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Coltivazione domestica di marijuana per uso personale? Nessun inserimento nel mercato illegale

Cass., Sez. VI, 3 dicembre 2021 (dep. 20 gennaio 2022), n. 2388.

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte di Legittimità annullava integralmente e senza rinvio quanto deciso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, il quale riconosceva la configurabilità del reato di coltivazione domestica di marijuana, ritenendolo però non punibile per la particolare tenuità della condotta criminosa posta in essere.

Il Giudice Supremo precisava che il numero esiguo di piantine coltivate- tale da far intendere l’uso esclusivamente personale – esclude il reato di cui all’art. 73 del D.P.R. 309/90.

In generale, la coltivazione di cannabis costituisce reato quando il quantitativo di droga ricavabile sia di tali dimensioni da far presumere che sia destinato allo spaccio o comunque alla cessione a terzi.

In questi casi, scatta la reclusione da sei a venti anni e la multa da 26 mila a 260 mila euro.

Tuttavia, la pena può essere ridotta se la condotta, per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità.

Invero, la coltivazione di cannabis per uso strettamente personale, costituisce un mero illecito amministrativo e quindi non è penalmente rilevante quando il prodotto ricavabile è di entità minima e la coltivazione non connotata da abitualità è di tipo domestica e rudimentale.

Sull’argomento, le Sezioni Unite già intervenivano nel 2019 con la pronuncia n. 12348 chiarendo che il nesso di immediatezza oggettiva della coltivazione della sostanza con la destinazione esclusiva all’uso personale, vale a non configurare il reato di coltivazione di stupefacenti per la inoffensività in concreto della condotta stante il mancato inserimento della sostanza nel mercato illegale, (Cass. pen., Sez. Un., 19 dicembre 2019, n. 12348; Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2020, n. 6599).

È incontrovertibile quindi come l’assenza di ogni accorgimento finalizzato ad incrementare la produzione dello stupefacente non è idonea a prospettare alcun pericolo di ulteriore diffusione.

Dunque, sulla base di tali coordinate ermeneutiche la Suprema Corte ribadisce per la non sussistenza del fatto in quanto non vi è condotta criminosa non punibile poiché particolarmente lieve, ma totale esclusione di ogni rilevanza penale nella condotta di chi si limiti ad un uso meramente personale della sostanza senza alcuna finalità lucrativa e di commercializzazione.

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