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È truffa aggravata se il pubblico ufficiale induce altri a dare retribuzioni non dovute

 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, sentenza 13 marzo 2019, n. 44596, Di Stefano Presidente- Silvestri Relatore- Aniello P.M. (Conf.)

Nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha qualificato come delitto di truffa aggravata la condotta di un impiegato comunale addetto alle sepolture e alle riesumazioni, il quale, abusando delle proprie qualità e dei poteri, ha indotto a dare ed ha ricevuto da più persone retribuzioni non dovute, omettendo di informare i cittadini della gratuità del servizio di esumazione.

In primo luogo, la Suprema Corte esclude che la suddetta condotta sia sussumibile nel delitto di peculato mediante profitto dell’errore altrui di cui all’art. 316 c.p. Quest’ultimo reato si configurerebbe esclusivamente nel caso in cui l’agente profitti dell’errore in cui il soggetto passivo già spontaneamente versi, indipendentemente dalla condotta del soggetto agente; con la conseguenza che non rileva lo stato di errore da quest’ultimo indotto (in senso conforme, v, Sez. 6, 15 dicembre 2015,  n. 6658/16, in C.E.D. Cass., n. 265959).

In secondo luogo, la Corte evidenzia che la condotta dell’impiegato comunale non integra il reato di induzione indebita a dare o promettere, poiché non sussiste, nel caso di specie, alcun indebito vantaggio conseguito dal privato; inoltre, in quanto la richiesta di denaro interviene dopo che il servizio di esumazione è già stato prestato.

Invero i delitti di induzione indebita e di truffa aggravata commessi da un pubblico ufficiale, pur avendo in comune l’abuso da parte del pubblico ufficiale della pubblica funzione al fine di conseguire un indebito profitto, si differenziano per la posizione che assume il privato.

In particolare, nella fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p. – così come avviene anche per i reati di corruzione -colui che dà o promette non è vittima di un errore e conclude volontariamente un negozio giuridico illecito in danno della P.A.; viceversa, nella truffa, il pubblico ufficiale si procura un ingiusto profitto sorprendendo la buona fede del soggetto passivo mediante artifici o raggiri, ai quali la qualità di pubblico ufficiale conferisce maggiore efficacia (sul punto, si veda anche Sez. VI, 5 aprile 2016, n. 19002, ivi, n. 266933).

In dottrina, sul requisito del “vantaggio ingiusto” nella fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p. si veda GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, Giappichelli, 2018, p. 402 ss.

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