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Ci risiamo: l’ennesimo tentativo di riformare la prescrizione. Chissà che non sia la volta buona

Brevi riflessioni sulle proposte di legge portate all’attenzione della Commissione Giustizia (disegni di legge Costa, n. 745, Maschio, n. 1036, Pittalis, n. 893, Bisa, n. 1380)

Abstract: Il contributo analizza alcune proposte di legge volte a modificare, ancora una volta, l’istituto della prescrizione. Tutte le proposte presentate sono accomunante dall’intento di eliminare il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado per poi differenziarsi in merito alla sorte dell’art. 344-bis c.p.p. e al tipo di modifica da introdurre in ordine al tempo necessario a prescrivere. Appare quindi opportuno un breve esame delle proposte avanzate per vagliare l’opportunità di una ulteriore riforma in quest’ambito.

Sommario: 1. Le varie proposte di legge parlamentari e l’adozione della proposta di legge Pittalis – 2. Le prime reazioni dal mondo del diritto: le audizioni del 27 giugno e del 4 luglio. – 3. Le osservazioni del Viceprocuratore europeo Ceccarelli: un possibile ritorno alla regola Taricco? – 4. Considerazioni conclusive.

1. Le varie proposte di legge parlamentari e l’adozione della proposta di legge Pittalis

Da più di un anno il Governo è cambiato e le Camere sono state nuovamente elette. Eppure, il tema della prescrizione sembra essere sempre al centro degli interessi politici, come se fosse considerato un nodo irrisolto su cui mettere le mani, ogni volta che sia possibile.

In concomitanza dell’adozione del disegno di legge del Guardasigilli Nordio, diversi parlamentari hanno presentato delle proposte di legge volte a modificare, ancora una volta, l’istituto della prescrizione. Si tratterebbe del quinto intervento legislativo nell’arco di meno di venti anni, tenendo a mente che gli ultimi tre si sono concentrati nei cinque anni appena trascorsi: dopo la c.d. legge ex-Cirielli del 2005, infatti, è intervenuta dapprima la c.d. riforma Orlando del 2017, successivamente la riforma Bonafede del 2019 e, infine, la riforma Cartabia del 2021[1].

Tali interventi hanno creato confusione non solo per la velocità con cui si sono succeduti, ma anche perché si sono mossi in direzioni diverse: la riforma Orlando aveva introdotto un periodo limitato di sospensione della prescrizione in appello e in Cassazione, mentre la riforma Bonafede aveva deciso di interromperla definitivamente dopo la sentenza di primo grado; la riforma Cartabia – pur mantenendo l’interruzione definitiva della prescrizione dopo il primo grado di giudizio – ha introdotto, all’art. 344-bis c.p.p., una nuova causa di improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione[2].

In questo disordine di norme (oltre che di idee) si collocano le attuali proposte di legge presentate, tra la fine dello scorso anno e l’inizio di questo ancora in corso, dagli Onorevoli Costa (Gruppo misto – ex Azione), Pittalis (Forza Italia) e Maschio (Fratelli di Italia)[3]. Durante il mese di settembre è stata, poi, elaborata un’ulteriore proposta di legge – per la verità un po’ più snella delle precedenti – volta essenzialmente ad inserire nel novero dei reati per i quali i tempi necessari a prescrivere sono raddoppiati una serie di illeciti connotati da particolare allarme sociale[4].

Tutte le proposte normative in questione sono accomunate da un preciso intento: quello di eliminare l’art. 161-bis c.p. e con esso il blocco definitivo della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (di fatto introdotto dalla riforma Bonafede).

Ciò si deduce non solo dall’espressa previsione, in ogni proposta, dell’abrogazione dell’articolo appena citato, ma anche dai vari commenti che accompagnano le proposte di legge di cui si discute. In tutte le relazioni, senza giri di parole, si denuncia la scelta di bloccare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio facendo leva, soprattutto, sulla necessità di evitare imputati e indagati a vita e dando così ascolto alle innumerevoli voci contrarie che si erano sollevate in dottrina e in giurisprudenza (nonché nel mondo dell’Avvocatura) all’indomani dell’entrata in vigore della riforma Bonafede.

Al di là di questo aspetto comune, le proposte di Costa e Maschio si differenziano nettamente rispetto a quella di Pittalis in ordine alle modifiche da introdurre per evitare che la maggior parte dei processi si prescriva nel corso del procedimento.

Più precisamente, gli Onorevoli Costa e Maschio propongono un modello orientato a reintrodurre la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, prevedendo un limite massimo a tale sospensione per ogni fase di impugnazione, sulla falsariga della riforma Orlando (i cui esiti non si sono potuti analizzare, essendo stata sostituita solo due anni dopo dalla riforma Bonafede).  Ciò sul presupposto, esplicitato soprattutto dall’On. Maschio nella sua relazione, che la riforma Cartabia non abbia risolto i problemi ma, anzi, abbia introdotto una situazione che rappresenta un unicum nel panorama giuridico, essendo oggi prevista una nuova causa di improcedibilità dell’azione penale che si aggiunge al normale termine di prescrizione, destinato ad arrestarsi a seguito della conclusione del giudizio di primo grado.

Ciononostante, è interessante notare come le proposte di Maschio e di Costa prevedano la sola abrogazione dell’art. 161-bis c.p., non anche della causa di improcedibilità di cui all’art. 344-bis c.p.p.; il risultato sarebbe, quindi, quello di consentire una compresenza tra prescrizione sostanziale, che continuerebbe a decorrere con la sospensione del procedimento in sede di gravame, e il regime di improcedibilità, situazione che potrebbe dare vita a problemi applicativi di non poco conto[5].

Va detto, però, che la proposta di legge che merita più attenzione è quella dell’On. Pittalis che la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, d’accordo con l’On. Costa, ha approvato quale testo base per il prosieguo dell’esame[6].

A differenza delle proposte appena esaminate, quella di Pittalis suggerisce espressamente di abrogare, oltre all’art. 161-bis c.p., anche l’art. 344-bis c.p.p. e di riportare la prescrizione, come si legge espressamente nel testo di accompagnamento della proposta di legge, “alla sua funzione e natura primigenie”. Si sottolinea, infatti, come la nuova causa di improcedibilità si sostanzierebbe in una prescrizione mascherata semplicemente da una diversa veste formale (quella processuale) e che, in ogni caso, non risolverebbe i problemi derivanti dalla disorganizzazione che vive il processo penale.

Si parte da due considerazioni, non di certo scontate: la prescrizione non è lo strumento col quale rimediare alle inefficienze del processo penale e non è un meccanismo pensato per garantire la ragionevole durata del processo[7].

Se si muove da queste considerazioni, non sorprende come la proposta legislativa sia volta ad introdurre una modifica normativa che, in sostanza, consiglia un ritorno alla disciplina della legge ex-Cirielli buttando, di fatto, nel macero tutto ciò che è stato fatto negli ultimi cinque anni. Si avanza, infatti, l’idea di mantenere inalterati i termini di prescrizione di cui all’art. 157 c.p. e di modificare l’art. 159 in materia di sospensione della prescrizione ritornando allo stesso testo normativo esistente prima della riforma Orlando (senza, dunque, introdurre alcun limite alla sospensione del procedimento in sede di gravame).

È interessante notare come venga in luce anche l’intento di modificare un particolare aspetto che era stato modificato dalla riforma Bonafede e che era stato al centro di notevoli critiche da parte degli operatori del diritto. L’art. 158 c.p., infatti, a partire dal 2019 prevede che il termine della prescrizione inizi a decorrere, nel caso di reato continuato, dal giorno della cessazione della continuazione. Il legislatore ha deciso, quindi, di considerare il reato continuato come unico reato ai fini del calcolo della prescrizione, consentendo così la possibile produzione di effetti sfavorevoli all’imputato, nonostante la giurisprudenza sia costante nel ritenere che la considerazione del reato continuato come un unico reato sia ammissibile solo quando da ciò conseguano effetti favorevoli. Così, i proponenti suggeriscono un ritorno all’originaria disciplina anche in questo senso, sopprimendo il riferimento alla continuazione nell’ambito dell’art. 158 c.p.

È chiaro, quindi, come la proposta di legge Pittalis non ponga alcun problema di diritto intertemporale con le riforme passate: tutto viene cancellato in nome della funzione rieducativa della pena e del diritto all’oblio dell’imputato. Si legge, infatti, espressamente che “tanto la funzione rieducativa della pena quanto l’oblio sulla memoria del reato, connesso al trascorrere del tempo, esigono che i termini di prescrizione siano commisurati non alla durata del processo ma alla distanza tra il tempo di commissione del reato e quello di espiazione della pena: dunque, è solo in rapporto a tali estremi che va valutata l’adeguatezza dei termini di prescrizione”.

Ma è veramente il ritorno alle origini la soluzione a tutti i problemi? Come si avrà modo di vedere, le reazioni della dottrina e della magistratura suggerirebbero il contrario, mentre maggiori segnali di apertura si registrano dal mondo dell’avvocatura.

2. Le prime reazioni dal mondo del diritto: le audizioni del 27 giugno e del 4 luglio

Durante le audizioni informali del 27 giugno e del 4 luglio 2023 la Commissione Giustizia della Camera dei deputati ha raccolto le opinioni di giuristi appartenenti a diversi settori del mondo del diritto[8].

Analizzando i vari interventi, si può in generale osservare un’assoluta chiusura da parte della magistratura nei confronti del ritorno al vecchio modello della prescrizione e una più positiva presa di posizione da parte dell’avvocatura.

Volendo fare una sintesi delle varie critiche che sono state fatte, si può dire che l’aspetto di maggiore contestazione ha ad oggetto la scelta di abolire la nuova causa di improcedibilità introdotta dalla riforma Cartabia (con un certo stupore, viste le critiche che la maggior parte della dottrina aveva sollevato in ordine a questo nuovo istituto) poiché la stessa sarebbe in grado di rimediare alle restanti criticità della riforma “ponendo un limite all’estensione altrimenti potenzialmente infinita dell’accertamento, garantendo il rispetto di un canone fondamentale per la stessa Corte EDU: il fair trial e la ragionevole durata ex art. 6 della Convenzione[9]”.

A tal proposito viene sottolineato come, prima di procedere ad una abrogazione di tale strumento, bisognerebbe vedere i risultati a cui lo stesso ha condotto, dati alla mano. Ed effettivamente i dati che fino ad ora sono stati raccolti (frutto, chiaramente, dell’intera riforma della giustizia che la Ministra Cartabia ha attuato) sembrano rassicuranti: i tempi del giudizio penale in sede di impugnazione sono diminuiti notevolmente nell’intero territorio nazionale, con la conseguenza che eliminare attualmente l’art. 344-bis c.p.p. sarebbe un “vero e proprio suicidio[10]”.

D’altronde, l’Italia non si può permettere, visti anche gli obiettivi che devono essere raggiunti in attuazione del PNRR[11], il ritorno ad un modello che rischierebbe di allungare i tempi della giustizia, non essendoci più alcuna causa di improcedibilità e potendo dunque operare periodi anche lunghi di sospensione.

Sicuramente più distensivo è l’atteggiamento dell’Unione delle Camere Penali che ritiene complessivamente migliore la situazione che deriverebbe dall’approvazione di una delle tre proposte di cui si discute rispetto a quella attuale, non foss’altro per la scelta di abrogare l’art. 161-bis c.p., contrario alla vera essenza dell’istituto della prescrizione che sarebbe quella di presidiare l’inviolabilità del diritto di difesa, segnando il limite temporale entro il quale lo Stato può perseguire un reato ed una persona subire le conseguenze del suo agire.

Insomma, le prime reazioni alle ennesime proposte legislative sono state diverse e abbastanza variegate e di questo non ci si deve sorprendere, visto l’evidente fervore che questo tema suscita ormai da anni non solo a livello politico ma anche sul piano strettamente giuridico. Si tratta, inoltre, di reazioni abbastanza coerenti con l’atteggiamento mostrato sia rispetto alla scelta di interrompere definitivamente il corso della prescrizione sia con riferimento all’introduzione della nuova causa di improcedibilità per scadenza dei termini di impugnazione. Le Camere Penali, infatti, hanno sempre manifestato una convinta ostilità in relazione all’introduzione di un sistema volto ad interrompere definitivamente i termini di prescrizione a seguito della sentenza di primo grado così come la magistratura, già dai primi arresti successivi all’introduzione della riforma Cartabia, aveva assunto un atteggiamento abbastanza favorevole verso il neo art. 344-bis c.p.p.[12].

Non resta, ora, che aspettare le reazioni della dottrina (oltre a quelle degli illustri professori che già si sono espressi e di cui abbiamo dato menzione) la quale, a rigore, non dovrebbe essere così critica verso una riforma che decide, da un lato, di eliminare il blocco definitivo della prescrizione (da tutti stigmatizzato come una scelta deleteria per l’imputato, per il processo e per l’ordinamento in generale) e, dall’altro, propone di abolire l’art. 344-bis c.p.p., criticato dai più per la sua natura ibrida, con tutte le conseguenze che ciò comporta, e per i diversi problemi di carattere processuale che, evidentemente, la riforma Cartabia non ha tenuto in considerazione[13].

3. Le osservazioni del Vice Procuratore europeo Ceccarelli: un possibile ritorno alla regola Taricco?

Un cenno particolare meritano le considerazioni sviluppate dal Viceprocuratore Capo Europeo Ceccarelli, anch’esso sentito in sede di audizione dalla Commissione Giustizia il 4 luglio 2023.

Il Vice Procuratore, dopo essersi soffermato sulla scelta di eliminare dall’art. 158 c.p. il riferimento alla cessazione della continuazione come termine da cui far iniziare a decorrere la prescrizione[14], sottolinea l’approccio poco sistemico alla materia, “la mancanza di una visione su natura, finalità e scopo dell’istituto della prescrizione, nonché sulla necessità che una riforma seria della prescrizione vada di pari passo con valutazioni e considerazioni sull’efficienza del sistema giustizia”.

Tali considerazioni, se ben si riflette, sono le stesse elaborate dall’On. Pittalis proprio in occasione della presentazione della sua proposta di legge il 17 febbraio 2023: “non occorre intervenire sulla prescrizione per rimediare alle inefficienze del processo penale, bensì è necessario mirare a sradicare il problema della irragionevole durata dei processi penali, puntando ad affermarne l’efficienza, ossia la perfetta funzionalità, e l’efficacia dall’inizio del processo alla fine, giungendo all’imputazione della responsabilità dei reati”.

Le stesse parole, dunque, ma con esiti differenti: se l’inefficienza del processo penale porta Pittalis a ritenere possibile un ritorno alla disciplina della prescrizione originaria (o meglio, a quella risultante dalla legge ex-Cirielli del 2005) la medesima inefficienza induce il Vice Procuratore a ritenere del tutto errata la proposta in questione in quanto non farebbe altro che aggravare la situazione italiana rispetto alla violazione degli obblighi europei.

Ad aver realmente ha causato un aumento esponenziale dei procedimenti dichiarati estinti per prescrizione, sostiene Ceccarelli, non sono tanto le ultime riforme quanto, piuttosto, la scelta fatta nel 2005 di eliminare il sistema di prescrizione a scaglioni a favore di un meccanismo basato sul massimo della pena edittale prevista per ciascun reato – tuttora utilizzato nella gran parte degli altri Stati membri – e di ridurre l’aumento massimo del termine della prescrizione – in presenza di cause interruttive – dalla metà a un quarto. In questo modo l’Italia “si è trovata ad essere allo stesso tempo lo Stato membro dell’Unione con il sistema processuale più lento ed inefficiente, e con la prescrizione di gran lunga più breve di ogni altro Stato”.

Fin qui niente di particolare: l’idea che l’inefficienza del processo penale sia dovuta a problemi organizzativi estranei alla prescrizione è opinione condivisa da molti, così come non mancano le critiche (ormai ventennali) proprio all’introduzione della legge ex-Cirielli.

Ciò che invece merita di essere menzionato è l’espresso riferimento che il Vice Procuratore europeo fa alla vicenda Taricco. Riferimento che, si noti bene, viene fatto per sottolineare come l’Italia risulti inadempiente in materia di interessi finanziari dell’Unione proprio a causa della disciplina sulla prescrizione.

Ma la saga Taricco non si era conclusa (con l’impossibilità sancita dalla Corte costituzionale di applicare la regola enunciata dalla Corte di Giustizia nel nostro ordinamento, sia perché contraria al principio di irretroattività sfavorevole in materia penale sia perché caratterizzata da un deficit di determinatezza)? La risposta non sembra affatto positiva e, anzi, il Vice Procuratore Europeo non lascia molti dubbi al riguardo: nel caso in cui si trovi ad indagare su reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione “anche negli assai complessi procedimenti per frodi IVA transnazionali e frodi doganali, la Procura Europea si potrà presto trovare nella situazione di denunciare di nuovo alla Commissione UE, e indirettamente alla Corte di Giustizia dell’Unione, la inadeguatezza del sistema italiano della prescrizione a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione” e, addirittura, di denunciare l’azione del legislatore italiano che, con l’introduzione di una nuova riforma della prescrizione, “invece di attivarsi per consentire la repressione effettiva dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, sembra voler adottare modifiche normative che renderebbero ancora più difficile, e in modo sistematico, tutelare gli interessi finanziari dell’Unione nel settore penale, perseguire i reati e recuperare il danno subito dalla collettività”.

Toni particolarmente duri appaiono, dunque, quelli usati dal Vice Procuratore Europeo il quale, tenendo a mente le modalità con cui si è svolto l’episodio Taricco e la ‘vincita’ della partita da parte della Corte costituzionale, sembra quasi voler rimescolare le carte in gioco e avvertire che, per quanto la Corte di Giustizia sia stata in quel caso ‘magnanima’ nella vicenda Taricco, ciò non ricapiterà laddove la questione si dovesse ripresentare all’attenzione dei Giudici di Lussemburgo. Insomma, l’attivazione dei controlimiti potrebbe ora essere minacciata dalle istituzioni europee così come, ai tempi, aveva fatto la Corte costituzionale.

4. Considerazioni conclusive

Le proposte legislative qui esaminate dimostrano un interesse, che non sembra destinato a placarsi, quasi spasmodico verso il meccanismo della prescrizione, come se dallo stesso dipendesse la soluzione a tutti i mali del mondo.

Non c’è dubbio che ciò derivi, in parte, dalla stessa connotazione della prescrizione che, com’è stato efficacemente affermato, è un istituto che si presenta ‘assiologicamente ambiguo[15]: se da un lato consente a ogni cittadino di non essere sottoposto ad un giudizio penale senza fine e, parallelamente, allo Stato di risparmiare risorse economiche in relazione a fatti di reato assai risalenti nel tempo, dall’altro lato è espressione della rinuncia statale alla propria potestà punitiva. Al tempo stesso, però, è giusto sottolineare, anche con una certa preoccupazione, che intervenire una quinta volta sulla disciplina della prescrizione in soli sei anni darebbe vita ad un’ipertrofia legislativa che sarebbe meglio evitare.

Ciononostante, non si può non evidenziare che l’eventuale scelta di eliminare il blocco definitivo della prescrizione dopo la sentenza di primo grado sarebbe un’opzione del tutto in linea con la ratio della prescrizione e con la funzione che essa assume nel nostro ordinamento. Ciò che si è sempre rimproverato alla riforma Bonafede è proprio la scelta in sé di bloccare il corso della prescrizione nonostante le garanzie costituzionali che la stessa presidia: il diritto all’oblio e la finalità rieducativa della pena che, con il passare del tempo, subentrano alla finalità general-preventiva che giustifica la risposta punitiva dello Stato verso un fatto costituente reato. Per non parlare di come l’interruzione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio non risolve affatto il problema del massiccio numero di reati che si prescrivono. Dei molti procedimenti penali dichiarati estinti per prescrizione, infatti, circa la metà si prescrivono durante la fase delle indagini preliminari, un quarto nel corso del giudizio di primo grado ed un altro quarto durante quello di appello a causa del sovraccarico degli uffici giudiziari e del proliferare di nuove incriminazioni[16].

Rispetto alla nuova causa di improcedibilità di cui all’art. 344-bis c.p.p., invece, si pongono maggiori dubbi di carattere sistematico.

Da un lato, infatti, deve darsi atto dei dubbi e gli interrogativi che il nuovo strumento introdotto dalla riforma Cartabia solleva.

Innanzitutto, non è chiaro quale sia la sua natura giuridica e il regime applicabile, così come sono discutibili i meccanismi di proroga dei termini previsti dall’art. 344-bis c.p.p.[17].

Numerosi sono, poi, i problemi di natura processuale: il rapporto tra la nuova causa di improcedibilità e il giudizio di inammissibilità dell’impugnazione proposta, quello tra la sentenza di assoluzione e la declaratoria di improcedibilità in sede di appello nonché la scelta (da alcuni ritenuta paradossale) del trasferimento della decisione sulla confisca, all’esito della declaratoria d’improcedibilità, dal giudizio di cognizione a quello di prevenzione. D’altronde, se veramente la nuova causa di improcedibilità fosse solo formalmente diversa dalla prescrizione ma rappresentasse sostanzialmente un prosieguo della stessa, non si spiegherebbero i motivi per i quali molti dubbi interpretativi si sono posti e continuano a porsi.

Dall’altro lato, però, non si può prescindere dai dati positivi che, in generale, la riforma Cartabia sta avendo, quantomeno per quanto riguarda la riduzione dei termini di durata dei giudizi di impugnazione. Termini che, è bene ricordarlo, obbligatoriamente devono subire un contenimento per consentire di raggiungere (entro il 2026) gli obiettivi fissati dal PNRR.

Le soluzioni astrattamente percorribili, quindi, sembrano essere due: si potrebbe, per prima cosa, lasciare che la nuova causa di improcedibilità faccia il suo corso per verificare se, effettivamente, la stessa sia in grado in qualche modo di favorire la creazione di una macchina giudiziaria più efficiente e più organizzata. È chiaro che per svolgere una valutazione di questo tipo è necessario del tempo ma questo tempo deve essere concesso, con buona pace di tutti coloro che avanzano quotidianamente idee e suggerimenti su come modificare la prescrizione.

Se proprio questa strada non fosse percorribile, invece, non apparirebbe così azzardato un ritorno al passato e, in particolare, alla disciplina prevista all’indomani della ex-Cirielli. Per quanto infatti andrebbe rivisto lo stesso criterio di calcolo dei termini di prescrizione introdotto nel 2005 (e quindi la scelta di eliminare il sistema a fasce), l’idea di ripristinare il sistema originario in cui i reati si prescrivono a partire dal momento della commissione del fatto, senza cause di sospensione o di improcedibilità particolare, avrebbe un importante merito: quello di catalizzare l’attenzione sui veri problemi della giustizia e questo sarebbe l’unico modo per far ritornare la prescrizione ad essere uno strumento eccezionale all’interno del sistema penale così da evitare un suo utilizzo ordinario, come oggi accade.


[1] Le riforme in questione sono state approvate, più precisamente, con: L. 5 dicembre 2005, n. 251; L. 23 giugno 2017, n. 103; L. 9 gennaio 2019, n. 3; L. 27 settembre 2021, n. 134.

[2] Va detto che, in verità, la riforma Bonafede aveva espressamente qualificato l’arresto della prescrizione dopo la sentenza di primo grado come un’ipotesi di sospensione della prescrizione nonostante la stessa non potesse più ricominciare a decorrere a seguito di tale pronuncia. Per questo motivo la Riforma Cartabia ha introdotto l’art. 161-bis c.p. che, correggendo questa svista, identifica espressamente la cessazione definitiva della prescrizione dopo il primo grado di giudizio come interruzione della prescrizione.

[3] Si tratta delle proposte di legge n. 745 (Costa), presentata alla Camera dei deputati il 29 dicembre 2022; n. 893 (Pittalis), presentata il 17 febbraio 2023; n. 1036 (Maschio) presentata il 23 marzo 2023. Per semplificare vengono indicati solo i relatori delle relative proposte di legge. In realtà le proposte di legge Pittalis e Maschio hanno visto l’iniziativa anche di altri deputati. Nel caso della proposta di legge Pittalis ci si riferisce agli On. Calderone e Patriarca mentre la proposta di legge dell’On. Maschio è stata presa d’iniziativa con gli On. Varchi, Buonguerrieri, Dondi, Palombi, Pellini, Polo, Pulciani e Vinci.

I testi di tutte le proposte di legge sono disponibili sul sito della Camera accessibile dal seguente link: https://www.camera.it/leg19/1.

[4] Il riferimento è alla proposta di legge Bisa presentata alla Camera dei deputati il 5 settembre 2023 dall’On. Bisa insieme ai deputati Molinari, Matone, Morrone, Sudano, Andreuzza, Bof, Cavandoli, Coin, Montemagni e Pretto.

[5] Diverse critiche sono state mosse in tal senso dai primi commentatori che hanno analizzato tali progetti: G. L. Gatta, Prescrizione e improcedibilità: alla Camera prove tecniche di una ennesima, improvvida, riforma. A proposito dei disegni di legge n. 745, Costa, n. 893, Pittalis, n. 1036, Maschio, in SistemaPenale, 6/2023, p. 217 ss.; N. Rossi, La “Fabbrica di San Pietro” della giustizia penale, in Questione Giustizia, 2/2023, pp. 6-7.

[6] Il testo è stato approvato dalla Commissione Giustizia durante i lavori della seduta del 28 settembre 2023. Si sono opposti all’approvazione del testo diversi Onorevoli presenti alla seduta stessa: Debora Serracchiani (PD), Valentina D’Orso (M5S) e Devis Dori (AVS).

[7] Non è questa la sede per analizzare il rapporto tra prescrizione e ragionevole durata del processo. È sufficiente sottolineare come tale rapporto sia oggetto di un ampio dibattito tra chi ritiene che la prescrizione sia uno strumento per assicurare al processo una durata ragionevole e chi, al contrario, sostiene che la ragionevole durata del processo non ha nulla a che fare con la prescrizione in quanto la stessa dipende, in realtà, da interventi organizzati estranei alla gravità del reato.

[8] Durante le audizioni informali del 27 giungo e del 4 luglio 2023 durante le quali sono stati sentiti diversi esponenti del mondo del diritto. In particolare, il 27 giugno sono stati sentiti il Prof. Gatta, il Prof. Gialuz, Fabio Varone (avvocato e dottore di ricerca in diritto e processo penale presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Eriberto Rosso (Segretario Nazionale dell’Unione Camere Penali), Piercamillo Davigo, Salvatore Casciaro (Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Magistrati), Mattia Alfano (rappresentante dell’Osservatorio nazionale sostegno vittime da reato) e di Vincenzo Orlandini, (Consigliere dell’Associazione Il Mondo Che Vorrei Onlus). Il 4 luglio, invece, sono stati sentiti: Luigi Salvato (Procuratore generale presso la Corte di Cassazione), Danilo Ceccarelli (Viceprocuratore capo della Procura europea), Francesca Nanni (Procuratore generale presso la procura di Milano), Antonio Gialanella (Avvocato generale della Repubblica presso la corte d’appello di Napoli) e Maurizio de Lucia (Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo). Per tali audizioni non è prevista la resocontazione ma il video dell’intero incontro è disponibile sul sito della Camera dei deputati al seguente link: https://www.camera.it/leg19/1104?shadow_organo_parlamentare=3502&id_tipografico=02&annomese=202307.

[9] In questo senso si esprime il dott. Salvato nella sua audizione del 4 luglio.

[10] L’espressione è usata dal Prof. Gatta. Il Professore (già consigliere della Ministra Cartabia) riporta alcuni dati che il Ministero della Giustizia sta raccogliendo e pubblicando sul proprio sito internet, in un’area dedicata al monitoraggio continuo degli obiettivi PNRR, accessibile attraverso il seguente link: https://webstat.giustizia.it/SitePages/Monitoraggio%20PNRR.aspx.

[11] Ci si riferisce al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (c.d. PNRR) disponibile su: https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf. Il Piano è stato varato a seguito dell’adozione del Next Generation EU, approvato dal Consiglio Europeo per sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia di Covid-19. Tra gli obiettivi della riforma vi era anche quello di ridurre del 25% la durata dei processi penali.

[12] Basti pensare al fatto che la Corte di cassazione ha respinto già diverse questioni di legittimità costituzionale facendo leva sulla natura processuale dell’art. 344-bis c.p.p. e ritenendo che l’improcedibilità, a differenza della prescrizione che opera solo in primo grado – ha una funzione “compensativa e riequilibriatrice per garantire a tutti i procedimenti pendenti in appello e in cassazione, per i reati commessi dal 1° Gennaio 2020, una ragionevole durata, distinguendosi in ciò dalla prescrizione sostanziale”. Tra le sentenze che hanno confermato la natura processuale dell’improcedibilità v.: Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2021, n. 1567 e sez V, 10 gennaio 2022, n. 334.

[13] Dalla scelta in ordine alla natura sostanziale o processuale della nuova causa di improcedibilità dipende, innanzitutto, il regime di diritto intertemporale da applicare così come la sua eventuale compatibilità con l’art. 112 Cost. Ancora, da un punto di vista processuale, si pongono diversi problemi, tra i quali quello del rapporto tra la nuova causa di improcedibilità e il giudizio di inammissibilità dell’impugnazione proposta e quello del rapporto tra la sentenza di assoluzione e la declaratoria di improcedibilità in sede di appello.

[14] Viene sottolineato dal Vice Procuratore Ceccarelli come il reato continuato dovrebbe essere sempre considerato in modo unitario così come, d’altronde, avviene all’interno di tutta l’Unione Europea. In tal senso si osserva come una modifica di questo tipo, tale cioè da far iniziare a decorrere l’inizio della prescrizione dal momento in cui i singoli reati sono stati commessi e non da quello in cui è cessato il vincolo della continuazione, provocherebbe degli effetti assolutamente negativi sull’azione della Procura Europea che spesso ha a che fare con reati di questo tipo. L’effetto di tale modifica sarebbe, pertanto, quello di rendere le indagini superflue, non essendo le stesse in grado di spiegare fenomeni di criminalità così importanti (spesso legati anche ad associazioni a delinquere) in un periodo di tempo contenuto come potrebbe essere quello di prescrizione.

[15] L’espressione è di D. Pulitanò, Il nodo della prescizione, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015, n. 1, pagg. 20 e ss. L’autore paragona la prescrizione ad un estintore: “la prescrizione è (metaforicamente) un estintore, che, non diversamente dagli estintori previsti da un sistema di protezione dall’incendio, è necessario collocare a presidio di determinate situazioni, ma che il buon funzionamento del sistema dovrebbe mantenere inattivo”.

[16] Si fa riferimento a quanto affermato dal CSM in occasione del parere fornito in occasione dell’introduzione della riforma Bonafede. Si rinvia, pertanto, a CSM, Parere sul testo del disegno di legge AC 1189, Pratica num. 39/PA/2018, 19 Dicembre 2018, pagg. 9 e ss.

[17] I meccanismi di proroga sono stati fortemente criticati dalla dottrina, sia per l’eccessiva discrezionalità che viene lasciata al giudice sia per la scelta di prevedere meccanismi diversi in relazione ad alcune tipologie di reati. Anche la Corte di Cassazione, nella relazione dell’Ufficio del Massimario, ha espresso le sue perplessità in ordine al regime di proroghe, così come il CSM nel parere reso il 29 luglio 2021.

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