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La Consulta sulla legittimità della procedibilità d’ufficio per i delitti previsti dall’art. 590-bis, primo comma, c.p.

Con ordinanza dell’8 ottobre 2018 il Tribunale di La Spezia sollevava questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36 (Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103), in riferimento all’art. 76 della Costituzione,  nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela anche per i delitti previsti dall’art. 590-bis, primo comma, c.p., in contrasto con quanto stabilito dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).

Il giudice a quo evidenzia che con l’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017 il Governo era stato delegato a «prevedere la procedibilità a querela per i reati contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di cui all’articolo 610 c.p. e per i reati contro il patrimonio previsti dal codice penale. Viene fatta salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio qualora ricorra una delle seguenti condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per età o per infermità; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 c.p.; 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità».

Nell’esercitare la delega, il Governo non annoverava l’art. 590-bis, primo comma, c.p. tra le fattispecie oggetto della modifica del regime di procedibilità, con la conseguenza che il reato in questione è procedibile d’ufficio, benché punito con una pena compresa nella forbice edittale per la quale il legislatore delegante aveva previsto l’introduzione della condizione di procedibilità della querela.

Il rimettente sostiene che la mancata previsione della procedibilità a querela per il reato in questione sia frutto di una scelta del legislatore che ha equiparato tali lesioni (gravi o gravissime)  all’infermità che cagioni incapacità della vittima.

Va rilevato, tuttavia, colui che subisce lesioni gravi o gravissime in conseguenza di un sinistro stradale non sempre versa in stato di incapacità e, a parere del giudice a quo, non sussisterebbe alcuna «correlazione diretta e costante» tra le lesioni gravi o gravissime riportate a seguito di un sinistro stradale e lo stato di incapacità.

La scelta «eccessivamente rigorosa» del legislatore delegato frustrerebbe la finalità deflattiva del contenzioso penale sottesa alla delega e rischierebbe altresì di «vanificare e depotenziare» il ricorso allo strumento risarcitorio quale forma di ristoro del pregiudizio subito dalla vittima. Secondo il giudice a quo, infatti, «la remissione della querela e l’estinzione del reato per condotte riparatorie, ex art. 162 ter c.p., costituiscono una spinta formidabile al risarcimento dei danni e quindi ad una rapida definizione dei procedimenti, in un contesto in cui alla persona offesa non interessa la condanna di colui che ha causato il sinistro stradale, ma, piuttosto, ottenere il giusto ristoro economico per i danni subiti».

È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata.

La questione, seppure ammissibile, viene ritenuta dalla Consulta non fondata.

Occorre subito sottolineare che, a fronte della previsione di pene detentive massime non superiori a quattro anni nelle due ipotesi delittuose contemplate dall’art. 590 bis, primo comma, c.p., il thema decidendum è se il Governo fosse autorizzato a non prevedere la procedibilità a querela di tali fattispecie, in ragione dell’operatività dall’eccezione prevista dall’ art. 1, n. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017, riferita all’ipotesi in cui «la persona offesa sia incapace per età o per infermità».

La Corte ripercorre l’excursus legislativo che ha portato all’introduzione della novella, segnalando che già nella Relazione illustrativa al primo schema di decreto legislativo (A.G. 475), si riteneva che «il delitto di lesioni si connota per l’evento, che ben può consistere in uno stato di incapacità, e la previsione di delega non qualifica ulteriormente la condizione di incapacità, non specifica se essa debba essere intesa come temporanea o permanente, piena o anche solo parziale, sicché il legislatore delegato non può che accoglierne la nozione più ampia […]. Il criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 16, lettera a), numero 1), legge n. 103/2017 impone dunque di preservare la procedibilità d’ufficio quando ricorre la condizione di incapacità della persona offesa per (età o per) infermità».

La maggiore gravità del fatto, cui si lega la scelta di mantenere ferma la perseguibilità d’ufficio, sembrerebbe, quindi, essere àncorata alla circostanza che l’agente, per la realizzazione del reato, ha sfruttato una situazione di minorata difesa della vittima, antecedente alla condotta punita, che ha reso più agevole l’esecuzione, piuttosto che ad una situazione di infermità procurata anche a seguito della condotta criminosa.

Ciò posto, la Consulta ritiene che era facoltà del Governo ritenere che una tale esigenza di tutela rafforzata ricorra rispetto al delitto di lesioni stradali gravi o gravissime previsto dall’art. 590 bis c.p., delitto che è produttivo di notevoli conseguenze pregiudizievoli per la salute della vittima, la quale può determinare in una situazione di incapacità, transitoria o permanente, tale da renderle più difficoltosa una eventuale iniziativa giudiziaria volta a sollecitare la persecuzione penale del responsabile delle lesioni.

D’altra parte, la previsione della procedibilità a querela delle ipotesi delittuose contemplate dall’art. 590 bis, primo comma, c.p., si sarebbe posta in aperta contraddizione con la scelta, compiuta appena due anni prima dal Parlamento con la legge 23 marzo 2016, n. 41, di prevedere la procedibilità d’ufficio di tutte le fattispecie di lesioni stradali di cui all’art. 590 bis c.p., in considerazione del particolare allarme sociale determinato dalle condotte che con la nuova incriminazione si intendevano contrastare.

In conclusione, la Corte ritiene che il Governo non abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge delega, nell’adottare una interpretazione non implausibile – e non distonica rispetto alla ratio di tutela sottesa alle indicazioni del legislatore delegante e si sia mantenuto così entro il perimetro sancito dal «legittimo esercizio della discrezionalità spettante al Governo nella fase di attuazione della delega, nel rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie della materia penale».

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