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Inammissibili le q.l.c. sull’art. 649 c.p.p.

 

Segnaliamo la sentenza n. 136 con cui sono state dichiarate manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui non preclude un nuovo giudizio nel caso in cui il medesimo soggetto sia già stato giudicato per il medesimo fatto in un procedimento amministrativo conclusosi con una sanzione amministrativa irrevocabile, da considerarsi sostanzialmente penale alla luce dei criteri fissati dalla giurisprudenza CEDU», denunciandone il contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

il giudice a quo non ha tuttavia indicato quale sia la sanzione amministrativa concretamente irrogata, sicché non è possibile verificare l’effettiva «medesimezza» del fatto punito dalla norma amministrativa e da quella penale e, dunque, la sussistenza del presupposto di applicabilità della garanzia del ne bis in idem. La questione sarebbe inammissibile anche in ragione dell’insufficiente motivazione sulla rilevanza, avendo il rimettente solo assertivamente affermato l’insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti di compatibilità del doppio binario sanzionatorio con l’art. 4 Prot. n. 7 CEDU, laddove questa Corte, nella sentenza n. 222 del 2019 e nell’ordinanza n. 114 del 2020, ha sottolineato la necessità di puntuale dimostrazione della violazione di tutti i criteri enunciati dalla giurisprudenza europea e osservato come, nell’ordinamento italiano, il coordinamento tra procedimento amministrativo e procedimento penale in materia tributaria sia assicurato da plurime disposizioni normative, interne ed esterne al d.lgs. n. 74 del 2000.

E’ stata sollevata, altresì, ulteriore questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., censurandolo negli stessi termini di cui all’ordinanza sopra descritta. L’ordinanza di remissione sarebbe tuttavia ricca di lacune per aver omesso, il giudice  quo, di indagare le ragioni della durata del procedimento penale, che ben potrebbe essere riconducibile a richieste di differimento avanzate dallo stesso imputato, né avrebbe valutato la possibilità di mitigare la pena irrogata dal giudice di primo grado alla luce delle sanzioni amministrative già inflitte così omettendo di fornire un’adeguata motivazione quanto all’asserita sproporzione del complessivo trattamento sanzionatorio.

Le questioni sono dichiarate inammissibili per omessa ed insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo – non emendabile mediante la diretta lettura degli atti, preclusa dal principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (ex plurimis, ordinanze n. 64 del 2019 e n. 185 del 2013, da ultimo, ex plurimis, ordinanze n. 108 del 2020, n. 203 e n. 64 del 2019, n. 191 e n. 64 del 2018, n. 210 del 2017)».

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