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L’ordine di carcerazione con contestuale decreto di sospensione, ex art. 656, co. 5, c.p.p., non costituisce evento interruttivo della prescrizione della pena.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite, sentenza 15 luglio 2021, n. 46387,
CASSANO Presidente – ROCCHI Relatore – LIGNOLA P.M.

“Ai sensi dell’art. 172 c.p. il termine prescrizionale della pena di dieci anni decorre dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna o dal giorno in cui il condannato si sia sottratto volontariamente all’esecuzione per evasione. Difatti, l’ordine di carcerazione con contestuale decreto di sospensione di cui all’art. 656 comma 5 c.p.p. non costituisce evento interruttivo della prescrizione della pena, da individuarsi, invece, nell’esecuzione effettiva della medesima. Altresì, la mancata proposizione dell’istanza sospensiva per la concessione di misure alternative non integra una condizione valida, ex art.172 comma 5 c.p. a costituire il termine di nuovo decorso del termine prescrizionale.”

Le Sezioni Unite penali hanno affermato che il decorso del tempo necessario ai fini dell’estinzione della pena detentiva, ai sensi dell’art. 172, quarto comma, cod. pen., ha inizio il giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile, si interrompe con la carcerazione del condannato e comincia nuovamente a decorrere se il condannato, una volta iniziata l’esecuzione della pena mediante la carcerazione, vi si sottragga volontariamente con condotta di evasione. Hanno affermato, altresì, che la sospensione dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., non integra alcuna delle ipotesi di cui all’art. 172, quinto comma, cod. pen.

The United Sections of the Supreme Court established that the time necessary for the termination of the prison sentence, pursuant to art. 172, fourth paragraph, c.p., begins the same day in which the sentence becomes irrevocable, and it ends with the imprisonment of the condemned person. The sentence can then be reinstated if the condemned person, once the execution of the sentence has started with imprisonment, voluntarily violates it through evasion. The United Sections of the Supreme Court also established that the interruption of the execution, which is ordered by the public prosecutor pursuant to art. 656, paragraph 5, c.p.p., does not integrate any of the hypotheses referred to in art. 172, fifth paragraph, c.p..

1. Il caso di specie

2. Il ricorso del Pubblico Ministero

3. Il contrasto giurisprudenziale e la rimessione alle Sezioni Unite

3.1 I quesiti posti al vaglio delle Sezioni Unite

4. La soluzione delle Sezioni Unite

4.1 La prima questione di diritto

4.2 La seconda questione di diritto

5. Considerazioni conclusive

1. Il caso di specie

L’ordinanza della Prima Sezione Penale della Suprema Corte, che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite per un potenziale contrasto interno, traeva origine dal provvedimento del 14.05.2020 del G.I.P. di Santa Maria Capua Vetere che dichiarava l’estinzione per prescrizione ex art. 172 c.p. della pena pari ad anni due di reclusione ed euro 3.000,00 € di multa inflitta ad un soggetto straniero.

In particolare, la sentenza di condanna era divenuta irrevocabile il 21.12.2007 e solo in data 16.05.2013 il Pubblico Ministero aveva emesso l’ordine di esecuzione ed il contestuale decreto di sospensione ex art. 656 c.5 c.p.p., trattandosi di pena inferiore a quattro anni di reclusione. In tale occasione, però, lo straniero risultava già espulso dal territorio italiano con decreto prefettizio e non era stato possibile, pertanto, effettuare la notifica degli atti al condannato.

Solo in data 06.03.2017, una volta rientrato in Italia lo straniero e ritracciato dalla Polizia, gli veniva notificato in mani proprie l’ordine di esecuzione ed il decreto di sospensione. Trascorsi i trenta giorni previsti dall’art. 656 c.5 c.p.p., il 09.05.2017, in assenza di una domanda di accesso alle misure alternative alla detenzione, il Pubblico Ministero revocava il decreto di sospensione, senza però poter dare attuazione concreta all’ordine di esecuzione, essendosi il condannato reso nuovamente irreperibile. Soltanto in data 12.02.2020 il condannato veniva casualmente rintracciato dalle autorità e tradotto in carcere.

Il G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, investito della questione quale giudice dell’esecuzione, aveva ritenuto che la pena si fosse estinta in data 21.12.2017, esattamente dieci anni dopo la data dell’irrevocabilità della sentenza di condanna.
Vagliata l’opposizione avanzata dal Pubblico Ministero, il G.I.P. confermava il proprio provvedimento, escludendo che la notificazione dell’ordine di esecuzione con sospensione potesse segnare l’inizio dell’esecuzione, che si realizza soltanto con la carcerazione del condannato. Il Giudice dell’esecuzione aveva inoltre escluso che l’emissione dell’ordine di esecuzione della pena e relativa sospensione potesse rientrare tra le ipotesi previste dall’art. 172 c.5 c.p., secondo cui “Se l’esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per l’estinzione della pena decorre dal giorno in cui il termine è scaduto o la condizione si è verificata”.

2. Il ricorso del Pubblico Ministero

Avverso l’ordinanza del G.I.P. che confermava la propria decisione, il Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere proponeva ricorso per Cassazione, articolato in tre motivi.

In primo luogo, il Pubblico Ufficio lamentava la violazione di legge in relazione agli artt. 172 c.p. e 656 c.5 c.p.p. “per aver il giudice dell’esecuzione escluso che la notifica compiuta in data 6 marzo 2017, prima dello spirare del decennio in cui si realizza la prescrizione […] possa incidere sulla prescrizione della pena ed interrompere il corso del termine, sebbene il soggetto si fosse reso in seguito irreperibile, dimostrando l’intenzione di sottrarsi alla carcerazione[1]. Secondo il ricorrente, nel caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 172 c.4 c.p., per il quale il dies a quo della prescrizione della pena coinciderebbe con il “giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla esecuzione già iniziata della pena ”. Invero, stante il meccanismo previsto dall’art. 656 c.p.p., è la notifica al condannato dell’ordine di carcerazione e sospensione che segna l’inizio dell’esecuzione, rafforzando altrimenti un incentivo alle condotte elusive del condannato dirette a conseguire la caducazione del titolo esecutivo. In tale ottica, la successiva irreperibilità del soggetto sarebbe indicativa della sua volontà di sottrarsi all’esecuzione.

Con il secondo motivo di ricorso, il Procuratore deduceva le medesime violazioni di legge censurate nel primo motivo, per non aver il G.I.P. considerato che il decorso del termine di trenta giorni per la proposizione della richiesta di accesso alle misure alternative realizzi una delle ipotesi in cui l’esecuzione è subordinata alla scadenza di un termine, con la conseguente applicabilità dell’art. 172 c. 5 c.p. e fissazione della decorrenza del termine di prescrizione da tale data. Tale assunto però, come già chiarito dall’ordinanza della Prima Sezione, derivante da un isolato precedente [2] e successivamente smentito dalla giurisprudenza [3], deve essere rivalutato sulla scorta dei principi affermati recentemente dalla Corte Costituzionale [4] in relazione alle modifiche introdotte dalla spazzacorrotti [5].

Quale ultimo motivo, in via subordinata, il ricorrente censura l’erronea esclusione della possibilità di applicare il principio espresso dalla sentenza n. 26300/2011 [6], secondo cui il termine di prescrizione resta sospeso tra la data dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero e quella del ripristino della detenzione in caso di rientro in Italia.

Il Sostituto Procuratore Generale presente in udienza concludeva per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, ritenendo che l’esecuzione delle pene detentive brevi avesse inizio con l’ordine di esecuzione e la sua contestuale sospensione.
Quest’ultimo, in visione difforme rispetto al ricorrente di Santa Maria Capua Vetere, precisava però che la sospensione temporanea di cui all’art. 656 c. 5 c.p.p., finalizzata a consentire al condannato di presentare la richiesta di misura alternativa alla detenzione, non rappresenta una ipotesi di cui all’art. 172 co. 5 c.p. e, parimenti, riteneva manifestamente infondato il terzo motivo del ricorso poiché basato su una norma dettata per una diversa ipotesi e, in ogni caso, successivamente abrogata.

3. Il contrasto giurisprudenziale e la rimessione alle Sezioni Unite

Nell’ordinanza di rimessione il collegio palesava l’esistenza di un potenziale contrasto interno alla Prima Sezione Penale in merito alla esatta individuazione del momento in cui ha inizio l’esecuzione della pena.

Secondo un primo orientamento, prevalente nella giurisprudenza della Suprema Corte, nei casi in cui dopo l’emissione e notificazione dell’ordine di carcerazione questo non venga attuato per irreperibilità del destinatario, non sussiste l’ipotesi della “volontaria sottrazione all’esecuzione già iniziata”, prevista dall’art. 172 co. 4 c.p. Tale caso si verifica soltanto con la precedente materiale carcerazione del condannato, in mancanza del quale il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione coincide col momento di irrevocabilità della sentenza di condanna [7].

Questo principio, formatosi in un’epoca antecedente all’entrata in vigore dell’attuale normativa “speciale” per le pene detentive brevi [8], veniva poi suffragato da un serie di pronunce giurisprudenziali di uniforme veduta, tra cui anche una pronuncia a Sezioni Unite [9], affermando il principio per cui “la norma di cui all’art. 172 c.p., a differenza delle disposizioni di cui agli artt. 157 e ss. [in tema di prescrizione del reato], che disciplinano la prescrizione del reato prima della condanna, non prevede cause di sospensione del termine di prescrizione e, trattandosi di norma penale sostanziale, non è consentito introdurre in via analogica una causa di sospensione del termine”. Questo sia in base alla interpretazione letterale e sistematica del comma 5 dell’art. 172 c.p., che in ragione del divieto di analogia in malam partem.

Il secondo orientamento, sostenuto anche dal ricorrente nel caso di specie, afferma al contrario che con l’emissione dell’ordine di esecuzione, ancorché temporaneamente sospeso, si realizzi la potestà punitiva dello stato ed abbia inizio l’esecuzione [10]. A ben vedere, secondo tale linea interpretativa, priva di recenti conferme nella giurisprudenza della Prima Sezione, l’irreperibilità del condannato dopo la ricezione personale dell’ordine di carcerazione sospeso dimostra l’intenzione di sottrarsi alla espiazione, con la conseguente applicabilità dell’art. 172 co. 4 c.p. ed il decorso del termine di prescrizione da quel momento.

Orbene, il collegio rimettente, pur consapevole della difficoltà di adattamento di quest’ultimo orientamento alla situazione oggetto di esame, sulla scorta della prospettazione suggestiva del Procuratore ricorrente, non nasconde una incertezza di fondo, affermando che “ad avviso di questo Collegio, l’interpretazione letterale dell’art. 172 co. 4 c.p., […] pretende un’esecuzione iniziata, intesa come realizzata mediante la privazione della libertà personale del condannato, che solo sulla base di questo presupposto può sottrarvisi per determinazione volontaria”.

Ulteriore spunto di riflessione, segnalato anche dal ricorrente a sostegno della propria tesi, è offerto dalla sentenza n. 32 del 2020 della Consulta che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 co. 6 della legge c.d. “spazzacorrotti” [11], avrebbe avuto un effetto riflesso sul divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena di cui all’art 656 co. 9 lett. a) c.p.p., laddove ha associato l’inizio dell’esecuzione all’emissione dell’ordine di carcerazione [12], implicitamente ammettendo che lo stesso potrebbe realizzarsi anche in ambito non detentivo, come nel caso della sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p.

L’ordinanza rimettente ha, infine, evidenziato come il contrasto sussistente assuma rilievo anche in relazione all’applicazione della disciplina estradizionale. Premesso che l’estradizione non può essere accordata se la pena è prescritta ed il termine finale per il calcolo della prescrizione della pena è rappresentato dalla data di presentazione della richiesta di estradizione, il collegio rimettente ha rappresentato come la sentenza n. 54337 del 20/11/2018 della Prima Sezione [13] abbia esposto la questione ad ancor maggiore incertezza poiché “dopo aver affermato che la disciplina della prescrizione della pena non prevede fenomeni sospensivi e interruttivi dei termini analoghi a quelli previsti dagli artt. 159 e 160 c.p., non applicabili per analogia, attesa la natura eccezionale della normativa in esame, che deroga al principio generale dell’interesse dello Stato all’esecuzione della sanzione penale nei confronti di tutti i condannati, ha assegnato all’arresto all’estero dell’estradando valore di atto interruttivo della prescrizione, in grado di determinare il nuovo decorso del termine”.

3.1. I quesiti posti al vaglio delle Sezioni Unite

Sulla scorta delle evidenti ripercussioni pratiche causate dalle incertezze interpretative della questione affrontata, la Prima Sezione ha ritenuto necessario rimettere la risoluzione del thema decidendum alle Sezioni Unite, formulando un duplice quesito:

  1. Se la notifica dell’ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., al condannato resosi successivamente irreperibile, integri l’inizio della esecuzione ai sensi dell’art. 172, quarto comma, seconda parte, cod. pen.
  2. Se e entro quali limiti, ai fini del decorso del tempo necessario ad estinguere la pena ai sensi dell’art. 172 cod. pen., la sospensione temporanea dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., integri una delle ipotesi previste dall’art. 172, quinto comma, cod. pen. secondo cui l’esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per l’estinzione della pena decorre dal giorno in cui il termine sia scaduto o la condizione si sia verificata.

4. La soluzione delle Sezioni Unite

4.1 La prima questione di diritto

Con riguardo alla prima questione sollevata dalla Sezione rimettente, all’esito della camera di consiglio del 15 luglio scorso, le Sezioni unite hanno ritenuto di dover aderire al primo orientamento maggioritario, affrontando una serie di temi presupposti che meritano l’opportuno approfondimento.

Ebbene, partendo da un’analisi normativa dell’istituto dell’estinzione della pena per decorso del tempo, e quindi dell’art. 172 c.p., il Collegio ha individuato tre diversi momenti di decorrenza del termine dell’estinzione.
Il primo, coerentemente con il disposto dell’art. 650 comma 1 c.p.p. [14], coincide con il giorno in cui la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile, presupponendo, quindi, che il giudicato si realizza quando contro le sentenze non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione o quando l’impugnazione consentita non è stata proposta o, se presentata, è dichiarata inammissibile o rigettata.

Si da atto, inoltre, dell’elaborazione giurisprudenziale [15]che distingue tra autorità di cosa giudicata ed esecutività della decisione giudiziale, ove se la prima è il risultato conseguente alla conclusione del processo nel suo sviluppo per gradi ed all’esaurimento del potere decisionale sulla res giudicanda, la seconda presuppone la formazione del titolo esecutivo e la definitività del provvedimento.

Dalla lettura coordinata degli artt. 624, 648 e 650 c.p.p., invero, si desume che l’esecutività del provvedimento discende dalla sua irrevocabilità, salvo che non sia diversamente disposto. Tale correlazione può difettare quando il provvedimento, sebbene definitivo sul piano formale a seguito della conclusione del procedimento penale per mancata proposizione dell’impugnazione nel termine prescritto o per l’avvenuto esperimento con esito negativo dei mezzi di impugnazione, contiene un comando giurisdizionale non realizzabile.
A ben vedere, l’art. 172 co. 4 c.p. individua quale termine di decorrenza per l’estinzione della pena per decorso del tempo il giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile, facendo riferimento al momento in cui la sentenza sia concretamente utilizzabile come titolo esecutivo [16].

Gli altri due momenti di decorrenza del termine, invece, ritardano l’estinzione della pena rispetto alla previsione generale.

Trattasi dell’ipotesi prevista dalla seconda parte dell’art. 172 co. 4 c.p. in cui l’esecuzione della pena è già iniziata e non è possibile darvi corso per volontaria sottrazione del condannato.
Presupposto necessario a tale distinzione è il solido principio per cui l’inizio dell’esecuzione non costituisce un atto interruttivo, tale da far decorrere nuovamente il termine per l’estinzione della pena.
Non si applicano, invero, all’estinzione della pena per decorso del tempo le categorie e gli istituti propri della prescrizione del reato.
La seconda parte del menzionato comma 4 prevede, però, un’eccezione a questo principio, facendo decorrere un nuovo termine di estinzione della pena quando il condannato si sottragga volontariamente all’esecuzione già iniziata. La pena si estinguerà per decorso del tempo se il condannato, sottrattosi volontariamente all’esecuzione, non sarà nuovamente sottoposto ad essa entro il termine fissato dalla norma.

Altra ipotesi derogatoria è quella prevista dall’art. 172 co. 5 c.p.., che fa slittare il dies a quo del termine di estinzione ad una data successiva a quella di irrevocabilità della sentenza di condanna senza che l’esecuzione abbia avuto inizio. In questi casi, alla irrevocabilità della sentenza non corrisponde la sua esecutorietà poiché quest’ultima è subordinata alla scadenza di un termine od al verificarsi di una condizione.
Tali ipotesi eccezionali sono unicamente quelle previste dal legislatore, a mente del principio di indefettibilità della esecutorietà della sentenza penale al momento della formazione dell’irrevocabilità, che non consente di ipotizzare casi di sospensione non tipicamente previsti, lasciando altrimenti nelle mani del Pubblico Ministero, o del Giudice, un potere di discrezionalità sull’esecuzione.

Preme evidenziare che con l’introduzione dell’art. 656 c.p.p., comma 5, il legislatore abbia disposto che, in presenza di determinate condizioni, il pubblico ministero, in deroga alla regola generale sull’esecuzione delle pene detentive stabilita dal comma 1, non debba ordinare la carcerazione del condannato, ma sia tenuto a notificargli l’ordine di esecuzione e il contestuale decreto di sospensione. Nel caso di accoglimento dell’istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione, la sospensione della carcerazione diviene definitiva, salva l’ipotesi di revoca della misura da parte del tribunale di sorveglianza.

Secondo le Sezioni Unite in commento, in tali ipotesi il lasso temporale che intercorre tra la data di irrevocabilità della sentenza di condanna a pena detentiva breve e l’eventuale carcerazione del condannato può essere ripartito in vari segmenti.

Una prima fase, infatti, intercorre tra la data di irrevocabilità della sentenza di condanna e quella della notifica al condannato dell’ordine di esecuzione e del contestuale decreto di sospensione. Periodo che può avere una durata non breve a causa dei vari adempimenti previsti dall’iter dell’art. 656 c.p.p., che iniziano con la trasmissione al pubblico ministero dell’estratto esecutivo della sentenza di condanna da parte della cancelleria del giudice, sino alla trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata ove vi siano periodi di custodia cautelare presofferta o di fungibilità con il titolo da eseguire.

Un secondo segmento temporale è costituito dal termine di trenta giorni per la presentazione dell’istanza di concessione di misure alternative alla detenzione, termine che decorre dalla notificazione del decreto del pubblico ministero.

Il terzo segmento intercorre tra la scadenza del termine per la presentazione dell’istanza e la data della decisione del tribunale di sorveglianza.
A mente dell’art. 656 c.p.p. comma 6, una volta trasmessa da parte del pubblico ministero l’istanza presentata, il tribunale deve decidere entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell’istanza. Termine che però è di tipo ordinatorio, la cui violazione non comporta conseguenze.

Il quarto segmento temporale è quello successivo all’ordinanza del tribunale di sorveglianza che rigetta o dichiara inammissibile l’istanza di concessione della misura alternativa ovvero al decreto del presidente che la dichiara inammissibile oppure alla scadenza del termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento del pubblico ministero, nel caso in cui l’istanza non sia stata presentata. A tal punto il pubblico ministero deve revocare il decreto di sospensione dell’esecuzione e, quindi, dare nuova efficacia all’ordine di carcerazione del condannato, il quale deve essere arrestato e tradotto in carcere.
In caso di mancata presentazione dell’istanza, il pubblico ministero deve disporre la rinnovazione della notifica, se è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento (art. 656 c.p.p., comma 8 bis). A ben vedere, il rintraccio del condannato libero ai fini della carcerazione può non risultare agevole, senza che l’eventuale condizione oggettiva di irreperibilità possa in alcun modo equipararsi alla nozione di “volontaria sottrazione all’esecuzione già iniziata” di cui all’art. 172 c.p., comma 4, seconda parte.

Ciò premesso, il collegio tornando sul merito della specifica questione in ordine al contrasto sull’individuazione del momento in cui inizia l’esecuzione, ha ribadito che, nonostante le perplessità esposte dal Procuratore ricorrente, nessuna pronuncia di legittimità ha espressamente affermato che l’esecuzione delle pene detentive brevi inizia con la notifica al condannato del decreto del pubblico ministero emesso ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p.

Inoltre, mediante una comparazione tra la normativa prevista dall’originario codice del 1930 e quello del 1988, le Sezioni Unite hanno tratto una prima conclusione fondamentale per dirimere il problema: “se l’esecuzione delle pene detentive avviene con la carcerazione, l’emissione del provvedimento previsto dall’art. 656 c.p.p., comma 5, non può costituire l’inizio dell’esecuzione della pena, considerato che il pubblico ministero, contestualmente all’ordine di esecuzione, deve adottare il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena detentiva”.
L’opposta ricostruzione, secondo cui l’emissione dell’ordine di esecuzione della pena con contestuale sospensione segnerebbe l’inizio dell’esecuzione delle pene detentive brevi, non è condivisibile, in quanto non è sufficiente la mera emissione del provvedimento da parte del pubblico ministero, ma occorre che lo stesso sia notificato al condannato.

Parimenti infondata è anche la tesi secondo cui l’inizio dell’esecuzione della pena coincide con il sorgere del procedimento esecutivo, con la inevitabile conseguenza dell’anticipazione dell’inizio dell’esecuzione al momento in cui il pubblico ministero emette il provvedimento dopo che la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile. In realtà, il procedimento di esecuzione sorge prima della carcerazione del condannato ed il “rapporto esecutivo” conseguente alla notificazione del provvedimento del pubblico ministero prescinde dall’intervenuto inizio dell’esecuzione.

Lo stesso valga per la prospettazione, sostenuta dal ricorrente, secondo cui l’inizio dell’esecuzione delle pene detentive brevi, in caso di ricorrenza delle ipotesi previste dall’art. 656 c.p.p. comma 5, dovrebbe essere individuata nel momento della notificazione al condannato del decreto di esecuzione e contestuale sospensione da parte del pubblico ministero.
Invero, dopo la notifica dell’ordine di esecuzione e del contestuale decreto di sospensione, il condannato non si sottrae volontariamente alla esecuzione già iniziata della pena (art. 172 c.p., comma 4, seconda parte), in quanto dopo la notifica dei due provvedimenti del pubblico ministero (ordine di carcerazione e contestuale decreto di sospensione) egli non è sottoposto ad alcuna restrizione.

Sulla scorta delle considerazioni esposte, le Sezioni Unite hanno affermando il seguente principio di diritto: “Il decorso del tempo ai fini dell’estinzione della pena detentiva, ai sensi dell’art. 172, quarto comma, cod. pen., ha inizio il giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile e si interrompe con la carcerazione del condannato.
Esso comincia nuovamente a decorrere se il condannato, una volta iniziata la esecuzione della pena mediante la carcerazione, vi si sottragga volontariamente con condotta di evasione.”

4.2 La seconda questione di diritto

Per quanto attiene alla seconda questione sull’applicabilità dell’art. 172 c.p. comma 5, in caso di sospensione della pena detentiva breve disposta ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, il collegio ripercorre l’evoluzione giurisprudenziale sul punto, partendo dalla pronuncia n. 9854 del 2007 [17] in cui la sospensione dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero è stata ricompresa tra le ipotesi di subordinazione dell’esecuzione della pena alla scadenza di un termine. In tal caso, però, ai fini di certezza sulle modalità di espiazione della pena, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il tribunale di sorveglianza accerti la causa di inammissibilità o rigetto dell’applicazione della misura alternativa.

In precedenza, anche la pronuncia della Sezione V, n. 32021 del 14/04/2003, Costanzo, aveva negato che le ipotesi di applicazione dell’art. 172 c.p. comma 5 fossero esclusivamente quelle previste dagli artt. 146 e 147 c.p., oltre a quelle di revoca della sospensione condizionale della pena o dell’indulto, rientrando nella previsione normativa tutti i casi in cui la sentenza di condanna non è eseguibile.

In senso difforme, altre pronunce affermano che nel caso di sospensione dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656 c.p.p. comma 5 il termine di estinzione della pena decorre dalla data di irrevocabilità della condanna, ai sensi dell’art. 172 c.p. comma 4, e non da quella del provvedimento di revoca della sospensione [18].
Si sostiene, infatti, che le cause di sospensione previste dall’art. 172 c.p., comma 5, sono esclusivamente quelle riferite alla sentenza di condanna e non invece quelle riferibili all’attività posta in essere dagli organi deputati alla esecuzione e che, pertanto, ai fini dell’estinzione della pena, il dies a quo è da individuare nel momento in cui la sentenza di condanna è passata in giudicato ed è suscettibile di essere utilizzata come titolo esecutivo [19].
Tale soluzione si poggia sull’impossibilità di introdurre altre cause di sospensione in via analogica, atteso che l’art. 172 c.p. è una norma sostanziale e l’analogia sarebbe operata in malam partem.

Più recentemente, la sentenza n. 21963/2020 [20] della Prima Sezione ha ricordato l’esistenza di “un principio di civiltà giuridica che discende dalla necessità di porre un termine certo alla possibilità di eseguire la pena detentiva, diversa da quella perpetua, perché, altrimenti, il condannato sarebbe indefinitamente soggetto alla pretesa punitiva dello Stato anche quando questo, per mezzo degli organi preposti all’esecuzione, abbia di fatto manifestato il proprio disinteresse ovvero l’incapacità di eseguire la pena. Compete, infatti, agli organi che devono curare l’esecuzione della pena – in primis il pubblico ministero ex art. 655 c.p.p. – di assumere le iniziative che si palesino opportune per individuare il condannato e, quindi, sottoporlo all’autorità dello Stato, sicché non può tornare a danno del condannato il tempo impiegato dalle autorità pubbliche per portare a compimento il compito loro affidato dalla legge. Analogamente non può essere addebitato al condannato il tempo impiegato dal tribunale di sorveglianza per valutare l’istanza di misura alternativa che è stata avanzata a seguito dell’ordine di carcerazione – con contestuale sospensione – emesso dal pubblico ministero a norma dell’art. 656 c.p.p., comma 5“.

Le Sezioni Unite, sottolineando l’importanza del dato testuale, hanno ritenuto condivisibile il secondo orientamento.

Pare opportuno ricordare che già la sentenza delle Sezioni Unite, Maiorella, n. 2 del 30/10/2014, dep. 2015, aveva chiarito come “Il dato testuale (…) assume, in materia, un’importanza decisiva. Poiché il tema centrale è l’estinzione della pena per decorso inattivo del tempo, e cioè la prescrizione della stessa, l’individuazione del dies a quo è argomento nel quale la formulazione normativa, in un tema che riveste carattere sostanziale, non può che assurgere al paradigma della tipicità. Non è consentito, dunque, all’interprete percorrere vie esegetiche (per quanto anch’esse non prive di argomenti logico-sistematici) che esulino dal dato testuale assolutamente preciso e chiaro”.

A ben vedere, il legislatore del 1998, disegnando un istituto in forza del quale, pur in presenza di sentenza di condanna irrevocabile, la esecuzione viene obbligatoriamente sospesa, non è intervenuto sull’art. 172 c.p., e non ha, quindi, stabilito espressamente che la sospensione dell’esecuzione disposta in forza all’art. 656 c.p.p., comma 5, introduce un termine o una condizione inquadrabili in quelli previsti dal comma 5 della norma sostanziale.
La complessa e articolata procedura derivante dall’art. 656 co. 5 c.p.p., pur contenendo un elenco di adempimenti dei diversi organi coinvolti, non può incidere sulla decorrenza del termine di estinzione della pena.

Diversamente, l’esito dell’accoglimento dell’opposto orientamento sarebbe paradossale e inaccettabile, ben potendo il condannato restare sottoposto alla minaccia dell’esecuzione della pena detentiva per un periodo indeterminato, essendo incerti i tempi di notificazione al condannato dei provvedimenti del pubblico ministero, così come quelli del suo rintraccio in caso di mancata presentazione dell’istanza di concessione delle misure alternative nel termine previsto ovvero della decisione del tribunale di sorveglianza nel caso che l’istanza sia stata presentata.

Si ravviserebbe, inoltre, una violazione del principio di uguaglianza, sia per i condannati nella medesima posizione la cui esecuzione della sentenza di condanna o della misura alternativa alla detenzione potrebbe intervenire in momenti differenti in conseguenza di circostanze del tutto indipendenti dalla loro volontà, che per la disparità tra i condannati per i quali l’esecuzione della pena non può essere sospesa ai sensi dell’art. 656 c.p.p. comma 5 e quelli che, invece, accedono a tale procedura.
Invero, se i primi sono responsabili di reati più gravi, paradossalmente questi possono lucrare – ai fini dell’estinzione della pena per decorso del tempo – sui ritardi nell’emissione dell’ordine di carcerazione e sulla incapacità della polizia giudiziaria di darvi esecuzione, poiché il termine per l’estinzione della pena decorre indefettibilmente dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna.
Al contrario, i condannati per i reati per i quali si applica la sospensione ex art. 656 c.p.p. comma 5, quindi responsabili di reati meno gravi o di minore allarme sociale, non hanno alcuna aspettativa di estinzione della pena per decorso del tempo in conseguenza dei ritardi e delle inefficienze dei vari organi coinvolti nella stessa.

Pertanto, in riferimento alla seconda questione posta dall’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto:
Il procedimento di esecuzione della pena detentiva, ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., non rientra in una delle ipotesi previste dall’art. 172, comma quinto, cod. pen.”.

5. Considerazioni conclusive

Alla luce del chiarimento delle Sezioni Unite, il decorso del termine della prescrizione delle pene deve individuarsi nel giorno dell’irrevocabilità della sentenza e non può ritenersi rilevante, a tal fine, la disciplina prevista dall’art. 656 comma 5 c.p.p.

La decisione appare coerente con la duplice finalità cui risponde l’estinzione della pena per decorso del tempo.
Da un lato, porre un limite temporale alla realizzazione della potestà punitiva dello Stato nei confronti di soggetti condannati per la commissione di reati, sul presupposto per cui il decorso del tempo dal passaggio in giudicato della sentenza fa venir meno l’interesse alla esecuzione della sanzione di reati risalenti nel tempo per il diminuito ricordo sociale del fatto.
Dall’altro lato, un’esecuzione tardiva rende irrealizzabile la finalità rieducativa della pena nei confronti di chi, a distanza di un lungo periodo di tempo della condotta illecita, può presentare una positiva evoluzione della personalità.

Una diversa soluzione, oltre a produrre i suesposti risultati pratici di carattere paradossale, appare priva di fondamento normativo o di precedenti giurisprudenziali idonei a sostenere lo slittamento incolpevole del dies a quo del termine di prescrizione della pena.

Vale la pena ricordare che il nostro ordinamento prevede cause di sospensione dell’esecuzione già avviata, ma non sospensioni della prescrizione della pena. Ed invero, l’art. 172 c.p. prevede diversi dies a quibus (a seconda dei casi: condannato che si sottrae volontariamente all’esecuzione già iniziata; verificarsi di una condizione), ma non ipotesi di sospensione del corso della prescrizione rispetto ad un inizio fissato per legge.

A ben vedere, già la relazione al progetto definitivo del codice penale giustificava la norma dell’art. 172 c.p., comma 5, distinguendo tra i fatti ostativi all’esecuzione posti volontariamente dal condannato e gli eventi ostativi indipendenti dalla volontà dello stesso, escludendo per i secondi il differimento del termine di estinzione della pena: “Sarebbe eccessivo il rigore della legge, se in simili casi rimanesse anche sospeso il decorso del tempo per l’estinzione della pena; se, cioè, esso non iniziasse il suo svolgimento o, dopo essersi iniziato, subisse un arresto a danno del condannato incolpevole dell’impedimento sopravvenuto. E questa considerazione mi ha indotto a temperare il rigore del principio, dichiarando l’irrilevanza giuridica di siffatto impedimento, nel calcolo del periodo estintivo, dovendo valere la regola generale, che fissa la decorrenza di esso alla data della sentenza di condanna divenuta irrevocabile“.

La tesi del ricorrente, che proponeva lo slittamento del tempo necessario a prescrivere la pena, appare, infine, eccessivamente giustizialista se riconosciuta come regola generale, poiché, di fatto, produrrebbe lo stesso stato di imprescrittibilità della condanna cui soggiacciono le particolari categorie previste dal comma 7 dell’art. 172 c.p [21].

________________________________________________

[1] Art. 172 comma 4 c.p.: “Il termine decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile, ovvero dal giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente all’esecuzione già iniziata della pena”.
[2] Cass. Pen. Sez. I n. 9854/2007.
[3] Cass. Pen. Sez. I n. 21627 del 29.04.2014 (dep. 27.05.2014); in senso conforme Cass. Pen. Sez. I n. 49747 del 26.06.2018 (dep. 30.10.2018): “ai fini dell’estinzione della pena per decorso del tempo, nel caso di sospensione dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656 c.5 c.p.p. il termine di prescrizione decorre dalla data di irrevocabilità della condanna, ai sensi dell’art. 172 c.4 c.p., e non da quella del provvedimento di revoca della sospensione.”
[4] Corte Costituzionale n. 32/2020.
[5] Legge n.3 del 09.01.2019.
[6] Cass. Pen. Sez. I n. 26300 del 19.04.2011.
[7] Cass. Pen. Sez. I n. 4060 del 10/06/1997 Gallo, Rv. 207956).
[8] La Legge 165 del 27.05.1998 ha introdotto la speciale procedura dell’esecuzione delle pene detentive brevi, rientranti nei limiti previsti dall’art. 656 co. 5 c.p.p., per le quali è previsto un che il pubblico ministero proceda con l’ordine di carcerazione e contestuale decreto di sospensione per dar modo al destinatario, quando ancora in libertà, di presentare al tribunale di sorveglianza la richiesta di misura alternativa alla detenzione ed evitare così il suo ingresso in istituto penitenziario nell’attesa della decisione della autorità competente.
[9] Cass. Pen. SS.UU. n. 2 del 30.10.2014 (dep. 02.01.2015).
[10] Cass. Pen. Sez. I n. 9854/2007.
[11] Legge n.3 del 09.01.2019.
[12] Corte costituzionale n. 3/2020: “Sebbene dalla collocazione [dell’art. 656 c.p.p.] il diritto vivente abbia dedotto la sottoposizione al generale principio tempus regis actum, non v’è dubbio che essa – nel vietare la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena in una serie di ipotesi, tra cui quella relativa alla condanna per un reato di cui all’art. 4-bis, ordin. penit. – produce l’effetto di determinare l’inizio dell’esecuzione della pena stessa in regime detentivo.”
[13] Cass. Pen. Sez. I n. 54337 del 20.11.2018 (dep. 05.12.2018): “In tema di prescrizione della pena, l’arresto del condannato effettuato all’estero in esecuzione di una richiesta di estradizione dello Stato italiano determina l’inizio dell’esecuzione della pena e la decorrenza “ex novo” del termine di prescrizione della stessa, a nulla rilevando la successiva scarcerazione del condannato per mancata concessione dell’estradizione da parte dell’autorità giudiziaria estera”.
[14] “Salvo che sia diversamente disposto, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili”.
[15] Cass. Pen. Sez. U. n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021. Giallusi, Rv. 280261.
[16] Cass. Pen. Sez. U. n. 4460 del 19/01/1994, Cellerini, Rv. 196889.
[17] Cass. Pen. Sez. 1, n. 9854 del 16/01/2007, Corio, Rv. 236289. Pronuncia successivamente richiamata da Sez. 1, n. 8166 del 16/1/2018, Esposito, non mass. e da Sez. 1, n. 35537 del 2/7/2012, Perna, non mass.
[18] Cass. Pen. Sez. 1, n. 49747 del 26/06/2018, Kaja Saymir, Rv. 274536.
[19] Cass. Pen. Sez. 1, n. 31196 del 17/06/2004, Giorgetta, Rv. 229286.
[20] Cass. Pen. Sez. 1, n. 21963 del 6/7/2020, El Misri, non mass.
[21] Art. 172 comma 7 c.p.: “L’estinzione delle pene non ha luogo, se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, o di delinquenti abituali, professionali o per tendenza; ovvero se il condannato, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole”.

CORTE DI CASSAZIONE – Sezioni Unite, sentenza 15 luglio 2021, n. 46387

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