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Maggiori garanzie per l’accusato in vinculis. La legge n. 15 del 2024 rafforza la presunzione di innocenza

Sommario: 1. L’oggetto della nuova disciplina relativa al divieto di pubblicare l’ordinanza cautelare. – 2. I valori in gioco. – 3. Il complesso e “labirintico” assetto codicistico. – 4. Le ragioni dell’intervento legislativo e le prospettive.

ABSTRACT

Il legislatore con legge n. 15 del 2024 si è conformato alla direttiva UE 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza.
Il saggio si concentra sul divieto di pubblicare, integralmente o per estratto, il testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

The legislator with law n. 15 of 2024 conformed to EU Directive 2016/343 on strengthening the presumption of innocence.
The essay focuses on the prohibition on publishing, in full or in extract, the text of the precautionary custody order until the preliminary investigations are concluded or until the end of the preliminary hearing.

1. L’oggetto della nuova disciplina relativa al divieto di pubblicare l’ordinanza cautelare.

Il legislatore italiano nel recepire varie direttive dell’Unione europea mediante l’art. 4 l. 21 febbraio 2024, n. 15, recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2022-2023»[1], ha previsto di integrare alcune norme interne per dare attuazione alla direttiva UE 2016/343[2] sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza[3] e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

In questa sede rileva quanto previsto al comma 3 dell’anzidetto art. 4, ovvero «modificare l’art. 114 c.p.p. prevedendo, nel rispetto dell’art. 21 Cost. e in attuazione dei princìpi e diritti sanciti dagli artt. 24 e 27 Cost., il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343».

Insomma, una prospettiva differente rispetto a quello che ha sempre costituito un principio basilare del nostro ordito codicistico il quale, proprio all’art. 114, prevede che alla regola generale prevista dal comma 2 in forza della quale «è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare», possa essere pubblicata l’ordinanza cautelare.

2. I valori in gioco.

La questione ruota intorno al tormentato rapporto tra diritto all’informazione[4], tutelato dall’art. 21 Cost., e quello alla riservatezza[5], riconosciuto dalla giurisprudenza della Consulta[6] come inviolabile e costituzionalmente garantito dall’art. 2 Cost. 

L’ortodossa accezione da offrire ai termini “informazione”, “pubblicità”, “segretezza” e “riservatezza” risulta ancillare ad indagare il rapporto, ed il conseguente bilanciamento, tra diritto all’informazione e tutela della presunzione di innocenza dell’accusato in quanto assai complesso a causa dei variegati riflessi che “contaminano” la purezza dogmatica dell’informazione nel processo penale[7], inevitabilmente legati a fattori politici e culturali e al loro avvicendarsi[8] con toni sfumati che, volta per volta e caso per caso, tendono a far prevalere proteiformi interessi riconducibili alle due grandi categorie della segretezza e della pubblicità.

Segretezza quando le esigenze primarie sono costituite dalla speditezza e agilità del processo, dalla necessità di difendere la reputazione dell’imputato o di tutelare il testimone o dall’evitare speculazioni giornalistiche[9]. Allo stesso tempo non si può trascurare come la segretezza si ponga in differente e contraddittoria prospettiva poiché, per un verso, tende ad impedire l’accertamento giudiziale della verità e, per altro verso, costituisce un mezzo per favorire l’accertamento, preservandolo da interferenze[10]. Diverso è il caso della riservatezza che, rispetto alla segretezza, gode di un ambito di tutela più ampio e costituisce il diritto di un soggetto di vietare ad altri la conoscenza di ciò che fa o che dice e, quindi, è il riflesso oggettivo della propria volontà di proteggere dalla curiosità estranea uno spazio della propria vita[11].

Pubblicità, invece, quando prevalgono esigenze di controllo pubblico della giustizia[12], dell’operato del giudice. Non è un caso che la pubblicità trovi riconoscimento anche nei massimi sistemi (art. 6, paragrafo 1, C.e.d.u. e art. 14, paragrafo 1, P.i.d.c.p.), proprio perché è «affare del popolo»[13].

Il passaggio dalla pubblicità del processo al diritto di informazione è nient’affatto semplice. Sarebbe semplicistico ritenere che al processo pubblico corrisponda automaticamente un diritto all’informazione a tutto tondo con i soli limiti legati all’obiettività del diritto di cronaca[14] e a quelli posti dalle leggi che la disciplinano, posto che la conoscenza degli atti del processo all’esterno risponde all’esigenza di tutelare interessi processuali ed extraprocessuali quali, oltre al buon esito delle indagini, la corretta formazione del convincimento del giudice, il diritto personale alla riservatezza, la presunzione di non colpevolezza, etc. Sono queste le ragioni che consentono di comprendere come non vi sia una completa corrispondenza e coincidenza di disciplina tra regime di segretezza degli atti e quello inerente al divieto di pubblicazione dei medesimi. E, inevitabilmente, derivano una serie di riflussi – legati anche alla professionalità degli operatori e alla sensibilità culturale dei destinatari – che, come preconizzato in tempi non sospetti[15] rispetto all’incandescente problema che affligge l’attuale realtà ove «la giustizia penale è diventata spettacolo»[16], rischiano di snaturare quella che è la funzione dell’informazione sulla giustizia penale: una pubblicità, cioè, che da strumento di controllo del potere giudiziario da parte dell’opinione pubblica rischia di trasformarsi in un mezzo di controllo del potere sull’opinione pubblica. Anche perché solo un ortodosso esercizio del diritto di cronaca consente di svolgere appieno la funzione propria, in quanto spesso una notizia asincrona, sfilacciata, parziale è pari o addirittura peggio del segreto poiché impedisce un’effettiva conoscenza. Il punto, quindi, è quello di trovare l’esatto confine tra segretezza funzionale al processo (per tutte le ragioni evidenziate) e pubblicità finalizzata a perseguire i fini propri del controllo dell’opinione pubblica: «il vero problema è un problema di misura»[17].

Un altro aspetto che, soprattutto in forza del proliferare delle trasmissioni che trattano dei processi penali – anche se pare più corretto utilizzare il termine procedimento –, merita di essere evidenziato è quello delle modalità di diffondere la realtà giuridica mediante i mezzi di informazione poiché il tecnicismo della materia non rende agevole, senza rischi di approssimazione e distorsione, la descrizione delle vicende processuali e, soprattutto, delle motivazioni delle decisioni[18].

Il passaggio dal codice Rocco al codice Vassalli ha imposto una diversa lettura del diritto all’informazione giudiziaria e, quindi, anche un diverso approccio all’art. 21 Cost. nonostante il nuovo modello processuale consenta di decifrare più agevolmente il rapporto tra divieto di divulgazione e obbligo del segreto rispetto a quanto si verificava sotto l’egida del precedente ordito codicistico.

3. Il complesso e “labirintico” assetto codicistico.

Trascurando una disamina in prospettiva sovranazionale[19], il rapporto tra diritto all’informazione e processo penale si gioca essenzialmente nel rapporto tra gli artt. 114 e 329 c.p.p. e, nella prospettiva che interessa, con il “nuovo” art. 115-bis c.p.p. recante «Garanzia della presunzione di innocenza», introdotto dall’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, con decorrenza dal 14 dicembre 2021.

In particolare il concetto di pubblicazione[20] degli atti e la loro segretezza è proiettato in funzione della proficuità del procedimento in linea con la legge-delega che alla direttiva n. 71 prevede l’obbligo del segreto su tutti gli atti del pubblico ministero e della polizia giudiziaria fino a quando gli stessi non possono essere conosciuti dall’imputato; il potere del p.m. di vietare durante le indagini la pubblicazione di atti non più coperti dal segreto o di notizie relative alle indagini al fine di «evitare pregiudizio per lo svolgimento delle stesse». Quindi si può affermare con tranquillante certezza che gli aspetti volti alla tutela della riservatezza del soggetto[21] e/o a inibire attenuazioni della presunzione di innocenza degradano per la necessità di mantenere invariate le chances di successo delle indagini o per preservare il giudice dibattimentale da interferenze nella formazione del proprio convincimento[22]. La riprova delle scelte operate dal legislatore e della gerarchia di valori si rinviene nella possibilità per il p.m. di desegretare alcuni atti di indagine «quando è strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini» (art. 329, comma 2 c.p.p.).

In generale, quindi, il divieto di pubblicazione di atti e di immagini è volto prima di tutto alla tutela di interessi endoprocessuali (art. 114, commi 1-3) e extra-processuali (commi 4-6 bis). Entrambi gli interessi limitano, anche se per ragioni diverse, il c.d. diritto di cronaca giudiziaria.

Il legislatore ha previsto che gli atti di indagine coperti dal segreto o il loro contenuto non siano pubblicabili (art. 114, comma 1, c.p.p.). Inevitabile il rimando al concetto di segreto di indagine disciplinato dall’art. 329 c.p.p. che ritiene coperti dal segreto tutti gli atti di indagine compiuti dal p.m. e dalla p.g. «fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari».

Però, mediante l’addenda apportata dall’art. 2, comma 1, lett. f), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, a decorrere dal 26 gennaio 2018, la disciplina è stata estesa anche alle «richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tali richieste» e, quindi, anche all’ordinanza cautelare.

Se il fine risulta inevitabilmente quello di tutelare il buon esito delle indagini, con la conseguenza che tutto ciò che costituisce atto diretto al reperimento e all’assicurazione delle fonti di prova è coperto dal segreto e quindi non risulta pubblicabile, a meno che non si rientri nell’ipotesi prevista dall’art. 329, comma 2, il problema si pone per gli atti non più coperti dal segreto. La pubblicazione in questo caso è vietata fino a che non siano concluse le indagini preliminari o l’udienza preliminare ovvero, se si procede a dibattimento, non sono pubblicabili gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento fino a che non venga pronunciata la sentenza di primo grado[23], mentre quelli contenuti nel fascicolo del p.m. continuano a rimanere non pubblicabili fino a dopo la pronuncia della sentenza di appello. La ratio è intuibile e assolve ad esigenze processuali in quanto la pubblicazione degli atti è potenzialmente in grado di consentire al giudice di conoscere materiale che può inquinare il suo libero, ma “legale”, convincimento. Al proposito ci si è domandati la ragione della mancanza di copertura del divieto di pubblicazione nella prospettiva di una rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di rinvio.

Per concludere, gli sforzi del legislatore, nonostante qualche lacuna, garantiscono sicuramente valori costituzionali meritevoli di “protezione” costituzionale: dal più generale diritto al buon andamento della pubblica amministrazione ai più specifici diritti all’imparzialità del giudice e al principio del contraddittorio nella formazione della prova[24] come già spiegava la Corte costituzionale sotto l’egida del precedente codice[25]. Il diritto all’informazione, pertanto, recede di fronte a questi valori ritenuti prevalenti dal legislatore, mentre si espande nuovamente nei commi 4-7 dell’art. 114[26].

Gli interessi extra-processuali, pur non rilevando ai nostri fini, necessitano di essere brevemente ricordati per una visione compiuta del fenomeno della pubblicità. 

Il dibattimento che, di regola è pubblico, soffre delle eccezioni costituite dalla necessità di non nuocere al buon costume o all’interesse dello Stato (artt. 472, comma 1, c.p.p.) mediante la pubblicità, ovvero quando potrebbe derivare pregiudizio per la riservatezza dei testimoni o delle parti private in ordine a fatti estranei all’imputazione (art. 472, comma 2). In questi casi è previsto il divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento e di quelli contenuti nel fascicolo del p.m. utilizzati per le contestazioni (art. 114, comma 4)[27].

Questi interessi sono tutelati con la possibilità di un intervento del giudice «se non si procede a dibattimento» (comma 5) come nel caso del procedimento definito con provvedimento di archiviazione, con sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento ex art. 469 c.p.p. oppure attraverso i riti alternativi del giudizio abbreviato[28] o della pena concordata tra le parti.

Il problema effettivo si pone laddove la legge distingue, proprio in queste fasi non più coperte dal segreto in cui vige il divieto di pubblicazione anche parziale del contenuto di atti, la possibilità di pubblicare il contenuto degli stessi, il che francamente suscita una serie di perplessità soprattutto laddove possono essere escogitati escamotages, volti – pur rimanendo fedeli all’imperativo normativo – a diffondere atti che devono rimanere segreti. D’altronde, quello che realmente interessa l’opinione pubblica è il contenuto degli atti, per cui si deve convenire con coloro che ritengono che riferire anche solo riassuntivamente equivalga a rendere noto il contenuto concettuale dell’atto[29].

A salvaguardia della riservatezza del minore si pongono due norme: l’art. 13 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448 che tutela gli imputati minorenni vietando la pubblicazione e la divulgazione di notizie o immagini del minorenne comunque coinvolto nel processo[30] e l’art. 114, comma 6, c.p.p. che allarga il divieto anche a tutti i soggetti minori coinvolti nel processo (testimoni, persone offese e danneggiati) fino a quando non abbiano raggiunto la maggiore età, a meno che il tribunale per i minorenni ­­– indipendentemente dal fatto che il procedimento penda davanti a sé –, per gli infrasedicenni, non autorizzi la pubblicazione o il minore sedicenne non vi acconsenta. Anche in questo caso il legislatore ordinario ha optato a favore del minore a non vedersi esposto come autore di un reato o, comunque, come protagonista di una vicenda penale, relegando in secondo piano l’interesse generale della collettività a conoscere fatti penalmente rilevanti; interesse, invece, ritenuto prevalente nelle vicende che vedono coinvolti soggetti adulti ove l’esigenza di informazione attenua la tutela della sfera della riservatezza[31]. Per la giurisprudenza, in queste ipotesi, il diritto di cronaca non verrebbe nemmeno «ad esistenza»[32].

Assolve sempre alla tutela del diritto di riservatezza di determinate categorie di soggetti la previsione introdotta dall’art. 14 l. 16 dicembre 1999, n. 479 che ha aggiunto all’art. 114 c.p.p. il comma 6 bis. La norma prevede che non può essere pubblicata, salvo che l’interessato vi acconsenta, l’immagine di persone private della libertà personale limitatamente a quando si trovano ammanettate o sottoposte ad altro mezzo di coercizione. La norma si prefigge anche lo scopo di «porre freno a certe deplorevoli forme di spettacolarizzazione della giustizia da tempo invalse in tema di cronaca giudiziaria»[33] e di tutelare la presunzione di non colpevolezza ex art. 27, comma 2, Cost. nelle ipotesi di privazione della libertà personale prima della sentenza definitiva[34].

In tutti questi casi la tutela apprestata dal legislatore pone in primo piano la riservatezza ed il nocumento – anche sul piano della considerazione di non colpevolezza e, in prospettiva sovranazionale, della presunzione di innocenza che può derivare dalla pubblicazione di determinati atti o immagini. Nel caso del detenuto condannato, addirittura può ritenersi coperta la norma costituzionale che prevede la riparazione agli errori giudiziari (art. 24, comma 4, Cost.) la quale, mediante la diffusione di immagini del soggetto in vinculis, verrebbe parzialmente vanificata. Si tratta, però, di una tutela debole poiché è limitata all’atto, ma non al suo contenuto e già si è detto della possibile dannosità di notizie diffuse in modo erroneo.

L’assetto appena descritto non è mutato particolarmente nonostante un apparente vessillo di garanzia costituito dal conio del ricordato art. 115-bis c.p.p. introdotto dall’art. 4 d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, recante «Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali»), al fine di adeguare la normativa nazionale alla predetta direttiva la quale assicura che «gli Stati membri adott[i]no le misure necessarie per garantire che fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole».

L’art. 115-bis, mediante un uso più accorto e sorvegliato del lessico da utilizzare, si prefigge di evitare che una rappresentazione distorta della realtà procedimentale in pregiudizio dell’accusato possa essere amplificata con la divulgazione degli atti da parte dei media[35].

Anche questa norma, come si vedrà, non è stata ritenuta soddisfacente dagli organi dell’Unione europea per tutelare la presunzione di innocenza, cosicché il legislatore interno è dovuto ricorrere alla legge n. 15 del 2024 che opera su uno degli istituti che ha fatto più discutere, ovvero la possibilità di pubblicare il provvedimento cautelare.

4. Le ragioni dell’intervento legislativo e le prospettive.

L’art. 114 c.p.p., norma centrale nella regolamentazione dei rapporti tra processo penale e informazione, nonostante, come osservato, il legislatore sia intervenuto più volte, non ha mai brillato per chiarezza disorientando l’interprete, chiamato nel non agevole compito di contemperare i valori coinvolti garantiti dalle Grundnomen interne e sovranazionali[36]. Infatti, nonostante molteplici proposte di riforma radicale della disciplina sul segreto investigativo e sul divieto di pubblicazione degli atti processuali si siano avvicendate, queste hanno ceduto il passo a circoscritti interventi legislativi che si sono limitati a modificare alcuni profili relativi ai rapporti tra mass media e processo penale, non andando, però, a sciogliere il nodo nevralgico del rapporto tra segreto investigativo – la cui portata è stata pure ampliata – e limiti alla divulgazione degli atti[37], accontentandosi di tutelare maggiormente la riservatezza dell’accusato e degli altri soggetti.

Evitando di diffondersi oltre modo nella disamina dei provvedimenti legislativi che nel corso del tempo si sono succeduti, entriamo in medias res trattando dell’ordinanza cautelare che, oggi, in forza della recente legge n. 15 del 2024, diviene vietato pubblicarne il testo in forma integrale o per estratto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. In tal modo, il legislatore pone rimedio, in quanto ritenuto non adeguatamente efficace per garantire la presunzione di innocenza, al già citato d.lgs. n. 188 del 2021.

Sebbene il d.lgs. n. 188 del 2021 avesse apportato interpolazioni al codice di rito criminale e al d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, recante «Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero a norma dell’art. 1, comma 1, lett. d), della legge 25 luglio 2005, n. 150», disciplinando i rapporti tra organi inquirenti e mezzi di comunicazione, nel contesto della modifica dell’ordinamento giudiziario volta ad attuare una maggiore gerarchizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, rimaneva, pur sempre, il vulnus relativo alla possibilità di pubblicare il testo dell’ordinanza cautelare con pregiudizio tanto per il soggetto attinto dalla misura cautelare che delle indagini stesse.

D’altro canto, l’approdo a cui è giunto il legislatore nell’attuale testo dell’art. 114 c.p.p. omette di considerare la centralità che assume l’ordinanza cautelare in chiave endoprocessuale tanto per il “peso” del relativo quadro indiziario che si delinea di una consistenza tale da essere considerato una prova allo stato degli atti[38] quanto perché integra il presupposto per l’esercizio dell’azione penale nell’ipotesi del giudizio immediato “custodiale”.

E non è difficile immaginare come questi convincenti profili tecnici possono costituire il fondamento per alimentare il parallelo processo mediatico, ammantato da un’infinità di (spesso maliziose) distorsioni che tendono ad alimentare tesi ricostruttive che germinano da un’artificiosa gestione delle informazioni emergenti proprio da quell’atto che, al contrario, dovrebbe escluderle. L’errore di fondo è radicato nell’ipotizzare, da una parte, oggettività in capo a coloro che diffondono la notizia e, dall’altra, capacità di corretta recezione da parte dei destinatari, tendenzialmente scevri dalle nozioni giuridiche necessarie per governare in modo ortodosso le categorie processuali la cui decifrazione è rimessa alla professionalità e oggettività del giornalista e al background socio-culturale del recettore.

In questo contesto si assiste ad un vero e proprio ribaltamento della presunzione di innocenza; l’indagato, salvo rari casi, diviene un “colpevole in attesa di giudizio”[39] con la conseguenza che la pubblicazione prima della chiusura delle indagini preliminari dell’ordinanza cautelare – spesso costituente il portato di un’impostazione “poliziesca” per l’inestirpabile fenomeno della motivazione per relationem – fagocita impostazioni inosservanti della presunzione di innocenza.

È necessario confidare, allora, che il legislatore recepisca all’interno del codice di rito criminale l’incipit della Direttiva UE 2016/343 e della legge n. 15 del 2024. Sarebbe sufficiente elidere dal comma 2 dell’art. 114 c.p.p. il riferimento all’ordinanza cautelare: «È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare».

In tal modo si ripristinerebbe la priorità dei valori primari, in quanto la limitazione alla pubblicazione degli atti del procedimento garantirebbe beni costituzionalmente rilevanti. Diversamente, si rischia di ricadere in quella doppia fallacia (politicistica e garantistica) che rende sempre più evidente la divaricazione tra garantismo e trasformazione della società[40].


[1] Pubblicata in G.U. 24 febbraio 2024, n. 46 ed in vigore dal 10 marzo 2024.

[2] A commento della quale v. i contributi di Camaldo, Presunzione di innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due garanzie fondamentali del giusto processo in un’unica Direttiva dell’Unione europea, in Dir. pen. cont., 23 marzo 2016; Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza: verso un’estensione della garanzia?, in Arch. pen. (web), 2021, 3; Cras-Erbeznik, The Directive on the Presumption of Innocence and the Right to Be Present at Trial, in Eucrim, 2016, 1, 25 ss.; De Caro, La recente direttiva europea sulla presunzione di innocenza e sul diritto alla partecipazione al processo, in Quot. giur., 23 febbraio 2016; Della Torre, Il paradosso della direttiva sul rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo: un passo indietro rispetto alle garanzie convenzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1835 ss.; Valentini, La presunzione d’innocenza nella direttiva n. 2016/343/UE: per aspera ad astra, in Proc. pen. giust., 2016, 6, 193 ss.

[3] In generale sulla presunzione di innocenza nella prospettiva interna, per tutti, Illuminati, Presunzione di non colpevolezza, in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, 1 ss.; Paulesu, La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, 2a ed., Torino, 2009.

[4] Sul diritto all’informazione, in generale, Chiola, Informazione (diritto alla), in Enc. giur., cit., XVI, 1989, 1 ss.; Costanzo, Informazione nel diritto costituzionale, in Dig. disc. pubbl., VIII, Torino, 1993, 319 ss.; Loiodice, Informazione (diritto alla), in Enc. dir., Milano, 1971, 472 ss.

[5] Sul diritto alla riservatezza, in generale, Cataudella, Riservatezza (diritto alla), in Enc. giur., cit., XXVII, 1991, 1 ss.; Fùrfaro, Riservatezza, in Dig. disc. pen., IV, Aggiornamento, Torino, 2008, 1062 ss.

[6] C. cost., n. 38 del 1973.

[7] Per considerazioni più approfondite sia consentito rinviare a Giunchedi, Informazione e processo, in Processo penale e Costituzione, a cura di Dinacci, Milano, 2010, 647 ss.

[8] Estremamente utile per cogliere la complessità del fenomeno risulta la lettura del Cap. I del volume di Giostra, Processo penale e informazione, 2a ed., Milano, 1989, e, il meno risalente, Pecorella, Limiti alla libertà di informazione alla luce dei principi del giusto processo, in Dir. informatica, 2008, 4-5, 453 ss.

[9] Fenomeno al centro del dibattito della stessa comunità dei penalisti, florida nel coniare testi tesi ad indagare le distorsioni emergenti da quello che viene definito “processo penale mediatico”. Senza pretesa di completezza, v. i volumi di Camaldo, La pubblicazione degli atti processuali tra giusto processo e libertà di stampa, Milano, 2012; Conti (a cura di), Processo mediatico e processo penale, Milano, 2016; Giostra, Processo penale e informazione, cit.; Manes, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, Bologna, 2022; Mantovani, Informazione, giustizia penale e diritti della persona, Napoli, 2011; Triggiani (a cura di), Informazione e giustizia penale. Dalla cronaca giudiziaria al “processo mediatico”, Bari, 2022; Id., Giustizia penale e informazione. La pubblicazione di notizie, atti e immagini, Padova, 2012; Id., Segreto processuale e divieto di pubblicazione (diritto processuale penale), in Enc. dir., cit., Annali, II, 1, 2008, 1075 ss.

[10] Grispigni, Diritto processuale penale, I, Roma, s.d. (1945), 142, ritiene che le norme processuali penali abbiano la funzione di tutelare lo svolgimento del processo.

[11] Fùrfaro, Riservatezza, cit., 1066 ss.

[12] Come se in contrapposizione vi sia una sorta di esoterismo processuale finalizzato a sottrarre l’ingiustizia dallo sguardo della collettività.

[13] Verde, Informazione nell’iniziativa processuale, segreto e dissenso, in Giustizia e informazione, 1975, 114 s.

[14] Che intorno agli anni Settanta ha ceduto il passo alla più ampia libertà di informazione.

[15] Giostra, Processo penale e informazione, cit., passim.

[16] Manes, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, cit., 9, il quale prosegue segnalando, non senza toni allarmistici, come «le notizie di indagini e processi entrano nelle case con la forza delle breaking news, lampeggiano tra i titoli di testa dei telegiornali e i caratteri cubitali dei quotidiani; generano inchieste e reportage, ma anche forum di discussione, talk show e salotti televisivi, documentari o docufiction, tutti frammisti di sequenze di arresti, filmati di operazioni di polizia, pseudo-evidenze probatorie, imitazioni foniche di intercettazioni, testimonianze anonime o simulate, opinioni di improbabili esperti, voci correnti nel pubblico. Additando colpevoli e reclamando castighi, interpellando l’anima folk della comunità, e così rimbalzano sui social network mescolando fatti e valutazioni, vero e verosimile in un baccanale di opinioni scomposto e disinformato, dominato dalla cultura dello shaming e dalla disseminazione a fini denigratori di dati personali e sensibili».

[17] Giostra, Processo penale e informazione, cit., 35.

[18] Giostra, Processo penale e informazione, cit., 52.

[19] Per la quale si rinvia, tra i tanti, a Paulesu, La presunzione di innocenza, tra realtà processuale e dinamiche extraprocessuali, in Giurisprudenza europea e processo penale italiano. Nuovi scenari dopo il “caso Dorigo” e gli interventi della Corte costituzionale, a cura di Balsamo-Kostoris, Torino, 2008, 129 ss., e, volendo, Giunchedi, Informazione e processo, cit., 654.

[20] Il concetto di pubblicazione è plasticamente espresso da Ubertis, sub art. 114, in Commentario al nuovo codice di procedura penale, a cura di Amodio-Dominioni, II, Milano, 1989, 27, per il quale integra il concetto «non la comunicazione ad uno o più soggetti determinati dalle notizie di cui sia vietata la propalazione, ma la loro rivelazione con modalità tali da metterne al corrente un numero indefinibile di persone».

[21] Esemplarmente, tra le prime ortodosse applicazioni del bilanciamento tra diritto di cronaca e tutela del soggetto accusato, Trib. Trieste, 26 marzo 1993, Berti, in Cass. pen., 1995, 1074, secondo cui «deve escludersi che il divieto di pubblicazione di atti del procedimento penale trovi la sua ragione nella necessità di tutelare – oltre all’esigenza di giustizia – anche il diritto alla riservatezza dell’imputato o dell’indagato, tenuto conto che il diritto di cronaca, riconosciuto dall’art. 21 Cost., sussiste anche in pendenza di un giudizio penale allorché siano rispettati i limiti della verità oggettiva, della pertinenza, della continenza formale, dell’utilità sociale dell’informazione, della forma civile dell’espressione dei fatti e della loro valutazione».

[22] Cass., Sez. I, 11 luglio 1994, Leonelli, in Cass. pen., 1996, 1179 che, in relazione all’aspetto considerato, spiega che «per gli atti non coperti da segreto sussiste un divieto limitato di pubblicazione che è assai circoscritto e viene meno man mano che, in relazione allo svolgimento del procedimento, viene meno la ragion d’essere del divieto che è quella di assicurare il corretto, equilibrato e sereno giudizio del giudice del dibattimento attuato anche attraverso le norme che gli consentono di venire legittimamente a conoscenza del testo degli atti di indagine nei limiti e secondo le regole previsti in un processo tipicamente accusatorio».

[23] Va rammentato che C. cost., n. 59 del 1995 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 76 Cost., dell’art. 114, comma 3, c.p.p. limitatamente all’inciso «del fascicolo del dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado».

[24] Paladin, Problemi e vicende della libertà di informazione nell’ordinamento giuridico italiano, in La libertà d’informazione, Torino, 1979, 20 s.

[25] C. cost., n. 25 del 1965, sottolineava che «la pubblicità del dibattimento è garanzia di giustizia, come mezzo per allontanare qualsiasi sospetto di parzialità; ed anche le norme che disciplinano i casi nei quali, a tutela di svariati interessi, è necessario derogare al principio della pubblicità, debbono attenere al retto funzionamento della giustizia, bene supremo dello Stato, garantito anch’esso dalla Costituzione. Ma vano espediente sarebbe quello di escludere la presenza del pubblico dal dibattimento, qualora fosse consentito di portare a conoscenza di una larga cerchia di persone, a mezzo della stampa, il contenuto di quegli atti o documenti che nel processo abbiano assunto carattere riservato».

[26] Il comma 7, che consente la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto, costituisce l’antitesi al divieto di pubblicare atti coperti dal segreto, eccezione fatta per l’ipotesi delineata dall’art. 329, comma 3, lett. b), c.p.p. Si consideri, inoltre, che l’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 prevede che l’interessato per motivi legittimi possa chiedere, prima che sia terminato il grado di giudizio, che venga preclusa la diffusione per fini giuridici della sentenza o del provvedimento con le proprie generalità o con ogni altro elemento identificativo.

[27] Il divieto perdura fino alla scadenza dei termini stabiliti dalle norme che regolano gli archivi di Stato o fino a che, trascorsi dieci anni dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, il Ministro della Giustizia autorizzi la pubblicazione.

[28] È opportuno chiedersi se sia conciliabile l’opzione consentita dall’art. 441, comma 3, c.p.p. di procedere, con il consenso di tutti gli imputati, in pubblica udienza con la possibilità di non rendere pubblicabili gli atti del giudizio abbreviato. A nostro avviso, in considerazione che l’interesse alla non pubblicazione assolve a ben altri scopi (cfr. l’art. 114, comma 4), non è ravvisabile alcuna distinzione tra l’abbreviato in camera di consiglio e quello pubblico.

[29] Giostra, Processo penale e informazione, cit., 350; Ubertis, sub art. 114, cit., 27.

[30] L’art. 33, comma 2, d.p.r. n. 448 del 1988 prevede che il divieto possa venire meno solo nell’ipotesi eccezionale in cui il tribunale decida di procedere in pubblica udienza.

[31] Assante-Giannino-Mazziotti, Manuale di diritto minorile, Bari, 2000, 191 s.

[32] Trib. Lecce, 22 febbraio 1993, Bruno, in Foro it., 1994, II, 658, secondo cui il divieto di pubblicazione tende a salvaguardare l’«“etichettamento” della persona minorenne».

[33] Triggiani, Segreto processuale e divieto di pubblicazione (diritto processuale penale), cit., 1086.

[34] Il divieto, infatti, opera anche in sede esecutiva [Molinari, Il segreto investigativo, Milano, 2003, 309; Spangher, Divieto di pubblicazione di soggetti in vinculis, in Dir. pen. proc., 2000, 181; Triggiani, Segreto processuale e divieto di pubblicazione (diritto processuale penale), cit., 1087].

[35]  Per una compiuta disamina della nuova disposizione, tra gli altri, Baccari, Le nuove norme sul rafforzamento della presunzione di innocenza dell’imputato, in Dir. pen. proc., 2022, 159 ss.; Triggiani, «È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!» (…neppure con il soccorso della presunzione di innocenza), in Informazione e giustizia penale. Dalla cronaca giudiziaria al “processo mediatico”, cit., 67, ai quali si rinvia.

[36] Triggiani, «È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!» (…neppure con il soccorso della presunzione di innocenza), cit., 59, spiega come, nonostante i vari tentativi, «sembra che in questo “labirinto” il legislatore si sia “smarrito” e sia rimasto “imprigionato” da oltre trent’anni, non riuscendo ancora a trovare la via d’uscita».

[37] Così, esattamente, Triggiani, «È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!» (…neppure con il soccorso della presunzione di innocenza), cit., 59.

[38] Infatti, nonostante il nostro ordinamento escluda interferenze tra il giudicato cautelare e l’accertamento in sede di cognizione – ad eccezione del giudizio immediato c.d. custodiale – la forza persuasiva del primo sul secondo è evidente in forza dell’omologazione raggiunta a seguito dell’introduzione nell’art. 273 c.p.p. del comma 1-bis che ha spinto la giurisprudenza, anche a Sezioni unite (Cass., Sez. un., 30 maggio 2006, P.m. in c. Spennato, in Mass. uff., n. 234598), a ritenere che i gravi indizi cautelari costituiscano una prova allo stato degli atti «equiparando nella sostanza il valore dei gravi indizi di colpevolezza a quello della prova richiedendo che i primi possiedono il crisma dell’elevata probabilità o dell’elevato grado di credibilità razionale, nel quale si identifica la certezza processuale» (Cass., Sez. I, 4 maggio 2005, Lo Cricchio, in Mass. uff., n. 232601).

[39] Manes, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, cit., 80, che descrive l’indagato come soggetto «gravato da un’ombra di sospetto che solo a fatica potrà tentare di disgregare nel corso del procedimento».

[40] Per approfondimenti Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, 8a ed., Roma-Bari, 2004, 985 ss.

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