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Caso “compro oro”. Per la cassazione è autoriciclaggio

Cass., Sez. II,  5 ottobre 2021 n.36180

Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI

 

La Corte di Cassazione penale, con la recente sentenza in commento, si è pronunciata a seguito del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia avverso l’ordinanza del riesame che nel confermare la misura cautelare della custodia in carcere di un’indagata, escludeva, tuttavia, che la vendita di gioielli provento di furto ad un compro oro, successivamente fusi in cambio di contanti, integrasse il reato di autoriciclaggio.

Tale condotta secondo i giudici di legittimità è idonea a configurare l’archetipo normativo descritto dall’art. 648-ter.1, cod. pen. introdotto dalla legge 186/2014.

Ai sensi di tale disposizione normativa assumono rilevanza penale le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento dei beni di provenienza delittuosa, compiute dall’autore del reato presupposto, realizzate “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative“, atte ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa .

La ratio di tale norma è quella di evitare pregiudizio all’ordine pubblico economico e finanziario, specie nell’ottica della libera concorrenza e, quindi, di sanzionare l’autore del delitto presupposto che autoricicli i proventi del delitto precedentemente commesso, assumendo tale condotta disvalore autonomo rispetto a quella del reato presupposto.

Per la configurabilità dell’art. 648-ter.1, cod. pen. l’attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni o di altre utilità devono avere la caratteristica specifica di essere idonee ad ostacolare “concretamente” l’identificazione della provenienza delittuosa dei suddetti beni.

Il legislatore con l’utilizzo dell’avverbio “concretamente”, non usato per il reato di riciclaggio ex art. 648 bis cod. pen., ha circoscritto l’ampiezza della fattispecie de qua volendo sanzionare le sole condotte idonee alla re-immissione del denaro o dei beni di origine illecita, nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale, e finalizzate ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale non punibile, da quella di occultamento del profitto illecito punibile, (sul punto vedi Cass. Pen., Sez. II, n. 38422/2018).

Il Tribunale Supremo, nella sentenza in esame, ancora una volta ribadisce che in tema di autoriciclaggio la nozione di attività economica o finanziaria è desumibile dagli articoli 2082, 2135 e 2195 cod. civ., e fa riferimento sia all’attività produttiva diretta a creare nuovi beni o servizi, sia a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle norme civilistiche, parametri, questi da  utilizzare anche per valutare la configurabilità del delitto in esame che, infatti rimanda alle medesime nozioni di attività economica o finanziaria, (vedi Cass. Pen., Sez. II, n. 33076/2016, Rv. 267693).

Tanto premesso, la Suprema Corte, chiarendo che la vendita dei beni provento di furto costituirebbe una condotta di «impiego in attività economiche» pacificamente riconducibile alla fattispecie astratta prevista dall’art. 648 ter.1.cod. pen., annullava la sentenza impugnata e rinviava al Tribunale del Riesame per una nuova valutazione in ordine al reato di auto riciclaggio.

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