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Caivano, la risposta del Governo

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un nuovo decreto di modello toponomastico, caratterizzato anzitutto dallo stillare da un fatto di cronaca nera.

A sostegno della necessità ed urgenza, con cui sono emanate norme sistematiche e generali, è stato posto l’obiettivo di contrastare <<il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità minorile>>.

Tra gli interventi elaborati, di concerto, dai Ministri della Giustizia e degli Interni -con chiara prevalenza del secondo- anzitutto una serie di strumenti ‘contundenti’ offerti in dotazione alle forze di polizia, un po’ di aumenti di pena, qualche innovazione velatamente discriminatoria in punto di responsabilità genitoriale, più carcere.

Anzitutto, ritorna in auge un sottosistema penale di polizia[1], mai seppellito definitivamente dalla Corte Costituzionale.

Si tratta dei vari DASPO che potranno colpire gli ultraquattordicenni:

1.         per violazione di <<divieti di stazionamento o di occupazione>> ipotesi che viene anche sottratta alla convalida giurisdizionale;

2.         per tutte le contestazioni di violazione delle norme sugli stupefacenti di cui all’art. 73, (oltre che per la vendita e la cessione, che erano già previste) e la durata del divieto può essere estesa<<quando ricorrano specifiche ragioni di pericolosità>> con un ampliamento della discrezionalità particolarmente insidioso;

3.         per porto d’armi, ma anche violenza o minaccia a pubblico ufficiale e resistenza a pubblico ufficiale.

Con riguardo in particolare alle aree di antagonismo e dissenso[2], si rafforza il foglio di via, previsto dal codice antimafia e debordato da tempo, l’intervento rende efficace il provvedimento nella sola parte che dispone il divieto di ritorno, al fine di rimuovere le ‘criticità’ dovute all’interpretazione restrittiva della giurisprudenza ordinaria.

Tra le altre misure poliziesche irrogate dal questore, l’avviso orale e l’ammonimento possono essere rivolti, rispettivamente ai minori ultraquattordicenni e agli ultradodicenni, e per le ipotesi di ‘bullismo’ l’ammonimento dell’ultraquattordicenne prescinde dalla proposizione di querela.

Tra le pseudo-innovazioni introdotte, un certo clamore è stato riservato all’ipotesi di divieto di utilizzare piattaforme informatiche e possedere e utilizzare telefonini. Il divieto, già recentemente bocciato dalla Corte costituzionale, viene riproposto per i condannati anche con sentenza non definitiva “per delitti contro la persona, il patrimonio ovvero inerenti alle armi o alle sostanze stupefacenti”. È prevista la facoltà per il proposto di <<presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memoria o deduzioni al giudice competente per l’applicazione del divieto.>>.

L’intervento ha il preciso intento di eludere la declaratoria di illegittimità costituzionale[3] che ha recentemente ribadito anche <<il significato sostanziale, e non puramente formale, dell’intervento dell’autorità giudiziaria, in presenza di misure di prevenzione che comportino restrizioni rispetto a diritti fondamentali assistiti da riserva di giurisdizione. Il vaglio dell’autorità giurisdizionale risulta infatti associato alla garanzia del contraddittorio, alla possibile contestazione dei presupposti applicativi della misura, della sua eccessività e sproporzione, e, in ultima analisi, consente il pieno dispiegarsi allo stesso diritto di difesa>>. ‘Pieno dispiegarsi’ ridotto alla presentazione di una memoria, anche senza difensore.

I dubbi sulla efficacia di questa previsione sono inferiori solo a quelli sulla sua costituzionalità.

Vari gli aumenti di pena previsti per diverse ipotesi in materia di armi; particolarmente significativo è, poi, quello riferito all’ipotesi di spaccio di lieve entità, che rientra così tra i casi in cui è consentito l’accompagnamento del minore presso gli uffici di polizia in caso di flagranza. Una disposizione di chiara valenza politica che fa strame di tutto il dibattito su depenalizzazione e legalizzazione.

Lo Stato paternalistico si manifesta, poi, con ancor maggior chiarezza nelle previsioni rivolte ai genitori, esercenti la responsabilità genitoriale e persino affidatari.

  • Nei confronti dei genitori o tutori, che non provino di non aver potuto ‘impedire il fatto’, il prefetto applica una sanzione amministrativa. Una sperimentazione che lascia aperte innumerevoli ipotesi di estensione;
  • Nuove ipotesi di decadenza dalla responsabilità genitoriale: per mafiosi, trafficanti di droga, ma anche per abbandono o elusione scolastica.
  • Reclusione fino a due anni per l’inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori, pena sino ad un anno in caso di elusione. L’autore in questo caso è individuato nel ‘responsabile dell’adempimento dell’obbligo scolastico’, ovvero non soltanto il genitore o il tutore ma anche i responsabili delle comunità di accoglienza ed affini.

Quanto alla responsabilità genitoriale, il Governo ha assunto, per decreto, una decisione potenzialmente devastante per un numero indefinito di minori di ogni fascia di età, a dispetto del delicato equilibrio, cercato per decenni, tra l’interesse del minore e la sanzione penale. Non può tralasciarsi il contributo che a questa ipotesi è stato offerto da una, non remota, delibera del volenteroso Plenum del CSM[4] che si occupava solo di mafiosi, certo, ma è stata indubbiamente di ispirazione.

La risposta trovata apre una sequela di nuove domande. Anzitutto la norma individua un ‘tipo di autore’ seppur non come destinatario di una norma penale, senz’altro destinatario di una conseguenza afflittiva. Potrebbero esserci altri ‘tipi’ di genitori che potranno presumersi inadeguati.

Lo strumento impatterà significativamente sul Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie. Quale accoglienza vi sarà per i minori adolescenti, con un vissuto difficile, in strutture al collasso, prive di strumenti per impedire loro il rientro in famiglia o anche assicurare la frequenza scolastica, supportate da un servizio sociale su cui da tempo si abbattono tagli di bilancio. Ma vale lo slogan “togliere i figli ai mafiosi e ai trafficanti” (e ad altri sottintesi, ma esplicitati in conferenza stampa[5]).

In materia di contrasto dei reati commessi da minori si introducono il significativo abbassamento del limite per il ‘fermo’ del minorenne che può avvenire per un delitto per cui la legge stabilisce una pena non inferiore nel massimo a tre anni, contestualmente le sanzioni per la violazione del DASPO e armi sono innalzate, quel tanto che basta.

L’accompagnamento del minore negli uffici di polizia è specificamente previsto anche nell’ipotesi di lesioni personali, furto, danneggiamento aggravato, alterazione di armi o fabbricazione di esplosivi, porto d’armi oggetti atti ad offendere.

Si riducono i limiti per l’applicazione di misure diverse dalla custodia cautelare e per la custodia cautelare stessa, nonché i termini di durata massima della carcerazione preventiva per i minorenni. Viene introdotto, tra i presupposti per la applicabilità, il pericolo di fuga.

Quest’ultimo, assieme ad un pallido intervento relativo ad un percorso di rieducazione del minore a cura del pubblico ministero, gli unici interventi ascrivibili al Ministero della Giustizia.

Viene esplicitamente prevista la possibilità di custodia cautelare in carcere per i minori per furto aggravato, furto in abitazione e con strappo, delitti riguardanti le armi, violenza o minaccia a pubblico ufficiale e resistenza. I criteri selettivi appaiono eloquenti.

Quindi si ipotizzano più arresti e più carcere per soggetti (presunti innocenti) in età evolutiva, facendo strame del dibattito sulla carcerazione preventiva oltre che dei principi del processo minorile.

Per i minori detenuti, che sino oggi sono stati mantenuti nel circuito minorile anche dopo il compimento della maggiore età e fino a 21 anni, si agita lo spauracchio del nullaosta per il carcere “dei grandi”.

 Per il maggiore di 21 anni è sufficiente un solo episodio che turbi l’ordine; di violenza o minaccia; o di induzione di uno stato di soggezione. Per i giovani tra i 18 e 21 anni la richiesta può essere avanzata, invece, in presenza di comportamenti cumulativi.

In conclusione, il governo ha emanato un chiaro manifesto politico nel quale gli obiettivi, pure costituzionalmente orientati, sono declinati selezionando strumenti costituzionalmente dubbi.

Il provvedimento che muove dal riconoscimento di una situazione di “degrado, vulnerabilità sociale e disagio giovanile” risponde con un riflesso condizionato che è quello di promettere la “bonifica” esemplare del territorio. Lo stampo del provvedimento è chiaro.


[1] [1] Sull’evoluzione delle misure di prevenzione come sotto-sistema penale di polizia, si rinvia a L. Ferrajoli, Diritto e ragione.Teoria del garantismo penale, Laterza, Roma-Bari, 2000, pp. 818 ss

[2] <<In effetti, proprio la facilità e la rapidità di movimento dei possibili destinatari del “foglio di via”, unitamente alla disponibilità di numerosi mezzi di trasporto, sia convenzionali che non convenzionali, suggerisce di rimodulare l’istituto in parola nel senso di valorizzare la componente interdittiva del ritorno nel Comune da cui si viene allontanati, rispetto a quella del rimpatrio nel luogo di residenza, e di aggravare le conseguenze a carico di chi non ottempera all’ordine di allontanamento o rientro senza autorizzazione nel territorio inibito>>. (vds pag. 7 Relazione illustrativa)

[3] Corte Cost. n. 2/2023

[4] Risoluzione CSM 31 ottobre 2017: Vds. comunicato stampa: tutelare minori di mafia, anche togliendo potestà genitoriale

[5] Vds. Conferenza stampa del Consiglio dei Ministri n. 49

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