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La portata della sentenza Maestri v. Italia: le Sezioni Unite “non decidono”

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi sulla applicabilità generale del dictum della “sentenza Maestri v. Italia”, hanno disposto la restituzione degli atti per una nuova valutazione. Un’occasione mancata?  

The United Sections of the Supreme Court, called to pronounce on the general applicability of the dictum expressed in the “judgment Maestri v. Italia”, have return the decision to the Court for a new assessment. A missed opportunity?   

Sommario: 1. L’“immediatezza” nel giudizio di appello. – 2. I principi affermati nella “sentenza Maestri v. Italia” – 3. L’obbligo di esaminare l’imputato in appello: principio generale? – 4. Verso la “riforma Cartabia”.

1. L’“immediatezza” nel giudizio di appello. Con un’ordinanza dello scorso anno, è stata rimessa alle Sezioni Unite[1] «la questione di massima importanza della applicabilità generale del dictum della sentenza» resa dalla Corte di Strasburgo nella “causa Maestri v. Italia[2]. La pronuncia  – nonostante l’epilogo negativo[3] – ha avuto il merito di mantenere accesi i riflettori su due tematiche in cerca di “stabilità” all’interno del sistema processuale: da un lato, i confini dell’istituto della rinnovazione “obbligatoria” dell’istruzione dibattimentale in appello ex art. 603, comma 3 bis, c.p.p., e, dall’altro, la portata dei principi affermati dalla Corte europea in casi “analoghi”, ma non oggetto di ricorso.    

La sentenza Maestri v. Italia costituisce la tappa di un più ampio percorso giurisprudenziale[4] che ha richiamato l’attenzione dei giudici nazionali sul valore del principio di immediatezza anche nel giudizio di appello, qualora si intenda procedere all’overturning di una decisione di proscioglimento, sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa.

A tenore di un indirizzo consolidato[5], allorché il secondo organo giudicante sia chiamato a riesaminare il caso sia in fatto sia in diritto, avendo il potere di decidere in merito all’innocenza o alla responsabilità penale dell’imputato, non è possibile «properly determine those issues without a direct assessment of the evidence». Da ciò discende la non conformità al “fair trial” del processo che in sede di appello conduca alla condanna dell’imputato, in precedenza assolto, sulla base di una rivalutazione esclusivamente cartolare dell’attendibilità delle testimonianze assunte nel primo grado, senza passare attraverso la diretta audizione dei testi. Essendo la valutazione sulla credibilità del testimone un’operazione “complessa”, che non può esaurirsi nella mera lettura solitaria delle dichiarazioni verbalizzate, coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o innocenza di un accusato dovrebbero – “in linea di principio”, salvo alcune eccezioni – essere in grado di ascoltare personalmente i dichiaranti per valutarne al meglio la credibilità[6].

2. I principi affermati nella “sentenza Maestri v. Italia. Nella specie, la condanna europea a carico dell’Italia per la violazione dell’art. 6, § 1, C.e.d.u è derivata dalla mancata rinnovazione, da parte della Corte d’appello, dell’esame dell’imputato assolto in primo grado e poi condannato in seconda istanza. Sin qui, si potrebbe constatare, nulla di nuovo rispetto a quanto rappresenta un orientamento oramai consolidato e ampiamente condiviso, come osserva la stessa Corte di Cassazione nel provvedimento di restituzione degli atti. La giurisprudenza interna[7], infatti, ha rimarcato la necessità per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione della prova dichiarativa in caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità della dichiarazione ritenuta decisiva, senza operare distinzioni in ragione della qualità soggettiva del dichiarante. In particolare, ciò vale, secondo i giudici di legittimità: «a) per il testimone “puro”; b) per quello c.d. assistito; c) per il coimputato in procedimento connesso; d) per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l’eventuale rifiuto di sottoporsi all’esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l’imputato); e) per il soggetto “vulnerabile” (…); f) per l’imputato che abbia reso dichiarazioni “in causa propria”» e persino per il testimone “esperto”[8]. Analogo obbligo non si configura, invece, per l’assunzione delle dichiarazioni spontanee, ex art. 494 c.p.p, rimesse alla libera scelta dell’imputato e «non acquisibili d’ufficio altrimenti determinandosi una palese violazione del diritto al silenzio e del diritto di difesa»[9].

Secondo le affermazioni della Corte europea, perché il diritto dell’imputato ad essere ascoltato dalla giurisdizione di merito, su fatti e questioni determinanti per l’accertamento della colpevolezza, sia soddisfatto, non è sufficiente la citazione all’udienza di appello ai sensi dell’art. 601 c.p.p.: del resto, non può che osservarsi come si tratti di adempimento funzionale a mettere il soggetto unicamente nelle condizioni di conoscere la data dell’udienza e decidere se partecipare o meno al “proprio” processo. Pertanto, spetta «alle autorità giudiziarie adottare tutte le misure positive idonee a garantire l’audizione dell’interessato, anche se quest’ultimo non ha assistito all’udienza, non ha chiesto di essere autorizzato a prendere la parola dinanzi alla giurisdizione di appello e non si è opposto, tramite il suo avvocato, a che quest’ultima emetta una sentenza sul merito».

Ciò significa che la Corte d’appello dovrà disporre una specifica vocatio per procedere all’audizione dell’imputato, sotto forma di esame – mezzo di prova che non ammette equipollenti – qualora le sue dichiarazioni siano considerate “decisive”: soltanto in questa situazione, il mancato consenso o la non presentazione all’udienza appositamente fissata per l’audizione, potranno configurare una rinuncia al diritto di difesa (§ 58), pienamente legittima. A tal fine, si è osservato[10], basterebbe integrare il contenuto del decreto di citazione del giudizio di appello con un formale avviso. È da notare che la decisività delle dichiarazioni, nel caso esaminato dai giudici europei, rilevava non già per procedere a una diversa ricostruzione degli elementi fattuali, ma ai fini dell’apprezzamento, per la prima volta, dell’elemento soggettivo del reato, nella specie dell’associazione a delinquere (§ 52): una prospettiva che tiene conto della difficoltà di operare una separazione tra fatti e interpretazione giuridica, spesso inestricabilmente connessi tra loro[11].

3. L’obbligo di esaminare l’imputato in appello: principio generale? Riscontrata la violazione convenzionale, sul versante dei rimedi, il mezzo adeguato per ripararvi non potrà che essere – come esplicitato dalla stessa decisione europea – la celebrazione di un nuovo processo, ovvero una riapertura del procedimento su richiesta dell’interessato. Il ricorrente vittorioso a Strasburgo potrà quindi accedere, nell’ordinamento interno, alla revisione “europea” [12], di matrice costituzionale: istituto che, com’è noto, ha generato molteplici questioni interpretative, più di quante non ne abbia risolte, soprattutto riguardo alla posizione dei c.d. fratelli minori vittime di violazioni processuali analoghe a quelle già riscontrate in un altro caso dalla Corte europea[13].  

In questo contesto si inserisce lo snodo più delicato dell’ordinanza di rimessione: chiarire la portata che la “sentenza Maestri v. Italia”, dalla quale deriva un obbligo di adeguamento da parte dei giudici nazionali, quantomeno sul piano interpretativo, potrà avere nell’ambito di altri procedimenti pendenti davanti alle corti di merito. E non solo. Ancorché la regola di diritto contenuta nelle singole decisioni europee non si estenda a soggetti estranei al giudizio – a meno che non si tratti di sentenze “pilota”, adottate in virtù dell’art. 61 del Regolamento della Corte – come rileva il remittente, esistono “sentenze di portata generale”, capaci di riverberare i propri effetti anche verso soggetti diversi dal ricorrente. A tale riguardo, i giudici di legittimità hanno richiamato la pronuncia delle Sezioni Unite[14] che ha chiuso la tormentata vicenda processuale dei c.d. fratelli minori di “Contrada”: nell’occasione, il Supremo consesso, pur giungendo a conclusioni di segno negativo, non ha sbarrato in modo netto la strada ad un’applicazione erga alios di una decisione europea che abbia accertato una violazione convenzionale, purché ricorrano determinate condizioni. In particolare – al di là del già menzionato caso di sentenza “pilota”, adottata in conformità all’art. 61 del Regolamento della Corte – occorre che la pronuncia europea abbia espressamente rintracciato una violazione di carattere strutturale o sistemicoimputabile allo Stato italiano, la cui rimozione imponga l’adozione delle misure di carattere generale o individuale adeguate. Ovvero, ancora – ed è qui il passaggio che più rileva – bisogna che la Corte abbia, anche se solo implicitamente, riconosciuto l’esistenza di una violazione di portata generale[15]. E ciò purché la sentenza recante la statuizione capace di rivestire “valore generale e di principio” possa dirsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata, secondo i parametri delineati dalla Corte costituzionale[16].

Ebbene, è vero che la Corte europea nella “sentenza Maestri” non ha ravvisato una violazione sistematica e strutturale, ma ha comunque individuato, secondo il remittente, «un vulnus sia procedurale che sostanziale, laddove non vi sia stata apposita citazione dell’imputato per l’esame innanzi al giudice d’appello prima di essere condannato, per la prima volta, a seguito di un giudizio di primo grado definito con pronuncia di assoluzione». Ora, diventa quindi rilevante comprendere la portata del principio affermato, per la sua capacità di produrre effetti sia prima della formazione del giudicato nazionale, sia successivamente, eventualmente aprendo anche al terzo la possibilità di accedere alla revisione “europea”, come ad oggi strutturata.

Sul versante del modus procedendi seguito dalla Corte di cassazione, la rimessione alle Sezioni Unite era l’unica strada percorribile, in alternativa all’investitura della Corte costituzionale, atteso che l’Italia non può avvalersi delle potenzialità aperte dal Protocollo n. 16 alla C.e.d.u.[17], in vigore dal 1° agosto 2018 per gli Stati che hanno già concluso l’iter di ratifica (tra i quali l’Italia non è inclusa)[18]. Questo strumento, nella prospettiva di un più fecondo dialogo tra Corti, consente infatti alle giurisdizioni superiori di uno Stato parte di richiedere alla Corte europea dei diritti dell’uomo pareri consultivi (advisory opinions), seppure non vincolanti, su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli, contribuendo, di riflesso, a ridurre il contenzioso davanti alla Corte di Strasburgo.

4. Verso la “riforma Cartabia”. Come si è anticipato, la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha disposto la restituzione degli atti ritenendo, tra l’altro, di non potere convenire con i giudici rimettenti sul fatto che la Corte europea «abbia enunciato un principio di diritto vincolante in linea di principio e cioè a prescindere dalla specifica situazione processuale». A questo punto per comprendere come orientarsi in casi nei quali non si sia formato il giudicato “europeo”, occorrerà aspettare l’attuazione dei criteri di delega contenuti nella l. 27 settembre 2021, n. 134, c.d. riforma Cartabia, in relazione all’introduzione di un rimedio ad hoc per riparare alle violazioni convenzionali[19]. Con l’art. 1, comma 13, lett. o), infatti, si invita il potere esecutivo ad adottare dei decreti legislativi che tocchino anche le impugnazioni straordinarie, introducendo uno strumento davanti alla «Corte di cas­sazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte europea dei di­ritti dell’uomo, proponibile dal soggetto che abbia presentato il ricorso, entro un termine perentorio». Il giudice di legittimità dovrebbe avere «il potere di adottare i provvedimenti necessari e disciplinare l’eventuale procedimento successivo»; infine, occorrerebbe coordinare il nuovo rimedio «con quello della rescissione del giudicato, individuando per quest’ultimo una coerente collocazione sistematica, e con l’incidente di esecuzione di cui all’articolo 670 del codice di procedura penale».

Si tratta di poche direttive, a tratti di difficile decodificazione, che richiederanno un notevole impegno da parte dei delegati. In particolare, secondo il testo normativo, il nuovo rimedio potrà essere attivato davanti al giudice della nomofilachia, entro un termine perentorio. Alla Corte di Cassazione spetterà quindi interpretare la sentenza del giudice di Strasburgo dandole attuazione «con un annullamento senza rinvio (laddove si tratti solo di modificare la pena o di assolvere in tutto o in parte il ricorrente a Strasburgo), oppure con un annullamento con rinvio (nel caso in cui risulti indispensabile riaprire il processo)» [20]. Sul versante della legittimazione, l’istituto di nuovo conio potrà essere attivato soltanto da parte del “ricorrente”: locuzione che sgombera il campo da ogni dubbio rispetto alla volontà di escludere i c.d. fratelli minori del ricorrente vittorioso a Strasburgo[21]. Ebbene, questi soggetti – secondo la prospettazione della “Commissione Lattanzi” – potrebbero trovare tutela nel coinvolgimento della Corte costituzionale, sollecitata proprio dalla Corte di Cassazione[22]. Quest’ultima, rilevato un problema di portata generale dell’ordinamento, potrebbe sollevare immediatamente una questione di legittimità costituzionale della norma interna interessata dalla decisione di Strasburgo, agendo “in prevenzione”. A quel punto, sulle orme del noto “caso Ercolano”[23], intervenuta la declaratoria di illegittimità, i “fratelli minori” potrebbero rivolgersi al giudice dell’esecuzione[24]: opzione che attualmente sembrerebbe però limitata alle sole violazioni di natura sostanziale. Rimangono nell’ombra le questioni relative alla posizione dei non ricorrenti a Strasburgo che siano vittime di violazioni procedurali analoghe a quelle già riscontrate dalla Corte europea, i quali sembrano lasciati sprovvisti di tutela. Da questa prospettiva, la decisione delle Sezioni Unite di restituire gli atti perché si proceda ad un nuovo vaglio ha mancato di offrire un impulso alla definizione dei contorni dell’istituto che verrà. Allo stato, non resta che attendere i decreti delegati ma, prima ancora, auspicare la ratifica del Protocollo n. 16.


[1] Cass., Sez. I, ord. 21.9.2021, n. 45179, Mannucci.  

[2] C. eur. dir. uomo, 8.7.2021, Maestri v. Italia. Per un commento v. Cardamone, Reformatio in peius in appello e processo equo nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo da Dan c. Moldavia a Maestri ed altri c. Italia, in QG, 7.9.2021. 

[3] Cfr. Cass., Sez. Un., 17.1.2022, Mannucci, con la quale è stata disposta la restituzione degli atti, ai sensi dell’art. 172 disp. att. c.p.p., per una nuova valutazione della questione.

[4] Particolare rilievo ha assunto C. eur. dir. uomo, 5.7.2011, Dan v. Moldavia, sulla quale v., in particolare, Gaito, Verso una crisi evolutiva per il giudizio di appello. L’Europa impone la riassunzione delle prove dichiarative quando il p.m. impugna l’assoluzione, in AP, 2012, n. 2.

[5] Cfr., tra le tante, C. eur. dir. uomo, 26.6.2012, Găitanăru v. Romania; Id., 24.7.2012, D.M.T. e D.K.I. v. Bulgaria; Id., 5.3.2013, Manolachi v. Romania; Id., 4.6.2013, Hanu v. Romania; Id., 5.9.2015, Moinescu v. Romania; Id., 22.9.2015, Nitulescu v. Romania; Id., 5.7.2016, Lazu v. Repubblica di Moldavia; Id., 28.2.2017, Manoli v. Repubblica di Moldavia; Id., 29.6.2017, Lorefice c. Italia; Id., 25.3.2021, Di Martino e Molinari v. Italia. Sul tema v., per tutti, Marandola, L’appello riformato, Wolters Kluwer-Cedam, 2020, p. 168 ss.

[6] Cfr., per ulteriori approfondimenti, volendo, Mangiaracina, Dan v. Moldavia 2: la rinnovazione in appello tra itinerari sperimentati e cedimenti silenziosi, in AP, 2020, n. 3. 

[7] Cass., Sez. IV, 2.10.2019, n. 46210, Giombini, in CED Cass., n. 277870; Cass., S.U., 28.4.2016, n. 27620, Dasgupta, ivi, 267488.

[8] Cass., S.U., 28.1.2019, n. 14426, Pavan, in CED Cass., n. 275112.

[9] Cass., Sez. II, 6.10.2016, n. 51983, Sall, in CED Cass., n. 268524. 

[10] Mori, Di nuovo alle Sezioni Unite una questione sugli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti di soggetti diversi dai ricorrenti vittoriosi a Strasburgo: note a margine dell’ordinanza 45719/2021 Cass Pen. Sez. I, Mannucci, in Giustizia insieme (web), 11/2/2022.   

[11] C. eur. dir. uomo, 16.7.2019, Júlíus Þór Sigurþórsson v. Islanda, § 37.

[12] Corte cost., sent. 7.4.2011, n. 113. Sulla portata della sentenza, v., per tutti, Geraci, Sentenze della Corte e.d.u. e revisione del processo penale. Dall’autarchia giudiziaria al rimedio straordinario, Dike, 2012, p. 148 ss.; Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in CP, 2011, p. 3308. 

[13] Per un’ampia ricostruzione dell’istituto v., per tutti, Lavarini, Il sistema dei rimedi post-iudicatum in adeguamento alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, Università degli Studi di Torino, 2019.

[14] Cfr. Cass., Sez. Un., 24.10.2019, n. 8544, Genco, in CP, 2019, p. 2259 ss., con il commento critico di Maggio, La prevedibilità col ‘vestito di carta’: le Sezioni Unite escludono la portata generale della sentenza Contrada c. Italia n. 3. In favore della tesi restrittiva v. Geraci, L’impugnativa straordinaria per la violazione della CEDU accertata a Strasburgo: le ipotesi, le procedure, gli effetti, in Corvi (a cura di), Le impugnazioni straordinarie, Giappichelli, 2016, p. 79; Gialuz, Il giudizio di revisione, in Lupària Donati (a cura di), L’errore giudiziario, Giuffré Francis Lefebvre, 2021, p. 612.       

[15] In termini critici verso questo approccio v., da ultimo, Mori, Di nuovo alle Sezioni Unite una questione sugli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti di soggetti diversi dai ricorrenti vittoriosi a Strasburgo: note a margine dell’ordinanza 45719/2021 Cass Pen. Sez. I, Mannucci, cit., la quale lamenta l’inadeguatezza «di parametri rigidi e, in particolare, di quelli che la giurisprudenza ha cercato di cristallizzare negli ultimi anni per individuare gli effetti espansivi, o indiretti, delle sentenze della Corte europea».   

[16]Cfr. Corte cost., sent. 26.3.2015, n. 49, che ha individuato i seguenti criteri negativi da impiegare a tal fine: «la creatività del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano» (sent. n. 49/2015). Considera la sentenza come portatrice di un «nazionalismo costituzionale esasperato», A. Ruggeri, Fissati nuovi paletti alla Consulta a riguardo del rilievo della Cedu in ambito interno (a prima lettura di Corte cost. n. 49 del 2015), in Rivista diritti comparati, 7.5.2015, p. 9.  

[17] Conti, Il Protocollo di dialogo fra Alte Corti italiane, Csm e Corte Edu a confronto con il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu. Due prospettive forse inscindibili, in QG, 30.1. 2019; Ruggeri, Protocollo 16 funere mersit acerbo, in Giust. insieme, 22.10.2020.   

[18] V., tra i tanti, Conti, Chi ha paura del Protocollo 16- e perché?, in Sist. pen., 27.12.2019.   

[19]Per interessanti spunti critici v. Parlato, Verso la revisione europea 2.0, Relazione tenuta al Convegno “Il modello di riforma “Cartabia”: etica, estetica, oblio”, Roma, 18.11. 2021.

[20] In questi termini la Relazione finale della «Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello», 24.5.2021, consultabile in www.giustizia.it, p. 41. Sulla portata del rinvio da parte della Corte di cassazione v. le considerazioni di Geraci, Un’attesa lunga vent’anni: il ricorso straordinario per l’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo, di prossima pubblicazione in PPG, 2022, n. 1.     

[21] Gialuz, La tendenza espansiva della revisione, in Canzio,Bricchetti (a cura di), Le impugnazioni penali, Giuffré, 2019, p. 609, aveva suggerito, sulla falsariga del modello belga, di riconoscere l’accesso al nuovo rimedio ai soggetti non ricorrenti a Strasburgo, ma condannati con la stessa sentenza, della quale subiscano le conseguenze.

[22] Confalonieri, La “giustizia del cadì”: gli effetti delle pronunce sovranazionali sul giudicato penale, in Dir. pen. cont., 2021, n. 2, p. 176 ss. 

[23] Cass., S.U., 24.10.2013, n. 18821, Ercolano, in www.dejure.it. V., tra i molti, Viganò, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni Unite che chiude la saga dei “fratelli minori” di Scoppola, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., 2014, n. 1, p. 250 ss.

[24] In questi termini v. la Relazione finale della «Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello», cit., p. 41. 

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