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Ricordo di Alfonso M. Stile, Professore, Avvocato e Gentiluomo

.I. L’Uomo.

Il 7 marzo 2021 il Paese ha perso uno dei suoi uomini migliori: il Professore Avvocato Alfonso Maria Stile.

Molti ne hanno pianto la scomparsa e si sono uniti al dolore della moglie, dei figli, degli allievi e degli amici, cercando di onorarne la memoria.

Eppure, nel caso del Professore Avvocato Alfonso Maria Stile, nessuna parola, anche la più ricercata e forbita, nessun elogio, neanche il più profondo ed intenso è in grado di dire appieno chi lui fosse.

Nondimeno i suoi allievi avvertono fortissimo il dovere di rendere omaggio ad una persona eccezionale e consegnare a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo un ricordo il più possibile genuino.

Alfonso Stile era il Professore per antonomasia, non solo per i Suoi indiscutibili titoli e meriti scientifici, ma soprattutto per il Suo modo di essere “guida” per chiunque incrociasse il Suo cammino, per il Suo esempio e il Suo modo di essere cosi semplice e allo stesso modo così profondo, che trasmetteva quella positività e quella energia che solo le persone straordinarie sanno trasmettere.

Sensibile, gentile, premuroso, affettuoso, misurato, intelligente, umile, instancabile, galante, dolce, generoso sono solo alcune delle doti, che sprigionava con naturalezza e di cui poteva godere chi gli stava vicino, facendone tesoro per sé.

Si dice che i più grandi sono tali perchè sono i più umili.

E il Professore Stile era proprio questo: il più umile tra gli umili e, dunque, un grande.

Da vero gentiluomo, aveva sempre una parola di conforto e, spesso, di affetto per chi viveva una difficoltà, un’ambascia, offrendosi – in modo assolutamente disinteressato – di adoperarsi per la migliore soluzione della crisi.

Sono proprio queste doti, espressive di una grandissima umanità a giustificare le lacrime autentiche, che oggi rigano i volti dei suoi allievi e dei suoi amici, sparsi in tutta Europa.

A tutti noi mancherà la sua capacità di indirizzare con naturalezza gli altri verso un percorso coerente con le capacità e le aspettative di ciascuno, cosa che gli riusciva in maniera eccezionalmente efficace, poiché sapeva discernere molto bene l’indole e le caratteristiche morali di ognuno.

Dotato di una weltanschauung superiore, gli era assai semplice decifrare l’animo delle persone e trarne sempre il meglio, rafforzandone le aspirazioni e fortificandone i propositi.

Apprezzava la bellezza, soprattutto nell’ arte, di cui era profondo conoscitore e godeva della compagnia degli amici e delle persone care, con cui trascorreva momenti di semplice ed autentica convivialità, oggi indimenticabili.

Allo stesso modo adorava la natura ed il mare, il suo Mediterraneo, che era la meta agognata dei suoi riposi estivi.

Incapace di invidie e di inimicizie, il Professor Stile praticava la generosità, dicendo sempre: non bisogna fare le cose per aspettare la riconoscenza di taluno ma farle perchè è giusto farle.

E questo è forse il lascito più prezioso per i suoi cari ed i suoi allievi.

 

.II. Il Professore.

Era il più amato e il più rispettato dei professori di diritto penale, il Prof. Alfonso Stile. Era colui che metteva d’accordo i capi scuola e i loro difficili e talora ondivaghi caratteri, che egli ben conosceva.

Gli piaceva tanto parlare con i più giovani (che gli volevano un bene incondizionato), ai quali si sentiva accomunato dai sacrifici fatti per costruire la propria formazione scientifica al Max Planck Institute che, nei suoi racconti, era una sorta di areopago del sapere e dove, ancora oggi, è ricordato e rispettato.

Ordinario di Diritto Penale a soli 28 anni presso l’Università di Urbino, che ha sempre portato nel cuore, fu titolare di prestigiose cattedre, da quella di Istituzioni di Diritto Penale presso la Federico II di Napoli, a quella di Diritto Penale presso la madre di tutte le università, la Sapienza Università di Roma, presso la quale terminò la Sua carriera conseguendo l’ emeritato di diritto penale per il suo ineguagliabile ed intenso contributo allo studio della materia.

I suoi scritti, tra cui le monografie sul giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato e sull’omissione di atti d’ufficio, sono stati punto di riferimento per intere generazioni di studiosi, sia per la metodologia di impostazione così come per la lucidità delle soluzioni proposte in ordine a temi nodali del diritto penale.

Fu tra i fondatori del prestigioso Istituto Internazionale di Scienze Criminali di Siracusa, per tutti l’ISISC, presso cui elesse la sua seconda casa accademica. Promotore di decine di eventi, conferenze, congressi, seminari, corsi di studio, scritti e collane, grazie al suo immenso contributo l’ISISC è stato per oltre mezzo secolo un crocevia obbligato per gli scienziati del diritto penale e della criminologia di tutto il mondo.

Con il suo profondo intuito, fu tra i primi accademici italiani a capire l’importanza dell’internazionalizzazione della ricerca e del sapere penalistici e con il suo carattere sempre inclusivo e mai divisivo, insieme con il Prof. Cherif Bassiuoni, riuscì a portare l’ISISC nell’empireo dei centri di cultura del Mediterraneo, facendone luogo preferito di dialogo intellettuale tra studiosi e pratici.

Ferma era la convinzione del Prof. Alfonso Stile in merito al ruolo culturale e di guida che il giurista, soprattutto lo studioso di diritto penale, poteva avere nella societa’.

Sarà il caposcuola indiscusso non solo nell’area napoletana ma anche in quella urbinate e romana, di generazioni di professori, che oggi ricoprono prestigiose cattedre sulla scia del suo lavoro e dei suoi insegnamenti.

Fondò riviste e collane scientifiche, coordinando opere collettanee ancora attualissime (si pensi a quella sul giudizio di colpevolezza), sapendo attrarre i contributi degli studiosi migliori.

Fu direttore e componente del comitato scientifico di numerose riviste (tra cui anche questa) italiane e straniere, lasciando in ognuna di esse importanti ed indelebili segni.

Fu per molti anni Vice Presidente dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale (AIDP), ed a lungo Presidente del Gruppo Italiano della stessa associazione. In questi ambiti promosse come nessun altro la cultura penalistica e si fece grande sostenitore del dialogo tra le accademie dei vari paesi rivendicando la matrice unitaria del sapere dell’uomo.

Credette sempre nella condivisione sovranazionale del sapere penalistico, indirizzando molti suoi allievi alla comparatistica.

Negli ultimi quindici anni il Professor Stile si era avvicinato con curiosità al diritto penale dei Balcani, diventando in poco tempo un punto di riferimento per un’ intera generazione di studiosi dell’area: promuovendo le doti intellettuali e contribuendo alla carriera di numerosi avvocati, magistrati, professori (alcuni presidi di facoltà o personalità di spicco nel loro paese), ricercatori e dottori di ricerca sia in Albania che in Kosovo, dove ha lasciato segni indelebili del suo insegnamento.

Insieme a Giorgio Spangher e Antonello Biagini fondò il Centro studi Alta Formazione e ricerca Italo-Albanese presso l’Università Sapienza e il Centro Studi, Ricerca e Alta Formazione Italo Albanese all’Universita’ di Tirana, Prishtina e Roma, la Rivista Illyrius; promosse il Gruppo Nazionale di Albania e Kosovo dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, di cui venne subito eletto Presidente onorario.

È stato, dunque, un esempio di studioso, una guida di pensiero indiscutibile in una temperie storica nella quale le scuole penalistiche hanno faticato a tenere il passo con la modernità; modernità che egli non ha mai temuto ma ha sempre da par suo saputo interpretare e volgere al servizio del progresso delle scienze umanistiche.

 

.III. L’Avvocato.

È assai difficile, volendo tratteggiare un ricordo di Alfonso Stile avvocato, scindere il retaggio professionale da quello umano.

Egli era, infatti, un difensore generosissimo, che assumeva su di sé tutte le tensioni del processo e le ansie dei verdetti, garantendo all’ assistito un conforto ed un sostegno talvolta anche di carattere emotivo, laddove la vicenda processuale assumeva quei contorni drammatici che spesso connotano il processo penale.

Tuttavia, mai l’emotività si impadroniva della sua difesa: diceva sempre che i processi non si vincono con l’eloquio o con la fortuna, sì con la strategia.

Proprio nella strategia egli eccelleva ed all’ indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, si trovò immediatamente a suo agio, lui che era stato allievo e poi amico di Giovanni Leone.

Comprese ed insegnò subito che nel rito accusatorio la materia del processo si forma progressivamente e che alla sua costruzione può e deve concorrere la difesa dell’imputato sin dal primo momento in cui si viene a conoscenza della notizia del reato, di modo da evitare che l’accusa percorra ipotesi sbagliate, provocando danni ingiusti ed irreparabili in prosieguo. Da avvocato cercava di conseguire da subito quello che per lui ha sempre rappresentato la condizione necessaria per una buona impostazione difensiva: l’ “istituzione” del confronto con il Pubblico Ministero e con il Giudice.

Di entrambe le figure ha sempre serbato uno straordinario rispetto – favorito forse anche dall’ essere figlio e fratello di altissimi magistrati – considerandole sempre metonimiche dello Stato di diritto, sulle cui capacità di governo della materia penale faceva grandissimo affidamento.

Capitava raramente che le iniziative dei pubblici ministeri o le decisioni dei giudici, pure quando oggettivamente sbagliate, venissero da lui stigmatizzate con veemenza: egli ha sempre praticato la difficile arte della misura e della pacatezza anche nella critica, che spesso corroborava con l’ironia; elegante, mai sopra le righe, e sempre garbata.

Ha sempre predicato la forza della persuasione, rifiutando di declinarla nella forma retorica, pure propria della scuola forense meridionale, invece prediligendo una maieutica stringente cui sottoponeva sia la tesi dell’accusa che la propria, alla ricerca della sintesi ideale che, a sua volta, rappresentava la giusta strategia.

Perciò la fase più importante della difesa era, per lui, l’analisi delle carte processuali, nella quale si gettava sempre “a capofitto”, in ciò aiutato anche da uno dei tratti distintivi del suo carattere che era l’invincibile curiosità.

Chi gli stava vicino imparava presto che ogni processo è – in realtà – una storia di uomini e che il suo mistero sta tutto nell’ individuazione dell’esatta prospettiva dalla quale guardarla: in questo aveva un approccio relativistico e laico che conviveva – miracolosamente – con il suo essere profondamente cristiano e credente.

Proprio per questo non capitava mai che maltrattasse le tesi dell’avversario, che si trattasse di un pubblico ministero, del patrono di parte civile o del difensore dell’imputato.

Praticava e pretendeva il rispetto intellettuale per l’altro, anche quando la controparte non aveva particolare spessore ed incorreva in errori marchiani: allora si incaricava di far comprendere lo sbaglio, senza mai enfatizzare la sua dottrina, ma anche senza mai tradire il suo mandato.

Era forse questo, più ancora che la sua autorevolezza accademica, a far sì che l’avvocato Stile fosse amatissimo anche nel Foro, dai colleghi come dai magistrati, da quelli più anziani che ne avevano da sempre apprezzato capacità e competenza a quelli più giovani, che si stupivano della sua straordinaria cortesia e della sua genuina modestia.

Affabilità nell’ aula di tribunale come in studio, umiltà nel presentare il suo punto di vista, mai imposto.

Non era affatto raro che, dopo aver completato una memoria o un ricorso, che amava svolgere in modo articolatissimo, lo sottoponesse al praticante chiedendogli di evidenziarne le lacune e di immaginarne le migliorie, intimandogli di essere severo con il suo scritto.

Questo rappresentava una parte assai importante del suo magistero, che si dispiegava senza gelosia e con quella disponibilità che solo un vero Maestro sa avere.

Come nell’ accademia, egli si è sempre straordinariamente prodigato nella promozione culturale e nella formazione dei giovani avvocati, cui ha sempre dedicato moltissima attenzione.

Molti di quelli che hanno iniziato la professione con lui ancor oggi vengono identificati nei tribunali del Paese per essere gli allievi del Prof. Stile: per ciascuno di loro questo è motivo di particolare vanto, come anche di straordinario impegno, affinchè la memoria della sua persona e dei suoi insegnamenti rimanga sempre viva.

Il Professore lascia in eredità alla comunità forense uno studio tra i più apprezzati nel panorama nazionale per la serietà e la qualità dell’assistenza che è in grado di garantire.

 

.IV.  Arrivederci, Professore.

Non è facile accomiatarsi dal Prof. Stile, soprattutto dopo aver vissuto con lui – purtroppo a distanza, in questa spaventosa e sciagurata temperie – l’ultimo suo tempo.

Anche in questi mesi egli ha saputo essere esempio: di forza, di resilienza, di positività.

Egli ha sorretto chi gli stava vicino, la moglie adorata, i carissimi figli ed i diletti nipotini, e noi allievi, placandone sempre le ansie e somministrando a tutti buoni auspici.

Fino all’ultimo è stato un Signore e fino all’ultimo ha avuto la capacità di contrastare il male con la classe del Gentiluomo, mai mancando di dir grazie a chi si interessava della sua salute.

Abbiamo perduto, anche se fatichiamo a farcene una ragione, una guida affidabile, un maestro sapiente, un amico onesto, un Padre.

Tuttavia ci sentiamo di dire, senza infingimenti e senza falsa retorica, che porteremo sempre dentro di noi l’insegnamento ed il ricordo di lui, che liberamente traduciamo con il saper essere Uomo.

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