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Note minime, con andamento rapsodico, sugli aspetti generale delle nuove pene sostitutive

Minimal, rhapsodic notes on general aspects of the new substitution penalties

      L’Autore esamina gli aspetti fondamentali della disciplina introdotta dalla c.d. riforma Cartabia in materia di nuove pene sostitutive, mettendone in evidenza alcuni profili problematici che ne potrebbero mettere a rischio l’efficacia e la coerenza interna.

      The author examines the fundamental aspects of the discipline introduced by the so-called Cartabia reform on new substitution penalties, highlighting some problematic profiles that could jeopardise its effectiveness and internal consistency.

Sommario: 1. Scopi del disegno riformatore. -2. Favor sostitutionis. -3. Caratteri comuni alle nuove pene sostitutive. -4. Le pene sostituibili e tecniche di conversione della pena pecuniaria. -5. I soggetti tendenzialmente esclusi dal beneficio. -6. Disciplina delle prescrizioni. -7. Conseguenze in caso d’inosservanze e inadempimenti. -8. Concorso di pene sostitutive. -9. Pene sostitutive e misure alternative alla detenzione. -10. Le modifiche (più significative) al codice di rito. -11. Rilievi critici conclusivi in ordine sparso

  1. Scopi del disegno di riforma

            Il d.lgs. n. 150/ 2022, dove si trova enucleata la c.d. riforma Cartabia, ambisce a mitigare i nefasti effetti congeniti alle strutturali inefficienze del nostro apparato giudiziario, puntando sull’introduzione di meccanismi volti, perlomeno nelle intenzioni, alla significativa riduzione delle tempistiche dei procedimenti penali.

            L’efficientamento del sistema si propone, da un lato, la piena attuazione dei principi costituzionali, convenzionali e unionali su cui si erge la materia; dall’altro, ambisce a centrare l’obiettivo, fissato nel c.d. PNRR, di contenere del 25% la durata media dei processi nei tre gradi di giudizio[1].

            Si è pertanto proceduto alla previsione di svariati incentivi onde evitare l’esperimento della totalità dei gradi di giudizio, con l’intento di decongestionare in modo particolare le Corti d’appello dove, in alcuni distretti soprattutto, i fascicoli restano incagliati per anni se non all’infinito.

            In simile ottica, il rinnovato micro sistema è stato pensato e calibrato in guisa da spingere la concessione del beneficio sin dal primo grado di giudizio onde distogliere l’imputato, ormai soddisfatto del risultato raggiunto, dal sostenere i costi economici ed umani di un giudizio di secondo grado[2].

            Per questo, da un lato, è stato allargato il perimetro operativo dei lavori di pubblica utilità; dall’altro, si sono rese inappellabili le sentenze che li concedono, con l’ulteriore auspicio che il condannato defletta anche dal ricorso per cassazione, preferendo iniziare quanto prima l’esecuzione di tale tipologia di pena[3].

            Anche l’incremento del limite di pena inflitta entro il quale si può adesso venire ammessi alla sostituzione, dovrebbe rendere più appetibili i riti alternativi e la connessa “scontistica” sanzionatoria[4].

            Altra linea direttrice che ha guidato i compilatori è stata quella di alleggerire i ruoli della magistratura di sorveglianza, liberandola da molte incombenze mediante il crescente ricorso alle nuove pene sostitutive irrogate dal giudice della cognizione e ponendola così nelle condizioni -è l’auspicio- di lavorare in tempi più ragionevoli le pratiche relative alle misure alternative.

            Il tutto con l’obiettivo di estirpare dal sistema, o, perlomeno, depotenziare, il germe patogeno dai cc.dd. liberi sospesi sine die[5].

            Colla riforma si spera, altresì, di attenuare il sovraffollamento carcerario, evitando l’ingresso nel circuito detentivo di una vasta platea di condannati[6].

            Lungo una linea direttrice omogenea si è inteso configurare la sanzione intra- muraria davvero come un’extrema ratio.

            Ci si è infatti convinti che una detenzione di breve durata sia foriera di effetti desocializzanti che, in quanto tali, spingono alla recidiva[7], contrariamente all’intrapresa di percorsi di reinserimento esterno, capaci di evitare quello stato d’esclusione sociale generato dalla reclusione[8].

  • Favor sostitutionis.

             I suddetti scopi sono stati perseguiti dal legislatore delegato (in esecuzione dell’art. 1, comma 17, legge-delega n. 134/ 2021), riformando funditus il Capo III della legge n. 689/ 1981, dedicato alle «sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi», nel senso del favor sostitutionis.

            Si è quindi proceduto, da un lato, a mutare la tipologia delle sanzioni sostitutive, espandendone lo spettro operativo; dall’altro, in ossequio all’adagio: «(…) castigo breve ma certo (Beccaria docet)»[9], si é esclusa l’operatività della sospensione condizionale della pena da quest’ambito, istituto che, nel corso del tempo, aveva disincentivato il ricorso a tali misure[10]; per di più, sono state affidate al giudice del dibattimento le valutazioni sulla concessione di simili benefici; infine, l’istituto è stato “riprogrammato” in modo d’accentuarne le inclinazioni rieducative e di risocializzazione[11].

            Secondo queste prospettive operative, è stata in primo luogo mantenuta la pena pecuniaria, ancorché rivista e modificata, e sono state eliminate le sanzioni della semilibertà e della libertà controllata, rimpiazzate dalla semilibertà sostitutiva, dalla detenzione domiciliare sostitutiva e dai lavori di pubblica utilità sostitutivi, già conosciuti nel contesto dei reati di competenza del giudice di pace, in materia di reati di guida in stato d’ebbrezza previsti nel codice della strada e per condotte afferenti la circolazione degli sostanze stupefacenti considerate di lieve entità, nelle ipotesi di cui all’art. 73, comma 5- bis, d.P.R. n. 309 del 1990.

            Inoltre, come accennato, si è ritenuto di concentrare nella fase di cognizione la decisione su queste misure, alleggerendo così il carico della magistratura di sorveglianza.

            La tendenza a concentrare nella fase di cognizione tutte le decisioni afferenti alle pene sostitutive si desume anche dal tenore del nuovo art. 58 legge n. 689/ 1981, per il cui tramite si sottraggono al magistrato di sorveglianza, per trasferirle in capo al giudice del processo, financo le valutazioni sul se e quali prescrizioni imporre al condannato destinatario di una pena sostitutiva.

            Il magistrato di sorveglianza non viene comunque spogliato di qualsiasi competenza. Invero, ai sensi del rinnovato art. 62 legge n. 689/ 1981, egli, in fase esecutiva, deve vigilare sulle modalità di espiazione della sanzione e sul rispetto delle prescrizioni, potendo anche modificarne il contenuto se ritenuto non può attuale.  

            In relazione ai rapporti tra pene sostitutive e sospensione condizionale, poi, il nuovo art. 61- bis legge n. 689/ 1981 esclude l’applicabilità del beneficio a tali sanzioni.

            Come detto, è stato altresì aumentato il limite edittale entro il quale è consentita la sostituzione della pena detentiva a quattro anni di reclusione così introducendo un altro ostacolo all’operatività della sospensione condizionale che, nella sua forma ordinaria, non può essere accordata per condanne superiori ai due anni di reclusione.

            Dal novellato art. 58, comma 1, l.n. 689/ 1981 si ricavano le precipue finalità risocializzanti sottese all’istituto.

            Questa disposizione condiziona il beneficio alla concreta prospettiva, anche tramite opportune prescrizioni comportamentali, che si possa prevenire il pericolo di ricaduta nel reato[12].

            Il favor del legislatore della riforma verso questa modalità “alternativa” di espiazione della pena si evince anche dal fatto che l’’art. 1, comma 1, lett. n), d.lgs. n. 150/ 2022 ha interpolato l’art. 175 c.p., rubricato «Non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale», immettendovi un terzo comma che ammette l’applicazione del beneficio anche in caso di condanna a pena sostitutiva di una pena detentiva quantificata entro i limiti di cui ai primi due commi (2 anni e 2 anni e sei mesi).  

            Il quarto comma dell’art. 56 l.n. 689/ 1981, sempre nell’intento di eliminare qualsiasi ostacolo all’operatività di queste misure, prevede che, qualora il giudice ritenga di prescrivere l’uso del braccialetto elettronico al condannato alla detenzione domiciliare a rischio recidiva, l’indisponibilità di tali dispostivi non può ritardare l’inizio dell’esecuzione di questa modalità d’espiazione della pena[13].

            Ancora, l’art. 69 legge n. 689/ 1981, nell’enucleare una serie di cause che consentono al condannato alla semidetenzione e alla detenzione domiciliare di fruire di licenze, oppure della sospensione o del rinvio dell’esecuzione delle pene sostitutive, concorre anch’esso a delineare la funzione spiccatamente rieducative e risocializzante connessa a siffatte pene.

            Infatti, questa disposizione subordina tali permessi alla ricorrenza di giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive.

            Insomma, il disegno riformatore è espressivo della tendenza politico- criminale a puntare sul recupero del condannato e sul rispetto della sua sfera morale e psico-fisica anche e soprattutto in fase di espiazione della pena, relegando la pena carceraria ai margini e riservandola a gravissimi reati.

            Per tale via, si riposiziona al centro del villaggio il valore primario della libertà personale, emancipando le sanzioni para- detentive da un ruolo ancillare nell’ordinamento e modulandole secondo caratteristiche volte ad esaltarne la proiezione risocializzante, rieducativa e, in generale, “umanizzante”.

            L’integrale mutamento di strategia del legislatore nel comparto delle pene sostitutive, a prescindere dai risultati pratici che si produrranno nella prassi, segna comunque l’avvio di un percorso “ideologico” virtuoso in cui: «Non sono dunque le pene paradetentive a dovere mendicare una particolare legittimazione [essendo piuttosto] la pena carceraria che deve sottoporsi a un rigoroso esame volto a verificare quali elementi di ragionevolezza ne possano spiegare l’impiego a fronte dei crimini incidenti sui beni giuridici di maggiore pregio»[14].       

  • Caratteristiche comuni alle nuove pene sostitutive.

            l’art. 1, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 150/ 2022, ha introdotto, nel Libro I, Capo I del codice penale, dedicato all’individuazione della specie della pena, l’art. 20- bis, deputato ad enucleare la tipologia e il contenuto delle nuove pene sostitutive.

            Questa collocazione, in uno con la definizione di “pene” sostitutive – anziché, come nel passato, di “sanzioni” sostitutive[15]-, mette in luce il rinnovato corredo generico di queste misure, ormai assimilabili ad autentiche risposte penali, intrise di un’eliminabile componente afflittiva[16].

            Le differenze rispetto alle pene “classiche” sono simboleggiate dall’impiego dell’aggettivo qualificativo “sostitutive”.

            Infatti,le pene sostitutive svolgono comunque un ruolo accessorio alla sanzione sostituita, come dimostra la loro convertibilità in caso di mancata esecuzione della misura surrogatoria, ovvero in caso d’inosservanza delle prescrizioni che l’accompagnano.

            Tali fattispecie comportano, in ultima istanza, la riemersione della pena detentiva originaria, come dispone il novellato art. 66 legge n. 689/ 1981[17].

            Le irriducibili distanze rispetto alle pene tradizionali tradisce l’auspicio di nuove e autonome pene di natura extra– carceraria, suscettibili di brillare di luce propria[18].

            L’aggettivo “sostitutive” è anche strumentale a lasciare emergere le divergenze rispetto alle omologhe misure alternative alla detenzione della semilibertà e della detenzione domiciliare, nonché del lavoro di pubblica utilità previsto per i reati di competenza del giudice di pace[19], ovvero come prescrizione aggiuntiva in caso di sospensione condizionale della pena e di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato[20].

             Lo stesso art. 20- bis c.p. rinvia alla disciplina contenuta nel Capo III della legge n. 689/ 1981, facendo tuttavia salva la regolamentazione stabilita in particolari previsioni di legge, così conservando spazio operativo per quelle speciali forme di sostituzione della pena detentiva enucleate, ad esempio, nell’art. 16 T.U. sull’immigrazione e nell’art. 186, comma 9- bis, c.d.s.

            Adesso, secondo le indicazioni ricavabili dal rinnovato art. 53 legge n. 698/ 1981, la tipologia delle pene sostitutive è mutata: accanto alla pena pecuniaria, si hanno la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità.

            Si sono eliminate da questo novero la semilibertà e la libertà controllata, condannate, peraltro, ad una sostanziale inoperatività[21].

            La riscrittura dell’art. 76 l. n. 689/ 1981, rimandando alla disciplina contenuta nel comma 12- bis dell’art. 47 legge n. 354/ 1975, ha determinato l’estensione della liberazione anticipata alla nuova tipologia di sanzioni.

            L’art. 57 legge n. 689/ 1981 detta i criteri generali per determinare la durata delle pene sostitutive, aggiungendo, nella seconda parte del primo comma, che, per ogni effetto giuridico, la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo si considerano come pena detentiva della specie corrispondente.

            Dunque, qualsiasi riferimento alla reclusione o all’arresto, ovunque contenuto, si estende alle suddette pene sostitutive.

            Si legge sempre all’interno della medesima disposizione come un giorno di pena detentiva equivalga ad un giorno di ciascuna delle pene sostitutive sopra indicate.

            L’art. 57, comma 2, legge n. 689/ 1981 prevede, invece, che la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva.

            L’art. 58, nell’attribuire ampio potere discrezionale al giudice in questa materia, individua i criteri ai quali adeguare le valutazioni in sede d’applicazione e di scelta della pena sostitutiva, nonché nell’eventuale previsione di prescrizioni aggiuntive rispetto a quelle obbligatorie.

            In particolare, l’art. 58, comma 1, legge 689/ 1981 affida adesso al giudice una duplice valutazione.

            Da un lato, egli deve decidere se applicare la sospensione condizionale della pena, poiché, come detto, le nuove pene sostitutive non sono suscettibili di usufruire di questa misura, ai sensi dell’art. 61- bis legge n. 689/ 1981.

            Nel caso in cui la pena sia sospendibile, il giudice dovrà dunque decidere se sostituirla o sospenderla.

            In ossequio ad una delle rationes istitutive della riforma, il  secondo comma dell’art. 58 ingiunge di prescegliere la pena sostitutiva maggiormente adeguata agli obiettivi di reinserimento sociale (da perseguire in primo luogo mediante la neutralizzazione degli effetti desocializzante congeniti alla carcerazione) e di rieducazione del reo (intesa come recupero del senso delle regole della società in cui si vive)[22], nonché alle esigenze special- preventive connesse ai rischi di recidiva durante l’esecuzione della pena.

            Il tutto, tramite la predisposizione da parte del giudice di una sorta di programma di esecuzione della pena calibrato sulle specifiche caratteristiche del reo e volto proprio a rendere proficua, sul piano risocializzante e rieducativo, questa modalità alternativa di sottoposizione alla sanzione[23].

            Nella medesima ottica, il giudice deve optare per la pena sostitutiva che comporti il minore sacrificio possibile per la libertà personale[24]. Il terzo comma del rinnovato art. 58 dispone, infatti, che, ove si possa applicare il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria, occorre fornire giustificazioni valide onde affermare la maggiore rispondenza ad esigenze rieducative e di reinserimento sociale della semilibertà e della detenzione domiciliare.

  • Pene sostituibili e tecniche di conversione della pena pecuniaria.

            Secondo il rinnovato art. 53 legge n. 698/ 1981, una pena entro i quattro anni, può essere sostituita colla semilibertà o colla detenzione domiciliare; una pena di tre anni, può essere sostituita col lavoro di pubblica utilità; una pena di un anno, può essere sostituita colla pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell’art. 56- quater legge n. 689/ 1981.

            Tale articolo dispone che il giudice determina il valore giornaliero al quale può essere assoggettato il condannato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva convertita.

            Il sistema delle quote giornaliere comporta l’abbandono del metodo di determinazione della pena pecuniaria per somme complessive che permane soltanto per quanto riguarda la quantificazione di tale tipologia di sanzione non derivante da sostituzione di quella detentiva[25].

            Il valore giornaliero non può essere inferiore ad € 5 e non può oltrepassare € 2. 500 e la sua quantificazione deve tenere conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita del condannato e del suo nucleo familiare.

            Si tratta di una tecnica di definizione del minimo giornaliero, scollegata dal criterio di ragguaglio previsto nell’art. 135 c.p. (fermo ad € 250 per un giorno di pena detentiva), che consente, proprio in quanto basata su una forbice decisamente larga, di adattare la pena pecuniaria alle condizioni economiche del reo, allargando la platea di coloro che possono “permettersi” l’accesso al beneficio[26].

            Per tale via, si è scongiurato il pericolo che tale beneficio si convertisse in un privilegio per abbienti, in ossequio al monito formulato dalla Consulta colla sentenza n. 15/ 2020[27].

            Si è altresì il rischio d’addivenire a condanne inique e sproporzionate rispetto alla gravità del fatto[28].

            L’ultimo comma dell’art. 53 stabilisce che, ai fini dell’individuazione dei limiti di pena detentiva entro i quali possono essere applicate le pene sostitutive, si tiene conto degli aumenti inflitti ai sensi dell’art. 81 c.p.

            Pertanto, l’ammissione al beneficio dipenderà dalla quantificazione complessiva della pena in seguito agli aumenti collegati ai reati posti in concorso formale o attratti nel vincolo della continuazione, considerando che la soglia oltre la quale non è consentita la sostituzione è quello di quattro anni di sanzione detentiva.

  • I soggetti tendenzialmente esclusi dal beneficio.

            Coll’intento di rendere quanto più fruibile possibile l’istituto, il legislatore ha eliminato la preclusione in precedenza prevista nei confronti di coloro che avessero subito condanne a più di tre di pena detentiva, alle quali fosse seguita entro cinque anni la commissione di altro reato.

            Nell’assetto attuale, l’art. 59 l.n. 689/ 1981 -non operativo nei confronti di condannati minorenni-, pur indicando una serie di motivi ostativi di natura soggettiva, lascia comunque la possibilità di fruire del beneficio per chiunque, al di là dei precedenti da cui è gravato[29].

            Infatti, sebbene la lett. a) del comma primo dell’art. 59 impedisca l’accesso all’istituto a coloro che si siano macchiati del reato per cui si procede nei tre anni dalla revoca della semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità, ovvero a chi abbia commesso un delitto non colposo durante l’esecuzione della medesima pena sostitutiva, si fa sempre salva la possibilità di applicare una pena sostitutiva più grave di quella revocata.

            La lett. b) del comma primo dell’art. 59 impedisce la conversione della pena detentiva in monetaria nei confronti di chi, nei cinque anni precedenti, è stato condannato a pena pecuniaria, anche sostitutiva, e non l’ha pagata, salvo i casi di conversione per insolvibilità previsti negli artt. 71 e 103 l.n. 689/ 1981.

            La lett. c) del comma primo dell’art. 59 inibisce tali pene nei confronti dell’imputato al quale deve essere applicata una misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e di volere.

            Infine, la lett. d) del primo comma dell’art. 59 vieta la possibilità di vedersi sostituita la pena per i condannati a uno dei reati di cui all’art. 4- bis legge n. 354/ 1975.

  • Disciplina delle prescrizioni.

            La conversione della pena detentiva può essere accompagnata da prescrizioni volte ad orientarne l’esecuzione verso l’effettivo perseguimento degli scopi risocializzanti e di prevenzione connessi al disegno di riforma[30].

            L’art. 56- ter, comma primo,l. n. 689/ 1981 indica una serie di prescrizioni, comuni alle diverse pene sostitutive, obbligatorie.

            Ad esse si affiancano prescrizioni facoltative speciali, inseribili nei singoli programmi trattamentali relativi alle diverse pene sostitutive.

            L’unica prescrizione facoltativa comune, espressamente indicata nell’ultimo comma dell’art. 56- ter, consiste nel del divieto d’avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, la cui previsione dovrà essere ponderata caso per caso dal giudice a seconda della tipologia di reato oggetto di condanna e della personalità del reo.

            Le prescrizioni imposte dal giudice della cognizione possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza. Tale evenienza potrà avverarsi quando le imposizioni stabilite in sede processuale non risultino più attuali in rapporto alle mutate condizioni soggettive dell’agente e della situazione di fatto.

            E’ facile prevedere che la magistratura di sorveglianza sarà di sovente chiamata a svolgere questo compito, poiché le pene sostitutive acquisteranno effettiva efficacia anche ad anni di distanza dalla loro adozione, dovendosi attendere che la sentenza di condanna diventi definitiva, nonché i congeniti ritardi che soffre la procedura di esecuzione della pena (ancorché l’assenza di meccanismi sospensivi analoghi a quelli enucleati nell’art. 656 c.p.p. mira proprio ad evitare il fenomeno patologico dei cc.dd. “liberi sospesi[31]).

            Il rinnovato art. 58 l. n. 689/ 1981 ha escluso presunzioni d’inadempimento delle prescrizioni, con la conseguenza che il giudice potrà rifiutare il beneficio soltanto quando sussistano fondate ragioni per ritenere che il condannato non rispetti gli obblighi[32].

            L’art. 64 prevede la possibilità di modificare le prescrizioni impartite nel corso dell’esecuzione, su richiesta del condannato, per “comprovati motivi” e non più, come in precedenza, per “sopravvenuti motivi di assoluta necessità”.

            Tale innovazione, si è già osservato, sarebbe indicativa di un maggior favore del legislatore per l’adeguamento delle modalità di espiazione delle pene sostitutive al cambiamento delle condizioni soggettive e oggettive durante il loro svolgimento[33].

            Sembra, dunque, autorizzata, adesso, la mutazione delle prescrizioni imposte, non soltanto in ragione di fatti sopravvenuti, ma anche in base ad esigenze preesistenti all’applicazione della pena, non sufficientemente considerate, oppure non solamente in forza di motivazioni oggettive e necessarie, ma pure di semplice opportunità soggettiva. Il tutto, sempre al precipuo scopo di realizzare le finalità rieducative sottese a tali misure[34].

  • Conseguenze in caso d’inosservanze e inadempimenti.

            In caso di mancata esecuzione delle pene sostitutive, ovvero d’inadempimento grave e reiterato delle relative prescrizioni, la nuova disciplina non prevede alcun automatismo, lasciando alla discrezionalità giudiziaria la decisione sul se riesumare la sanzione detentiva.

            E questo, sempre nell’ottica di favorire modalità di esecuzione della pena extra– murarie.

            In caso d’inosservanze, l’art. 66 non impone sic et simpliciter il ripristino della misura carceraria in relazione al residuo di pena, rimettendo al giudice la scelta se sostituire la pena sostitutiva con altra più grave, anziché ripristinare quella detentiva[35].

            A sua volta, l’art. 71 l. n. 689/1981, in caso di pena pecuniaria non adempiuta, lungi dal prevederne la conversione in pena detentiva, ne impone la sostituzione colla semilibertà o colla detenzione domiciliare, evitandosi, così, che la pena più mite possa determinare una breve carcerazione in distonia con la volontà del riformatore di contrastare gli effetti negativi di una detenzione per archi temporali ristretti[36].

            Il mancato pagamento incolpevole si trasforma in lavoro di pubblica utilità e, soltanto laddove il soggetto si opponga a tale opzione (facoltà connessa al divieto di lavori obbligatori o forzati di cui all’art. 4 CEDU), si può ricorrere alla detenzione domiciliare.

              Sempre in tema di revoca del beneficio in caso di condotte inosservanti le prescrizioni, il nuovo art. 72 l. n. 689/ 1981, rubricato «Ipotesi di responsabilità penale e revoca», al primo comma prevede che il condannato alla pena sostitutiva della semiliberta’ o della detenzione domiciliare che per piu’ di dodici ore, senza giustificato motivo, rimane assente dall’istituto di pena ovvero si allontana da uno dei luoghi indicati nell’art. 56 si considera responsabile del reato di evasione.

            Il secondo comma dell’art. 72 stabilisce che il condannato alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita’ che, senza giustificato motivo, non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro ovvero lo abbandona e’ punito ai sensi dell’art. 56 d.lgs. n. 274/ 2000, che, in materia di reati di competenza del Giudice di pace, stabilisce la condanna fino ad un anno di reclusione per il trasgressore.

            Il terzo comma dell’art. 72 prevede che la condanna a uno dei delitti di cui ai commi primo e secondo importa la revoca della pena sostitutiva, salvo che il fatto sia di lieve entita’.

            Il quarto comma stabilisce che la condanna a pena detentiva per un delitto non colposo commesso durante l’esecuzione di una pena sostitutiva, diversa dalla pena pecuniaria, ne determina la revoca e la conversione per la parte residua nella pena detentiva sostituita, quando la condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione della pena sostitutiva, tenuto conto dei criteri di ragguaglio di cui all’articolo 58 legge n. 689/ 1981.  

  • Concorso di pene sostitutive

            L’art. 70 l. n. 689/ 1981 disciplina l’esecuzione di pene sostitutive concorrenti.

            Nel primo comma si prevede che, quando contro la stessa persona sono state pronunciate, per più reati, una o più sentenze o decreti penali di condanna a pena sostitutiva, si osservano, in quanto compatibili, gli articoli da 71 a 80 c.p. in materia di concorso di reati.

            Il secondo comma dell’art. 70 prevede che, se più reati importano pene sostitutive, anche di specie diversa, e il cumulo delle pene detentive non eccede complessivamente la durata di quattro anni, si applicano le singole pene sostitutive distintamente, anche oltre i limiti sanciti dall’art. 53 per la pena pecuniaria e il lavoro di pubblica utilità.

            In questo modo, si evita che, in caso di superamento dei limiti edittali interni, previsti per l’ammissione a ciascuna pena sostitutiva in conseguenza del cumulo, si debba attivare nuovamente l’UEPE e il PM, mediante una trasformazione della natura della pena sostitutiva comminata in una diversa per presupposti di fatto e giuridici. E così, se, ad esempio, si procede al cumulo di due condanne a due anni di lavori di pubblica utilità ciascuna, in ossequio alla nuova disciplina si potranno eseguire quattro anni in simile regime, e non tre anni di lavori di pubblica utilità (limite edittale interno previsto per questa pena sostitutiva) e uno di detenzione domiciliare, come invece era sancito nel precedente assetto regolamentare[37].

            Il terzo comma dell’art. 70 prevede che, se il cumulo delle pene detentive eccede i quattro anni, si applica per intero la pena sostituita, salvo che la pena residua da eseguire sia pari o inferiore a quattro anni.

            Il quarto comma dell’art. 70 prevede che le pene sostitutive sono sempre eseguite dopo quelle detentive e, nell’ordine, si eseguono la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità.

            Il novellato terzo comma dell’art. 53 prevede che, ai fini della determinazione dei limiti edittali entro i quali è possibile applicare le pene sostitutive, si tiene conto degli aumenti inflitti ai sensi dell’art. 81 c.p. in caso di concorso formale di reati e continuazione.

            Tale previsione segna una cesura rispetto al passato dove la stessa disposizione stabiliva che i limiti edittali all’interno dei quali procedere alla sostituzione della pena detentiva dovessero individuarsi unicamente in rapporto al reato più grave.

            Per tale via, al fine d’individuare la misura della pena inflitta onde verificarne la sostituibilità, gli incrementi collegati alla continuazione o al concorso formale di reati venivano annullati, dovendosi tenere conto unicamente della sanzione comminata per il reato più grave.

            Oggi che i limiti edittali per accedere al beneficio sono stati nettamente aumentati, mantenere quella disciplina avrebbe condotto ad esiti irrazionali e incompatibili con la nozione di pene detentiva “breve”[38].

            Nel caso di condanna per reati in rapporto di concorso materiale e non unificati dal vincolo della continuazione, con conseguente inapplicabilità dell’ultimo comma dell’art. 53, occorre stabilire se sia possibile, ove la pena complessivamente inflitta superi i limiti stabiliti per accedere alle pene sostitutive, scindere il cumulo e chiedere il beneficio in relazione al singolo reato per cui sia stata comminata una sanzione in misura compatibile con l’applicazione della riformata disciplina.

            Se si addivenisse ad una risposta positiva, il condannato potrebbe ambire a una pena sostitutiva per il reato accompagnato da una pena di quattro anni di detenzione e ad una misura alternativa all’esecuzione in carcere per gli altri reati puniti, a loro volta, con una pena intra– muraria di quattro anni.

            Insomma, pene della complessiva durata di otto anni di detenzione per più reati connessi sul piano materiale, potrebbero essere scontate fuori dal carcere[39].

            A nostro avviso pare corretta una risposta negativa.

            Diversamente, l’art. 53, comma 3, l. n. 689/ 1981 potrebbe risultare sospetto d’incostituzionalità, laddove prescrive che, ai fini della determinazione della misura della pena detentiva suscettibile di sostituzione, si tiene conto degli aumenti inflitti in caso di concorso formale di reati e di continuazione.

            Infatti, sarebbero sottoposti ad un regime di sfavore i condannati per più reati in regime di concorso formale, ovvero avvinti dal vincolo della continuazione, rispetto ai destinatari del regime del cumulo materiale, nonostante abbiano evidenziato maggiore capacità a delinquere, tanto da non potere fruire della disciplina premiale contenuta nell’art. 81 c.p.

            La separazione delle pene concorrenti sarebbe foriera, inoltre, di un’ulteriore irragionevolezza. Invero, si attenuerebbe, fino quasi ad esaurirsi, l’interesse a giovarsi della regolamentazione di favore del cumulo giuridico e, quindi, della continuazione -sia in fase di cognizione che di esecuzione-, poiché l’accesso a tali istituti, al contrario della disciplina del concorso materiale, impedirebbe di considerare in maniera distinta le pene comminate per i singoli reati, rivelandosi, per tale via, preclusivo della possibilità di scontare pene detentive fino a otto anni senza sostanzialmente transitare per il carcere.

            Quanto sostenuto nel testouanto sostenuto nel testoQ, infine, sembra avvalorato dal testo dell’art. 70, comma 3, l. n. 689/ 1981-«Se il cumulo delle pene detentive sostituite eccede complessivamente la durata di quattro anni, si applica per intero la pena sostituita, salvo che la pena residua da eseguire sia pari o inferiore ad anni quattro»- che consente al giudice dell’esecuzione di sciogliere il cumulo unicamente allorché il condannato a pene detentive superiori ad anni quattro abbia scontato la quota di pena necessaria a scendere sotto la soglia edittale utile per fruire delle sanzioni sostitutive.

  • Pene sostitutive e misure alternative alla detenzione.

            Il riscritto art. 67 l. n. 689/ 1981 preclude l’applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati a pene sostitutive, salvo l’accesso, entro determinati limiti, fissati dal nuovo comma 3- ter dell’art. 47 legge n. 354/ 1975, all’affidamento in prova ai servizi sociali.

            Il secondo comma dello stesso articolo impedisce, salvo che si tratti di minori di età al momento della condanna, l’accesso alle misure alternative alla detenzione, prima dell’avvenuta espiazione di metà della pena residua, al condannato in esecuzione di pena detentiva per conversione effettuata a seguito di revoca della sanzione sostitutiva ai sensi degli artt. 66 e 72, comma 4.

            La mancata inclusione dell’affidamento in prova ai servizi sociali tra le pene sostitutive -come invece proposto dalla Commissione Lattanzi[40]-, così come, d’altronde, la possibilità di beneficiare comunque di questa misura, spiega perché la sostituzione della pena detentiva sia subordinata al consenso dell’imputato.

            Si sono volute evitare disparità di trattamento tra il condannato alla pena della reclusione entro i quattro anni non sostituita, che può chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali, usufruendo della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena ai sensi dell’art. 656 c.p.p., e colui al quale sia stata comminata una sanzione sostitutiva con una sentenza che, ai sensi del rinnovato art. 62 l. n. 689/ 1981, diviene immediatamente esecutiva, non potendo beneficiare della suddetta previsione codicistica[41].

            E’ dunque evidente la maggiore vantaggiosità per l’imputato di subire una condanna a pena detentiva non sostituita, che, da un lato, consente di differire a lungo la sua esecuzione (e di diventare un “libero sospeso”), dall’altro, d’invocare una misura alternativa meno afflittiva rispetto sia alla semilibertà (che prevede l’obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in carcere), sia alla detenzione domiciliare (che implica la restrizione all’interno di un domicilio), infine, di domandare immediatamente al Tribunale di sorveglianza l’affidamento in prova ai servizi sociali, senza dovere scontare almeno due anni di semilibertà o detenzione domiciliare[42].

            La necessità del consenso si spiega proprio coll’esigenza di verificare se la scelta del condannato sia stata assunta in piena consapevolezza e, quindi, avendo effettivamente ponderato questa opzione piuttosto che quella di rientrare nella categoria dei “liberi sospesi”, unita alla prospettiva di non dovere patire alcuna restrizione in caso di concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali[43].

            Un effetto paradosso si genera ove il condannato non sia reputato meritevole di una pena sostitutiva: l’efficacia della sanzione sarebbe procrastinata ad un futuro decisamente remoto e lo stesso potrebbe confidare di espiarla in regime di affidamento in prova al servizio sociale, mentre il soggetto ammesso alla pena sostitutiva dovrebbe patirne prima l’esecuzione con modalità maggiormente afflittive[44].

            Per di più, come accennato, il condannato a pena sostitutiva può adesso essere destinatario del beneficio dell’affidamento in prova ove abbia sofferto almeno metà del castigo, mentre il condannato a pena non sostituita può invocare immediatamente questa modalità di espiazione della sanzione[45].

            Ma vi è un’altra contraddizione che inficia la coerenza del sistema, laddove non è stato affatto escluso che il Tribunale di sorveglianza possa ammettere subito il condannato alla semilibertà e alla detenzione domiciliare in precedenza negate dal giudice della cognizione[46].

              Insomma, il giudice competente per la fase esecutiva potrebbe smentire il giudizio formulato dal suo collega, in base, peraltro, ad un compendio informativo rimasto sostanzialmente immutato. E questo, non soltanto nei casi in cui il momento d’espiazione della pena intervenga a breve distanza di tempo da quella del giudizio, ma altresì in relazione ai cc.dd. liberi sospesi, considerando che, nel lasso cronologico che intercorre tra la condanna definitiva e l’effettivo svolgimento della pena, non è contemplata alcuna forma d’osservazione del reo[47].

            Onde evitare tali effetti irragionevoli e prevenire l’insuccesso delle pene sostitutive, con le connesse perniciose ricadute sugli obiettivi di deflazione processuale e di recupero dei condannati, si è proposto di abrogare la procedura di sospensione di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p., affinché le misure alternative siano preservate per i condannati che stiano scontando una pena carceraria[48], e nel senso dell’inserimento nel catalogo delle pene sostitutive dell’affidamento in prova ai servizi sociali[49].

  1. Le modifiche (più significative) al codice di rito.

            In via generale, la condanna a pena detentiva sostitutiva non impedisce la prosecuzione dell’esecuzione di una misura cautelare, poiché l’art. 57 l. n. 689/ 1981 dispone che, per ogni effetto giuridico, la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita.

            Tuttavia, l’art. 13, comma 1, lett. e) d.lgs. n. 150/ 2022 ha inserito nell’art. 300 c.p.p. il comma 4- bis volto a sancire diverse forme d’incompatibilità tra pene sostitutive e custodia cautelare.

            In particolare, la condanna o l’applicazione della pena su richiesta delle parti, intervenute in qualsiasi grado del processo, ancorché sottoposte ad impugnazione, che infliggono la pena pecuniaria o il lavoro di pubblica utilità sostitutivi, implicano la revoca della custodia cautelare.

            Negli stessi casi, l’ammissione alla detenzione domiciliare sostitutiva comporta la revoca della custodia cautelare in carcere.

            Comunque, il giudice, in tali evenienze, può sostituire la misura cautelare in corso con altra meno gravosa ai sensi dell’art. 299 c.p.p.

            Tale disciplina è stata pensata e calibrata, da una parte, per evitare l’automatica estinzione della misura in corso, preservando eventuali, residue, esigenze cautelari con misure che non siano, però, radicalmente incompatibili colla pena sostitutiva comminata; dall’altra, per perpetuare la possibilità di conformare il regime cautelare alla condanna in concreto inflitta, ai sensi, per l’appunto, dell’art. 299 c.p.p[50].

            L’art. 31, comma 1, d.lgs. n. 150/ 2022 ha provveduto all’inserimento dell’art. 545- bis c.p.p., alla cui disciplina si rinvia anche in materia di giudizio abbreviato[51].

            Questo disposto, al primo comma, stabilisce che, quando non è stata concessa la sospensione condizionale della pena e sussistono i presupposti per la sostituzione della pena detentiva, il giudice, dopo la lettura del dispositivo, ne dà avviso alle parti.

            Se l’imputato acconsente, personalmente o tramite procuratore speciale, alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa da quella pecuniaria, ovvero se ricorrono le condizioni per la conversione con detta pena, il giudice, sentito il PM, quando non è possibile decidere subito, fissa apposita udienza, non oltre 60 giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’UEPE.

            E’ del tutto irrealistico, sia detto per inciso, che i giudici, oggi, in Italia, siano nelle condizioni di differire le udienze dedicate al sentencing di soli due mesi e che, soprattutto, entro questo lasso temporale l’UEPE riesca ad assolvere i suoi compiti, tanto più nel caso in cui il ricorso a queste modalità di espiazione della pena determini sovraccarico per l’Ufficio[52].

            Non si può pertanto escludere che l’introduzione di questa ulteriore fase del processo provochi, come in una sorta di eterogenesi dei fini, una dilatazione delle tempistiche processuali.

            Il consenso dell’imputato è atto personalissimo e selettivo.

            L’imputato, infatti, è legittimato ad acconsentire a talune e non a talatre pene sostitutive[53].

            In tale lasso temporale il processo è sospeso, e, ove non si decida entro quest’arco temporale, ai sensi del nuovo comma 1, lett. c) -ter dell’art. 304 c.p.p., la sospensione dei termini di durata delle misure cautelari in corso non potrà comunque protrarsi oltre i sessanta giorni.  

            Come è stato notato in sede di Relazione del Massimario, la necessità di raccogliere informazioni aggiornate renderà, nella prassi, il differimento della decisione un modus operandi costante[54].

            Il terzo comma dell’art. 545- bis c.p.p. prevede che il giudice, acquisiti gli atti, i documenti e le informazioni necessarie, all’udienza fissata, dopo avere sentito le parti, se sostituisce la pena detentiva integra il dispositivo, indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti.

            In caso contrario, il giudice conferma il precedente dispositivo.

            In entrambi i casi, sia che emetta un dispositivo integrato sia che lo confermi, il giudice ne dà lettura in udienza.

            L’ultimo comma dell’articolo in commento, prevede che, quando la motivazione viene redatta contestualmente, la sua lettura segue quella del dispositivo integrato o confermato e può essere sostituita con un’esposizione riassuntiva.

            Negli altri casi, il termine per il deposito delle motivazioni decorre dall’emissione del dispositivo integrato o confermato.

            Ebbene, il legislatore si è premurato di enucleare una fase appositamente dedicata alla decisione sull’applicazione della pena sostitutiva -ispirata al meccanismo anglosassone del sentencing- per diverse ragioni.

            Innanzitutto, al fine di evitare un’attivazione inutile e disfunzionale dell’UEPE quando ancora non è possibile stabilire se sussisteranno le condizioni per la sostituzione della pena. D’altronde, un coinvolgimento anticipato dell’UEPE potrebbe suonare come un giudizio di condanna prima che il processo si concluda.

            Il congegno elaborato dal legislatore mira proprio a posticipare qualunque valutazione in ordine all’an e al quomodo della pena sostitutiva ad un momento successivo alla pubblicazione del dispositivo, quando sono ormai noti tutti gli elementi necessari ad assumere le determinazioni in materia, senza inficiare l’imparzialità del giudizio sulla responsabilità dell’imputato.

            Nel caso in cui l’imputato non presti il consenso alla sostituzione, non si determinerà, a nostro avviso, alcuna preclusione idonea a impedire di riproporre l’istanza in sede d’impugnazione.

Infatti, l’assenza del consenso non può provocare la “definizione” di questo profilo del giudizio, giacché, al contrario di quanto stabilito per altri istituti fondati sull’adesione dell’imputato (si pensi al “patteggiamento”), non sono indicati termini temporali tassativi entro i quali assumere delle decisioni, non contemplando la fase scolpita nel nuovo art. 545- bis c.p.p. alcuna forma di decadenza o preclusione futura in caso di ripensamenti del prevenuto. Infatti, in carenza di previsioni espresse, si deve ritenere che la dichiarazione di consenso sia sempre efficacemente revocabile e, specularmente, formulabile anche se in un primo momento negata

In quest’ottica, a nostro avviso, si potrà richiedere la conversione della pena detentiva in fase d’appello anche nel caso non sia stato impugnato il capo della sentenza relativo alla pena[55], trattandosi di opzione collegata ad un consenso che può in qualsiasi momento venire espresso o revocato e funzionale ad esigenze di deflazione, di rieducazione e risocializzazione che possono essere perseguite in qualunque snodo procedimentale.

In materia di citazione diretta a giudizio, l’art. 554- ter, comma 2, c.p.p., nel contesto della nuova udienza predibattimentale, prevede che, prima della pronuncia dell’eventuale della sentenza di non luogo a procedere, l’imputato e il PM possono concordare l’applicazione di una pena sostitutiva.

            In questo caso, ove non sia possibile decidere immediatamente, il giudice sospende il processo e fissa apposita udienza non oltre sessante giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’UEPE.

            Si applica, in quanto compatibile, la disciplina enucleata nell’art. 545- bis, comma 2, c.p.p.   

            Con specifico riguardo al giudizio di appello, il nuovo comma tre dell’art. 593 c.p.p. ha esteso il divieto di appellabilità alle sentenze di condanna che comminano la sola pena dell’ammenda, oppure il lavoro di pubblica utilità, in relazione alle quali sarà esperibile soltanto il ricorso per cassazione.

            Tale previsione si spiega poiché l’adozione di tale pena sostitutiva implica il consenso dell’interessato, prevìo parere del PM, con l’effetto che simile iter dovrebbe giustificare le limitazioni alla possibilità d’impugnare la sentenza[56].

            Simile lettura non risulta pienamente convincente poiché anche l’applicazione delle altre pene sostitutive postula il consenso dell’interessato senza sottendere alcuna limitazione all’impugnabilità della relativa sentenza.

            Probabilmente, quindi, la ragione di questa previsione risiede nella convinzione del legislatore che il lavoro di pubblica utilità, come la pena dell’ammenda, sia tutto sommato una sanzione permeata da una minore intensità afflittiva in guisa da giustificare, in vista del perseguimento di scopi deflattivi, una contrazione di talune prerogative difensive.

  1. Rilievi critici conclusivi in ordine sparso
 

            La disciplina delle nuove pene sostitutive, per come illustrata nei suoi tratti essenziali, si presta a diversi rilievi che ne mettono a repentaglio la coerenza interna e l’efficacia.

            In primo luogo, contrariamente agli auspici, sembra difficile che la procedura di avvio della fase esecutiva delle nuove pene sostitutive possa velocizzarsi. Infatti, nonostante una formale e teorica diminuzione degli snodi decisionali e una netta compressione delle relative tempistiche, occorrerà comunque attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, nonché sperare che tutti gli atti funzionali all’attivazione della procedura vengano compiuti “immediatamente” dagli uffici competenti[57], a dispetto dell’enorme carico di lavoro che comunque si accumulerà laddove l’istituto abbia successo.

            Gli intrecci tra il nuovo istituto e la sospensione condizionale della pena potrebbero perpetuare l’insuccesso di tale tipologia di pene e, quindi, la loro effettiva funzionalità agli obiettivi di deflazione processuale, di reinserimento sociale e rieducativi sottesi alla riforma Cartabia.

            Infatti, in relazione a pene detentive calibrate nei limiti utili per accedere alla sospensione condizionale sarà tendenzialmente maggiormente conveniente optare per tale beneficio che non comporta, normalmente, oneri, prescrizioni e forme di restrizione della libertà personale.

            D’altronde, ove il giudice accertasse l’assenza dei presupposti soggettivi per accordare la sospensione condizionale, è difficile che ravvisi le condizioni per convertire la pena detentiva, trattandosi di valutazioni sostanzialmente sovrapponibili.

            Addirittura, si è osservato in dottrina, nel caso di condanne a pena detentiva compresa tra un anno e un giorno e due anni, l’unica misura sostitutiva scevra da obblighi comportamentali, o altre prescrizioni, sarebbe la pena pecuniaria, che, tuttavia, sarebbe ex lege inapplicabile in luogo della più appetibile sospensione condizionale[58].

             Per salvaguardare uno spazio operativo autonomo alle pene sostitutive, si é ipotizzato il caso in cui il giudice ritenga che il rischio di recidiva sia meglio fronteggiabile attraverso una pena sostitutiva, rafforzata dalle relative prescrizioni e dal connesso programma trattamentale, piuttosto che sospendendo l’esecuzione[59].

            L’art. 53, comma 2, l. n. 689/ 1981 prevede adesso che, con il decreto penale di condanna, il giudice, su richiesta dell’indagato o del condannato, possa sostituire la pena detentiva determinata entro un anno con il lavoro di pubblica utilità o con la pena pecuniaria. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 1- bis e 1- ter dell’art. 459 c.p.p.

            Nonostante l’art. 1, comma 17, lett. e) legge n. 134/ 2021, delegasse il governo a prevedere che il giudice, col decreto penale di condanna, potesse sostituire la pena detentiva, in generale, colla pena pecuniaria o col lavoro di pubblica utilità senza indicare alcuna barriera edittale, così da consentire la conversione nei lavori di pubblica utilità di pene superiori ad un anno di reclusione (limite oltre il quale è preclusa il passaggio alla pena pecuniaria) e entro la soglia ordinaria di tre anni, l’esecutivo ha optato per mantenere il caveat di un anno[60].  

            In dottrina, ci si è giustamente chiesti quale possa essere l’interesse del condannato ad optare immediatamente, già in sede d’opposizione, per il lavoro di pubblica utilità, con tutte le prescrizioni ad esso correlate, la cui violazione può comportare la revoca e il ripristino della pena detentiva, a fronte del fatto, per giunta, che in caso d’insolvibilità l’art. 71 l. n. 689/ 1981 consente sempre al reo, in un secondo momento, di chiedere la conversione della pena pecuniaria nei lavori di pubblica utilità.

            Sarebbe stato opportuno, si è aggiunto, che il legislatore delegato avesse sfruttato quegli spazi offerti dall’art. 1, comma 17, lett. e) legge n. 134 del 2021, sganciando la possibilità di accedere ai lavori di pubblica utilità, nel contesto del procedimento per decreto, dal limite di pena di un anno (come per la pena pecuniaria), per collegarlo, invece, alla soglia dei tre anni prevista in via generale nell’art. 53 l. n. 689/ 1981[61].

            In tale modo, i condannati a pena detentiva superiore ad un anno, ai quali non sarebbe stata comminabile la pena pecuniaria sostitutiva, avrebbero avuto tutto l’interesse a ripiegare sui lavori di pubblica utilità.

            Ancora: la necessità del consenso e la minore convenienza delle pene sostitutive rispetto all’affidamento in prova ai servizi sociali, potrebbe viepiù contribuire all’insuccesso della riforma[62]. E questo, sempreché i Tribunali di sorveglianza non assumano un atteggiamento rigido nella concessione del beneficio, così da indurre il condannato a preferire la certezza di una misura sostitutiva subito, piuttosto che sperare in una forma d’espiazione meno afflittiva ma assolutamente incerta nell’an “domani”.

            Certo, come è stato acutamente osservato in dottrina[63], è difficile immaginare l’avvio di un trend orientato al sistematico, ovvero, soggiungiamo noi, marcatamente prevalente rigetto delle istanze di affidamento in prova ai servizi sociali, in quanto, per tale via, si aggraverebbe drammaticamente il problema del sovraffollamento carcerario, rendendo ingestibile l’amministrazione dei penitenziari.

            Di talché, mettendo sul piatto i costi della rinuncia alla pena sostitutiva (consistenti nell’affrontare il non drammatico rischio di vedersi negata la più benevola misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova ai servizi sociali), e i benefici di tale scelta (rinviare l’esecuzione sine die, potendo fondatamente contare sull’accesso ad una forma d’espiazione della pena meno afflittiva), l’ago della bilancia tenderà comunque a pendere a sfavore delle pene sostitutive[64].

            Altra scottante problematica afferisce all’assenza di qualsiasi previsione relativa alle conseguenze a cui andrà incontro il condannato a pena sostitutiva il quale, nel lungo lasso temporale che intercorre tra la sentenza che lo ammette al beneficio e il momento in cui la stessa diviene esecutiva, ovvero prima che ne cominci la concreta esecuzione, commetta nuovi reati.

            La disciplina in materia d’esecuzione delle pene sostitutive, laddove individua i poteri del magistrato di sorveglianza, sembra precludere la revoca del beneficio accordato dal giudice della cognizione, lasciando sguarnito l’ordinamento d’indicazioni e rimedi[65].

            Infatti, qui non si discute dell’inosservanza delle prescrizioni connesse alla misura, ovvero della commissione di un reato durante l’esecuzione della pena, bensì di una condotta teoricamente incompatibile con l’ammissione al beneficio realizzata nella fascia temporale compresa tra la fase di cognizione e quella di esecuzione.

            Non risultano dunque applicabili al caso di specie le procedure di revoca enucleate negli artt. 66 e 72 l. n. 689/ 1981 che alludono esclusivamente a trasgressioni o a illeciti consumati nel corso dell’esecuzione delle pene sostitutive.

            Insomma, in nome del favor mostrato dal legislatore delegato per questa tipologia di pene, non sembra che contegni serbati dal condannato nel periodo che precede l’avvio dell’iter esecutivo, possano essere fonte di revoca del beneficio.

            In conclusione, diverse (e non solo quelle sopra indicate) criticità affliggono il nuovo istituto, ma, come per ogni riforma, sarà solo il tempo a determinarne il successo o l’insuccesso e a svelare se, nella prassi o anche in sede di ritocchi alla disciplina, si individueranno i rimedi per renderla più efficace e appetibile, nonché meno esposta a disfunzioni e contraddizioni sistematiche.


[1] Che siano questi gli scopi fondativi dell’intervento riformativo lo si desume dalla Relazione illustrativa dello schema del decreto legislativo n. 150 del 2022, recante attuazione della legge 27settembre 2021, n. 134 recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, in G.U., Serie gen. n. 245, 19 ottobre 2022, Suppl. straord. n. 5, p. 7.

[2] In senso analogo D. Guidi, La riforma delle “pene” sostitutive, in Legisl pen., 25 febbraio 2023, p. 12.

[3] Quest’auspicio si trova formulato nella Relazione illustrativa, cit., p. 224.

[4] In questi termini, D. Guidi, La riforma cit., p. 12.

[5] E’ esattamente questo l’auspicio contenuto nella Relazione illustrativa, cit., p. 185.

[6] Sul punto, T. Padovani, Riforma Cartabia, intervento sulle pene destinato a ottenere risultati modesti, in Guida dir., 41, 2022, p. 10, ha manifestato più di una perplessità, poiché la sostituzione delle pene detentive con quelle di nuovo conio presupporrebbero una qualche forma di radicamento sociale (un’abitazione, un contesto familiare, un lavoro ecc.), non così diffusa in certi contesti, e, inoltre, la pena pecuniaria non può essere considerata un autentico “castigo” per chi versi in condizioni d’indigenza.

[7] Tale ratio ispiratrice del disegno riformatore è stata messa in evidenza dalla Relazione dell’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di cassazione su “La riforma Cartabia” del 5 gennaio 2023, p. 197.In argomento, D. Guidi, La riforma cit., pp. 6 ss. ha osservato come l’esecuzione in carcere di pene detentive brevi possa sviluppare un effetto contrario alla finalità rieducativa, comportando la desocializzazione del reo, nonché, soprattutto per i delinquenti primari, un pernicioso e criminogeno contatto con altri detenuti. Anche la Consulta si è pronunciata sul punto, nel contesto della sentenza che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 53, secondo comma, legge n. 689/ 1981, nella parte in cui prevedeva che, in caso di conversazione di una pena detentiva in pecuniaria, il valore giornaliero non potesse essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 c.p. e non potesse superare di dieci volte tale ammontare, anziché prevedere che il valore giornaliero non potesse essere inferiore ad € 75 e non potesse superare di dieci volte la somma indicata dall’art. 135 c.p. Il riferimento è a Corte cost., 12 gennaio 2022, n. 28, in Giur. pen., 01 febbraio 2022. Nel § 5.1. del Considerato in diritto ha testualmente osservato: «Come è noto, l’istituto della sostituzione della pena detentiva fu introdotto nel nostro ordinamento nel 1981 con l’obiettivo fondamentale di evitare, per quanto possibile, gli effetti negativi determinati dall’esecuzione delle pene detentive di breve durata (peraltro contenute, nella versione originaria della legge, entro il limite massimo di sei mesi): pene troppo brevi, appunto, perché potesse essere impostato e attuato un programma rieducativo realmente efficace in favore del condannato; ma abbastanza lunghe per determinare gravi conseguenze a suo carico, per reati di bassa gravità, dal momento che l’ingresso in carcere provoca non soltanto una brusca lacerazione dei rapporti familiari, sociali e lavorativi sino a quel momento intrattenuti (con conseguente difficoltà di un loro ripristino una volta terminata l’esecuzione della pena), ma anche il contatto con persone condannate per reati assai più gravi e, in generale, con subculture criminali che possono condurlo a maturare scelte di vita stabilmente orientate verso la commissione di nuovi reati». La riforma in questione risulta talmente proiettata verso i bisogni del reo da avere indotto alcuni a sostenere che, perlomeno in taluni punti, il disegno Cartabia sarebbe troppo sbilanciato in favore dei diritti del condannato e meno in direzione delle esigenze della vittima, In questo senso, in particolare, A. Bernardi, Note sparse sulla disciplina della pena pecuniaria e delle altre sanzioni sostitutive nella riforma Cartabia, in Sist. pen., 18 marzo 2023, p. 13 ss. e, più nello specifico, le opinioni citate alla nota n. 49.

[8] In proposito nella Relazione illustrativa, cit., p. 183, si legge: Come si legge nella Relazione illustrativa dello schema del d.lgs. n. 150/2022:  «Quando la pena detentiva ha una breve durata, rieducare e risocializzare il condannato – come impone l’articolo 27 della Costituzione – è obiettivo che può raggiungersi con maggiori probabilità attraverso pene diverse da quella 185 carceraria, che eseguendosi nella comunità delle persone libere escludono o riducono l’effetto desocializzante della detenzione negli istituti di pena, relegando questa al ruolo di extrema ratio. La Costituzione, nel citato articolo 27, parla al terzo comma, al plurale, di “pene” che devono tendere alla rieducazione del condannato. Non menziona il carcere e, comunque, non introduce alcuna equazione tra pena e carcere. La pluralità delle pene, pertanto, è costituzionalmente imposta perché funzionale, oltre che ad altri principi (es., quello di proporzione), al finalismo rieducativo della pena»

[9] Il celebre adagio è stato ripreso in sede di commento della legge-delega da G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sist. pen., 15 ottobre 2021, p. 18.

[10] Al riguardo, D. Guidi, La riforma cit., p. 7 ss. ha segnalato i dati impietosi forniti dal Ministero della Giustizia e quanto riferito nella Relazione finale della Commissione Lattanzi (istituita con decreto della Ministra Cartabia del 24 marzo 2021), secondo cui, al 15 aprile 2021, i soggetti affidati all’UEPE per la semidetenzione erano appena 2 e per la libertà controllata 104, a fronte di un totale di 64. 000 soggetti condannati a scontare la pena all’esterno del perimetro carcerario. Si aggiunge come al 15 dicembre 2022 i soggetti in semidetenzione fossero 2 e quelli in regime di libertà controllata 100, a fronte di 74. 558 affidati all’UEPE. Con riguardo alle pene pecuniarie, i nuovi criteri di ragguaglio enucleati nell’art. 135 c.p., a seguito della riforma dettata dalla legge n. 94/ 2009, nella misura in cui hanno incrementato il minimo giornaliero da € 38 ad € 250, hanno fortemente disincentivato il ricorso a tale misura, divenuta appannaggio dei più ricchi, come segnalato anche da Corte cost., 11 febbraio 2020, n. 15, in Sist. pen., 12 febbraio 2020, con nota di F. Lazzeri, Un nuovo monito della Corte costituzionale al legislatore per la riforma della disciplina in materia di pena pecuniaria. Ancora con specifico riguardo ai rapporti tra pene sostitutive e sospensione condizionale della pena, le statistiche del Ministero della Giustizia dimostrano che il successo applicativo della seconda hanno disincentivato il ricorso alle prime, se è vero come è vero che il 50 % delle condanne a pena detentiva di qualsiasi ammontare, nel decennio 2011- 2021, è costituito da pene sospese. E questo, a fronte del fatto che, nel 2021, solo 11 persone hanno optato per la semidetenzione e soltanto 540 per la libertà controllata. Questi dati, da cui la conseguente scelta legislativa di riformare ex novo l’istituto, li abbiamo ricavati dalla Relazione illustrativa, cit., p. 183.  

[11] Le direttrici dell’azione legislativa sono illustrate nella Relazione dell’Ufficio, cit., p. 197.

[12] Si sottolinea l’importanza di tale valutazione assegnata al giudice ancora nella Relazione dell’Ufficio, cit., p. 198.

[13] Si tratta di previsione fortemente criticata da chi ha intravisto in questa riforma un’eccessiva indulgenza verso il reo a detrimento dei diritti della vittima e della stessa “difesa sociale”. Così, in particolare, A. Bernardi, Note sparse cit., p. 13 ss.  

[14] E’ il pensiero di G. De Vero, Riforma del sistema sanzionatorio: uno sguardo d’insieme, in Legisl. pen., 20 febbraio 2023, p. 11.

[15] Ha sottolineato il valore simbolico di questo cambio di rotta definitoria, T. Padovani, Riforma Cartabia cit., p. 9.

[16] Ha posto in evidenza quest’aspetto, G. De Vero, Riforma cit., p. 3. Come ha giustamente notato, G. Mentasti, Prime Applicazioni del lavoro di pubblica utilità sostitutivo: un’interessante sentenza del tribunale di Pavia, p. 4 ss., nel commentare una sentenza di merito che aveva condannato l’imputato a due anni e due mesi di reclusione, convertiti in 790 giorni di lavori di pubblica utilità, corrispondenti a 1580 ore di servizio (l’art. 57 stabilisce che un giorno di pena detentiva equivalga ad un giorno di lavori di pubblica utilità; 56- bis, comma 2, prevede un limite massimo giornaliero di prestazioni lavorative di 8 ore e di 15 ore settimanali; il comma 2 della medesima disposizione prevede che un giorno di lavori di pubblica utilità corrisponda a 2 ore di servizio). Se la pena venisse espiata, operando il numero massimo di ore consentito ogni settimana sarebbe scontata in poco più di due anni, se, invece, si optasse per il minimo, l’esecuzione della pena occuperebbe oltre 5 anni di vita. Ecco, dunque, emergere la concreta componente afflittiva di questa misura che, come annota ancora opportunamente l’Autrice, potrebbe complicare il reperimento di un ente disposto ad accogliere per periodi di tempo così lunghi il condannato

[17] Relazione dell’Ufficio, cit., p. 199.

[18] In questi termini, A. Gargani, Le “nuove” pene sostitutive, in Dir. pen. proc., 2023, p. 21. Nel commentare il contenuto della legge- delega, aveva osservato come sarebbe stato auspicabile l’inserimento tra le pene principali di sanzioni strutturate in modo completamente nuovo e con caratteri meno afflittivi, in un’ottica di progressiva abolizione ovvero marginalizzazione delle risposte maggiormente repressive, G. Amarelli, L’ampliamento delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: luci e ombre, in Proc. pen. giust., 1, 2022, p. 236.   

[19] Sempre in argomento, T. Padovani, Riforma Cartabia cit., p. 9. Inoltre, D. Guidi, La riforma cit., p. 14.

[20] Così, Relazione dell’Ufficio, cit., p. 199 che ha riproposto quanto già sottolineato nella Relazione illustrativa, cit., p. 187.

[21] Analoga osservazione l’ha formulata, E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive. Note a margine dello schema di d.lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 2022, in Sist. pen., 30 agosto 2022, p., p. 23.

[22] E. Dolcini, Dalla riforma cit., p. 17 ha osservato come l’impiego dei due termini “rieducazione” e “reinserimento” si risolva in un’endiadi non necessaria, ancorché utile a sottolineare come finalità di prevenzione speciale debbano costantemente ispirare la discrezionalità giudiziaria.

[23] Sul punto, è interessante una recente pronuncia del Tribunale di Pavia, Ud. Prel., 23 maggio 2023 (dep. 6 giugno 2023), Giud. V. Giordano, in Sist. pen., 29 giugno 2023, con nota di G. Mentasti, Prime applicazioni cit. Qui, il Giudice ha coinvolto l’UEPE nella fase di elaborazione delle modalità di svolgimento della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, investendolo del compito di raccogliere informazioni sul reo, di predisporre il programma trattamentale e di vigilare sulla sua regolare esecuzione. Come osservato in sede di commento, l’intervento dell’UEPE è obbligatorio in caso di semilibertà sostitutiva (art. 55), mentre sembra meramente facoltativo e, comunque, non vincolante nelle sue indicazioni per il giudice in caso di detenzione domiciliare (secondo l’art. 56, il giudice può disporre questa misura: «tenendo conto anche del programma di trattamento elaborato dall’UEPE». In effetti, ha notato l’Autrice della nota, già in alcune sentenze, oltre che nelle linee guida degli uffici giudiziari di Milano, Napoli Nord e Torino, si è sottolineato come il giudice possa ammettere il condannato alla detenzione domiciliare senza l’intervento dell’UEPE. Addirittura, aggiunge G. Mentasti, ai sensi dell’art. 56- ter l’UEPE non viene chiamato a svolgere alcuna funzione, né obbligatoria né facoltativa, in caso di lavori di pubblica utilità, tanto che le linee guida di Milano lo esclude espressamente, e quelle di Napoli nord e Torino lo prevedono solo in casi di particolare complessità. In distonia con tale approccio, il Tribunale di Pavia ha invece coinvolto l’UEPE al fine di acquisire maggiori informazioni sul reo e predisporre un trattamento quanto più individualizzato possibile. Così, dopo la lettura del primo dispositivo, il giudice ha dato all’imputato gli avvisi contemplati nel nuovo art. 545, bis, comma 1, c.p.p. (su cui infra § 10) e costui ha avanzato istanza di accesso ai lavori di pubblica utilità. Il giudice, sentiti PM e parte civile, ha sospeso il processo, incaricando l’UEOPE di predisporre un programma trattamentale, individuando l’Ente dove svolgere il servizio. Alla successiva udienza, acquisita la relazione dell’UEPE, il giudice ha dato lettura del dispositivo integrato, sostituendo la pena comminata coi lavori di pubblica utilità. L’autrice del commenta osserva non ha torto come, per il futuro, si confida in un coinvolgimento “moderato” dell’UEPE, quando ciò sia davvero necessario, al fine di evitare un aggravio di lavori per uffici costantemente sottodimensionato e poveri di risorse.

[24] D. Guidi, op.cit., p. 6.  

[25] Sul punto, R. De Vito, Fuori dal cercare? La “riforma Cartabia”, le sanzioni sostitutive e il ripensamento del sistema sanzionatorio, in Quest. giust., 4, 2021, p. 32.

[26] Circa la situazione previgente cfr. nota 10. Come evidenziato nella Relazione illustrativa, cit., p. 206 si tratta di scelta innovativa per l’ordinamento italiano, ma, come accennato in linea con le discipline vigenti in altri stati europei, dove la commisurazione della pena pecuniaria viene effettuata in base a tassi giornalieri. In Germania il valore giornaliero minimo è di € 1 (§ 40, comma 2, StGB), in Spagna di € 2 (art. 50, comma 4, c.p.), in Austria di € 4 (§ 13, comma 2, StGB), in Portogallo di € 5 (art. 47, comma 2, c.p.) e in Francia (art. 131-5 c.p.) è addirittura indeterminato si osserva nella stessa Relazione illustrativa a p. 207.

[27] Cfr. nota 10.

[28] In questo senso ci si è espressi nella Relazione illustrativa, cit., p. 207.

[29] In questi termini, nel commentare lo schema di decreto legislativo, E. Dolcini, Dalla riforma cit., p. 14.

[30] In questi termini, seppure con riferimento alla legge- delega, F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, in Sist. pen., 08 settembre 2021, p. 13.

[31] Così, Relazione dell’Ufficio, cit., p. 210.

[32] Così, D. Guidi, La riforma cit., p. 6.

[33] Così, Relazione dell’Ufficio, cit., p. 211.

[34] Così, Relazione dell’Ufficio, cit., p. 211.

[35] Per considerazioni in tal senso, D. Guidi, La riforma cit., p. 35.

[36] Sono osservazioni contenute nella Relazione illustrativa, cit., p. 289. Al riguardo, A. Bernardi, Note sparse cit., p. 11, si è domandato se: «davvero la realizzazione di un delitto doloso possa essere ritenuta, sia pure in taluni casi, compatibile con la prosecuzione di una pena sostitutiva; e se, davvero in tali casi il mantenimento della pena sostitutiva possa essere considerato conciliabile con le esigenze di sicurezza collettiva».

[37] In questi termini ci si esprime nella Relazione illustrativa, cit., p. 235.

[38] Opportuna osservazione di D. Guidi, La riforma cit., p. 23.

[39] A queste conclusioni è pervenuto il Tribunale di Brindisi, Sezione G.I.P. – G.U.P. in funzione di Giudice dell’esecuzione, 3 marzo 2023, Giudice dott. Valerio Fracassi, in Giur. pen., 3, 2023, con un commento di M.F. Quaranta, Pena in cumulo materiale e contestuale accesso a pena sostitutiva ed a sospensione dell’ordine di carcerazione nell’ottica di deflazione carceraria perseguita dalla riforma Cartabia.

[40] In argomento si rinvia alle considerazioni di, E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, in Sist. Pen., 02 settembre 2021, p. 4. La Commissione di studio presieduta dal Presidente emerito della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi è stata nominata per formulare proposte di riforma del processo, del sistema sanzionatorio e della prescrizione, mediante la proposta di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello. La Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. AC 2435, 24. 05. 2021 si trova pubblicata ivi, 25 maggio 2021.

[41] Sottolinea in particolare quest’aspetto, G. De Vero, Riforma cit., p. 6.

[42] In senso analogo, D. Guidi, La riforma cit., p. 21.

[43] Negli stessi termini si è già pronunciato, D. Guidi, La riforma cit., p. 21.

[44] Si tratta di perspicua ipotesi formulate ancora da D. Guidi, La riforma cit., p. 41. Aveva già messo in guardia da tali irrazionalità sistematiche in sede di commento della legge- delega, F. Palazzo, I profili cit., p. 12.

[45] Ancora, D. Guidi, La riforma cit., p. 41.

[46] Mette in luce questo paradosso, G. De Vero, Riforma cit., p. 7.

[47] Sempre sull’argomento, G. De Vero, Riforma cit., p. 7 ss.

[48] Così, G. De Vero, Riforma cit., p. 7 e A. Gargani, Le “nuove”, cit., p. 39 ss.

[49] Ancora G. De Vero, Riforma cit., p. 7.

[50] La ratio sottesa a questa disciplina è stata ben illustrata nella Relazione illustrativa, cit., p. 244 ss.

[51] Come si osserva nella Relazione illustrativa, cit., p. 258.

[52] In dottrina si è auspicato l’avvio di un rapporto di leale collaborazione tra magistratura e UEPE improntato ad evitare inutili coinvolgimenti dell’ufficio idonei a determinarne un sovraccarico di lavoro e, di conseguenza, la paralisi, G. Mentasti, Prime applicazioni cit., p. 4.

[53] Sempre in questi termini ci si esprime nella Relazione illustrativa, cit., p. 256.

[54] Così, Relazione dell’Ufficio, cit., p. 202.

[55] Contra, F. Grosso, Riforma Cartabia: riflessioni preliminari in materie di pene sostitutive, in Giur. pen., 5, 2023. Qui si è osservato testualmente rispetto al: «(…) caso in cui la parte non abbia prestato il consenso alla sostituzione della pena detentiva e, in seguito ad ulteriori riflessioni, si determini a chiederla in appello. In tal caso, a parere di chi scrive, sarebbe preclusa la possibilità di formulare, per la prima volta in tale sede, la richiesta di sostituzione, posto che non si vede quale capo della sentenza potrebbe essere impugnato e, soprattutto, quali motivi potrebbero essere dedotti».

[56] Così, Relazione dell’Ufficio, cit., p. 168.

[57] Medesimo auspicio è stato formulato da E. Dolcini, Dalla riforma cit.,p. 20.

[58] Così D. Guidi, La riforma cit., p. 37. Ma già, in senso analogo, Ma già aveva manifestato le stesse perplessità, A. Abbagnano Trione, Le latitudini applicative della commisurazione e della discrezionalità nel sistema delle pene sostitutive, in Legisl. pen., 27 dicembre 2022, p. 9 e D. Bianchi, Il rilancio delle pene sostitutive nella legge-delega “Cartabia”: una grande occasione non priva di rischi, in AA.VV. Verso la riforma del sistema sanzionatorio. Atti dell’Incontro di studio di Siena, 10 dicembre 2021, R. Bartoli- R. Guerrini (a cura di), ESI, Napoli, 2022, p. 13.

[59] Tale ipotesi è stata formulata da D. Guidi, La riforma cit., p. 38.

[60] Si evidenzia questa circostanza nella Relazione illustrativa, cit., p. 189.

[61] Questa è la giusta proposta di G. De Vero, Riforma cit., p. 15.

[62] Tale fosco presagio è stato già formulato da D. Guidi, La riforma cit., p. 40. Si era già espresso in questi termini F. Palazzo, Uno sguardo d’insieme alla riforma del sistema sanzionatorio, in Dir. pen. proc., 2023, p. 13 ss.  

[63] D. Guidi, La riforma cit., p. 40.

[64] Il risultato di questo calcolo lo aveva già anticipato, D. Guidi, op.cit., p. 40. Peraltro, questi scenari erano già stati immaginati da A. Gargani, Le “nuove”, cit., p. 33 ss.; Id., La riforma cit., p. 15. Analogamente, R. De Vito, op.cit., p. 31.

[65] Osservazioni simili sono state già formulate da E. Dolcini, op.cit., cit., p. 20

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