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Udienza filtro e archiviazione

Una nuova regola di giudizio, i quesiti applicativi [1].

La riforma Cartabia ha introdotto un nuovo criterio di valutazione, valido sia per fondare la richiesta di archiviazione, che per la sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare, che, infine, per quella emessa all’esito della nuova udienza predibattimentale.

Il criterio che P.M.  e giudice d’ora in poi dovranno usare è quello della “ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca”.

L’intento del legislatore della riforma è dichiaratamente di due tipi: deflattivo del processo e al tempo stesso si propone una funzione garantista, nel tentativo di evitare cioè processi inutili che si risolvono essi stessi in una “pena” per gli imputati.

La riforma cd. “Cartabia” ha una genesi nella prospettiva di dover ridurre i tempi della giustizia, anche in ossequio ai dettami del Piano Europeo di Resistenza e Resilienza Nazionale: è emerso infatti che una percentuale bassissima – prossima al 10% – dei dibattimenti si conclude invero con una sentenza di condanna.

E l’alto numero di assoluzioni finisce con l’essere proprio la spia della inefficienza del sistema giudiziario penale.

Per molti aspetti ci troviamo di fronte ad un importante cambio di passo, almeno nelle intenzioni, la prassi ci dirà quanto sia effettivamente epocale.

Uno dei mezzi attraverso i quali il legislatore della riforma persegue il suo intento deflattivo passa proprio per la rivisitazione delle ragioni fondanti l’esercizio dell’azione penale e la sua valutazione da parte di un giudice “filtro”.

In generale sembra venire meno il cd. favor actionis (enucleato anche dalla sentenza Corte cost. n. 88/91): la prospettiva previgente è sempre stata quella di evitare l’accertamento dibattimentale quando lo stesso si mostri superfluo. Nei casi dubbi, però, si prediligeva il dibattimento.

Prima della riforma, nonostante gli interventi riformatori, si finiva con l’evitare il processo solo in presenza della evidenza di innocenza (eppure il termine era stato espressamente abrogato da tempo) o in assenza di prove qualificanti: limite invalicabile era considerato quello del principio di obbligatorietà, interpretato appunto come  favor actionis.

Per quanto riguarda l’udienza preliminare, molteplici sono stati i tentativi del legislatore di renderla un vero snodo deflattivo.

Tali tentativi si sono sempre scontrati con la prassi, nonostante la pronuncia della Corte Costituzionale n.335/2002.

Ed invero non può dimenticarsi la pronuncia della Cass. n.17385/2016, secondo la quale il GUP deve prediligere il rinvio a giudizio ogni qualvolta verifichi l’esistenza di elementi volti ad avere anche una minima probabilità che all’esito del dibattimento venga affermata la colpevolezza dell’imputato.

La precedente previsione in base alla quale il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti “risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, si è rivelato alla fine dei conti un flop, con un GUP interprete quasi sempre del ruolo di mero passacarte.

Ecco perché si era anche ventilata l’idea di un’abolizione tout court dell’udienza preliminare.

Invece è prevalsa l’idea di strutturare meglio il “filtro”, addirittura inserendolo anche per i reati a citazione diretta (il cui novero è stato contestualmente incrementato).

Per rendere l’udienza filtro predibattimentale analoga a quella preliminare si è previsto che prima della nuova udienza avvenga il deposito di un doppio fascicolo presso la cancelleria del giudice, quello delle indagini preliminari e quello del dibattimento, che offra al giudice una visione completa degli elementi raccolti (ragione per cui deve trattarsi di un giudice diverso da quello che poi celebrerà il processo).

A differenza che nell’udienza preliminare, in quella predibattimentale non vi è l’emissione di un decreto che dispone il giudizio: il passaggio alla fase processuale i è già compiuto con il decreto di citazione diretta; il giudice si limiterà a fissare l’udienza di trattazione.

Non si prevede espressamente la discussione, ma sicuramente deve svolgersi una interlocuzione con le parti di contenuto analogo a quella propria finora dell’udienza preliminare.

Nell’udienza predibattimentale non ci sono previsioni analoghe a quelle di cui agli artt. 421 e 422 in ordine alle integrazioni probatorie disposte dal giudice, il che ne segna anche la differenza, nel secondo caso, infatti, il dibattimento è già iniziato.

La sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza filtro, come quella dell’udienza preliminare, è revocabile se sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova. Anche se in questi casi non è prevista una riapertura delle indagini.

Secondo i primi commentatori la formula prevista nei tre momenti (richiesta di archiviazione, udienza preliminare, udienza predibattimentale) va letta in aderenza allo standard probatorio dettato dall’art. 533 c.p.p.:

  • di talché il giudice filtro dovrà pervenire ad una sentenza di non luogo a procedere ogni qualvolta il compendio probatorio si mostri insufficiente o contraddittorio, e che non consenta di arrivare a superare il ragionevole dubbio anche nella ipotesi di sviluppo dibattimentale;
  • ancora, dovrà prevalere il principio “in dubio pro reo”.

Non sono mancati, soprattutto tra i magistrati, commenti nel senso che, a ben vedere, nulla sarebbe cambiato e che il legislatore avrebbe in realtà voluto dare una sorta di bacchettata ai giudici, richiamandoli al ruolo di filtro, che si era perso, ma che nella sostanza la nuova formula non differirebbe da quella precedente.

Molti sono i quesiti che si pongono per l’interprete, tanto più dal punto di vista dell’avvocato sul significato da attribuire alla nuova formula e sulle sue prospettive applicative.

Proviamo ad esaminarne alcuni.

1. Come valutare la ragionevolezza, non in chiave di sentenza di condanna ma di valutazione prognostica?

D’accordo che il riferimento debba essere quello del 533 però lo stesso va reinterpretato non già in funzione di una pronuncia di assoluzione o condanna, bensì in termini prognostici, il che ne cambia inevitabilmente i connotati.

Con la nuova formula, infatti, la valutazione del giudice dell’udienza preliminare (o di quella predibattimentale) non si trasforma automaticamente in un giudizio abbreviato.

Deve trattarsi, infatti, di una valutazione non statica ma dinamica: altro è porsi il problema di alternative decisorie, altro è predire la condanna, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo processuale.

La valutazione va parametrata agli scenari di sviluppo dibattimentale, di cui si deve tenere conto.

In altre parole, la previsione di condanna va commisurata anche a quelli che possono essere i passaggi dibattimentali.

Tanto per cominciare si ritiene che non potranno più essere rinviate al giudice del dibattimento le decisioni sulla utilizzabilità degli atti (operazione tanto gradita soprattutto in tema di intercettazioni): ai fini della valutazione prognostica è ora fondamentale capire quale sia il compendio probatorio del giudice del dibattimento, occorre subito sapere quali atti ne potranno fondare il potere decisorio.

Su questa falsariga, sebbene senza espressi riferimenti alla riforma, si è mosso il GUP di Agrigento, in un delicato processo anche per associazione a delinquere, che ha deciso di risolvere il tema della utilizzabilità delle intercettazioni proprio ai fini della valutazione rimessa al GUP (ord. GUP Agrigento, dott.ssa Raimondo, 27.1.2023, inedita), in senso negativo: P.M. e parti sanno fin da ora che le intercettazioni non potranno formare oggetto di valutazione ai fini di una sentenza di condanna.

Proviamo a fare degli esempi sul tipo di valutazione prognostica: ipotizziamo il caso della assoluta mancanza di testimoni, uno di quei casi in cui nel fascicolo si trova la parola dell’uno contro quella dell’altro.

Supponiamo per esempio un caso di maltrattamenti in famiglia: la denuncia della moglie contro il marito, un certificato di lesioni a non univoca eziologia, la difesa del marito compatibile anch’essa con il certificato di lesioni proposte.

Atteso che il reato di maltrattamenti è un reato abituale ove non basta il singolo episodio, nel caso in cui non ci siano chance di sviluppo dibattimentale, che possa andare oltre il singolo episodio riportato nel certificato di pronto soccorso, l’imputato va prosciolto.

Diverso il caso, a mio avviso, dell’ipotesi in cui ci siano più testimoni da un lato e dall’altro.        

È una ipotesi in cui il dibattimento può effettivamente portare sviluppi.

Immaginiamo la stessa situazione: il certificato medico, le dichiarazioni di lei, quelle difensive di lui.

Aggiungiamoci le SIT di un vicino che dice di avere sentito urla e pianti di lei in più occasioni e notato lividi sul corpo di lei.

E in più immaginiamo le SIT di un figlio minore suscettibile di manipolazione paterna, che afferma che non vi sono stati mai maltrattamenti da parte del padre sulla madre. O al contrario che confermi le dichiarazioni materne.

Nel secondo caso nessun dubbio in ordine al rinvio a giudizio.

Nel primo abbiamo, invece, una situazione che presenta dei dubbi.

Sono dubbi però importanti e qualificati che potrebbero fare ritenere la necessità del dibattimento: non si esclude in questo caso una previsione di condanna, come per esempio con l’introduzione di una perizia che dimostri che il minore è vittima di manipolazione paterna.

In altre parole, se vale il principio del superamento del ragionevole dubbio nel caso di condanna all’esito di un processo, non può costituire lo stesso dubbio che si pone il giudice “filtro” in udienza preliminare o nella udienza predibattimentale.

Il dubbio, serio, di un possibile sviluppo dibattimentale deve portare al rinvio a giudizio.

Si potrebbe obiettare a questo punto che le cose non sono cambiate rispetto alla prospettiva pre riforma. Certo è che risultava rarissimo che il GUP pervenisse ad una sentenza di non luogo a procedere in casi di questo tipo, tanto più alla luce di quella giurisprudenza della S.C. che tanta rilevanza da’ alla testimonianza della persona offesa.

2. Come valutare i dubbi? Resta uno spazio al principio dell’in dubio pro actione?

Se il proscioglimento deve intervenire in tutti in quei casi vi sia la prognosi che il dibattimento non possa ragionevolmente portare ad una sentenza di condanna, sorge un tema di interpretazione del criterio di ragionevolezza a cui ispirarsi ai fini del giudizio di prognosi. Che tipo di ragionevolezza nella previsione deve pretendersi dal giudice filtro? E la previsione di condanna in che termini percentuali deve ritenersi possibile? E  in che misura ci si deve collocare per legittimare il rinvio a giudizio? 40%, 50% più del 50%? O si deve pretendere un criterio prossimo alla certezza come nella prognosi postuma nel giudizio controfattuale dei reati omissivi impropri?

Ci si dovrà affidare ad un giudizio di probabilità logica di sviluppo dibattimentale: ove effettivamente tale valutazione porti a intravedere una possibilità di condanna prossima alla certezza, deve seguirne il dibattimento.

Lo scarto sul quantum di “possibilità” potrà darceli solo la prassi.

Dopo questa panoramica possiamo rispondere anche al secondo quesito. Siamo proprio certi che vada anticipata tout court il brocardo dell’in dubio pro reo?

Non sempre, a mio avviso.

Quando il dubbio è serio, fondato e non vi è spazio neanche in chiave prognostica di sviluppo dibattimentale, si deve optare per il proscioglimento.

In tutti i casi in cui, come quello appena esaminato, il dubbio sia effettivamente legato alla mancanza di un approfondimento dibattimentale deve darsi spazio al processo.

In questo senso sembra andare una recentissima pronuncia che si interroga proprio sul significato della nuova formula (GUP presso Tribunale di PATTI, 27.2.2023, su Giurisprudenza penale online ).

In effetti, il giudice conclude che nulla sarebbe cambiato,  “nihil novi sub sole”, se non sotto il profilo di un obbligo di filtro stringente imposto al giudicante.

L’occasione è propizia per la ricostruzione della giurispridenza ante riforma: si richiama una lontana pronuncia delle SU (n. 38 del 25.10.1995), che chiariva che il giudice deve disporre il rinvio a giudizio allorché gli elementi raccolti forniscano una “concreta prevedibilità di condanna dell’imputato” (“il rinvio a giudizio implica la concreta prevedibilità della condanna dell’imputato, e cioè una situazione non dissimile da quella qualificata probabilità di colpevolezza che integra i gravi indizi necessari per l’applicazione di misure cautelari”), sottolineando che non vi sarebbero differenze rispetto alla nuova formula del legislatore.

Quella della riforma è una regola per il giudice dell’udienza preliminare che non lo assimila per ciò solo al giudice dell’abbreviato, quindi la valutazione dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” non può fondarsi, ovviamente, su una valutazione statica e diagnostica, ma dovrà essere una valutazione dinamica e prognostica.

Il giudice deve quindi “tenere conto degli arricchimenti, delle integrazioni, dei chiarimenti che il dibattimento è in grado di offrire; il GUP, proprio perché governa una fase prodromica e preliminare a quella successiva, dovrà prevedere la capacità di implementazione che, nel caso sottoposto al suo esame, il dibattimento sarà potenzialmente in grado di esprimere, dovrà ipotizzare e prevedere i risultati che ragionevolmente e verosimilmente il contraddittorio, l’esercizio del diritto alla prova di tutti i protagonisti (imputato, parte civile, e pubblica accusa) saranno in grado di produrre  e dovrà, altresì, tenere conto di eventuali letture diverse ed alternative di tutto il materiale investigativo raccolto che potrebbero ragionevolmente essere fatte proprie dal giudice del dibattimento”.

A questo punto, si potrebbe porre un tema di ampliamento dell’uso dei poteri integrativi e istruttori previsti dagli artt. 421 bis e 422 c.p.p., per risolvere le situazioni dubbie. Poteri che però non sono previsti per il giudice dell’udienza predibattimentale.

3. La modifica della formula significa svuotare il ruolo del dibattimento e decretare la fine del rito accusatorio?
4. Ma il rinvio vuol dire condanna sicura?

Si può rispondere congiuntamente a queste due domande.

Il timore espresso da più di una voce è che con il nuovo sistema venga meno il rito accusatorio, si attui una perdita di centralità del dibattimento e si ritorni ad un rito istruttorio.

Il tema dovrebbe essere capovolto.

L’obbiettivo non deve essere quello di svilire il dibattimento, ma piuttosto di perseguire solo quelli effettivamente necessari, cercando di evitare tutti i processi che ognuno di noi ha visto essere totalmente inutili (se non per il proprio portafoglio, fuor di ipocrisia).

Nello stesso tempo, se diminuiscono i processi, quelli rimasti possono celebrarsi nel pieno delle garanzie accusatorie, magari dando spazio ad istituti mai utilizzati (o quasi mai) come le ricognizioni giudiziarie, gli esperimenti giudiziari, etc.

Con maggiore tempo a disposizione, si possono fare meglio.

Se l’interpretazione va nel senso appena proposto, non si perde del tutto la natura accusatoria del nostro processo.

La lettura nel senso proposto, quella cioè che lascia una qualche rilevanza al principio dell’ in dubio pro atione, pure negli stringenti limiti posti, è l’unica compatibile con la Costituzione e le norme convenzionali secondo le quali la prova si forma nel contraddittorio delle parti.

In questa prospettiva il rinvio a giudizio non è di per se stesso garanzia di condanna.

5. Come cambia il ruolo del difensore?

E’ chiaro che i primi a dover cambiare la prospettiva siamo noi difensori.

Diventa fondamentale, anche su un piano etico e deontologico, anticipare i propri temi di difesa, con relativi elementi probatori a supporto.

Dalla riforma dovrebbe uscire un ruolo rafforzato delle indagini difensive a cui noi soltanto possiamo dare impulso, depositando nella cancelleria del giudice il nostro fascicolo.

Se infatti fino ad ora, dato per assodato il ruolo di passacarte del GUP, si tendeva ad evitare di anticipare temi difensivi per non scoprire le carte con la Procura, la prospettiva deve ora radicalmente mutare.

Faccio un esempio: ho ereditato un caso post udienza preliminare.

Una ipotesi di truffa ai danni dello stato con riferimento ai fondi post terremoto. Nell’udienza preliminare ci si era molto concentrati sulla qualificazione giuridica (sulla alternativa tra 316ter e 640 bis): proprio al fine di dirimere il dubbio il GUP – con decreto motivato – aveva disposto il rinvio a giudizio.

A dibattimento si è svolta la prima udienza, nella quale sono stati sentiti i testi di accusa, che nell’ambito di un acceso contraddittorio hanno mostrato evidenti defaillance degli accertamenti svolti; alla seconda udienza è stato sentito l’imputato e un unico teste che ha precisato e motivato gli elementi documentali prodotti dai testi di accusa, con una spiegazione alternativa ragionevole. A quel punto si è deciso di non ascoltare altri testi e il giudice ha pronunciato sentenza assolutoria.

Il commento unanime fu che casi come quelli a dibattimento non avrebbero proprio dovuto arrivare, e la critica era rivolta da tutti i presenti al P.M. titolare e al GUP.

In realtà ponendosi su di un piano più distaccato occorre dire che anche la difesa ha fatto la sua parte, concentrandosi nell’udienza preliminare sulla qualificazione giuridica dei fatti e non sui fatti medesimi.

Se vogliamo che il sistema cambi dobbiamo fare anche noi la nostra parte: in un caso come quello sarebbe stato sufficiente produrre il verbale di indagini difensive del teste ascoltato e i documenti anche fotografici introdotti dallo stesso e far rendere l’esame all’imputato in udienza preliminare.

Si sarebbe raggiunto il medesimo risultato.

Ovviamente deve cambiare anche l’impostazione della Procura che deve mostrarsi, anche in fase di indagine, favorevole ad accogliere i contributi difensivi e a raccogliere effettivamente anche elementi a favore dell’indagato come prescrive l’art. 358 c.p.p.

6. Che differenza c’è tra la valutazione del P.M. e quella del GUP o del giudice filtro?

Se devono fare la stessa valutazione prognostica (il P.M. al momento in cui valuta la richiesta di archiviazione), per quale ragione il giudice filtro dovrebbe pervenire ad un risultato diverso da quello che ha motivato il P.M. a non richiedere l’archiviazione?

E proprio in questa domanda si annidano tutte le incertezze proprie del giudizio prognostico che ovviamente cambia secondo di chi lo fa, è anch’essa questione di uomini.

C’è da osservare che comunque il panorama di riferimento del Giudice potrebbe essere diverso da quello del P.M., in quanto ad esempio arricchito da indagini difensive che per le ragioni più disparate non sono state prodotte al P.M.; perché l’imputato può – almeno nell’udienza preliminare – decidere di farsi sentire dal GUP. Non si esclude peraltro che l’imputato possa rendere dichiarazioni anche nell’udienza predibattimentale.

Non dimentichiamo poi che il giudice dell’udienza preliminare ha anche poteri istruttori su temi che per esempio non siano risultati necessari per il P.M.

Quindi non vi è contraddizione nel porre la stessa formula alla base della richiesta di archiviazione e della sentenza di non luogo a procedere.

7. E cosa deve fare il giudice se è ragionevole che durante lo svolgimento del dibattimento il reato si prescriva?

Questo forse è il tema che comporterà differenze di valutazione.

Anche qui ho un esempio, come penso molti di noi, ed è un caso che fa sorridere noi difensori, e non ce ne vogliano i magistrati presenti, perché si è verificato a causa di un cul-de-sac prodotto dallo stesso giudicante.

Udienza preliminare svolta qui a Roma per 353 c.p.; le parti civili si erano via via moltiplicate proprio in virtù di una singolare interpretazione del Giudice quanto al novero delle persone offese del reato di turbativa d’asta: il GUP, nel rigettare una questione posta dalla difesa, (che peraltro aveva trovato adesivo il P.M.), ha ritenuto che tutti i partecipanti a una gara (finanche i singoli facenti parti di un ATI) rivestano il ruolo di p.o. del 353 c.p. e non già di meri portatori di interessi legittimi.

A quel punto – come è stato fatto notare dagli attenti difensori – il giudice ha dovuto citare tutti i numerosissimi partecipanti alla gara, che diventavano come per magia persone offese dal reato.

Ciò ha comportato ulteriori difetti di notifica nell’udienza successiva, ma non si poteva tornare indietro e i difetti di notifica alle persone offese andavano sanati.

Ancora, alcuni dei citati, costituiti parti civili, hanno ritenuto di citare i responsabili civili (almeno quattro) che a loro volta avevano questioni preliminari e di notifica da porre alle due udienze successive.

Il risultato della bizzarra interpretazione del giudice è stato che l’udienza preliminare è durata oltre un anno: a quel punto mancavano solo due/tre mesi alla prescrizione.

Il GUP ha disposto il rinvio a giudizio a un anno di distanza: si terrà il prossimo mese di maggio. Il giudice del dibattimento non potrà che prendere atto della intervenuta prescrizione.

Ovviamente possono esservi anche degli esempi più semplici in cui non concorrano le bizzarre interpretazioni dei giudici.

Chiediamoci allora che senso avrebbe in questi casi un rinvio a giudizio, se non quello di aggravare i passaggi burocratici, i ruoli, le notifiche etc? Ed in ultima analisi di tradire il senso della riforma?

A mio avviso è proprio una di quelle ipotesi in cui è certa la mancanza di prognosi di condanna e va pronunciata sentenza di non luogo a procedere.

Anche questa valutazione andrà parametrata al tempo mancante alla prescrizione e alle chances di sviluppo dibattimentale e ai relativi tempi necessari.

E anche qui sarà un tema di valutazione prognostica e di valutazione di probabilità logica.

Tale sembra l’interpretazione fatta propria dalla sentenza del GUP di Patti, già citata, che conclude “una sicura novità in punto di allargamento delle maglie di operatività della sentenza di non luogo a procedere che può essere ricondotta alla novella di cui al d.lgs. 150/2022 è quella relativa alla sentenza di proscioglimento che può essere adottata nel caso in cui il tempo che residua affinché si maturi la prescrizione del reato per il quale si procede è verosimilmente inferiore alla durata media del giudizio di primo grado. In tali casi non vi sarebbe infatti una ragionevole previsione di condanna”.

Come si diceva, non tutti sono d’accordo su questa interpretazione, nel timore che con questa interpretazione si finisca per anticipare una causa di estinzione del reato, che però sono ad elenco tassativo e comunque a dare spazio a valutazioni le più disparate (ad esempio considerato che in un piccolo tribunale ci siano pochi giudici di cui alcuni in aspettativa).

Sul primo tempo è sufficiente rispondere che il proscioglimento non interverrà perché si anticipa una causa di estinzione del reato, ma perché non è prevedibile che si pervenga ad una sentenza di condanna, ad una sentenza, quindi, che rimane di tipo processuale.

Quanto al secondo tema, occorrerà affidarsi al buon senso e fare questo tipo di valutazione secondo come vanno le cose per lo più in tutti i tribunali, prescindendo da situazioni contingenti.

8. Come va impostata la motivazione del giudice della sentenza di non luogo a procedere?

Il tema è di rilevanza non secondaria atteso che la sentenza di non luogo a procedere, escluso per i reati puniti con sola pena pecuniaria, è suscettibile di impugnazione.

Non soltanto: ma la ragione che più fa rifuggire i GUP dall’emettere sentenze di non luogo a procedere, è proprio quello di dover poi redigere la motivazione, in un contesto di carico di lavoro già esagerato per il GUP che sia anche GIP.

Ecco allora che i passaggi della motivazione dovranno essere tanto più stringenti quanto più ampio fossero i temi accusatori posti e le possibilità di sviluppo probatorio: il giudice potrà, a mio avviso, limitarsi a dare conto delle ragioni per cui, anche nella ipotesi della audizione di testi o della raccolta di prove a dibattimento, queste non potrebbero avere uno sviluppo tale da rendere certa la condanna.

Si dovrà dare conto di tutti i passaggi logici posti a fondamento della mancata ragionevole previsione di una condanna.

Il giudice che effettua il giudizio prognostico che si conclusa a favore di una sentenza di non luogo a procedere si deve impegnare a spiegare il perché abbia ritenuto quel materiale investigativo o quegli elementi di prova definitivamente cristallizzati e non suscettibili di implementazione dibattimentale, con una motivazione che non potrà essere né formale né apodittica ma adeguata e completa. Deve dare conto, cioè, delle ragioni per le quali il materiale probatorio e valutativo sia da ritenere immutabile e quindi non suscettibile di accrescimento all’esito della fase dibattimentale (così anche Cass. Pen. V 565 del 2017).

Una notazione di carattere generale: il legislatore forse avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di allungare il termine di 30 giorni per il deposito della sentenza di non luogo a procedere, che può rappresentare un argine davvero troppo stretto in tutti i casi di processi complessi.

Tanto più se si considera che un termine non viene fissato per il deposito della sentenza emessa all’esito dell’udienza predibattimentale che, dovrebbe a questo punto essere equiparato a quello ordinario delle sentenze, con la possibilità di ricorrere al termine ampio di 90 giorni.

9. Quali sono le caratteristiche per la revoca della sentenza di non luogo a procedere?

Si potrà pervenire ad una revoca della condanna quando sopravvengano o vengano scoperta nuove prove.

Dovrà trattarsi di prove che sole, o congiunte a quelle presenti nel fascicolo possano invertire i metri della previsione, in senso favorevole alla condanna e quindi all’azione.

La valutazione non potrà che essere diversa a seconda che ci si trovi di fronte ad una sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito di una udienza preliminare ovvero di una udienza filtro.

Nel primo caso, infatti, come conseguenza si ha la riapertura delle indagini, nel secondo caso no: possono fondare la revoca solo elementi probatori che non richiedano indagini ulteriori.

Nel primo caso, allora, si dovrà assistere ad una doppia valutazione di prognosi: quella sugli elementi nuovi proposti e sui loro possibili sviluppi in indagini.

Nel secondo caso dovranno semplicemente essere letti unitamente a quelli già presenti per rivedere l’unico giudizio di previsione sulla condanna (e semmai degli sviluppi dibattimentali).

A questo punto non possiamo che attendere i ritorni sui diversi quesiti che ci offrirà la prassi.


[1] Intervento alla tavola rotonda organizzato dalla Camera penale di Roma il 9.3.2023, nell’ambito dei cicli di incontri organizzati dalla Commissione Novità Legislative, dal titolo “Cartabia: istruzioni per l’uso”.

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