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Abuso di autorità dell’insegnante privato nei confronti del minorenne: per le Sezioni Unite sussiste la violenza sessuale

 

Cass. Sez. Un., 16 luglio 2020 (dep. 1 ottobre 2020), n. 27326

 

SOMMARIO: 1. La questione sottoposta alle Sezioni Unite – 2. La violenza sessuale per costrizione: brevi cenni – 3. L’abuso di autorità, tra passato e presente – 4. La tesi “estensiva” e la tesi “restrittiva” – 5. La decisione delle Sezioni Unite – 6. Violenza sessuale e atti sessuali con minorenni: considerazioni conclusive.

 

Abstract: Le Sezioni Unite penali sono state chiamate a risolvere un contrasto interpretativo di particolare rilevanza in tema di violenza sessuale. La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha stabilito che il concetto giuridico di abuso di autorità richiamato dall’art. 609 bis, primo comma, c.p. si riferisce alla posizione di preminenza del soggetto agente, anche di mero fatto o di natura negoziale e privata, attraverso cui si costringe la vittima a compiere o subire atti sessuali.

L’Autore, partendo dal significato della locuzione “abuso di autorità”, ripercorre gli orientamenti interpretativi che si sono contrapposti sia in dottrina sia in giurisprudenza, per poi giungere a conclusioni favorevoli alla decisione della Cassazione.

Infine, il presente contributo affronta le problematiche relative al rapporto intercorrente tra il delitto di violenza sessuale e quello di atti sessuali con minorenne, riconoscendo il merito alle Sezioni Unite di aver sottolineato che l’elemento di discrimen tra le due fattispecie è la condotta costrittiva, tipica del reato di cui all’art. 609 bis, primo comma c.p. e non presente invece in quello ex art. 609 quater c.p.

 

The article analyzes an Italian Supreme Court’s sentence aimed at resolving an interpretative contrast of relevance in the sexual violence’s field. With this sentence, the Supreme Court defined the legal concept of abuse of authority, provided by art. 609 bis, first paragraph of the Criminal Code.

This concept refers to the offender’s position of pre-eminence, even as mere fact, which force the victim to commit or suffer sexual acts.

The author, starting from the meaning of “abuse of authority”, analyzes the different interpretations of doctrine and jurisprudence, commenting favourably on the Supreme Court sentence.

Moreover, the article illustrates the relationship between the crimes of sexual violence and sexual acts against minors, commenting positively on the Supreme Court’s decision to highlight that the difference between the two cases is the constricting behaviour, typical of the crime of sexual child abuse (provided by Article 609 bis, first paragraph of the Criminal Code), while it is not present in the crime of sexual violence (Article 609 quater of the Criminal Code).

 

  1. La questione sottoposta alle Sezioni Unite

Con la sentenza in commento [1], le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono intervenute nuovamente[2] sul tema della violenza sessuale per dirimere un contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto l’esatta interpretazione del concetto di “abuso di autorità” di cui al primo comma dell’art. 609 bis c.p. In particolare, nell’ordinanza di rimessione[3] si chiede al Supremo Collegio di stabilire se la locuzione “abuso di autorità” vada confinata alle ipotesi di abuso di una formale posizione di potere pubblicistico – come quella del pubblico ufficiale nei confronti di un comune cittadino – oppure possa comprendere anche poteri di supremazia di natura privata, come ad esempio quelli di un insegnante privato nei confronti dei propri alunni.

La questione interpretativa che le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere riguarda, in primo luogo, l’estensione del terreno applicativo della fattispecie di violenza sessuale mediante abuso di autorità di cui all’art. 609 bis c.p. e, in secondo luogo, l’ambito di intervento del diverso reato di atti sessuali con minore di cui all’art. 609 quater c.p.

Infatti, come meglio si vedrà in seguito, se la vittima ha un’età inferiore ad anni diciotto, la soluzione al sueposto quesito può rilevare per delimitare i confini tra il reato di violenza sessuale e quello di atti sessuali con minorenne.

Il problema si gioca, quindi, intorno alla definizione del concetto di “abuso di autorità” o, ancor più precisamente, della sola nozione di “autorità” impiegata dall’art. 609 bis c.p. È tale solo quella formale e pubblicistica o vi rientrano anche posizioni privatistiche?[4]

 

  1. La violenza sessuale per costrizione: brevi cenni

 

Prima di procedere alla disamina dei contrapposti orientamenti giurisprudenziali, che hanno indotto la Terza Sezione della Corte di Cassazione a rimettere la questione alle Sezioni Unite, ci sembra opportuno soffermarsi sulla fattispecie di violenza sessuale ex art. 609 bis, primo comma, c.p. [5]

Anche definita come “violenza sessuale per costrizione” – per meglio distinguerla dalla fattispecie contemplata al secondo comma di “violenza sessuale per induzione” – la disposizione in esame punisce il soggetto che costringe la vittima, attraverso l’utilizzo di violenza, minaccia o abuso di autorità, a compiere o subire un atto sessuale.

Ma andiamo con ordine. L’art. 609 bis è stato inserito nel codice penale dalla novella n. 66 del 15 febbraio 1996 e incorpora diverse fattispecie criminose che nella precedente disciplina erano previste in autonomi articoli di legge.

In particolare, l’odierna violenza sessuale racchiude in sé i previgenti artt. 519 (violenza carnale), 520 (congiunzione carnale commessa con abuso delle qualità di pubblico ufficiale) e 521 (atti di libidine violenti), rimanendone espunti esclusivamente gli «atti sessuali con minorenne», autonomamente disciplinati dall’attuale art. 609 quater c.p.

Il nomen iuris  “violenza sessuale” raggruppa, quindi, una pluralità di fattispecie che, secondo autorevole dottrina, non sono accomunate dall’elemento della violenza, bensì dalla non attribuibilità degli atti sessuali al volere della vittima[6].

Vi è infatti una interrelazione sessuale illecita punibile ai sensi dell’art. 609 bis c.p. sia nel caso in cui il soggetto attivo operi contro la volontà della vittima, costringendola (mediante violenza o minaccia o abuso di autorità) a compiere atti sessuali, sia nel caso in cui carpisca il consenso della parte offesa con l’inganno (ad esempio mediante sostituzione di persona) o approfittando della sua condizione di inferiorità.

A tali casi normativamente previsti, occorre aggiungere le ipotesi di violenza sessuale di creazione giurisprudenziale, in cui il soggetto attivo del reato opera con il dissenso presunto (o meglio, in assenza del consenso) della vittima, compiendo atti sessuali c.d. a sorpresa (ad es., toccamenti repentini di zone erogene) o insidiosi (ad es., toccamenti abusivi del medico durante la visita)[7].

Pertanto, nel diritto vivente vi sono tre livelli di sopraffazione dell’altrui libertà sessuale, in cui la volontà della parte offesa si atteggia diversamente a seconda della modalità della condotta dell’agente.

Nel caso di violenza sessuale per costrizione, l’atto sessuale viene compiuto contro la volontà e, quindi, in presenza del dissenso della vittima[8].

Nell’ipotesi di violenza sessuale per induzione, vi è invece il consenso della vittima, ma questo è viziato in ragione dell’inganno o dell’abuso delle sue condizioni di inferiorità, attuato dal soggetto attivo[9].

Infine, nelle ipotesi di creazione giurisprudenziale sopra indicate, la vittima non è in grado nemmeno di acconsentire invalidamente o dissentire, in quanto non ha il tempo o le cognizioni per rendersi conto dell’altrui sopraffazione. Pertanto, l’atto sessuale viene compiuto dal soggetto attivo in assenza del consenso della parte offesa all’attività sessuale.

Rimanendo sul tema della violenza sessuale per costrizione si distingue tra costrizione mediante violenza, mediante minaccia e costrizione mediante abuso di autorità.   Se la violenza e la minaccia, quali modalità alternative di estrinsecazione della condotta costrittiva, non suscitano particolari perplessità ermeneutiche, al contrario il requisito dell’abuso di autorità ha sollevato la querelle esegetica su cui è chiamata a pronunciarsi proprio la Suprema Corte.

Infatti, oltre ad essere una delle più rilevanti novità introdotte dalla L. n. 66/1996, è l’ipotesi criminosa con il maggiore coefficiente di indeterminatezza e, di conseguenza, quella che presenta le maggiori difficoltà interpretative. Vediamone le ragioni.

 

  1. L’abuso di autorità, tra passato e presente

Si è soliti affermare che il delitto di violenza sessuale costrittiva mediante abuso di autorità «ritrovi una sua ascendenza diretta, sia pur non del tutto limpida, nell’illecito di cui all’abrogato art. 520 c.p.»[10].

In realtà, come è stato acutamente osservato, la fattispecie in esame ha poco in comune con i suoi immediati precedenti storici, rappresentati dagli artt. 520 e 521 c.p. (quest’ultimo per la parte in cui si riferisce agli atti di libidine con abuso della qualità di pubblico ufficiale), anche se è innegabile che fra i predetti illeciti e l’attuale ipotesi criminosa vi sia una parziale continuità, essendo quest’ultima «molto più ampia ma, allo stesso tempo, più ristretta»[11].  Questo apparente ossimoro[12] consegue dal fatto che la nuova fattispecie ha una sfera di operatività molto più ampia, sia sul versante oggettivo che su quello soggettivo, ma, allo stesso tempo, più ristretta, in quanto l’abuso è, ora, a differenza del passato, elemento costitutivo della fattispecie.

Infatti, il “vecchio” articolo 520 c.p. prevedeva come fattispecie autonoma di reato la condotta del pubblico ufficiale che, fuori dai casi previsti nell’articolo 519 c.p., si congiungesse carnalmente con una persona arrestata o detenuta, di cui avesse la custodia in ragione del suo ufficio, ovvero con persona a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità competente; a tale ipotesi si equiparava la condotta del pubblico ufficiale che fosse rivestito, per ragione del suo ufficio, di qualsiasi autorità su persone che si trovassero in una delle situazioni precedentemente elencate, comportanti uno stato di restrizione della libertà personale. Tale fattispecie si poneva come ipotesi criminosa sussidiaria rispetto a quella prevista dall’articolo 519 c.p., sicché, qualora fossero ricorsi tutti gli elementi costitutivi di quest’ultimo, il soggetto, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, sarebbe stato chiamato a rispondere del delitto di violenza carnale. Queste peculiarità trovavano la loro spiegazione nel bene giuridico tutelato dalla norma in questione, da rinvenirsi non nella libertà e inviolabilità sessuale della vittima, bensì nella correttezza del rapporto tra pubblico ufficiale e cittadino; un interesse, pertanto, di carattere prettamente pubblicistico, rispetto al quale la volontà anche favorevole del soggetto passivo alla consumazione del rapporto era da considerarsi irrilevante.

Inoltre l’art. 520 c.p., pur essendo rubricato come «congiunzione carnale con abuso della qualità di pubblico ufficiale», non prevedeva alcuna forma di abuso da parte del pubblico ufficiale, il quale rispondeva del delitto per il semplice fatto di congiungersi carnalmente con la persona detenuta o arrestata (e anche nel caso in cui era la «vittima» a sedurre il carceriere) e purché il fatto non fosse commesso usando i mezzi o valendosi delle condizioni di cui all’art. 519 c.p.[13].

Tale assetto è stato ritenuto dal legislatore del 1996 non conforme al nuovo bene giuridico protetto in materia di reati sessuali.

Infatti, dai lavori preparatori emerge chiaramente la volontà da parte del legislatore di tutelare la libertà sessuale del soggetto debole nell’ambito di rapporti interpersonali connotati da una forte posizione di supremazia di un altro soggetto, a cominciare quindi dai rapporti di lavoro e di famiglia[14].  Il delitto in esame, quindi, nell’attuale versione, ha un obiettivo di tutela ben più ampio rispetto a quello di proteggere la libertà sessuale dei soggetti in stato di detenzione, esso mira infatti a tutelare la dignità della persona nella sua dimensione sessuale: cioè, «il diritto di ciascuno a non essere ridotto al rango di un oggetto alla mercé dei desideri sessuali altrui»[15].

Rispetto all’abrogato articolo 520 c.p. la nuova normativa ha inoltre rimosso ogni specificazione circa il soggetto attivo e passivo del reato, limitandosi a prevedere che tra i due intercorra un rapporto di tipo autoritativo; l’eventuale stato di restrizione della libertà personale in cui versi la vittima costituisce invece circostanza aggravante del reato di violenza sessuale (in tutte le sue possibili modalità di consumazione) ai sensi dell’articolo 609 ter, n. 4, c.p.

Infine, è stata eliminata la presunzione di violenza ai danni della persona sottoposta all’autorità dell’agente, stabilendosi che la condotta di questi possa essere sanzionata solo quando connotata da costrizione (e quindi in presenza di un dissenso del soggetto passivo al compimento dell’atto sessuale) o attuata mediante abuso di autorità.

Tuttavia, la voluntas legis non è stata compiutamente formulata in norme intelligibili, tant’è che autorevole dottrina ritiene tale ipotesi di «dubbia utilità, di incerta interpretazione, foriera anch’essa delle ormai croniche difformità giurisprudenziali»[16].

Altra parte della dottrina ne afferma, in buona sostanza, la totale inutilità, non essendo altro che una «superfetazione» della violenza sessuale mediante minaccia, in quanto un abuso che costringe non può non estrinsecarsi che con modalità equiparabili alla violenza psichica[17].

Si è anche sostenuto, partendo dalla premessa che «senza un’autentica vis non si ha autentica “costrizione” ma soltanto “induzione”», che il legislatore ha erroneamente utilizzato il termine «costrizione» e che tale termine dev’essere interpretativamente sostituito da quello di «induzione». Conseguentemente l’abuso di autorità previsto dall’art. 609 bis c.p. sarebbe in realtà un abuso di tipo induttivo, non violento[18].

Tuttavia, il dato legislativo sembra insuperabile, non potendosi trasformare un’ipotesi di abuso sessuale per costrizione in una di abuso sessuale per induzione.

In primo luogo, per la chiara scelta del legislatore, il quale ha inserito l’ipotesi dell’abuso di autorità a fianco delle altre due modalità di coartazione della volontà per antonomasia, ossia la violenza e la minaccia[19].

Tale scelta è ulteriormente confermata dalla presenza di ben precise fattispecie di violenza sessuale per induzione, descritte nel secondo comma dell’articolo in esame, ossia l’abuso delle condizioni di inferiorità psico-fisiche e la sostituzione ingannevole di persona[20].

Quindi il legislatore aveva ben chiaro la summa divisio fra costrizione ed induzione ed ha coscientemente optato per l’inserimento dell’abuso di autorità nell’ambito della violenza sessuale per costrizione, ossia della violenza sessuale commessa contro la volontà della vittima.

Possiamo quindi affermare che l’abuso di autorità è, un mezzo di coartazione dell’altrui volontà, alternativo alla violenza o alla minaccia, mediante il quale soggetto attivo costringe la parte offesa a compiere o subire atti sessuali[21].

 

  1. La tesi “estensiva” e la tesi “restrittiva”

In assenza di una specifica definizione legislativa, il concetto di abuso di autorità è stato per anni al centro di un acceso dibattito che ha coinvolto sia la dottrina che la giurisprudenza.

Problematico è risultato, innanzitutto, il significato da attribuire all’espressione «autorità», della quale il soggetto attivo dovrebbe abusare. Sul punto, in dottrina, sono maturate due tesi contrapposte: una tesi “estensiva” e una “restrittiva”.

I sostenitori della tesi estensiva[22] concordano nell’affermare che la nozione di autorità comprenda sia l’autorità pubblica (cioè l’insieme dei poteri riconosciuti ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio), sia l’autorità privata.

A favore di questa interpretazione vi è, oltre alla lettera della legge che non prevede limitazioni di sorta alla nozione di autorità, l’argomento sistematico: infatti, nel codice penale, quando si parla in generale di abuso di autorità (come ad esempio nell’art. 61 n.11 c.p.), ci si riferisce a rapporti di natura privatistica che vanno dalla potestà genitoriale ai rapporti di tutela o di educazione, per finire a quelli fra datore di lavoro e lavoratore[23].

Tuttavia, secondo i sostenitori di tale teoria, affinché si possa parlare di autorità – e non di mera soggezione – il potere del reo sulla vittima deve trovare la propria fonte nella legge. Il concetto di autorità, infatti, evoca una situazione nella quale un soggetto si trova in una posizione di supremazia nei confronti dell’altro, essendo per legge dotato del potere di prendere decisioni che incidono nella sfera giuridica di quest’ultimo. Del resto, solo un potere così qualificato – cioè giuridicamente riconosciuto – è tale da poter determinare nella vittima una vera e propria costrizione a compiere o a subire l’atto sessuale[24].

Al coro di voci a sostegno della nozione estensiva di autorità, si contrappone una tesi minoritaria[25], che si è schierata a favore di un’interpretazione restrittiva della locuzione in esame: ai sensi dell’art. 609 bis c.p., è negata la rilevanza penale di qualsiasi forma (sia essa giuridica o di fatto) di autorità privatistica. Tale interpretazione, secondo questo orientamento, anche se disfunzionale alla possibilità di riconoscere alla disposizione un ambito di operatività rispondente alle sue stesse ragioni di esistenza, sarebbe imposta – principalmente – dal rispetto del principio costituzionale di tassatività, che impone all’interprete di accogliere, fra le possibili, l’unica interpretazione in grado di descrivere con sufficiente precisione il fatto tipico.

Tra le due tesi, quella che ha avuto maggiore seguito – e che ci sentiamo di accogliere – è quella secondo cui la locuzione di “autorità” debba essere riferita sia a quella pubblica che a quella privata, sulla base di una semplice ragione sistematica: quando il legislatore intende dar conto di una posizione di potere esclusivamente pubblicistica, lo dice espressamente (così come accade nell’art. 61 n. 9 c.p.), mentre impiega normalmente il termine autorità in riferimento a situazioni anche di diritto privato.

Per quanto riguarda la giurisprudenza, è bene evidenziare che inizialmente aveva chiaramente aderito alla tesi “restrittiva” e soltanto negli ultimi anni la Cassazione ha operato un overruling dei suoi precedenti, riconoscendo la rilevanza penale di abusi di autorità di natura privatistica.

La Suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, nella sentenza in commento, ha magistralmente ripercorso le pronunce più importanti inerenti agli orientamenti interpretativi contrapposti, mettendone in evidenza gli aspetti caratterizzanti.

A sostegno della tesi “restrittiva” e più risalente, i Giudici citano la sentenza n. 12 del 2000[26], in cui le stesse Sezioni Unite, dando soluzione ad una questione relativa all’art. 609 ter c.p., avevano affermato, seppur in via incidentale, che l’abuso di autorità di cui all’art. 609 bis, primo comma, c.p. presupponeva nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in quanto l’art. 609-bis c.p. aveva sostituito il precedente art. 520 c.p. che già contemplava l’abuso della qualità di pubblico ufficiale. Pertanto, la Cassazione aveva escluso l’applicabilità della disposizione richiamata nei confronti di un insegnante privato che aveva compiuto atti sessuali con un minore di anni sedici, a lui affidato per ragioni di istruzione ed educazione e, di contro, aveva ritenuto corretta la qualificazione del fatto – operata dai giudici di merito – in atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609 quater c.p.

Tale orientamento è stato confermato anche in una diversa pronuncia[27] – peraltro successiva all’entrata in vigore della legge 6 febbraio 2006, n. 38[28] che aveva introdotto un nuovo comma nell’art. 609 quater c.p. – in cui la Suprema Corte ha osservato che, «considerando l’abuso di autorità riferibile anche a poteri di carattere privatistico, verrebbe meno la possibilità di distinguere l’ipotesi di reato contemplata dall’art. 609 bis, primo comma, c.p. dall’ipotesi di rapporto sessuale con abuso di potere parentale o tutorio ora previsto dall’art. 609 quater, secondo comma, c.p.”[29] In pratica, interpretando la posizione di autorità di cui all’art. 609-bis c.p. in senso anche non pubblicistico e, dunque, ricomprendente ipotesi di abuso di autorità di carattere privatistico e familiare, si sarebbe giunti ad una implicita abrogazione della disposizione di cui all’art. 609-quater, comma secondo, c.p.[30].

Come ha evidenziato il Supremo Collegio, su questa  stessa linea interpretativa si sono poste anche altre successive pronunce[31],  aventi ad oggetto violenze sessuali commesse da soggetti rivestenti la qualifica di pubblico ufficiale, che hanno ribadito la natura formale e pubblicistica della posizione autoritativa dell’agente, precisando, tra l’altro, che «l’abuso di autorità consiste nella strumentalizzazione del proprio potere, realizzato attraverso una subordinazione psicologica tale per cui la vittima viene costretta al rapporto sessuale, risolvendosi, pertanto in una vera e propria costrizione che non può essere desunta, in via meramente presuntiva, sulla base della posizione autoritativa del soggetto agente»[32].

Passando poi ad esaminare il diverso orientamento interpretativo, le Sezioni Unite hanno evidenziato come la tesi “estensiva” inizia a farsi strada a partire dal 2009. In particolare, nella sentenza n. 23873/2009, la Cassazione aveva dato conto del formarsi di un «diverso orientamento che colloca nell’ambito dell’abuso di autorità ogni forma di strumentalizzazione del rapporto di supremazia, senza distinzioni tra autorità pubblica e privata» e aveva ritenuto integrato il delitto di violenza sessuale in un caso di abuso della potestà genitoriale, assumendo a fondamento del proprio ragionamento il concetto di “autorità” così come espresso dall’art. 61 n. 11 c.p.

Detta disposizione, che prevede come aggravante (comune) il fatto di realizzare la condotta criminosa con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero di relazioni d’ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità, è sempre stata interpretata dalla giurisprudenza in modo molto ampio, tale da ricomprendere sia posizioni autoritative pubblicistiche sia posizioni di natura privata. Peraltro, si osserva nella sentenza, che dove il legislatore ha voluto far riferimento a posizioni autoritative pubblicistiche ha usato espressamente concetti come quelli di “pubblico ufficiale”, di cui si fa menzione nell’abrogato art. 520 c.p., ma non nell’art. 609 bis c.p.

Inoltre, in una successiva sentenza[33], la Corte ha avuto modo di confutare anche le argomentazioni secondo le quali l’interpretazione estensiva del concetto di autorità di cui all’art. 609 bis c.p. avrebbe portato all’abrogazione implicita dell’art. 609 quater, comma secondo, c.p.

La Cassazione ha, infatti, affermato che, oltre all’utilizzo di espressioni diverse (l’art. 609 bis c.p. fa riferimento al concetto di “abuso di autorità”, mentre l’art. 609 quater c.p. a quello di “abuso di poteri”), il delitto di atti sessuali con minorenne si caratterizza per l’assenza di costrizione, richiesta, invece, per la configurabilità della fattispecie di violenza sessuale[34].

 

  1. La decisione delle Sezioni Unite

Al termine della disamina giurisprudenziale qui sintetizzata, la Cassazione ha ritenuto non condivisibili gli argomenti alla base dell’orientamento interpretativo maggiormente restrittivo del concetto di abuso di autorità.

I giudici di legittimità, in perfetta opposizione con quanto sostenuto dalle Sezioni Unite del 2000, hanno ritenuto non determinante il riferimento alle abrogate disposizioni di cui agli artt. 519 e 520 c.p., rispetto alle quali le disposizioni attualmente vigenti sarebbero del tutto scollegate.

Al contrario, viene evidenziato come la collocazione della fattispecie di violenza sessuale tra i reati contro la libertà personale e la pacifica natura di reato comune renderebbero evidente l’intenzione del legislatore di ampliare l’ambito di applicabilità dell’art. 609 bis c.p., svincolandolo dal riferimento alla figura del pubblico ufficiale, di cui al previgente art. 520 c.p. ma tuttora previsto in altre disposizioni, come nell’art. 608 c.p., concernente l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti[35].

Quindi, in linea con quanto affermato dalla Suprema Corte, possiamo sostenere che la soluzione estensiva è la più conforme alla ratio della norma incriminatrice, che è quella di tutelare la sfera di libertà sessuale della vittima rispetto a intrusioni poste in essere da chiunque con specifiche modalità.

Tuttavia, le Sezioni Unite evidenziano che negare che la condotta abusiva debba necessariamente avere ad oggetto poteri pubblicistici, non significa consentire l’incriminazione a titolo di violenza sessuale di ogni atto sessuale commesso con qualsiasi abuso di potere, poiché occorre comunque accertare che l’abuso sia stato strumentale a costringere la vittima a compiere o subire quell’atto sessuale.

Inoltre, come ulteriore argomento a sostegno della tesi “estensiva”, la Cassazione ha osservato come il concetto di autorità sia pacificamente interpretato in senso ampio, ricomprendente cioè posizioni di preminenza non necessariamente di derivazione pubblicistica, anche in altre disposizioni, come quelle di cui all’art. 61 n. 11 c.p., nonché agli artt. 571, 600 e 601 c.p.

D’altronde, è stato evidenziato in dottrina come, seppur l’accezione di “autorità” più comune in ambito giuridico, e soprattutto nel diritto amministrativo, sia quella pubblicistica, riferita al potere esercitato dalla pubblica amministrazione nei confronti dei privati; è altrettanto indubbio che il significato letterale dell’espressione comprenda al proprio interno anche qualunque «azione determinante che la volontà di una persona esercita (per forza propria, per consenso comune, per tradizione, ecc.) sulla volontà e sullo spirito di altre persone»[36].

Sul punto, dunque, la soluzione prospettata dalla Corte si presenta quale mera interpretazione estensiva della norma di legge, non preclusa dal divieto di analogia in malam partem [37].

Inoltre, preme sottolineare che la questione su cui le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi, ha il pregio non solo di fornire un’esatta, precisa e puntuale definizione della nozione di “abuso di autorità” ma, di riflesso, consente di tracciare confini più netti rispetto al delitto di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p.

La fattispecie de quo si ritiene sussistente ogni qual volta l’agente compia atti sessuali, senza costrizione, con minorenni il cui consenso risulta viziato dal mancato raggiungimento dell’età anagrafica richiesta dalla norma penale incriminatrice.

Da questo punto di vista, come giustamente è stato rilevato nella sentenza in esame, non sembra potersi affermare che tanto più si estende il concetto di “abuso di autorità” rilevante ai fini dell’art. 609 bis c.p., ricomprendendovi anche l’autorità privatistica esercitata dai soggetti agenti cui fa riferimento l’art. 609 quater c.p., tanto più il campo di applicazione di questo secondo reato per ciò solo si restringe. L’applicazione di questa seconda fattispecie, infatti, è e rimane confinata a quelle ipotesi in cui il particolare rapporto intercorrente tra l’agente e la vittima non sia scaturito in una condizione di “costrizione” del minore all’atto sessuale. Occorre cioè che l’atto del minore sia esplicitamente o implicitamente consenziente, sebbene quel consenso venga presunto invalido dall’ordinamento, in ragione della minore età del soggetto che lo presta. Invece, il consenso della vittima all’atto sessuale, ancorché violento, fa venire meno la tipicità del fatto di cui all’art. 609 bis , comma primo, c.p., giacché il costringimento sottende per definizione un’assenza di volontà[38].

In questo senso, l’individuazione del confine tra le fattispecie di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. e di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609 quater c.p. sembra richiedere un rigoroso accertamento del requisito oggettivo della costrizione della vittima e della forma vincolata della condotta, ancor più e ancor prima che una selezione sul piano del tipo di autorità (pubblicistica o privatistica) esercitata dall’agente.

A ben vedere, quindi, come ha sottolineato la Corte, è proprio la condotta costrittiva a fungere da discrimen tra la fattispecie di violenza sessuale, come descritta all’art. 609 bis, primo comma, c.p. e quella di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p., a prescindere da possibili profili pubblicistici dell’”abuso di autorità” del soggetto attivo.

 

  1. Violenza sessuale e atti sessuali con minorenni: considerazioni conclusive.

In conclusione, riteniamo che la sentenza in commento meriti di essere apprezzata per due ordini di ragioni.

Da un lato, perché segna il punto di svolta in un dibattito andato avanti per anni, che sembrava non avere una soluzione. Possiamo, infatti, escludere una volta per tutte che l’autorità di cui l’agente abusa per commettere il reato di violenza sessuale abbia soltanto natura formale e pubblicistica. Come è ovvio, però, detta autorità deve essere provata in maniera inequivoca mediante un’analisi concreta della dinamica dei fatti diretta a porre in luce un effettivo rapporto di soggezione intercorrente tra il soggetto agente e la vittima della violenza.

Il mancato riconoscimento alla condotta abusiva di tratti pubblicistici, infatti, non equivale ad estendere sic et simpliciter l’area dell’illiceità penale e a consentire l’incriminazione a titolo di violenza sessuale di ogni atto commesso con abuso di autorità, ma è pur sempre necessario che tale abuso sia strumentale a costringere la vittima a compiere o subire atti sessuali[39].

L’altro grande merito della sentenza in esame, come abbiamo pocanzi anticipato, è quello di aver tracciato una chiara linea di confine tra il delitto di violenza sessuale e quello di atti sessuali con minorenni.

Quest’ultima fattispecie, giova ripeterlo, si configura anche se l’adulto non esercita alcuna “pressione” psicologica sul minore per costringerlo ad avere rapporti. Questo perché, come è stato sostenuto[40],  la norma tutela l’integrità psico-fisica del minore, per garantirgli il corretto sviluppo della sfera sessuale, non la sua libertà di autodeterminazione. Non rileva, quindi, che il minore sia consenziente e si dimostri emancipato e smaliziato al punto da sollecitare i contatti sessuali.

Accade spesso che venga contestato il reato di cui all’art. 609 quater, primo comma, c.p. ogni qual volta sia coinvolto un soggetto minore degli anni quattordici negli atti sessuali compiuti a suo danno.

È evidente che questa non è un’interpretazione fedele della norma incriminatrice, laddove, come si rileva dalla chiara e inequivocabile lettura del primo comma, il reato di atti sessuali con minorenni deve ritenersi configurato “fuori dalle ipotesi” di cui alla violenza sessuale.

Ne discende che il delitto in esame viene integrato senza il ricorso alla violenza o minaccia, senza abuso di autorità e comunque quando non vi sia stato costringimento della persona offesa, né abuso previa induzione; tutte fattispecie, queste, previste dall’art. 609 bis c.p.

Prima dell’entrata in vigore della legge c.d. Codice Rosso, qualificare un fatto come violenza sessuale o come atti sessuali con minorenne aveva delle importanti ricadute sul tema della procedibilità[41].

Infatti, mentre il delitto di cui all’art. 609 quater c.p. era procedibile, di regola, a querela di parte, tranne in casi eccezionali tassativamente previsti, al contrario, il delitto di violenza sessuale nei confronti di persone minori degli anni quattordici, oltre che essere aggravato ai sensi dell’art. 609 ter n.1 c.p., era procedibile d’ufficio ex art. 609 septies, quarto comma, n.1 c.p.

All’indomani dell’entrata in vigore della suddetta Legge, il minore di anni diciotto è sempre considerato vittima del reato, sia che assista alla violenza sia che la subisca; inoltre, per gli atti sessuali con minorenni la procedibilità è sempre d’ufficio, non essendo più necessaria la presentazione della querela da parte dei genitori[42].

Ad ogni modo, a prescindere dagli effetti sulla procedibilità, è fondamentale tenere a mente che l’elemento discriminante tra il reato di atti sessuali con minorenni e il reato di violenza sessuale è senza dubbio l’assenza di consenso in quest’ultimo e la presenza dello stesso nel delitto previsto dall’art. 609 quater  c.p.

 

[1] Sezioni Unite, 1° ottobre 2020 (ud. 16 luglio 2020), n. 27326. I fatti da cui ha origine la questione rimessa al Supremo Consesso riguardano un insegnante privato di lingua inglese che costringeva, mediante abuso di autorità, due studentesse di età inferiore ad anni quattordici a subire e a compiere su di lui atti sessuali. Nell’originario assunto accusatorio, infatti, si contestava al prevenuto il delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis, I comma, c.p. aggravato ex art. 609 ter, I comma, n. 1 c.p., per aver commesso il fatto nei confronti di soggetti minori di anni quattordici.

Con sentenza del 22 gennaio 2015, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Enna riqualificava i fatti di cui all’originaria incolpazione in atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater, 4 comma, c.p., ritenendo modesto il grado di violenza e offensività insito nei comportamenti accertati ed escludendo l’aggravante di cui all’art. 609 ter, I comma, n. 1 c.p. non ritenendola applicabile all’insegnante privato.

La Corte d’Appello di Caltanisetta, invece, valorizzando l’originario costrutto accusatorio, condannava l’imputato per il reato di violenza sessuale ex art. 609 bis, I comma, c.p. aggravata ai sensi dell’art. 609 ter, I comma, n. 1, c.p. con conseguente aggravio del trattamento sanzionatorio.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, lamentando l’erronea applicazione degli artt. 609 bis e 609 quater c.p. in quanto “l’abuso di autorità” quale modalità della condotta del reato di violenza sessuale presuppone una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale deve trovare applicazione la fattispecie meno grave di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p.

[2] La prima volta che le Sezioni Unite sono intervenute sul tema della violenza sessuale risale al 2000 con la sentenza Bove, n. 13 del 31.05.2000. Per un commento alla sentenza, G. Marra, La nozione di sfruttamento nel delitto di pornografia minorile e la “terza via” delle Sezioni Unite, in Cass. Pen., 2/2001, p. 193 ss.

[3] Cass. Pen. Sez. III, ordinanza del 4 ottobre 2019 (dep. 24 gennaio 2020), n. 2888.

[4] S. Finocchiaro, L’abuso di autorità dell’insegnante privato tra violenza sessuale (art. 609-bis) e atti sessuali con minorenne (art. 609-quater): la parola alle Sezioni unite, in Sistema penale, 20 febbraio 2020.

[5] Numerosi sono gli Autori che si sono dedicati all’esame del presente articolo dopo la riforma del 1996, di seguito un elenco, senza pretesa di esaustività: G. Ambrosini, Le nuove norme sulla violenza sessuale, Torino, 1997, p. 11 ss.; Id., voce Violenza sessuale, in Dig. disc. pen., IV ed., XV, Torino, 1999, p. 286 ss.; F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, I, XIII ed., integrata ed aggiornata a cura di L. Conti, Milano, 1999, p. 171 ss.; G. Balbi, voce Violenza sessuale, in Enc. giur. Treccani, vol. VII aggiorn., Roma, 1999, p. 1 ss. (estratto); M. Bertolino, La riforma dei reati di violenza sessuale, in Studium juris, 1996, p. 403 ss.; Id., Garantismo e scopi di tutela nella nuova disciplina dei reati di violenza sessuale, in Jus, 1997, p. 51 ss.; Id., La tutela penale della persona nella disciplina dei reati sessuali, in L. Fioravanti (a cura di), La tutela penale delle persona. Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano, 2001, p. 159 ss.; D. Brunelli, Bene giuridico e politica criminale nella riforma dei reati a sfondo sessuale, in F. Coppi (a cura di), I reati sessuali, Torino, 2000, p. 25 ss.; M. Bruno, Su violenza sessuale e atti di corruzione in danno di minori, in Giur. merito, 2001, II, p. 466 ss.; A. Cadoppi (a cura di), La violenza sessuale a cinque anni dall’entrata in vigore della legge n. 66/96. Profili giuridici e criminologici, Padova, 2001; Id., La violenza sessuale tra esigenze politico-criminali e limiti della scienza della legislazione penale, in L. Fioravanti (a cura di), La tutela penale della persona, cit., p. 199 ss.; F. Mavilla, Il comune senso del pudore tra moralità pubblica e libertà della persona: riflessioni alla luce della nuova legge sulla violenza sessuale, in Giust. pen., 1998, II, c. 206.

V., inoltre, fra i commentari e le rassegne di giurisprudenza sul codice penale: A. Crespi – F. Stella – G. Zuccala’, Commentario breve al Codice penale, III ed., Padova, 1999, p. 1691 ss.; G. Lattanzi – E. Lupo (a cura di), Esposizione sistematica di dottrina e di giurisprudenza sul codice penale, Milano, 2000, p. 590 ss.; G. Marinucci – E. Dolcini (a cura di), Codice penale commentato, vol. II, Milano, 1999, p. 3163 ss.; T. Padovani (a cura di), Codice penale, II ed., Milano, 2000, p. 2626 ss.; P. Pisa, Giurisprudenza commentata di diritto penale. Delitti contro la persona, contro il patrimonio e in materia di stupefacenti, III ed., Padova, 1999, p. 309 ss.

[6] Così F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale: i delitti contro la libertà e l’intangibilità sessuale, Padova, 1998, p. 25, il quale sottolinea che il legislatore continua «ad incentrare l’ipotesi base della criminalità sessuale sull’ossessione della violenza» persistendo «nel “pasticcio” di raccogliere (…) ipotesi che hanno in comune non la vis, ma l’atto sessuale non libero, perché carpito con violenza fisica o psichica, con l’abuso o con l’inganno». Cfr. anche A. Pecoraro Albani, Violenza sessuale e arbitrio del legislatore, Napoli, 1997, p. 22, il quale, partendo dalla definizione di libertà sessuale come «diritto a non subire l’altrui sopraffazione sessuale», ha evidenziato che «si ha sopraffazione sia verso chi, potendo esprimere il consenso, lo rifiuta, resistendo all’altrui violenza, sia verso chi non è in grado di consentire, per ragioni naturali, oppure per la giuridica irrilevanza del suo consenso».

[7] Dal 1996 ad oggi, la giurisprudenza ha riconosciuto integrata la violenza in ipotesi di atti sessuali compiuti “repentinamente” o “a sorpresa”: si tratta nella maggior parte dei casi, di condotte moleste perpetrate approfittando di luoghi affollati, o in particolari condizioni di esposizione della vittima (“la mano morta” sui mezzi pubblici, il palpeggiamento di alunne o pazienti et similia). Sul punto cfr. Cass. Pen. Sez. III, 24 novembre 2000, n. 3990, in CED n. 218540; Cass. pen. Sez. III, 30 marzo 2000, n. 1405, in CED n. 216073; Cass. pen. Sez. III, 24 ottobre 2001, n. 44165, in CED n. 220413; Cass. pen. Sez. III, 26 ottobre 2011, n. 45950, in CED n. 251339; Cass. pen. Sez. VI, 04 novembre 2010, n. 8894, in CED n. 249652; solo per citarne alcune.

[8] Il dissenso potrà durare per l’intera vicenda, oppure potrà essere solo presente all’inizio, o solo alla fine. In tutti i casi, per la giurisprudenza prevalente, vi sarà “costrizione”: «In tema di reati contro la libertà sessuale, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all’art. 609 bis c.p. la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga meno in itinere a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’amplesso» (Cass. Pen. Sez. III, 24 febbraio 2004, Guzzardi, CED n. 228687); E ancora: «In tema di libertà sessuale non è necessario che il dissenso della vittima si manifesti per tutto il periodo di esecuzione del delitto, essendo sufficiente che si estrinsechi all’inizio della condotta antigiuridica. Conseguentemente gli imputati non possono invocare a loro giustificazione di aver agito in presenza di un consenso dell’avente diritto, tacito o presunto, stante la tempestiva reazione della vittima nel momento iniziale» (Cass. Pen. Sez. III, 21 gennaio 2000, Scotti, CED n. 215697). Su quest’ultima sentenza si veda la nota di C. Pavarini, Il mero dissenso della vittima nella violenza sessuale: profili di diritto italiano e anglosassone, in Indice pen., 2002, p. 771 ss., con riferimenti comparatistici al diritto inglese.

[9] Sulla violenza sessuale per induzione cfr. ex plurimis: S. Beltrani – R. Marino, Le nuove norme sulla violenza sessuale (commento sistematico alla L. 15.02.96 n. 66), Napoli, 1996, p. 45; M. Bertolino, Sub art. 609 bis, in Crespi, Zuccalà, Forti (a cura di) Commentario Breve al codice penale, 5ª ed., Padova, 2008, p. 1678; A. Cadoppi, Sub art. 609 bis, p. 520; F. Cingari, Violenza sessuale nei confronti di una persona malata di mente, in Dir. pen. e proc., 2000, p. 231; P. Gallina Fiorentini, Violenza carnale presunta ed infermità di mente, in Riv. It. Med. Leg. 1982, p. 357; V. Musacchio, Il delitto di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) Padova, 1999, p. 51 ss.; F. Testa, Violenza sessuale e inferiorità psichica, in Indice Penale, 2001, p. 1295.

[10]A. Cadoppi, Commentario delle norme contro la violenza sessuale e la pedofilia, Padova, 2006, p. 512.

[11] F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale: i delitti contro la libertà e l’intangibilità sessuale, cit., p. 34.

[12]Come viene definito da S.R. Palumbieri, Violenza sessuale, in A. Cadoppi – S. Canestrari – M. Papa, (a cura di), I reati contro la persona. Reati contro la libertà sessuale e lo sviluppo psico –fisico dei minori, III vol., Milano, 2006, p. 48 ss.

[13] S. R. Palumbieri, Il reato di violenza sessuale in G. Bonilini – M. Confortini, Codice ipertestuale della famiglia. Commentario con banca dati di giurisprudenza e legislazione, Milano, 2009, p. 3517.

[14]  Vedi sul punto F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale: i delitti contro la libertà e l’intangibilità sessuale, cit., p.357; A. Cadoppi, Commentario delle norme contro la violenza sessuale e la pedofilia, cit., p. 513; A. Pecoraro Albani, Violenza sessuale e arbitrio del legislatore, cit., p. 53 ss.

[15] E. Dolcini – G. L. Gatta, Codice Penale commentato, III tomo, Milano 2015, p. 328.

[16] F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale: i delitti contro la libertà e l’intangibilità sessuale, cit., p. 358.

[17] In tal senso v. A. Nappi, Commento alle nuove norme contro la violenza sessuale, in Giust. Pen., 1996, fasc. 8, p. 3, secondo il quale l’abuso di autorità è «un’ipotesi particolare di violenza morale, certamente riconducibile al concetto di minaccia» in quanto trattasi di un abuso che deve costringere e non soltanto indurre la vittima a subire l’atto sessuale; F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte Speciale, vol. I, XVI ed., Milano, 2016, p. 179, il quale afferma che «anche l’abuso di autorità che costringe all’atto sessuale non voluto è una forma di violenza morale: pertanto l’espresso richiamo della legge accanto alla violenza o minaccia è stato inserito dal legislatore soltanto per eliminare possibili dubbi».

[18] Così Mantovani, Diritto penale. I delitti contro la libertà sessuale, cit., p. 360. Altra parte della dottrina si limita ad eliminare l’elemento della costrizione dal fatto tipico, ritenendo l’abuso di autorità «una realtà giuridicamente diversa dalla costrizione, fisica o morale, dalla induzione, dall’inganno (…) l’abuso di autorità nel campo della sessualità si fonda sulla particolare situazione psicologica in cui viene a trovarsi la parte soccombente (es. donna), in quanto soggetta alla superiorità dell’autocrate. Questi sfrutta, profitta di tale situazione da lui creata al fine di conseguire il rapporto sessuale. Pertanto detto abuso va inquadrato nella categoria, come già ricordato, dell’abuso sessuale (es. verso i minori, gli handicappati, ecc.)», così A. Pecoraro Albani, Violenza sessuale e arbitrio del legislatore, cit., p. 126, il quale definisce l’abuso sessuale come «il mancato rispetto dell’agente verso le persone che si trovino nelle sopra menzionate condizioni o circostanze, l’odioso e spregevole sfruttamento, approfittamento di tali condizioni per compiere squallidi atti libidici. In particolare, è da ricordare che l’abuso in questione è punito pur quando la persona protetta avesse manifestato il suo consenso all’atto, anzi avesse richiesto, sollecitato tale atto».

[19] S.R. Palumbieri, Violenza sessuale, in A. Cadoppi – S. Canestrari – M. Papa, (a cura di), I reati contro la persona. Reati contro la libertà sessuale e lo sviluppo psico –fisico dei minori, cit., p. 74.

[20] In tal senso, tra gli altri, Del Corso, Sub art. 3, in Leg. pen., 1996, p. 437.

[21]Così, tra gli altri, A. Cadoppi, Commentario delle norme contro la violenza sessuale e la pedofilia, cit., p. 512.

[22] Ex plurimis: F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte Speciale, cit., p. 177; A. Cadoppi, I reati contro la libertà sessuale e lo sviluppo psico – fisico dei minori, III vol., Torino, 2006, p. 511; Del Corso, Art. 3, cit., p. 436; G. Fiandaca, Violenza sessuale, in Enc. dir., 2000, p. 1153; F. Mantovani, Diritto penale. I delitti contro la libertà sessuale, cit., p. 360; Approfondimenti sul tema anche in A. Pecoraro Albani, Violenza sessuale e arbitrio del legislatore, cit. p.125 S. Proverbio – M. Vizzardi, Commento all’art. 609 octies, in B. Romano, La tutela penale della sfera sessuale. Indagine alla luce delle recenti norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia La tutela penale, Milano, 2000, p. 4220.

[23]Così A. Cadoppi, Commentario delle norme contro la violenza sessuale e la pedofilia, cit., p.510; Cfr. F. Mantovani, Diritto penale. I delitti contro la libertà sessuale, cit., p. 35, il quale utilizza gli artt. 571 e 572 c.p. come spunti sistematici; tuttavia, come vedremo a breve, l’Autore non include nella nozione di autorità la mera «autorità di fatto»; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Milano, 1987, p. 579.

[24] M. Vizzardi, La violenza sessuale, in G. Marinucci – E. Dolcini (a cura di), Trattato di diritto penale. Parte Speciale, Milano, 2015.

[25] L’esponente di tale orientamento è G. Balbi, voce Violenza sessuale, in Enc. giur. Treccani, Aggiornamento VII, Roma, 1999, p. 19; secondo cui l’autorità deve essere pubblica (e inoltre non meramente “di fatto”: contra su questo punto G. Marini, Delitti contro la persona, Torino, 1996, p. 295): ciò al fine di attenuare i profili di indeterminatezza (eventualmente rilevanti anche sotto il profilo costituzionale) connessi a tale figura.

[26] Per gli estremi della sentenza, si veda la nota 2.

[27] Cass. Pen., Sez. III, 26 ottobre 2006, n. 2283, non massimata.

[28] La Legge n. 38 del 6 febbraio 2006, rubricata “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet”, introduce una serie di novità all’interno del codice penale, tra cui l’estensione della protezione accordata al minore nel reato di atti sessuali con minorenne sino al compimento del diciottesimo anno di età.

[29] Cass. Pen., Sez. III, 26 ottobre 2006, n. 2283, non massimata.

[30] L. Pispero, Violenza sessuale con “abuso di autorità”: per le Sezioni Unite può essere anche di fatto e di natura privata, in Filodiritto, 08 ottobre 2020.

[31] Cass. Pen. Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 6982, in CED 251955; Cass. Pen. Sez. III, 04 ottobre 2012, n. 47869, in CED n. 253870; Cass. Pen. Sez.III, 18 luglio 2012, n. 40848, non massimata; Cass. Pen. Sez. III, 24 marzo 2015, n. 16107, in CED n. 263333.

[32] Cass. Pen. Sez. III, 22 maggio 2012, n. 36595, in CED n. 253389.

[33] Cass. Pen. Sez. III, 30 aprile 2014, n. 49990, in CED n. 261594.

[34] Nello stesso senso Cass. Pen. Sez. III, 17 maggio 2016, n. 33049, in CED n. 267402; Cass. Pen. Sez. III, 15 dicembre 2017, n. 40301, non massimata; Cass. Pen. Sez. III, 13 marzo 2018, n. 21997, non massimata; Cass. Pen. Sez. III, 19 gennaio 2018, n. 20712, non massimata.

[35] Sezioni Unite, 1° ottobre 2020 (ud. 16 luglio 2020), n. 27326, p. 13

[36] S. Finocchiaro, L’’abuso di autorità dell’insegnante privato tra violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) e atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.): la parola alle Sezioni Unite, cit.

[37]Ibidem

[38] M. Bertolino, Reati sessuali e tutela dei minori: la prospettiva dei mezzi di informazione e quella dei giudici a confronto, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, p. 1476; A. Melchionda, Limiti tecnici e difetti sistematici della nuova disciplina delle circostanze nei reati sessuali, in A. Cadoppi (a cura di) La violenza sessuale a cinque anni dall’entrata in vigore della legge 66/96. Profili giuridici e criminologici cit., p. 196; C. Longari, Atti sessuali con minorenne, in F. Coppi (a cura di), I reati sessuali. I reati di sfruttamento dei minori e di riduzione in schiavitù per fini sessuali, Torino, 2007, p. 155 ss.; A. Montagna, Violenza sessuale su minorenne durante lezioni private: configurabile l’abuso di autorità, in Quotidiano Giuridico, 05 ottobre 2020; P. Veneziani, sub art. 609-quater, in A. Cadoppi, Commentario delle norme contro la violenza sessuale e la pedofilia, cit., p.614

[39] S. Finocchiaro, L’abuso di autorità dell’insegnante privato tra violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) e atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.): la parola alle Sezioni Unite, cit.

[40] In dottrina, M. Bertolino, Libertà sessuale e tutela penale, Milano, 1993, p. 91; C. Longari, Atti sessuali con minorenne, in F. Coppi (a cura di), I reati sessuali, cit., p. 121; T. Padovani, L’intangibilità sessuale del minore degli anni quattordici e l’irrilevanza dell’errore sull’età: una presunzione ragionevole ed una fictio assurda, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, p. 429; P. Veneziani, sub art. 609-quater, in A. Cadoppi, Commentario delle norme contro la violenza sessuale e la pedofilia, cit., p. 613 ss.; F. Viganò, Stato di necessità e conflitti di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e delle scusanti, Milano, 2000, p.214.

In giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. III, 16 dicembre 2003, P., in Foro it., 2004; Cass. Pen, Sez. III, 25 febbraio 2004, n. 15287, D’Ettore; Cass. Pen, sez. III, 13 maggio 2004, n. 29662; Cass., Pen. Sez. III, 16 gennaio 2007, n. 16843; Cass. Pen. Sez. III, 23 maggio 2018, n. 23205, non massimata

[41] Si tratta della Legge n. 69 del 19 luglio 2019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 25 luglio 2019 e rubricata “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”. La legge è entrata in vigore il 09 agosto dello stesso anno.

[42] Infatti, la Legge Codice Rosso ha modificato l’art. 609 septies c.p. nei seguenti termini: al primo comma, le parole: «articoli 609-bis, 609– ter e 609-quater» sono sostituite dalle seguenti: «articoli 609-bis e 609-ter».

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