesi di accesso precedente alla presentazione della querela – interviene un secondo momento di valutazione gestito dai mediatori esperti, due per ogni procedura (art. 53 d.lgs. 150/2022) ed auspicabilmente formati in modo adeguato, che si articola in alcuni passaggi obbligati, ma che si conclude proprio con il giudizio definitivo sulla fattibilità del programma che segue allo svolgimento degli incontri preliminari (art. 54, c. 1, d.lgs. 150/2022)[28].

2.2. I programmi riparativi in modalità telematica

Altro profilo di più spiccata specificità è quello concernente le modalità attraverso le quali il programma potrebbe essere gestito in presenza di illeciti online.

Se, da un lato, l’incontro dovrebbe avvenire di regola in presenza, nel mondo “reale”, per consentire ai protagonisti di guardarsi finalmente in faccia e di dialogare liberamente – ricorrendo anche al linguaggio non verbale –, dall’altro lato non si possono sottovalutare i costi, non solo economici, che in alcune occasioni si devono sostenere per rendere possibile l’incontro tra persone che sono residenti in luoghi distanti tra loro, ma che la rete ha “avvicinato”; costi che, in concreto, potrebbero impedire del tutto lo svolgimento dei programmi. Proprio nei casi da ultimo citati, allora, i mediatori dovrebbero poter proporre anche incontri da remoto, con lo scopo di favorire un percorso che altrimenti non potrebbe neppure iniziare.

Al di là delle ragioni logistiche, poi, questa decisione potrebbe essere talvolta favorita dalla percepita opportunità di un incontro che abbia luogo esclusivamente “in rete”, nel contesto che, ben lungi dal potersi considerare artificiale, è per le parti una realtà importante e comunque l’ambiente in cui il reato ha preso forma[29]. La stessa riparazione dovrebbe, del resto, trovare nuove forme di espressione, capaci di adattarsi alla dimensione virtuale.

Nel d.lgs. 150/2022 non è stata inserita una disciplina della restorative justice in forma telematica. Si parla soltanto di «spazi e luoghi adeguati allo svolgimento dei programmi e idonei ad assicurare riservatezza e indipendenza» (art. 55 d.lgs. 150/2022), ma si dà quasi per scontato che gli spazi e i luoghi siano “fisici”.

Nell’ambito della disciplina della mediazione civile, invece, la mediazione telematica ha rappresentato già da tempo una via praticabile, se disciplinata dal regolamento dell’organismo di mediazione, prima di divenire ampiamente accessibile durante il periodo di emergenza epidemiologica, a partire dal d.l. 17 marzo 2020 n. 18, e di fare un significativo salto di qualità con l’art. 8 bis d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, e con l’art. 8 ter d.lgs. 28/2010, che disciplina la mediazione da remoto, introdotto dal d.lgs. 27 dicembre 2024 n. 216. Oggi possiamo affermare che alle parti è riconosciuto un vero e proprio diritto di partecipare all’incontro con collegamento audiovisivo da remoto.

L’esperienza incoraggiante maturata in materia civile potrebbe favorire lo sviluppo di una maggior fiducia negli strumenti tecnologici, anche per quanto riguarda la restorative justice. Se nella disciplina organica in vigore non si ravvisano ostacoli insuperabili allo svolgimento di incontri da remoto – nei casi in cui il “luogo” e lo “spazio” adeguato sia proprio quello virtuale – sarebbe comunque auspicabile che si addivenisse al più presto ad una specifica disciplina in materia. È indispensabile che si prevedano degli accorgimenti utili a garantire la riservatezza del percorso, mentre non è certo opportuno che si arrivi a riconoscere alle parti un diritto alla mediazione a distanza analogo a quello che può essere esercitato nell’ambito della mediazione civile. Per quanto riguarda la restorative justice, infatti, è sempre preferibile che sia il mediatore a valutare se ci sono i presupposti per ammettere il ricorso agli strumenti tecnologici, tenuto conto delle informazioni raccolte negli incontri preliminari e del consenso espresso dalle parti.

Un’apertura in questa direzione pare imposta anche dagli strumenti normativi sovranazionali. La citata Direttiva UE 2024/1385 “sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”, nel Considerando 30, per esempio, si sofferma sull’opportunità di sporgere denuncia online o tramite altre tecnologie dell’informazione e della comunicazione accessibili e sicure «per denunciare la violenza contro le donne o la violenza domestica, almeno per quanto riguarda i reati informatici di condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato, lo stalking online, le molestie online, l’istigazione alla violenza o all’odio online, definiti nella presente direttiva. La vittima dovrebbe poter caricare materiale relativo alla denuncia, ad esempio screenshot che attestino la presunta condotta violenta». L’art. 14 della Direttiva impone agli Stati membri di garantire alle vittime questa possibilità.

Se per alcuni reati commessi mediante le tecnologie sopra descritte l’accesso alla giustizia tradizionale deve poter avvenire anche attraverso strumenti informatici, una giustizia inclusiva come quella riparativa non può precludere del tutto questa alternativa, in presenza di ragioni serie, prestando una speciale attenzione a non sottovalutare comunque i già descritti rischi di vittimizzazione secondaria ai quali sono esposte le persone offese.

3. La restorative justice come alternativa (non esclusiva) alla giustizia tradizionale: un primo contributo che i fornitori delle piattaforme online potrebbero offrire

Se immaginiamo, invece, una restorative justice che, anche solo per necessità, si ponga come alternativa – ancorché non esclusiva – rispetto alla giustizia tradizionale, decisivo ci sembra il ruolo promozionale che, innanzitutto, potrebbe essere svolto direttamente dai fornitori delle piattaforme online[30]. Come anticipato, quest’opzione merita di essere considerata con speciale attenzione di fronte a queste forme di criminalità, vista la frequente incapacità della giustizia punitiva di intervenire in modo efficace.

I fornitori delle piattaforme – a prescindere dalle questioni classiche che possono porsi in tema di giurisdizione o di legge applicabile e a prescindere dagli obblighi esecutivi, di segnalazione o di mitigazione dei rischi a loro carico, derivanti dall’impatto della tecnologia sui diritti fondamentali, che già discendono dal Regolamento (UE) 2022/2065 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la Direttiva 2000/31/CE, il c.d. Digital Services Act –sono chiamati a partecipare alla governance, intesa come coordinamento tra soggetti privati e pubblici coinvolti nella gestione della rete, mediante iniziative di autoregolamentazione e di coregolamentazione, ai fini del contrasto alla diffusione di contenuti illegali online, per la tutela degli utenti. Queste iniziative sono stimolate proprio dalla natura trasnazionale, delocalizzata e in perenne evoluzione del mezzo della rete stessa, che mette in discussione l’assoluta centralità dello Stato[31].

Proprio nel quadro di tali regolamentazioni dovrebbe essere disciplinato e garantito anche l’accesso alla giustizia riparativa.

Il Digital Services Act già prevede – ad altri fini – che i fornitori di piattaforme online offrano un sistema interno di gestione dei reclami contro le decisioni da loro prese all’atto del ricevimento di una segnalazione in merito all’illegalità di contenuti pubblicati o alla loro incompatibilità con le condizioni generali (art. 20).

I destinatari del servizio, compresi le persone o gli enti che hanno presentato segnalazioni, hanno poi diritto di scegliere un organismo di risoluzione extragiudiziale delle controversie certificato ai fini della definizione conciliativa delle liti inerenti a tali decisioni, compresi i reclami che non è stato possibile risolvere mediante il sistema interno di gestione. I fornitori di piattaforme online provvedono affinché le informazioni in merito alla possibilità di avere accesso a una risoluzione extragiudiziale delle controversie siano facilmente accessibili sulla loro interfaccia.

Così, sulla falsariga di questo modello, si potrebbe implementare un sistema del tutto autonomo – ancorché non necessariamente alternativo (in termini di aut aut) alla giustizia tradizionale – di restorative justice, che coinvolga autori e vittime (in accezione individuale o diffusa, seppur con qualche maggiore difficoltà operativa in questo secondo caso) e che sia gestito da organismi specializzati, distinti da quelli chiamati ad occuparsi della relazione tra il fornitore della piattaforma e il destinatario del servizio, ivi incluso il segnalante.

Fermi gli obblighi di rimozione di contenuti illeciti e, se necessario, di segnalazione alle autorità giudiziarie, dovrebbero essere proprio le piattaforme a mettere a disposizione gratuitamente degli organismi – formati da professionisti mediatori – che siano “riconosciuti” attraverso un sistema di certificazione, che faccia capo al coordinatore dei servizi digitali dello Stato membro in cui è stabilito l’organismo stesso, sulla scorta di quanto indicato dal Digital Services Act per i già citati enti di risoluzione extragiudiziale delle controversie ivi contemplate (art. 21 c. 3). L’accesso ai programmi di giustizia riparativa dovrebbe di regola avvenire tempestivamente – superando gli ostacoli legati alla territorialità degli interventi più classici e alla stessa nozione, in concreto non sempre condivisa dagli interessati, di illecito online – su richiesta delle vittime, che avrebbero comunque il diritto di continuare a rivolgersi altresì al canale del tutto autonomo della giustizia tradizionale, con i limiti che questa presenta. Non è tuttavia da escludersi anche un accesso su istanza dell’offender.

Il programma, sempre con il consenso dei partecipanti, potrebbe essere attivato anche in ipotesi di conflitto tra i partecipanti in merito al livello di tollerabilità di un certo contenuto offensivo ospitato dalle piattaforme.

In questo orizzonte la giustizia riparativa – che dovrebbe essere gestita di regola a distanza –potrebbe assumere una valenza davvero autonoma e, in tal senso rivoluzionaria, anche per i casi in cui una condanna giudiziale sarebbe difficile da ottenere[32].

La prospettiva ci sembra incoraggiante, sebbene alcuni ostacoli siano innegabili. Non vi è dubbio, infatti, che il consenso degli interessati, stella polare della restorative justice, non può non condizionare l’accesso ai programmi e ne rappresenta un limite fisiologico, che, al contrario, la risposta penale, per il suo carattere coercitivo, non incontra.

Anche solo considerando questa caratteristica ineliminabile del modello, quindi, è molto difficile dire se per questa via esso potrà contribuire nel tempo a trainare la logica punitiva verso una logica più riparativa e più attenta alle esigenze delle vittime, nel rigoroso rispetto dei principi europei e internazionali in materia. Il tasso elevato di ineffettività della giustizia tradizionale nel contesto dei reati commessi “in rete” non può tuttavia che sollecitare un serio investimento anche in questa direzione, con la messa a disposizione di strumenti riparativi accessibili a tutti coloro che siano interessati ad utilizzarli e accompagnati dalle precauzioni necessarie per assicurare la sicurezza delle parti.


[1] Il presente contributo rivisita e amplia il testo dell’intervento effettuato nell’ambito del Convegno “La nozione di contenuto illecito online. Fattispecie e responsabilità penale nella prospettiva europea”, svoltosi a Bologna il 29-30 novembre 2024, sotto il coordinamento scientifico di Kolis Summerer, Matteo L. Mattheudakis, Gian Marco Caletti e Paolo Beccari, i cui atti sono in corso di pubblicazione.

[2] L’ampiezza di questi fenomeni è ormai evidente: il mese di dicembre 2009 ha rappresentato un momento decisivo in quanto, per la prima volta a livello mondiale, social network e blog sono diventati la destinazione più popolare per quanto riguarda il tempo trascorso nella rete, superando motori di ricerca, siti di informazione e di acquisto, giochi online e portali che per lungo tempo hanno rappresentato il punto di riferimento per i consumatori di internet: S. Pasta, Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online, Brescia, 2018, 60.

[3] Dai “reati informatici in senso stretto” (“computer crimes”) – fattispecie incriminatrici di nuova generazione, in cui viene tipizzato un uso anomalo, dannoso o pericoloso, dei processi di “automazione” di dati o informazioni, o che sono legate a modalità, oggetti o attività di carattere tecnologico (danneggiamento di dati, accesso abusivo a sistemi, intercettazione di flussi di comunicazione, etc.) – si distinguono infatti i “reati informatici in senso ampio”, o “reati cibernetici” (“cybercrimes”), fattispecie “comuni” rispetto alle quali l’utilizzo di strumenti informatici, talvolta espressamente indicato nella norma penale, altre volte solo interpretativamente compatibile con la fattispecie legale, appartiene ad una delle possibili manifestazioni del reato (si pensi alla diffamazione on line, alla diffusione di materiale pedopornografico, all’istigazione alla discriminazione ed all’odio razziale). Per un approfondimento cfr. ex multis, L. Picotti, Diritto penale e tecnologie informatiche: una visione d’insieme, in A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Cybercrime, Milano, 2019, 33 ss.; R. Flor, Lotta alla “criminalità informatica” e tutela di “tradizionali” e “nuovi” diritti fondamentali nell’era di internet, in Dir. pen. cont., 20 settembre 2012, 4-5; L. Picotti, La nozione di “criminalità informatica” e la sua rilevanza per le competenze penali europee, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, 827 ss.; C. Pecorella, Diritto penale dell’informatica, Milano, 2006, passim.

[4] R. Bartoli, Verso una rifondazione personalistica della querela. Spunti preziosi dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 106/2024, in Sist. Pen., 11/2024, 45.

[5] M. Lamanuzzi, Il “lato oscuro della rete”: odio e pornografia non consensuale. Ruolo e responsabilità dei gestori delle piattaforme social oltre la net neutrality, in LP, 24 maggio 2021, 4 ss.

[6] S. Pasta, Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online, cit., 90 ss.

[7] Per una disanima di questi effetti con riferimento al reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, cfr. M. Tortorelli, Gli abusi sessuali tramite immagini. Limiti applicativi e prospettive di riforma dell’art. 612 ter c.p., in DPC Riv. Trim., 1/2024, 210 ss.; M. Mattia, “Revenge porn” e suicidio della vittima: il problema della divergenza tra ‘voluto’ e ‘realizzato’ rispetto all’imputazione, in LP, 18 luglio 2019, 4 ss., che parla addirittura di “armi di distruzione della personalità”.

[8] A. Zizzola, Restorative Justice Responses to Cyber Harm Cyberbullying, Cyberstalking and Online Abuse/Harassment, in https://www.euforumrj.org/restorative-justice-responses-cyber-harm.

[9] Nella dottrina italiana, per tutti, cfr. F. Parisi, Giustizia riparativa e sistema penale, Torino, 2025, passim; G. Mannozzi, G. A. Lodigiani, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, Torino, 2025, passim; V. Bonini (a cura di), Torino, 2024, passim; M. Bouchard, F. Fiorentin, La giustizia riparativa, Giuffré, Milano, 2024, passim; G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, 2003, passim.

[10] Questa definizione è offerta dalla Raccomandazione Rec(2018)8 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla giustizia riparativa in materia penale, par. 3 dell’Appendice.

[11] T.L.A.S. Robalo, R.B.B. Abdul Rahim, Cyber Victimisation, Restorative Justice and Victim-Offender Panels, in Asian J. Criminol., vol. 18, 2023, 61 ss.

[12] M. Button, C.M. Nicholls, J. Kerr, R. Owen. Online fraud victims in England and Wales: victims’ views on sentencing and the opportunity for restorative justice?, in HowardJournal of Crime and Justice, vol. 54(2), 2015, 193 ss.

[13] T.L.A.S. Robalo, R.B.B. Abdul Rahim, Cyber Victimisation, Restorative Justice and Victim-Offender Panels, cit., 61 ss. Cfr. altresì J. Braithwaite, Crime, shame and reintegration, Cambridge, 1989, passim.

[14] In questi termini si esprime efficacemente F. Parisi, Giustizia riparativa e sistema penale, cit., 17 ss., descrivendo un importante segmento della giustizia riparativa.

[15] Il programma è descritto nel dettaglio da S. Koivisto, “The scariest thing was he’s just a regular Finnish guy”, 2019, in https://yle.fi/aihe/artikkeli/2019/11/06/face-to-face-with-a-man-who-wished-an-asylum-seeker-would-kill-my-family-the, passim. Il 18 agosto 2017, a Turku, città del sudovest della Finlandia, diverse persone vennero accoltellate nella Piazza del Mercato da un giovane di origine straniera. L’ondata di razzismo che si diffuse nella popolazione finlandese a seguito di questa vicenda indusse il giornalista Sami Koivisto a pubblicare un articolo di sostegno ai migranti, ai richiedenti asilo e alla comunità musulmana in generale che avevano subito pesanti discriminazioni dopo l’attacco. Pochi giorni dopo l’articolo, però, la famiglia del giornalista fu minacciata di morte in un forum online dove venne pubblicata anche un’immagine a fumetti in cui l’omicidio veniva celebrato con caffè e torta. La polizia, una volta identificato l’autore della condotta penalmente rilevante, prima di dar corso al procedimento penale, decise tuttavia di proporre al giornalista un programma di giustizia riparativa – condotto dagli agenti stessi – che, in ipotesi di esito positivo, avrebbe potuto condurre ad una definizione del procedimento in sede non giudiziale. Quasi un anno dopo la pubblicazione della minaccia, Koivisto aveva così l’opportunità di incontrare la persona che si era resa responsabile del fatto e, sebbene inizialmente riluttante, decise di accettare. Nel novembre 2018 ebbe luogo l’incontro, durante il quale Koivisto ebbe la possibilità di descrivere l’impatto che il discorso d’odio aveva avuto sul suo lavoro, sulla sua famiglia e sulla sua vita quotidiana. L’uomo che lo aveva minacciato, dopo averlo ascoltato, si scusò e cerco di spiegargli le proprie ragioni. Dichiarò che pur comprendendo che ciò che era stato fatto non poteva essere cancellato, egli era profondamente dispiaciuto e disgustato per quanto aveva fatto; aggiunse altresì che non si sarebbe mai ritrovato in una situazione simile e non avrebbe mai scritto un messaggio come quello se non avesse partecipato ad un forum di discussione online. La mediazione si concluse positivamente. I partecipanti raggiunsero con un accordo avente ad oggetto la scrittura a quattro mani di un articolo sui discorsi di odio, sul loro impatto economico, sul loro effetto sulla salute della nazione e sui rischi che essi fanno correre al mantenimento dell’armonia sociale.

[16] L’esperienza è descritta da N. Riestenberg, Restorative group conferencing and sexting: repairing harm in Wright County, 2014, in https://cyberbullying.org/restorative-group-conferencing-and-sexting, passim. Nel 2011, infatti, in una scuola media della contea di Wright, alcuni studenti, tra gli 11 e i 14 anni, avevano condiviso per via telematica con altri colleghi immagini sessualmente esplicite di una loro compagna dopo averle sottratte dal cellulare del suo ragazzo. In base alla disciplina nazionale questi ragazzi avrebbero potuto essere chiamati a rispondere del reato di detenzione e diffusione di materiale pedopornografico. In seguito ad un’intesa raggiunta tra l’istituzione scolastica coinvolta, il procuratore della contea e l’ufficio dello sceriffo, il caso venne tuttavia inviato al Wright County Restorative Justice Agent, che avviò un programma di gruppo, organizzando una conference con quasi quaranta invitati tra studenti, genitori, il procuratore della contea, lo sceriffo, i responsabili della scuola e gli insegnanti. La fase della raccolta del consenso fu, come sempre, assai delicata. Le maggiori resistenze alla partecipazione furono espresse da alcuni genitori convinti aprioristicamente che i loro figli fossero del tutto estranei ai fatti. Il programma ebbe comunque esito positivo. Il racconto della ragazza, in particolare, permise a tutti di comprendere nel dettaglio la portata offensiva della vicenda. Ella ebbe modo di spiegare che aveva desiderato solo condividere una foto intima con il ragazzo, mentre quell’immagine era entrata – senza il suo consenso – nella disponibilità di un numero non precisato di destinatari, producendo effetti devastanti sulla sua vita. L’accordo raggiunto a chiusura del programma coinvolse a vario titolo tutti i partecipanti: gli studenti si scusarono, redassero una relazione sui rischi connessi all’invio e alla ricezione di materiale pornografico minorile e si impegnarono per il futuro a segnalare immediatamente ai responsabili dell’istituzione scolastica eventuali casi di circolazione di immagini a contenuto sessualmente esplicito o altre informazioni a riguardo; i genitori si assunsero il compito di monitorare più da vicino l’uso del cellulare e di internet da parte dei figli; le istituzioni pubbliche e la scuola, infine, si impegnarono a dar corso a specifici progetti informativi per i genitori e per gli studenti concernenti il fenomeno del sexting e ad attività di sensibilizzazione per un uso consapevole della rete.

[17] C. McGlynn, Criminalization at the Margins: Downblousing, Creepshots and Image-Based Sexual Abuse, in G.M. Caletti, K. Summerer (a cura di), The Criminalization of Violence Against Women Comparative Perspectives, Oxford, 2023, 343 ss.; T.L.A.S. Robalo, R.B.B. Abdul Rahim, Cyber Victimisation, Restorative Justice and Victim-Offender Panels, cit., 61 ss.

[18] Marshall si riferisce alla restorative justice come ad un “approccio problem-solving” al reato, o, più precisamente, ad un processo in cui tutte le parti interessate da un particolare reato si incontrano per decidere insieme come affrontare le conseguenze dell’offesa e le sue ripercussioni nel futuro (T.F. Marshall, Restorative Justice. An Overview,London, 1999, 5). Al contrario, la dimensione della riparazione è valorizzata da autori come G. Bazemore, L. Walgrave, Restorative Juvenile Justice: in Search of Fundamentals and an Outline for Systemic Reform, in Id. (ed. by), Restorative Juvenile Justice: Repairing the Arm of Youth Crime, Monsey, 1999, 48, che propongono la seguente definizione di giustizia riparativa: «every action that is primarily oriented towards doing justice by repairing the harm that is caused by crime».

[19] Per un approfondimento cfr. F. Reggio, Giustizia dialogica, Milano, 2010, 109 ss.

[20] P. McCold, Toward a Holistic Vision of Restorative Juvenile Justice: A Reply to the Maximalist Model, in Contemporary Justice Review, 2000, 357 ss.

[21] L. Walgrave, Restorative Justice, Self-interest and Responsible Citizenship, Cullompton (Devon), Portland (Oregon), 2008, 21, dove, integrando la definizione di Bazemore and Walgrave, già citata, si legge: «an option for doing justice after the occurrence of an offence that is primarily oriented towards repairing the individual, relational and social harm, caused by that offence».

[22] Cfr. sul tema R. Bartoli, Complementarità, innesto e rientro nella disciplina della giustizia riparativa. Ovvero una replica alle critiche mosse alla giustizia riparativa, in www.sistemapenale.it, 12 marzo 2025; G.L.G. Gatta, La giustizia riparativa: una sfida del nostro tempo, in www.sistemapenale.it, 28 ottobre 2024.

[23] Sulla riforma organica della giustizia riparativa cfr. L. Bartoli, La giustizia riparativa al bivio tra comunità e processo, in Dir. pen. proc., 2024, 932 ss.; V. Bonini, Evoluzioni della giustizia riparativa nel sistema penale, in Proc. pen. giust., 2022, 102 ss.; M. Bortolato, La riforma Cartabia: la disciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo, in Quest. giust., 10 ottobre 2022; D. Castronuovo, M. Donini, E.M. Mancuso, G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, Milano, 2023, passim; A. Ceretti, G. Mannozzi, C. Mazzucato (a cura di), La disciplina organica della giustizia riparativa, Milano, 2024, passim; L. Eusebi, Giustizia riparativa e riforma del sistema penale, in Dir. pen. proc., 2023, 9 ss.; M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia (profili processuali), in www.sistemapenale.it, 2 novembre 2022; F. Parisi, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte I. «Disciplina organica» e aspetti di diritto sostanziale, in www.sistemapenale.it, 27 febbraio 2023; P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte II. Aspetti di diritto sostanziale, ivi.

[24] Cfr., tra tutte, J. Stubbs, Gendered violence and restorative justice, in A. Hayden, L. Gelsthorpe, V. Kingi and A. Morris (ed. by), A Restorative Approach to Family Violence: Changing Tack, Surrey, 2014, 199 ss.; Id., Domestic violence and women’s safety: Feminist challenges to restorative justice, in H. Strang H & J. Braithwaite (ed. by) Restorative justice and family violence, Melbourne, 2002, 42 ss. Cfr. altresì K. Daly & J. Stubbs, Feminist engagements with restorative justice, in Theoretical Criminology, 2006, 10(9), 9 ss.

[25] L. Luisi, Giustizia riparativa: indicazioni e controindicazioni, in https://www.alternativa-a.it/il-magazine/giustizia-riparativa-indicazioni-e-controindicazioni/, 28 febbraio 2024, che ripropone le opinioni di alcune “addette ai lavori”, come la senatrice Valente già presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio; M. Bouchard, F. Fiorentin, La giustizia riparativa, cit., 280.

[26] In queste riflessioni si coglie un riferimento implicito agli studi che sono stati condotti in ambito psicologico per esempio sul fronte della “spirale della violenza”, un modello comportamentale descritto da Lenore E. A. Walker – per quanto attiene alle situazioni di violenza contro le donne nelle coppie stabili – come una sequenza in cui ciclicamente si passa dall’accumulo della tensione, al quale si accompagna nella donna la crescita del senso di pericolo, alla fase di esplosione della violenza nel partner abusante – che diventa sempre più intensa con il passare del tempo – fino alla fase del pentimento e dell’apparente normalità, in cui l’uomo mostra rimorso e senso di colpa e cerca il perdono della compagna che crede che l’uomo sia cambiato davvero e cede, mantenendo in vita la relazione affettiva entro la quale la violenza è nata ed esponendosi così ulteriormente al pericolo di una nuova, sicura, aggressione. Le fasi si susseguono nel tempo in modo sempre più rapido, come in una sorta di vortice. L. E. A. Walker, The Battered Woman Syndrome, 3rd ed., New York, 2009, 91 ss.

[27] Cfr. sul punto il Considerando 45 della Direttiva UE 2024/1385 “sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”.

[28] Per maggiori approfondimenti sul tema cfr., eventualmente, E. Mattevi, Giustizia riparativa e violenza di genere. Brevi considerazioni su una relazione possibile, a certe condizioni, in www.sistemapenale.it, 9 dicembre 2024, passim, e gli ulteriori interventi di Anna Lorenzetti e di Elena Biaggioni che, con l’introduzione di Valentina Bonini, affrontano il tema del rapporto tra giustizia riparativa e violenza di genere da diverse prospettive.

[29] Come rilevano puntualmente S. Fiore, F. Resta, Il diritto penale nel metaverso, in P. Stanzione (a cura di), Il metaverso. Diritti-Libertà-Antropologia, Napoli, 2023,124: «il progressivo spostamento di non marginali attività del Cyberspace sta attenuando oggettivamente la capacità per gli utenti di percepire l’esistenza di una chiara separazione con le esperienze che invece si svolgono interamente nella dimensione materiale […]».

[30] Nel Considerando 13 del Digital Services Act si precisa che «le piattaforme online, quali le reti sociali o le piattaforme online che consentono ai consumatori di concludere contratti a distanza con operatori commerciali, dovrebbero essere definite come prestatori di servizi di memorizzazione di informazioni che non solo memorizzano informazioni fornite dai destinatari del servizio su richiesta di questi ultimi, ma diffondono anche tali informazioni al pubblico, su richiesta dei destinatari del servizio». All’art. 3 lett. i) viene offerta la definizione di piattaforma online: «un servizio di memorizzazione di informazioni che, su richiesta di un destinatario del servizio, memorizza e diffonde informazioni al pubblico, tranne qualora tale attività sia una funzione minore e puramente accessoria di un altro servizio o funzionalità minore del servizio principale e, per ragioni oggettive e tecniche, non possa essere utilizzata senza tale altro servizio e a condizione che l’integrazione di tale funzione o funzionalità nell’altro servizio non sia un mezzo per eludere l’applicabilità del presente regolamento».

[31] S. Pasta, Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online, cit., 144 s.

[32] A. Zizzola, Restorative Justice Responses to Cyber Harm Cyberbullying, Cyberstalking and Online Abuse/Harassment, cit., passim.

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