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“Spaccio lieve” e gratuito patrocinio: la Consulta sulla “presunzione del reddito” superiore ai limiti

Con ordinanza del 26 agosto 2021, il Tribunale ordinario di Firenze, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, commi secondo e terzo, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui ricomprende anche i soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati di cui all’art. 73 t.u. stupefacenti, qualora ricorrano le ipotesi aggravate previste dall’art. 80, comma 1, lettere a) o g), del medesimo testo unico, tra quelli per i quali si presume che abbiano un reddito superiore ai limiti previsti per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.

La ratio della norma censurata, alla stregua di quanto sottolineato dalla sentenza n. 139 del 2010 di questa Corte, risiede nell’«evitare che soggetti in possesso di ingenti ricchezze, acquisite con le attività delittuose […], possano paradossalmente fruire del beneficio dell’accesso al patrocinio a spese dello Stato, riservato, per dettato costituzionale (art. 24, terzo comma) ai “non abbienti”». Tuttavia, il giudice a quo – si legge nell’ordinanza di rimessione – «dubita […] della legittimità costituzionale dell’art. 76, co. 4-bis, DPR 115/2002 nella parte in cui ricomprende – tra i soggetti per i quali si presume un reddito superiore ai limiti previsti – i soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati di cui all’art. 73 DPR 309/1990 ove ricorrano le ipotesi aggravate di cui all’art. 80, lett. a) o lett. g)» del medesimo testo unico.

Invero, la considerazione espressa dal giudice rimettente – secondo cui la cessione di sostanze stupefacenti «di lieve entità» non diventa maggiormente remunerativa (e non giustifica la presunzione suddetta) per il solo fatto che essa sia avvenuta in favore di minori nelle prossimità di una scuola – non circoscrive il perimetro delle questioni sollevate alle sole ipotesi così aggravate, ma costituisce una puntualizzazione, in chiave narrativa e argomentativa, della fattispecie concreta, la quale mostra sì la particolare odiosità della condotta (e da qui l’aggravamento di pena), ma nulla consente di inferire quanto ai “ricavi”, in ipotesi più elevati, della condotta criminosa circostanziata rispetto a quella base.

La successiva giurisprudenza di legittimità, tenendo conto di tali principi, ha ripetutamente affermato che, ai fini della sussistenza del requisito reddituale per l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato, devono essere considerati tutti i redditi dei richiedenti, compresi quelli che non sono stati assoggettati ad imposta (perché esenti o non rientranti nella base imponibile), nonché quelli derivanti da attività illecite che non siano stati sottoposti a tassazione (ex multis, Corte di cassazione, sezione quarta penale, 22 novembre-15 dicembre 2016, n. 53387), precisando che siffatti redditi possono essere accertati con tutti i mezzi di prova, comprese presunzioni, purché gravi, precise e concordanti, emergenti, ad esempio, dal tenore di vita del contribuente (Corte di cassazione, sezione quarta penale, 4 ottobre-13 dicembre 2005, n. 45159). Tuttavia, nel riconoscere comunque la legittimità dello scopo perseguito dalla disposizione, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 4-bis dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, per violazione degli artt. 3 e 24, commi secondo e terzo, Cost., perché la portata assoluta della presunzione era irragionevole in sé, in particolare, per la sua ampiezza, in quanto: a) non distingueva, all’interno dei soggetti condannati per reati in materia di criminalità organizzata, tra i capi e i gregari delle organizzazioni criminali; b) non aveva limiti di tempo; c) non consentiva di considerare l’eventuale percorso rieducativo seguito dal soggetto successivamente alla condanna, financo nell’ipotesi di riabilitazione dello stesso; d) precludeva, per l’effetto, l’accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche in processi diversi da quello penale.

Nel merito, così, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze sono state ritenute fondate in riferimento a entrambi i parametri di cui agli artt. 3 e 24, commi secondo e terzo, Cost.

Per la Consulta, infatti, occorre rilevare che la disposizione censurata, nel prevedere una presunzione di superamento dei limiti di reddito per ottenere il patrocinio a spese dello Stato ove il soggetto richiedente sia stato, in precedenza, condannato in via definitiva per i fatti di reato puniti dall’art. 73 t.u. stupefacenti, in presenza di una delle circostanze aggravanti di cui all’art. 80 del medesimo testo unico, si pone in primo luogo in contrasto, per incoerenza rispetto allo scopo perseguito, con l’art. 3 Cost., nella parte in cui ricomprende nel proprio ambito di applicazione anche i fatti «di lieve entità», di cui al comma 5 dello stesso art. 73.

Invece i fatti di “piccolo spaccio” (quelli «di lieve entità») si caratterizzano per un’offensività contenuta per essere modesto il quantitativo di sostanze stupefacenti oggetto di cessione (ex multis, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 15 novembre 2018-24 gennaio 2019, n. 3616).

Sicchè. è ragionevole presumere che la “redditività” dell’attività delittuosa non sia stata tale da determinare il superamento da parte del reo dei limiti di reddito contemplati dall’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002 per ottenere l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Infatti, il “piccolo spaccio” è privo dell’idoneità ex se a far presumere un livello di reddito superiore alla soglia minima, in ragione dei proventi derivanti dall’attività criminosa. È anzi vero il contrario: si tratta spesso di manovalanza utilizzata dalla criminalità organizzata e proveniente dalle fasce marginali dei «non abbienti», ossia di quelli che sono sprovvisti dei «mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (art. 24, terzo comma, Cost.).

In conclusione, per la Consulta, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui ricomprende anche la condanna per il reato di cui al comma 5 dell’art. 73 t.u. stupefacenti, rimanendo invece impregiudicata la previsione della presunzione relativa alle altre fattispecie di reato, previste da tale ultima disposizione, aggravate ai sensi del successivo art. 80.

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