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Il realismo analogico del diritto vivente: una rivoluzionaria estensione analogica contra lègem delle cause soggettive di esclusione della colpevolezza

 

Cass., Sez. un., sent. 26 novembre 2020 (dep. 17 marzo 2021), n. 10381, Pres. Cassano, rel. Fidelbo, ric. Fiavola

  1. Con la sentenza n. 10381 del 26 novembre 2020 (dep. 17 marzo 2021), il Supremo consesso della Corte di cassazione ricompone il contrasto giurisprudenziale insorto riguardo l’estensione dell’ambito applicativo dell’art 384, comma primo, cod. pen. ai componenti della famiglia di fatto.

L’istituto, testualmente rubricato “Casi di non punibilità”, è tradizionalmente annoverato tra le esimenti e trova applicazione in riferimento ad un catalogo di delitti contro l’amministrazione della giustizia commessi per la necessità di salvare sé, o un prossimo congiunto, da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.

L’ordinanza di rimessione [1] aveva sottoposto alle Sezioni Unite la questione di diritto relativa alla latitudine della norma evocata e, in particolare, al «se l’ipotesi di cui all’art. 384, comma 1, cod. pen. sia applicabile al convivente more uxorio», delineando i termini del contrasto nel quadro dei principi, costituzionali e convenzionali, e segnalando l’ineludibile confronto con «il più recente intervento legislativo del d.leg.vo n. 6 del 2017, conseguente alla c.d. legge Cirinnà del 2016 («Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»), con il quale si è ampliata la cerchia dei «prossimi congiunti» per ricomprendervi i soggetti uniti civilmente e non anche i conviventi di fatto..».

 

  1. Nell’affrontare la questione, le Sezioni unite hanno, innanzitutto, dato atto dei termini del contrasto registrato nella giurisprudenza di legittimità.

2.1. Secondo il più tradizionale e maggioritario orientamento,[2] l’estensione dell’istituto previsto dall’art 384 comma 1 cod. pen. alle convivenze more uxorio è stata esclusa per plurimi ordini di ragioni.

Un primo argomento fonda sul carattere eccezionale della norma, insuscettibile di estensione analogica, neanche in bonam partem, ai sensi dell’art 14 delle preleggi[3], spettando esclusivamente al legislatore il bilanciamento di interessi contrapposto che ne fonda la ratio.

Una seconda opzione interpretativa si incentra sul riferimento testuale, nella norma richiamata, ai “prossimi congiunti”, come definiti dall’art 307 cod. pen., nel cui elenco tassativo non si annoverano i conviventi more uxorio, in tal modo delimitandosi i soggetti destinatari della disposizione.

Una terza prospettiva sostanzialistica valorizza, invece, le differenze, ontologica e di disciplina, che connotano la convivenza di fatto rispetto alla “famiglia di diritto”[4]. In tal senso, è stato osservato come il rapporto more uxorio trovi copertura costituzionale nell’ambito dell’art. 2 della Carta fondamentale, che gli assegna una tutela indiretta in quanto formazione sociale in cui si esplica la libertà individuale; il matrimonio riceve, invece, tutela costituzionale espressa e diretta (art. 29 Cost), rappresentando per le sue caratteristiche di stabilità, il fondamento della istituzione familiare, preservato in quanto tale. E, in un quadro così connotato – si aggiunge – il legislatore non è obbligato ad applicare ai conviventi di fatto le stesse garanzie e regole che valgono per il matrimonio. In quest’ultima prospettiva, si evidenzia come la Corte di Strasburgo abbia, a più riprese, ritenuto come, nell’ambito di tutela tracciato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed in presenza di evidenti differenze fra la famiglia di fatto e la famiglia fondata sul matrimonio, sia legittimo prevedere uno statuto di disciplina differenziato per le due situazioni giuridicamente meritevoli di tutela.

Una quarta argomentazione valorizza la voluntas legis del legislatore del 2016/2017 [5]che, nell’introdurre la famiglia fondata sull’unione civile e la famiglia fondata sulla convivenza di fatto (o fra persone dello stesso sesso o fra persone di sesso diverso) con la L. n 76 del 2016, è intervenuta nel correlativo statuto penale, estendendo la causa di non punibilità di cui all’art 384 cod. pen. all’unito civilmente e non anche al convivente di fatto, in tal modo esprimendo una chiara opzione restrittiva del perimetro applicativo della norma: ubi lex voluit dixit, ubi noluit taquit.

2.2. Secondo il contrario e minoritario orientamento[6], invece, la “causa di non punibilità” prevista dalla norma in esame trova applicazione anche per i conviventi di fatto, alla luce di una pluralità di argomentazioni:

– in primo luogo, l’interpretazione dell’art. 384 cod. pen., costituzionalmente (artt 2,3 Cost) e convenzionalmente orientata [7] (art 8 Cedu), evita la marginalizzazione e la discriminazione ingiustificata della relazione di convivenza di fatto;

– in secondo luogo, si valorizza la giurisprudenza che impone una lettura evolutiva delle disposizioni che si riferiscono alla “famiglia”[8]: la sentenza Cass Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Agostino, Rv. 264630[9], ampiamente richiamata dalle Sezioni Unite, sottolinea che la “mutevole rilevanza penale della famiglia di fatto emergente dalle applicazioni giurisprudenziali” impone di accogliere “una nozione di famiglia e di coniugio in linea con i mutamenti sociali avvenuti negli ultimi anni”, solo in questa prospettiva ritenendosi possibile “ricondurre il sistema a coerenza, evitando soluzioni che contrastano – prima ancora che con una visione unitaria del tema – con il senso comune”;

– in terzo luogo, si richiama quella giurisprudenza [10], che ha fornito una “interpretazione valoriale” della legge Cirinnà, ed “ha comunque escluso che i “silenzi” sulle convivenze di fatto attribuibili alla legge n. 76 del 2016 e ai provvedimenti successivi possano «costituire un insormontabile impedimento per estendere a ogni forma di convivenza la disciplina che si ricava, in tema di equivalenza della figura del convivente a quella del coniuge, dal complesso quadro storico-evolutivo della materia».”

In altri termini, secondo il minoritario indirizzo favorevole, l’applicazione ai conviventi more uxorio della norma in esame fonda non già sull’inammissibile estensione analogica di una disposizione eccezionale quanto, piuttosto, su una lettura aperta delle nozioni di famiglia e di coniugio, già accolte, a diversi effetti, ed anche in malam partem, nel sistema penale, anche in tal caso evocando l’interpretazione convenzionale dell’art. 8 Cedu[11] e proponendo una esegesi “valoriale” della legge Cirinnà[12].

2.3. Prima di affrontare il quesito rimessogli, le Sezioni unite hanno, poi, escluso di poter risolvere la questione attraverso l’applicazione del comma secondo dell’art 384 cod. pen., nella formulazione introdotta dalla sentenza n. 416 del 1996 della Corte Costituzionale, non rilevante nel caso sottoposto al vaglio della Corte di cassazione [13].

Hanno, invece, preliminarmente affrontato il tema della mancata equiparazione, nel nostro ordinamento, della convivenza more uxorio alla famiglia legittima, ricostruendo le rispettive coordinate come delineate dalla corte Costituzionale [14] e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo [15], ravvisandone una sostanziale consonanza poiché sia nel sistema interno che in quello convenzionale le diverse tipologie di unioni familiari rappresentano fenomeni distinti, insuscettibili di una generalizzata equiparazione e di una integrale assimilazione.

Hanno, inoltre, disaminato anche le fonti sovranazionali (artt 8,12, CEDU; art. 6, par. 1, TUE; 23, comma 2, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, art 9 Carta di Nizza), tutte ispirate al riconoscimento della pari dignità di ogni forma di convivenza alla quale la legislazione nazionale decida di accordare la propria regolamentazione.

Hanno, infine, ribadito che l’omissione di ogni riferimento alle coppie di fatto nella riscrittura dell’art 307 cod. pen, operata con d. lgs. 19 gennaio 2017 n 6, in attuazione della legge Cirinnà, abbia implicitamente escluso la possibilità di riconoscere una serie di diritti in favore delle convivenze more uxorio, né, a maggior ragione, l’estensibilità della scusante di cui al 384, comma primo, cod. pen. al convivente.

Richiamando gli strumenti di tutela dedicati, nel diritto positivo, al fenomeno della convivenza more uxorio, le Sezioni unite hanno ricostruito la complessiva disciplina che, su vari livelli, ha riguardato la famiglia di fatto, equiparandola alla famiglia legittima (in tema di filiazione, di interdizione e nomina di amministratore di sostegno, di ammissione alla procreazione assistita, di astensione dal rendere dichiarazioni nel processo penale, di adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di condizioni di idoneità all’adozione, di congedi parentali e responsabilità civile), ed ha delineato il percorso giurisprudenziale volto ad allineare i diritti dei conviventi a quelli dei coniugati. E, in tal quadro complessivo, ha assegnato un significato neutro alla mancata previsione, nella legge Cirinnà, di una disciplina destinata a regolamentare le convivenze di fatto, in tal modo confermando la rilevanza assunta, nell’ordinamento, dal riconoscimento del carattere familiare delle relazioni che si sviluppano all’interno delle convivenze di fatto e delle connesse esigenze di protezione.

2.4. Alla luce di tali premesse, le Sezioni Unite hanno affrontato il tema della natura giuridica dell’istituto disciplinato dall’ar.t 384, comma primo, cod pen, tradizionalmente ritenuta disposizione eccezionale, attraverso una lettura costituzionalmente orientata, intesa a valorizzare l’elemento della colpevolezza in una visione sistematica delle disposizioni penali che regolamentano istituti analoghi.

Ritenuti superati gli orientamenti secondo cui l’art 384, comma primo, cod. pen. contiene una causa di non punibilità in senso stretto, ovvero una causa di giustificazione, le Sezioni Unite hanno chiaramente affermato come nella previsione in esame debba essere identificata una causa di esclusione della colpevolezza[16] e, più precisamente, “una scusante soggettiva che investe la colpevolezza”, basata sul principio di inesigibilità di un comportamento alternativo doveroso. In tal senso, i legami di natura affettiva che legano l’agente con il prossimo congiunto fanno sì – nella previsione in esame – che l’ordinamento scelga di non punire i reati considerati nella disposizione citata quando siano stati consumati per salvare la libertà o l’onore di un prossimo congiunto, secondo una linea interpretativa che, pur nella varietà delle decisioni, si rintraccia nella giurisprudenza di legittimità più recente[17].

Riconosciuta all’esimente in parola la natura di scusante a struttura soggettiva, tutta incentrata sul piano della colpevolezza, le Sezioni Unite hanno affrontato il tema delle ricadute dell’applicazione della norma, sul piano ermeneutico, ai casi non espressamente considerati.

In tal senso hanno, da un lato, reputato ammissibile l’estensione analogica in bonam partem della disposizione, una volta ritenuta ormai superata l’opinione che attribuisce al divieto di analogia ex art 25 comma 2 Cost valenza assoluta[18]; dall’altro, escluso che una disposizione generale, come l’art 14 delle preleggi, ponga limiti invalicabili a siffatta interpretazione, quando non si tratti dell’ermeneusi di una disposizione eccezionale.

2.5. È proprio sull’esclusione del carattere di norma eccezionale dell’art. 384 cod. pen. che fonda l’architrave argomentativo delle Sezioni unite.

Si è, difatti, affermato nella sentenza in disamina come all’art 384, comma primo, cod. pen. possa non riconoscersi il carattere di norma eccezionale, come tale insuscettibile di estensione analogica anche in bonam partem, in quanto espressione di un principio generale immanente nel sistema penale, che trova fondamento nell’art 27 della Carta costituzionale[19], qual è quello dell’inesigibilità di una condotta conforme al diritto, in presenza di circostanze tali da esercitare una irresistibile pressione sulla motivazione dell’agente, condizionando la sua libertà di autodeterminazione.

Esclusa la valenza eccezionale della disposizione – e, con esso, il divieto di estensione analogica – ne è stata, coerentemente, ritenuta giustificata la sua piena applicazione alle coppie di fatto, sottolineando come l’estensione della scusante al convivente si ponga in linea con la ratio stessa della causa di esclusione della colpevolezza, ravvisandosi la medesima condizione di conflitto interiore, sia che si tratti di persone coniugate, sia che si tratti di conviventi di fatto. In particolare, si è evidenziato come l’art 384 comma primo cod. pen. sia posto a “tutela del singolo familiare sull’interesse della collettività e dello Stato alla punizione” piuttosto che funzionale alla tutela dell’unità familiare, come peraltro già affermato dalle stesse Sezioni unite[20], in piena corrispondenza con il fondamento razionale dell’art 199 cod proc pen ed in linea con il rapporto di simmetria fra le due norme riconosciuto dalla Corte Cost n 352/2000.

 

  1. La soluzione offerta dalle Sezioni unite offre plurimi spunti di riflessione, ma non nasconde talune criticità.

Intanto sembra potersi affermare come il massimo organo nomofilattico abbia optato per la ridefinizione sistematica dell’art. 384, comma primo, cod. pen., qualificandola “scusante soggettiva che investe la colpevolezza”, per poi declinarne – una volta affrancata la norma dal divieto di estensione analogica, deprivandola del carattere di eccezionalità – l’ambito applicativo, piuttosto che percorrere la strada inversa per cui, fermo il carattere eccezionale della disposizione, è l’equiparazione tra le diverse aggregazioni familiari che ne comporta, invece, la sussunzione dei componenti nel novero dei soggetti beneficiari dell’area di non punibilità.

3.1. Del resto, quest’ultima è stata la strada percorsa da quella giurisprudenza, innovativa e dichiaratamente ricognitiva della fluidità della nozione di “famiglia”, pure ampiamente richiamata dalle Sezioni unite[21], che non era rimasta indenne da critiche, nella misura in cui l’estensione dell’art. 384, comma primo cod. pen. al convivente è stato il risultato di un percorso interpretativo di tipo analogico, superando il limite letterale della norma ed in tal modo riscrivendo la latitudine dell’esimente mediante incursione nei “poteri dei quali è istituzionalmente affidataria la Corte costituzionale per superare i limiti che il giudice comune incontra nella ‘correzione’ delle norme”.

E la Corte costituzionale ha ripetutamente ritenuto giustificato il diverso trattamento riservato al convivente, rimarcando il differente valore giuridico del coniugio e del rapporto more uxorio, tanto da escludere che l’estensione dell’esimente sia una soluzione “costituzionalmente necessaria”[22].

Allo stesso modo, è stato neutralizzato il riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che, a sua volta, giustifica la previsione di una disciplina di trattamento differenziato, riconoscendo un “margine di apprezzamento” agli Stati nella valutazione discrezionale di definire i limiti posti a situazioni non sovrapponibili[23].

3.2. La soluzione adottata dal minoritario orientamento di legittimità è stata, pertanto, esclusa.

La contraria soluzione ermeneutica prevalente è stata ritenuta – ormai – non appagante alla luce della giurisprudenza sovranazionale, della ricognizione degli interventi normativi e della giurisprudenza di legittimità, tanto da fare affermare al Supremo consesso che “L’ordinamento, dunque, sia pure all’infuori di una visione organica del fenomeno, e procedendo sempre attraverso interventi eterogenei e settoriali posti in essere nelle più varie direzioni, avverte il rilievo delle implicazioni legate alla esigenza di preservare la sostanza delle strutture fondamentali della società, non mancando di valorizzare, entro tale prospettiva, anche le numerose potenzialità applicative sottese alla progressiva introduzione di specifiche forme di garanzia della tendenziale continuità dei rapporti a vario titolo riconducibili al diverso modello della relazione familiare de facto”, confermando la rilevanza assunta dal carattere familiare delle relazioni che si sviluppano all’interno delle convivenze di fatto e delle connesse esigenze di protezione.

Ed è tale quadro di riferimento che ha indotto il Supremo consesso a percorrere una terza via che, partendo dalla ridefinizione della natura giuridica dell’istituto, ne amplia il novero dei soggetti destinatari attraverso il principio di colpevolezza.

La chiave di volta su cui fonda, infatti, l’argomentazione delle Sezioni Unite ribalta la prospettiva: la neutralizzazione dei limiti connessi alla qualificazione tradizionale dell’art. 384 cod. pen. come causa di non punibilità in senso stretto consente agevolmente di riconoscere anche nell’ambito delle relazioni more uxorio l’inesigibilità della condotta doverosa.

Ravvisando, invece, nella previsione in esame una scusante soggettiva che investe la colpevolezza, le Sezioni unite valorizzano l’inesigibilità di un comportamento alternativo quando “i legami di natura affettiva che legano l’agente con il prossimo congiunto (sia esso il genitore o il figlio o i fratelli o il coniuge o lo zio o il nipote…) fanno sì che l’ordinamento sceglie di non punire i reati considerati nella disposizione citata quando siano stati realizzati per salvare la libertà o l’onore di un prossimo congiunto”, tipizzando una situazione oggettiva in cui il procedimento motivazionale del soggetto risulta alterato, tanto da escludere la colpevolezza attraverso la valorizzazione del coinvolgimento psichico.

Alla luce di siffatta ricostruzione sistematica, è stato escluso il carattere di norma eccezionale attribuito all’art. 384 cod. pen., in quanto l’esimente in questione costituisce manifestazione di un principio immanente al sistema penale, quello cioè della “inesigibilità” di una condotta conforme a diritto in presenza di circostanze particolari, tale da esercitare una forte pressione sulla motivazione dell’agente, condizionando la sua libertà di autodeterminazione.

E tale opzione da un lato non impegna l’interprete in una pretesa assimilazione tout court delle famiglie, di fatto e di diritto – tema rispetto al quale le Sezioni unite non hanno mancato di rimarcare i diversi ambiti di parificazione segnandone, per converso, le aree in cui le diverse aggregazione conservano tratti distinti ed irriducibili – dall’altro, non ignora le numerose pronunce rese al riguardo dal giudice delle leggi.

L’impeccabile tessitura logica dell’argomentazione resa dalle sezioni Unite supera, in tal modo, tutte le obiezioni mosse alla estensione dell’istituto ai conviventi di fatto, ritagliando un’area di sostenibilità sistematica all’opzione proposta che non elude, ma anzi supera, gli ostacoli sinora frapposti ad un ampliamento della portata applicativa dell’art. 384, comma primo, cod. pen., costituzionalmente conforme.

3.3. In tale ricostruzione sembra, tuttavia, annidarsi ancora qualche criticità.

L’evocazione dell’inesigibilità della condotta doverosa in ragione della forte pressione sulla motivazione dell’agente, che ne condiziona la libertà di autodeterminazione, è stata ancorata ad un principio generale, individuato nell’art. 27 Cost., volto ad escludere che possa esservi una condotta colpevole in presenza di un precetto penale che rinuncia, in casi particolari, alla sua cogenza.

Siffatta impostazione, confortata dal richiamo alla portata generalissima di Corte cost. n. 364 del 1988, continua ad imbattersi nel fronte unitario della giurisprudenza costituzionale che invece, con specifico riferimento alla norma in disamina, ne ha reiteratamente rimarcato la natura eccezionale.

D’altro canto, la dottrina [24]ha, tradizionalmente, sostenuto che, solo in via di eccezione espressa, gli ordinamenti possono dare rilievo all’umana fragilità per scusare il compimento di fatti tipici ed antigiuridici commessi con dolo o per colpa; in questa prospettiva, il richiamo ad un generale principio di inesigibilità per scusare la commissione di fatti penalmente rilevanti non sembra fino in fondo appagante, in quanto il novero delle scusanti è circoscritto in un catalogo tassativo espressamente previsto dal legislatore, ed è il legislatore stesso – e non il giudice – a doverne curare l’aggiornamento.

Del resto, ad un simile esito si perviene anche aderendo alla diversa e minoritaria impostazione dottrinale [25] che qualifica l’art 384 comma 1 cod pen come una causa di non punibilità in senso stretto: le cause di non punibilità, difatti, sono pacificamente norme eccezionali che non tollerano l’applicazione analogica poiché riconducibili a valutazioni di opportunità operate dal legislatore ed estrinseche rispetto al fatto di reato.

Nella materia penale l’analogia costituisce un prezioso mezzo a disposizione dell’interprete per evitare applicazioni normative irrazionali e discriminatorie ogniqualvolta la stessa risulti finalisticamente orientata alla produzione di effetti favorevoli. Nondimeno, l’ammissione di questo strumento di giustizia (sostanziale?)[26] rischia di creare tensioni con il principio di legalità e con i suoi corollari.

Per evitare frizioni con il principio di legalità (art 25 co 2 Cost), da un lato, e, dall’altro, con la natura eccezionale della scusante di cui all’art 384 cod pen, sarebbe stato, allora, preferibile optare, in luogo del procedimento analogico, per una interpretazione in bonam partem evolutiva ed estensiva, giustificata non già dalla valorizzazione del principio di colpevolezza (art 27 Cost), bensì dalla sostanziale equiparazione, in termini di tutele, delle famiglie di fatto alle famiglie “legittime”.

3.4. Sembra, allora, che la qualificazione dell’istituto in termini di scusante soggettiva che investe la colpevolezza non riesca, sino in fondo, a forzare i limiti testuali della disposizione.

La natura giuridica di scusante[27], che incide sull’elemento soggettivo del reato, cioè sulla colpevolezza[28], non sembra poter superare la natura eccezionale dell’istituto.

I richiami operati a fondamento della ricostruzione di un principio generale di inesigibilità, finiscono, d’altro canto, per evidenziare l’irragionevolezza della limitazione soggettiva della portata dell’art. 384 cod. pen., piuttosto che un allineamento di questo in via interpretativa ad istituti – quali la facoltà di astensione prevista in favore dei prossimi congiunti dall’art. 199 cod. proc. pen. – che, connotati dall’eadem ratio, sono invece testualmente estesi ai rapporti di convivenza.

La pronuncia in esame, che attribuisce al silenzio del legislatore sulle coppie di fatto un significato “neutro”, giustificato dall’obiettivo precipuo della legge di occuparsi delle unioni civili e dalla consapevolezza che le convivenze di fatto non sono certo prive di tutela grazie al diritto vivente [29], non sgombra definitivamente il campo da dubbi anche rispetto alla voluntas legis espressa dagli interventi normativi succedutesi negli ultimi anni.

In particolare, si richiama non solo il risalente intervento della legge n 172 del 2012 che ha novellato l’art 572 cod pen ed ha incluso espressamente fra i soggetti passivi del reato anche una persona “convivente”, ma soprattutto il recente intervento normativo riguardante l’art 307 comma quarto cod pen (dlgs 19 gennaio 2017 n 6), con il quale il legislatore ha esteso il perimetro della norma solamente agli uniti civilmente; quest’ultima modifica normativa appare sintomatica della volontà del legislatore di escludere intenzionalmente dal novero dei prossimi congiunti i conviventi more uxorio e, conseguentemente, dai soggetti ai quali si applica la scusante di cui all’art 384 comma primo cod pen.

In altri termini, la scelta estensiva non sembrerebbe coerente con l’attuale morfologia dello statuto delle famiglie, in quanto la riforma Cirinnà ha inteso ricomprendere nel catalogo dei prossimi congiunti la parte dell’unione civile, ma non il convivente. E tale omissione sarebbe tutt’altro che una svista, bensì una precipua scelta normativa, effettuata già in fase di delega all’esecutivo.

Sembra, allora, che le Sezioni Unite abbiano intrapreso una strada spinta sino al limite estremo dell’interpretazione costituzionalmente orientata, percorrendo gli angusti limiti tracciati dalla lettera della legge mediante un intervento definitorio dell’istituto che lascia comunque esposti dei punti nevralgici, rispetto ai quali sarebbe necessario l’intervento del legislatore.

Del resto, le Sezioni unite hanno escluso di poter qualificare l’art 384 cod. pen. come una causa di giustificazione, che esclude l’antigiuridicità del fatto tipico[30], respingendo tout court l’impostazione tradizionale, avallata dal contenuto dei lavori preparatori del codice Rocco, che segnalava come l’art. 384 comma primo cod. pen., sia norma omogenea rispetto a quanto previsto in via generale dall’art. 54 cod. pen. poiché entrambe le fattispecie escludono, già sul piano dell’antigiuridicità, da responsabilità il comportamento finalizzato a scongiurare un nocumento ad un bene giuridico[31].

L’adesione a questa impostazione non pone problemi in ordine alla possibile estensione analogica dell’art 384 cod. pen. ai conviventi more uxorio, in quanto si sostiene che le norme che prevedono cause di giustificazione, essendo situate in qualsiasi luogo dell’ordinamento giuridico e avendo efficacia universale, non sono norme penali, non configurano norme eccezionali e, conseguentemente, non sono soggette alla riserva di legge ex art 25 Cost, né al divieto di analogia sancito dall’art 14 delle preleggi[32].

Ma tale opzione è stata scartata tout court, in linea con la dottrina più recente[33] che espressamente esclude l’attrazione dell’art. 384 cod. pen. nell’ambito delle cause di giustificazione.

3.5. In conclusione, la soluzione delle Sezioni unite, impeccabilmente argomentata e giustificata dall’esigenza di evitare un deficit di tutela nei confronti delle coppie di fatto, sembra prestare il fianco a questo duplice ordine di criticità, al punto da far sorgere nell’interprete il dubbio che il procedimento analogico intrapreso dall’organo nomofilattico risulti essere non già praeter legem, bensì contra legem.

In questo quadro, la condivisibile necessità di evitare un pregiudizio per i conviventi more uxorio imporrebbe al legislatore di intervenire direttamente sull’art 384 comma primo cod pen al fine di includere i componenti della famiglia di fatto tra i beneficiari della scusante soggettiva, completando armonicamente lo statuto di tutela.

Nella perdurante inerzia del legislatore, l’applicazione dei principi di diritto enunciati dalla sentenza in esame, che può dirsi rivoluzionaria nella parte in cui si riferisce all’inesigibilità come ad un principio generale suscettibile di analogia, consentirà di neutralizzare disparità di trattamento ormai intollerabili.

Il principio di inesigibilità del comportamento lecito in presenza di una particolare situazione che ha inciso in modo irresistibile sulla volontà dell’agente e sulle sue capacità psicofisiche, assurge allora a corollario del principio costituzionale di colpevolezza, come tale idoneo a divenire un vincolo ermeneutico per il giudice.

In questa prospettiva, deve rimeditarsi il perimetro applicativo di tutte le scusanti, non più soggette al principio di tassatività, bensì idonee a trovare applicazione ogniqualvolta l’agente si trovi in uno stato soggettivo tale da precludergli l’adozione di un comportamento alternativo lecito, in virtù del canone del nemo tenetur se detegere.

Tale soluzione determina il rischio concreto di attribuire al formante giurisprudenziale la delimitazione dei confini del punibile[34], sia pure in bonam partem, così da determinare un inedito sconfinamento nelle competenze del legislatore. L’esercizio di un simile potere “creativo” in relazione al perimetro delle scusanti si riverbera in una inammissibile alterazione della misura di tutela dei beni giuridici che vengono pregiudicati dalla realizzazione di un fatto tipico, antigiuridico ma non colpevole: nell’ordinamento penale, solo il legislatore ha il potere di selezionare i casi meritevoli di “compassione”, che non legittimano la pretesa punitiva per aver inciso in maniera irresistibile sulla psiche dell’agente. L’implicazione derivante dal riconoscimento della possibilità, per il giudice, di ampliare le maglie delle scusanti ai casi non tassativamente normativizzati rischia, quindi, di legittimare una gestione di tipo “ultralegale” della (in)esigibilità e di lasciare spazio ad incontrollati ambiti di discrezionalità, non prevedibili e conoscibili ex ante dall’agente (Art 7 CEDU).

La portata innovativa della soluzione analogica prospettata dalla Sezioni unite in esame sembra già sterilizzata dalla recente sentenza n. 98 del 2021 della Corte Costituzionale[35], con la quale la Consulta, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 521 c.p.p., non ha mancato di ribadire la cogenza del principio di legalità e del divieto di analogia in materia penale. La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi in ordine al rapporto tra il reato di atti persecutori ex art 612-bis comma 2 c.p., aggravato perché commesso “da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”, ed il reato di maltrattamenti di cui all’art 572 c.p., commesso da “una persona della famiglia o comunque convivente”[36], evidenzia chiaramente il ruolo che svolge nell’ordinamento penale il divieto di analogia delle norme incriminatrici, quale corollario del principio di legalità ai sensi dell’art 25 co. 2 Cost, della riserva di legge e del principio di determinatezza della norma penale.

Il divieto di analogia, che vieta di attribuire alla norma incriminatrice significati non ascrivibili ad alcuna delle possibili declinazioni letterali, rappresenta “un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo”, per cui “è il testo della legge – non già la sua successiva interpretazione ad opera della giurisprudenza – che deve fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte”.

In questo quadro costituzionalmente orientato, alla luce delle indicazioni ermeneutiche fornite in maniera inequivocabile dalla Consulta, appare ridimensionato il ruolo innovativo della sentenza dei giudici di Piazza Cavour poiché lo strumento della analogia, che richiede una lacuna non intenzionale del legislatore (non individuabile nel caso in esame), non sembra affatto utilizzabile per l’estensione della causa di esclusione della colpevolezza ai conviventi more uxorio: anche a voler sostenere che l’art 384 comma 1 c.p. esprima un principio generale di inesigibilità, si deve comunque evidenziare come quel principio non sia fruibile direttamente dal giudice, in virtù del divieto di analogia delle norme penali.

L’adesione all’impostazione che utilizza lo strumento dell’analogia e valorizza il carattere generale del principio di inesigibilità ed il turbamento motivazionale derivante dall’istinto “sentimentale” dell’autore di uno dei delitti contro l’amministrazione della giustizia previsti dall’art 384 c.p. rischia di determinare, quale precipitato applicativo, l’estensione analogica della norma a tutti i soggetti che, benché non legati né da un rapporto matrimoniale, né da una stabile convivenza, si trovino comunque in una situazione in cui risulti alterato il processo motivazionale a causa del forte legame sentimentale che sussiste fra l’autore e il soggetto che si vuol “salvare” dal grave ed inevitabile nocumento.

Una simile soluzione pare inaccettabile poiché concretizza il rischio che qualsiasi fatto finisca per poter essere ritenuto soggettivamente inesigibile in base alla valorizzazione di fattori individualizzanti, rimessi alla valutazione del giudice, oltre l’orizzonte sostenibile dell’enunciato normativo, del quale la Consulta ha ribadito l’esclusiva sindacabilità.

Solo il rispetto del testo della legge preclude la possibilità che si crei un vulnus in termini di prevedibilità e certezza, confermando la potestà del solo legislatore a poter dar rilievo a fattori che incidono sul processo motivazionale dell’agente, così da determinarne la scusabilità.

 

 

[1] Cass., Sez. VI., ord. 19 dicembre 2019 (dep. 17 gennaio 2020), n. 1825, Pres. Costanzo, Rel. Capozzi, con nota di L Prudenzano “Soccorso di necessità giudiziaria” e convivente more uxorio. Rimessa alle sezioni Unite la questione dell’ambito applicativo dell’art. 384, comma primo, cod. pen.”, Sistema penale, 22 aprile 2020.

[2] Cass. Sez. 2, n. 7684 del 09/03/1982, Turanello, in C.E.D. Cass. n. 154880; Cass Sez. 6, n. 6365 del 20/02/1988, Melilli, in C.E.D. Cass. n 178467; Cass Sez. 1, n. 9475 del 05/05/1989, Creglia, in C.E.D. Cass n. 181759; Cass Sez. 6, n. 132 del 18/01/1991, Izzo. in C.E.D. Cass n. 187017; Cass Sez. 2, n. 20827 del 17/02/2009, Agate, in C.E.D. Cass n. 244725; Cass. Sez. 5, n. 41139 del 22/10/2010, Migliaccio, in C.E.D. Cass n. 248903.

[3] Cass Sez. 3, n. 38593 del 23/01/2018, Del Stabile, in C.E.D. Cass n 273833, Cass Sez. 5, n. 41139 del 22/10/2010, Rv. 248903, nonché Sez. 2, n. 20827 del 17/02/2009, cit.; Cass Sez. 1, n. 9475, del 05/05/1989, cit.; Cass Sez. 2, n. 7684 del 09/03/1982, cit.

[4] Sez. 6, n. 35967 del 28/09/2006, Cantale, in C.E.D. Cass n. 234862.

[5] Legge 20 maggio 2016, n. 76, c.d. legge Cirinnà; D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6.

[6] Cass Sez. 6, n. 22398 del 22/01/2004, Esposito, Rv. 229676.

[7] Corte EDU, 13/06/1979, Marchx c. Belgio; Corte EDU, 13/12/2007, Emonet c. Svizzera.

[8] Sez. 4, n. 23118 del 21/03/2017, De Paola (non mass.) e Sez. 3, n. 6218 del 12/01/2018, Giacono (non mass.).

[9] V. nota di L. Prudenzano, Riflessioni a margine di una recente estensione della causa di non punibilità prevista dall’art. 384, co. 1 c.p. ai conviventi more uxorio, in Dir. pen. cont., 30 novembre 2015.

[10] Cass Sez. 6, n. 11476 del 19/09/2018, Cavassa, Rv. 275206.

[11] Nella rassegna già richiamata da Cass Sez. 2, n. 34147 del 2015, Agostino, cit.

[12] Cass Sez. 6, n. 11476 del 19/09/2018, Cavassa, Rv. 275206.

[13] Sez. 1, n. 41142 del 17/07/2017, Z., Rv. 273971; Sez. 1, n. 16215 del 30/01/2008, Taddeo, Rv. 23949.

[14] Corte cost. n. 45 del 1980; n. 237 del 1986; n. 423 e n. 404 del 1988; n. 140 del 2009; n. 138 del 2010.

[15] Corte EDU, 03/04/ 2012, Van der Heijdel c. Netherlands; Corte EDU, 07/07/ 1989, Soering c. Regno Unito.

[16] Sez. 6, n. 34543 del 23/05/2019, Germino, non mass.; Sez. 6, n. 15327 del 14/02/2019, Quaranta, Rv. 275320; Sez. 6, n. 51910 del 29/11/2019, Buonaiuto, Rv. 278062; Sez. 6, n. 34777 del 23/09/2020, Nitti, Rv. 280148.

[17] Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007, dep. 2008, Genovese.

[18] Cass Sez. 5, n. 10054 del 22/05/1980, Taormina, Rv. 146121.

[19] Corte cost. n. 364 del 1988.

[20] Cass sent. n. 7208 del 29/08/2007, Genovese.

[21] Sez. 2, n. 34147 del 2015, Agostino, cit.

[22] C. Bergonzini, La convivenza more uxorio nella giurisprudenza costituzionale (note a ritroso all’indomani di Corte cost. n.140 del 2009), in Studium iuris, 2010, p. 1 ss.

[23] Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, 3 aprile 2012, ricorso n. 42857/05, Van der Heijden v. Netherlands.

[24] Manuale di diritto penale: parte generale / G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta. – Giuffrè, 2018; Manuale di diritto penale Parte generale di Roberto Garofoli, Nel diritto Editore, 2018.

[25] Diritto penale. Parte generale, G. Fiandaca, E. Musco, Zanichelli, 2019; S. Beltrani Manuale di diritto penale parte generale, Giuffrè, 2018; Parla invece di “chimera giuridica” SPENA, Sul fondamento della non punibilità nei casi di necessità giudiziaria (art. 384 1° comma c.p.), in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 2010, 145 ss. In argomento si v. anche MEZZA, Unioni civili e convivenze di fatto nelle cause di non punibilità: l’ambito applicativo dell’art. 384, comma 1, c.p., in Cass. Pen. 2018, 2738 ss.

[26] F. Palazzo, Conviventi more uxorio e analogia in bonam partem: prima lettura di una sentenza “giusta” più che ardita, in Sistema penale.

[27] Corso di Diritto Penale, Parte Generale, F. Palazzo, Torino 2013, 457 ss.; Fornasari, Il principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova 1990, 355 ss.

[28] Di Biase, Analogia in bonam partem e cause di esclusione della colpevolezza: sull’applicabilità dell’art. 384 comma 1 c.p. ai conviventi more uxorio. Riflessioni a margine di una recente ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in Cass. Pen. 2020, 2848-2849.

[29] F. Bisceglia, Dove il legislatore porta le parole e l’interprete adduce il senso: le sezioni unite sull’applicabilità dell’art. 384 c.p. al convivente more uxorio, in Sistema penale 5/2021.

[30] Antolisei, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale – I, Milano 2003, 568 ss; Romano, Commentario sistematico del codice penale, vol. I (artt. 1 – 84), Milano 2004, 51 ss. Nella giurisprudenza risalente Cass. Pen. Sez. VI, 23 marzo 1983, n. 2537.

[31] B. Andò, Le Sezioni Unite e l’estensione dell’art. 384 comma 1 c.p. al convivente more uxorio tra istanze rigoristiche e rischi di applicazione erga omnes, Penale diritto e procedura, Panici editore.

[32] Manuale di diritto penale Parte generale di Roberto Garofoli, Nel diritto Editore, 2018.

[33] Manuale di diritto penale: parte generale / G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta. – Giuffrè, 2018.

[34] S. Fiore, Non aspettare più Godot. Il problema dell’applicazione analogica delle scusanti e il nuovo protagonismo delle Sezioni Unite, Archivio penale 2021 n 2.

[35] Corte cost., sent. 14 maggio 2021, n. 98, Pres. Coraggio, red. Viganò.

[36] Corte cost., sent. 14 maggio 2021, n. 98, Pres. Coraggio, red. Viganò – “la Corte ha anzitutto sottolineato che il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone, per quanto qui rileva, che le condotte abusive siano compiute nei confronti di una persona della stessa “famiglia”, oppure di una persona “convivente”; e che, invece, il reato di atti persecutori aggravati prevede che le condotte vengano compiute nei confronti di persona che sia o sia stata legata all’autore da una “relazione affettiva”.

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