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LA NOZIONE DI CONVIVENZA IN RAPPORTO AL DELITTO DI ATTI PERSECUTORI

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Sul delitto di atti persecutori – 3. La Corte di cassazione sulla nozione di convivenza – 4. Conclusioni

Abstract ita: Con riferimento al delitto di atti persecutori, ed in particolare al provvedimento disposto di urgenza dalla Polizia Giudiziaria, previa autorizzazione del Pubblico ministero, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ai sensi dell’art. 384-bis c.p.p., la Corte di cassazione ritiene che allorquando la convivenza, intesa come coabitazione già esistita, non sia più in atto, ma sussistano degli elementi in concreto che depongono per una perdurante frequentazione del soggetto di quel domicilio domestico anche in maniera occasionale o che consistono nel violento ripristino da parte dell’agente della situazione di condivisione del domicilio, appare corretto ravvisare il presupposto che legittima l’allontanamento da una casa che l’indagato continua a frequentare, anche contro la volontà della donna con cui ha intrattenuto la relazione.

Abstract eng: With reference to the crime of persecution, and in particular to the emergency measure ordered by the Judicial Police, with the prior authorization of the Public Prosecutor, of the prohibition of approaching places frequented by the offended person pursuant to art. 384-bis c.p.p., the Court of Cassation considers that when cohabitation, understood as cohabitation that already existed, is no longer in place, but there are concrete elements that testify to a continuing attendance of the subject in that domestic domicile, even occasionally or which consist in the violent restoration by the agent of the situation of sharing the domicile, it seems correct to recognize the assumption that legitimizes the removal from a house that the suspect continues to frequent, even against the will of the woman with whom he had a relationship .

1. Premessa

Il fenomeno, prima ancora che il reato, di atti persecutori – c.d. stalking – ha ormai raggiunto, anche alla luce dei numerosi interventi legislativi, livelli di attenzione elevati sia da parte della giustizia sia da parte della stampa.

Nel cercare di porre in essere delle adeguate tutele nei confronti delle vittime, il legislatore ha previsto un meccanismo operante in ambito penale e uno in chiave amministrativa, attraverso il c.d. procedimento di ammonizione a riprova del fatto che la condotta di stalking non risulta più essere qualcosa di isolato e sporadico, ma una e vera e propria problematica anche di natura sociale.

2. Sul delitto di atti persecutori

Tale reato è stato introdotto nel nostro ordinamento con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 e convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 38.

Per sua stessa struttura intrinseca il nostro codice penale, fin dagli albori nell’epoca fascista, ha sempre cercato di evitare di intromettersi nelle questioni attinenti alla vita familiare e di relazione. La pretesa punitiva dello Stato quindi si fermava e arretrava di fronte al fulcro familiare, in quanto il legislatore voleva evitare di andare a sanzionare penalmente delle condotte che attenevano strettamente alla vita familiare.

Un chiaro e lampante esempio si rinviene all’art. 649 c.p. il quale prevede che, qualora uno dei reati contenuti nel Libro II, Titolo XIII del codice penale sia commesso in danno del coniuge, l’autore del reato può non essere punito[1].

Tuttavia nella sua evoluzione il diritto penale, su impulso anche del legislatore europeo, ha deciso di superare tale limite, considerando non la famiglia nella sua globalità, bensì il singolo individuo che necessita di adeguata tutela e protezione. Proprio in tale ottica s’inseriscono le numerose riforme volte a tutelare, all’interno del nucleo familiare, il soggetto più debole e bisognoso di una maggiore protezione.

Ci si riferisce ai fenomeni di c.d. violenza assistita o indiretta[2] comprensiva di quelle condotte che, pur non traducendosi in forme di violenza fisica direttamente rivolte, in particolare, a un soggetto vulnerabile, cagionino allo stesso sofferenze morali capaci di incidere in maniera negativa sulla sua integrità psico-fisica.

A fronte di fenomeni di questo tipo, la fattispecie chiamata a sorreggere il peso di una risposta penale indubbiamente non scontata è anzitutto quella dei maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.), che, del resto, ha visto progressivamente ampliare la propria sfera di operatività: si pensi alla rilevanza attribuita dalla giurisprudenza ai c.d. maltrattamenti omissivi e al concorso per omissione in condotte commissive maltrattanti o, ancora, alla sostanziale riscrittura legislativa del concetto di famiglia[3].

Come detto, l’evoluzione normativa ha di fatto esteso le maglie della tutela penale anche ai soggetti c.d. deboli.

La L. 15 ottobre 2013, n.119 (di conversione del D.L. 14 agosto 2013, n. 93) ha introdotto all’art. 61, n. 11-quinquies c.p. una circostanza aggravante applicabile quando, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché in relazione al delitto di cui all’articolo 572 c.p., il fatto fosse commesso in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza. La stessa legge abrogava l’allora secondo comma dell’art. 572 c.p., che prevedeva un aumento di pena per il fatto commesso in danno di persona minore degli anni quattordici.

Ai fini di pervenire a un coerente coordinamento sistematico tra l’art. 61, n. 11-quinquies c.p. e la fattispecie di maltrattamenti in famiglia, la giurisprudenza era pervenuta a distinguere due ipotesi, con evidenti ripercussioni sul piano processuale.

Nel caso in cui le condotte vessatorie commesse nei confronti dell’altro genitore si traducessero in veri e propri maltrattamenti (in forma omissiva) del minore, la Corte di Cassazione, sviluppando un orientamento già emerso nella giurisprudenza di legittimità[4], concludeva per la diretta applicabilità dell’art. 572 c.p.: in questo caso il minore sarebbe stato considerato persona offesa del reato[5].

Al contrario, qualora il minore fosse stato presente agli atti di violenza, senza però che nei suoi confronti potesse considerarsi superata la soglia dei maltrattamenti, avrebbe trovato applicazione l’art. 61, n. 11-quinquies c.p. e il minore non avrebbe potuto considerarsi soggetto passivo del reato[6]. Dalla L. 119/13 è inoltre ricavabile la definizione di violenza domestica, che comprenderebbe cioè:«Tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».

La violenza di genere è invece definita dalla direttiva 2012/29/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, come quella «diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i c.d. reati d’onore»[7].

Come è noto la L. 19 luglio 2019, n. 69 – Tutela delle vittime di violenza domestica o di genere – c.d. codice rosso, ha apportato delle consistenti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale. La novella si compone di 21 articoli, che individuano un catalogo di reati attraverso i quali si esercita la violenza domestica e di genere e, in relazione a queste fattispecie, interviene sul codice di procedura penale al fine di velocizzare l’instaurazione del procedimento penale e, conseguentemente, accelerare l’eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime.

Il provvedimento, inoltre, incide sulla stessa disciplina sostanziale, prevedendo ora l’inasprimento della cornice edittale di taluni reati, ora la rimodulazione di alcune circostanze aggravanti, ora infine l’introduzione di alcune nuove fattispecie incriminatrici.

Si tratta di un elenco che è solo in parte coincidente con quello dei reati che generano la vulnerabilità presunta della vittima, indicati nell’elenco contenuto negli artt. 351, comma 1-ter e 392, comma 1-bis, c.p.p. (richiamato dall’art. 362, comma 1-bis, c.p.p.), cui è riservato uno statuto speciale di raccolta della testimonianza: il reato di diffusione di immagini sessuali, il reato di deformazione permanente del volto, e le lesioni aggravate non sono compresi nell’elenco dei reati cui è associata la vulnerabilità della vittima, sicché in relazione a tali fattispecie l’attivazione delle garanzie che il codice riserva ai dichiaranti in condizione di particolare vulnerabilità deve essere valutata caso per caso sulla base dei parametri previsti dall’art. 90-quater c.p.p.-

L’obiettivo del testo di legge è quello di creare una corsia celere – di fatto preferenziale – riservata ai reati che segnalano non solo gravi crisi relazionali, ma che rivelano altresì un elevato pericolo di reiterazione delle devianze e un grave rischio per la persona: trattasi di situazioni in cui, in altri termini, eventuali ritardi nello svolgimento delle indagini rischierebbero di pregiudicare la tutela dell’integrità fisica o della vita dell’offeso.

La violenza domestica o di genere viene ricondotta dal disegno di legge alle seguenti fattispecie: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); violenza sessuale, aggravata e di gruppo (artt. 609-bis, 609-ter e 609-octies c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.); atti persecutori (art. 612-bis c.p.); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.); lesioni personali aggravate e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 582 e 583-quinquies, aggravate ai sensi dell’art. 576, comma 1, n. 2, 5 e 5.1 e ai sensi dell’art. 577, comma 1, n. 1 e comma 2.

Viene poi previsto che la Polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, riferisca immediatamente al Pubblico Ministero, anche in forma orale; alla comunicazione orale seguirà senza ritardo quella scritta (art. 1). Viene inoltre stabilito che la P.G. debba procede senza ritardo al compimento degli atti di indagine delegati dal Pubblico Ministero e che debba porre, sempre senza ritardo, a disposizione dello stesso la documentazione delle attività svolte (art. 3). Con particolare riferimento al delitto di stalking di cui all’art. 612-bis c.p., soggetto attivo può essere chiunque, anche non avente legami di alcun tipo con la vittima, trattandosi un reato comune: è tuttavia, prevista un’aggravante nel caso in cui l’autore del reato sia legato alla comunità familiare della persona offesa[8].

Con riferimento al soggetto passivo, la norma tende a tutelare un ampio spettro di situazioni, comprendendo anche ipotesi in cui oggetto delle molestie dello stalker siano i prossimi congiunti della vittima, oppure persone legate alla stessa da una relazione affettiva.

Si tratta di un reato abituale che richiede, ai fini della sua integrazione, la reiterazione delle condotte persecutorie idonee, alternativamente, a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura oppure ad ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La reiterazione delle condotte, insieme al grave e perdurante stato di ansia prodotto, è ciò che permette di differenziare questo delitto dalle minacce e dalle molestie.

La giurisprudenza di legittimità ha altresì qualificato lo stalking come un reato abituale di evento, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di danno, consistente proprio nell’alterazione delle abitudini di vita, nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona vicina[9].

Quanto al perdurante e grave stato di ansia e di paura, è stato sottolineato in giurisprudenza come non sia richiesto l’accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che le molestie dello stalker siano idonee a provocare un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio dell’individuo. Elemento soggettivo del reato è il dolo generico, essendo sufficiente la volontà di porre in essere i comportamenti descritti nella norma e la consapevolezza dell’idoneità degli stessi a cagionare uno degli eventi enunciati nella medesima, mentre non è necessaria la prefigurazione del risultato finale.

Lo stalking di regola è punibile a querela della persona offesa dal reato, proponibile nel termine di sei mesi dalla consumazione del reato, coincidente con l’evento di danno.

Unicamente nelle ipotesi in cui il fatto sia commesso a danno di un minore o di una persona con disabilità (oppure sia connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio) si può procedere di ufficio. Esiste, tuttavia, un’alternativa alla querela, ed è la procedura di ammonimento, con la quale si invita lo stalker a desistere dalla sua attività persecutoria e molesta.

La persona offesa che non abbia già presentato querela può, infatti, esporre i fatti al Questore, il quale, ove ritenga fondata l’istanza, emette il provvedimento che ha natura amministrativa.

Infine in tema di remissione della querela questa può essere soltanto processuale e non è consentita, e la querela è perciò irrevocabile, quando il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, comma 2, c.p., cioè nei casi di minaccia aggravata dalle modalità di cui all’art. 339 c.p.-

3. La Corte di cassazione sulla nozione di convivenza

La sentenza[10] in commento origina dal ricorso per cassazione presentato dal Pubblico Ministero contro l’ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari che aveva rigettato la convalida del provvedimento disposto di urgenza dalla Polizia Giudiziaria, previa autorizzazione del Pubblico ministero, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ai sensi dell’art. 384-bis c.p.p., applicando successivamente la misura cautelare corrispondente per il reato di cui all’art. 612-bis c.p.-

Il Giudice della impugnata ordinanza non ha convalidato il provvedimento precautelare adottato di urgenza del divieto di avvicinamento dai luoghi frequentati dalla persona offesa in quanto non conforme al modello legale che presuppone la convivenza.

Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa disposto in via di urgenza isolatamente considerato non è previsto quale misura precautelare, ma diventa una conseguenza dell’allontanamento dalla casa familiare.

Il gravame si basava sull’asserita violazione di legge con riferimento all’art. 384-bis c.p.p.-

In via preliminare la Corte rileva che il tema afferisce al contrasto interpretativo tra il Pubblico ministero ricorrente ed il Giudice delle indagini preliminari  relativo alla condizione di convivenza presso la casa familiare: secondo il giudice il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, adottato quale misura precautelare di urgenza, si lega indissolubilmente allo stato di convivenza in atto nella casa familiare tra agente e soggetto passivo, che ne costituisce indefettibile presupposto.

Preso atto che non è emersa alcuna criticità nella valutazione effettuata dal giudice della convalida quanto al rispetto dei termini, né all’astratta configurabilità di una delle ipotesi di reato di cui all’art. 282-bis, comma 6, c.p.p. la criticità è, quindi, ravvisabile nell’ulteriore presupposto legittimante l’eseguito allontanamento, ossia, secondo il provvedimento impugnato, la condizione di convivenza nella casa familiare.

Basandosi anche sulla giurisprudenza civile, la Suprema corte ritiene che la nozione di convivenza di fatto trovi ora il suo supporto normativo nella L. 20 maggio 2016, n. 76, che all’art. 1, definisce i conviventi di fatto come: «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile», individuando sempre l’elemento spirituale, il legame affettivo, e quello materiale o di stabilità, la reciproca assistenza morale e materiale, fondata in questo caso non sul vincolo coniugale e sugli obblighi giuridici che ne scaturiscono, ma sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco.

Lo stesso dicasi avuto riguardo alla nozione di vita familiare rilevante a norma dell’art. 8 CEDU, per la quale è necessario un legame affettivo qualificato da un progetto di vita in comune.

In tal senso la Corte ha affermato che: «Le specifiche esigenze di protezione delle previsioni penalistiche – oltre che di raccordo tra le varie fattispecie incriminatrici (e, si veda, al riguardo, lo sforzo ricostruttivo di Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, D., Rv. 283436 – 01, all’indomani di Corte Cost., sent. n. 98 del 2021) – impongono, in armonia con le superiori indicazioni, di ritenere che la convivenza, pur quando non si accompagni alla coabitazione continuativa, permanga anche nelle fasi di crisi del rapporto quando quest’ultima non sia divenuta ormai irreversibile.

Alla luce delle considerazioni espresse, può dunque ritenersi che allorquando la convivenza, intesa come coabitazione già esistita, non sia più in atto, ma sussistono degli elementi in concreto che depongono per una perdurante frequentazione del soggetto di quel domicilio domestico anche in maniera occasionale (nel caso di specie risulta dall’ordinanza cautelare che la sera del omissis l’indagato aveva dormito a casa della donna) o che consistono nel violento ripristino da parte dell’agente della situazione di condivisione del domicilio (nel caso di specie l’indagato era più volte entrato nella casa della persona offesa anche quando la stessa si era recata in Questura per denunciare l’accaduto), appare corretto ravvisare anche l’ulteriore presupposto che legittima l’allontanamento da una casa che l’indagato continua a frequentare, anche contro la volontà della donna con cui ha intrattenuto la relazione.

A ciò si aggiunga che l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi alla stessa hanno un identico contenuto prescrittivo: l’art. 282-bis c.p.p. quando descrive la condotta che deve osservare il destinatario della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare utilizza due espressioni: “lasciare immediatamente la casa” ovvero “non farvi rientro” e, dunque, non avvicinarsi».

La Corte di cassazione quindi, ritenendo che l’operato della polizia giudiziaria sia stato legittimo e coerente con i presupposti applicativi dell’art. 384-bis c.p.p., ha annullato senza rinvio l’ordinanza i di diniego di convalida.

4. Conclusioni

Nel ricostruire la definizione di convivenza, la Corte di cassazione ha fatto buon governo della disciplina normativa, nonché delle pronunce giurisprudenziali civili e della CEDU.

Appare quindi evidente che emerge una nozione di convivenza non coincidente con la semplice coabitazione.

In particolare, il rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, è ravvisabile anche quando non sia contraddistinto da coabitazione.

La Corte, infatti, nell’interpretazione adeguatrice delle norme, evidenzia che è necessario prendere atto del mutato assetto della società, collegato alle conseguenze di una prolungata crisi economica, ma non originato soltanto da queste, dal quale emerge che ai fini della configurabilità di una convivenza di fatto, il fattore coabitazione è destinato ad assumere ormai un rilievo recessivo rispetto al passato.

Il cambiamento sociale che è ormai verificato nella società comporta che si instaurino e si mantengano rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato e devono indurre a ripensare al concetto stesso di convivenza, la cui essenza non può risolversi nella coabitazione.

Il dato della coabitazione, all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza è quindi attualmente un dato recessivo.

Sulla base di tali presupposti e inquadramenti la Corte di cassazione ha ritenuto il provvedimento adottato dalla Polizia giudiziaria legittimo e coerente con i presupposti applicativi dell’art. 384-bis c.p.p.-


[1] I commi 1 e 2 del medesimo articolo prevedono tuttavia dei casi in cui tale disposizione non opera e l’autore è perseguibile.

[2] D. FALCINELLI, La “violenza assistita” nel linguaggio del diritto penale. Il delitto di maltrattamenti in famiglia aggravato dall’art. 61 n. 11 quinquies c.p., in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1, 2017, pp. 173 ss.

[3] A. MASSARO, G. BAFFA, A. LAURITO, Violenza assistita e maltrattamenti in famiglia le modifiche introdotte dal c.d. codice rosso, in Giur. Pen., n. 3, 2020, p.5.

[4] Cass. Pen., sez. VI, 10.12.14, n. 4332; Cass. Pen., sez. VI, 23.02.18, n. 18833; Cass. Pen., sez. V, 29.03.18, n. 32368.

[5] F. MARTIN, Il rapporto tra il delitto di stalking e l’omicidio commesso in danno della vittima, Giur. Pen., n. 11, 2021;F. MARTIN, Il delitto di stalking tra tutela penale e amministrativa, in Ius in itinere, 10.01.2022.

[6] Intervenendo su questo assetto normativo, la legge n. 69 del 2019 (c.d. codice rosso) ha modificato tanto la formulazione dell’aggravante prevista all’art. 61, n. 11- quinquies c.p. quanto quella dell’art. 572 c.p.- Più nel dettaglio, dall’art. 61, n. 11- quinquies c.p. è stato “espunto” il riferimento all’art. 572 c.p., facendo transitare l’aggravante direttamente nel testo dello stesso articolo.

[7] D. RUSSO, Emergenza “Codice Rosso”. A proposito della della l. legge 19 luglio 2019, n. 69 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, in Sist. Pen., n.1, 2020, pp. 1-4.

[8] F. MARTIN, Isolamento da covid-19 e codice rosso: prospettive e problematiche applicative durante la quarantena, in Cammino Diritto, n. 5, 2020, p. 10.

[9] L. DE ROSA, Stalking: l’inizio di un incubo, in Ius in Itinere, 26.01.2017.

[10] Cass. Pen., Sez. V, 02.02.2023, n. 4572.

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