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Il superamento del formalismo e la conoscenza effettiva del procedimento da parte dell’imputato

 

Cass., Sez. Un., 28 novembre 2019 (dep. 17 agosto 2020), n. 23948

Sommario: 1. La pronuncia delle Sezioni Unite sul caso Ismail – 2. La legge 67/14 ed il superamento dell’istituto della contumacia – 3. Gli orientamenti giurisprudenziali sulla dichiarazione d’assenza – 4. La soluzione adottata dalla Sezioni Unite – 5. Riflessioni conclusive.

 

  1. La pronuncia delle Sezioni Unite sul caso Ismail

 

La pronuncia delle Sezioni Unite, oggetto del presente commento, nasce dalla vicenda relativa all’introduzione illegale in Italia di cittadini extracomunitari.

La Corte di Assise di Appello di Genova con sentenza del 2018 dichiarava di ufficio la nullità della sentenza di primo grado, ritenendo che si fosse proceduto in assenza dell’imputato, fuori dai casi previsti. In particolare, all’imputato, sottoposto ad identificazione, veniva rappresentato che sarebbe stato aperto un procedimento nei suoi confronti per la violazione delle norme in tema di ingresso illegale di stranieri e, non avendo difensore di fiducia, gliene veniva nominato uno di ufficio. Contestualmente invitato a dichiarare il domicilio, eleggeva domicilio presso il difensore di ufficio.

Proprio tale ultimo atto, ritenuto dal giudice di primo grado prova della conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, nonché della volontà di sottrarsi alla conoscenza del procedimento medesimo, veniva altresì ritenuto dalla Corte di Assise di Appello non idoneo a provare che l’Ismail potesse avere cognizione della sua veste di indagato.

Il ricorso avverso tale decisione, proposto dalla Procura Generale, deduceva la violazione dell’art. 420 bis c.p.p., ritenendo che il primo giudice avesse correttamente ritenuto che vi fossero le condizioni per procedere in absentia. In specifico si evidenziava come fosse erroneo, ritenere non rilevante la conoscenza del procedimento prima della iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p., in quanto tale circostanza non avrebbe alcun effetto sulla conoscibilità del procedimento da parte dell’indagato, e non potrebbe rappresentare un criterio discretivo, essendo sufficiente che la parte sappia che un procedimento penale potrà essere iniziato.

La questione viene risolta dalle Sezioni Unite, la quale ritiene non idoneo, ai fini della pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p., l’intervenuta elezione di domicilio, da parte dell’indagato, presso il difensore di ufficio nominatogli. La Corte si pronuncia su un caso antecedente la modifica avvenuta con la Legge 103/17, che ha introdotto l’assenso del difensore d’ufficio all’elezione di domicilio, ma alcune indicazioni contenute nella sentenza, possono darci utili elementi per una ragionevole interpretazione anche dell’art. 162, comma 4 bis c.p.p., così come novellato.

 

  1. La legge 67/14 ed il superamento dell’istituto della contumacia

Prima di analizzare la soluzione adottata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, è necessario fare un passo indietro, ovvero alla Legge 67/14, ed alla sua genesi.

In vigore dal 17 maggio 2014, le norme contenute nella legge 67/14, in specifico nel capo III, dall’art. 9 all’art. 15, hanno comportato l’allineamento del nostro ordinamento agli altri ordinamenti europei in materia di garanzia sostanziale del diritto di difesa, in specifico del diritto di partecipare al processo in cui si è accusati.

Con l’intervento legislativo viene espunto dal nostro codice l’istituto della contumacia, potendosi dichiarare la sola assenza dell’imputato. Vengono quindi individuati degli specifici casi in cui il giudice può procedere in assenza: quando vi sia stato l’arresto, il fermo o l’applicazione di una misura cautelare, oppure sia stata effettuata l’elezione o la dichiarazione di domicilio nel corso del procedimento, o sia stata fatta la nomina di un difensore di fiducia.

Presupposto necessario, comunque, ai fini della regolarità del contraddittorio, è l’acquisizione, da parte del Giudice, della prova della effettiva conoscenza dell’esistenza del procedimento da parte dell’imputato. A tal fine viene previsto che l’avviso d’udienza, in caso di rinnovazione disposta dal Giudice, venga notificato a mezzo della polizia giudiziaria all’imputato personalmente, con esclusione quindi di procedure di notifica equipollenti.

Nel caso la notifica non sia possibile il Giudice dispone la sospensione del processo nei confronti dell’imputato, dovendo, a cadenza annuale, disporre nuove ricerche. Solo nel caso in cui venga trovato l’imputato, il processo potrà proseguire.

Tale meccanismo processuale è il risultato di un lungo percorso del nostro ordinamento, alla ricerca di un allineamento del sistema alla fondamentale garanzia della partecipazione effettiva dell’imputato al processo penale, prevista in ambito europeo.

L’ordinamento processuale penale italiano, infatti, sino agli ultimi anni di vigenza del precedente codice di procedura penale, privilegiava il sistema di conoscenza legale degli atti del processo, basato sulla regolarità formale delle notifiche. Il processo si poteva svolgere in contumacia anche nei casi in cui la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, fosse stata effettuata con modalità non tali da garantire l’effettiva conoscenza. Il dato della effettiva conoscenza o meno del processo era sostanzialmente irrilevante, salvi i rimedi riparatori condizionati alla prova, a carico del condannato, delle condizioni che avevano reso impossibile la sua partecipazione e conoscenza del procedimento. Il sistema processuale così congegnato, a fronte della sufficienza anche di una evidente mera fictio di conoscenza del procedimento, garantiva la possibilità di difesa con il sistema della difesa di ufficio. Questa, però, era strutturalmente inidonea a garantire la certezza di partecipazione consapevole al processo ed a garantire una difesa piena.

La prima occasione di seria riforma di un tale sistema è stata la decisione Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, che condannava l’Italia proprio in considerazione della inadeguatezza delle regole di conoscenza legale rispetto alle esigenze di un giusto processo. Tale decisione riguardava il caso di un soggetto irreperibile, nonché latitante, cui la conoscenza “legale” era stata garantita con il deposito degli atti in cancelleria, e la notifica al difensore di ufficio. Il diritto all’appello tardivo gli era stato negato proprio in ragione della regolarità formale delle notifiche, basate su ricerche ritenute esaustive. Valutando il caso di specie, la Corte EDU affermava, con argomentazioni di portata generale, che un sistema di mera conoscenza legale confliggeva con i principi del giusto processo delineato nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in quanto non era affatto possibile determinare se l’imputato avesse potuto decidere volontariamente di non partecipare al processo.

La regola essenziale individuata nella Convenzione, quindi, è che non può essere posto a carico del richiedente, l’onere della prova di non avere inteso sottrarsi alla giustizia.

Questa decisione ha avuto un diretto rilievo nella elaborazione delle regole in tema di contumacia, irreperibilità e rimessione in termini del codice di procedura penale del 1989: il legislatore introduceva, infatti, l’obbligo di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato o del difensore, e superava il rigore della presunzione legale di conoscenza del sistema delle notifiche.

Alle disposizioni sulla contumacia, con la possibilità di valorizzare il dato concreto della “non conoscenza” anche a fronte di una notifica pienamente regolare, il codice del 1989 aggiungeva la previsione dell’art. 175 c.p.p. che, introduceva la possibilità della restituzione nel termine per impugnare la sentenza emessa in contumacia per l’imputato che provasse di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento.

La tutela riparatoria offerta al condannato riguardava la possibilità di impugnazione della sentenza, ma non il suo annullamento: era quindi escluso che la presunzione legale di conoscenza, in caso di notifica regolare, avesse sempre valore assoluto a discapito della conoscenza effettiva. Inoltre la prova della “non conoscenza” era a carico dell’interessato, essendo sostanzialmente equiparate la ignoranza del processo per colpa, e la sottrazione volontaria alla conoscenza degli atti del processo.

La previsione iniziale del nuovo codice restava invariata nella sostanza sino al 2005. Tale sistema è stato modificato perché, anche con tali aggiustamenti, è risultato inadeguato ai principi del processo equo sulla scorta di due successive decisioni della Corte EDU.

La prima è la decisione Corte EDU, 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia: si trattava di un soggetto condannato in contumacia cui era stata rifiutata la rimessione in termini nonché l’appello tardivo, ritenendo infondata la sua eccezione di falsità della propria firma attestante la ricevuta di una citazione. La Corte EDU nell’occasione ha affermato che, se un procedimento che si svolge in assenza dell’imputato non è di per sé incompatibile con l’articolo 6 della Convenzione, resta però il fatto che costituisce un rifiuto di rendere giustizia non permettere ad un individuo, condannato in absentia, di ottenere successivamente che una autorità giudiziaria decida di nuovo, dopo averlo ascoltato, sul fondamento dell’accusa in fatto come in diritto.

La decisione maggiormente determinante è stata comunque la seconda, Corte EDU, 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia. Come nel procedimento Colozza, in questo caso si era in presenza di un soggetto indagato per omicidio, da subito irreperibile nonché latitante a seguito di adozione della misura della custodia in carcere. Il processo a suo carico si era svolto sulla base di notifiche che certamente erano regolari secondo l’ordinamento interno, ma non tali da dimostrare alcuna sua conoscenza effettiva del procedimento, in presenza del difensore di ufficio che non impugnò la decisione di condanna. Arrestato all’estero, la Repubblica Federale Tedesca negava la sua estradizione, in quanto in Italia non gli era garantito un nuovo processo, o quantomeno l’appello rispetto alla decisione in primo grado. Il giudice competente, difatti, rilevava che il sistema processuale italiano non riconosce in favore del contumace un diritto incondizionato al nuovo processo, ed inoltre l’interessato avrebbe dovuto prima dimostrare che vi era stato un errore nel ritenere la sua latitanza. Sul punto era quindi contrario all’interpretazione della Corte EDU secondo la quale, per negare la impugnazione della sentenza resa in contumacia e notificata al difensore, doveva esserci una seria prova della specifica intenzione dell’imputato di sottrarsi alla conoscenza degli atti.

La Corte affermava quindi l’esistenza innanzitutto, di un obbligo, derivante dalla Convenzione, di procedere solo nei confronti di chi abbia l’effettiva conoscenza del processo, e poi, di un obbligo di prevedere un meccanismo riparatorio consistente nell’assicurare al soggetto giudicato in contumacia, un nuovo grado di giurisdizione di merito.

L’adeguamento normativo era immediato in quanto con il D.L. n. 17/05, convertito con modificazioni dalla L.n. 60/05, attraverso cui erano apportate le modifiche minime apparse necessarie. In particolare, era modificato l’art. 175 c..p.p., garantendo al contumace in modo del tutto incondizionato il nuovo grado di giudizio salva la prova, a carico dell’accusa, della sua effettiva conoscenza del processo.

La modifica era dettata dalla necessità di garantire il diritto incondizionato alla impugnazione delle sentenze contumaciali, da parte delle persone condannate, nei casi in cui esse non fossero state informate in modo effettivo dell’esistenza di un procedimento a loro carico.

La persona condannata in contumacia, quindi, se non informata effettivamente del procedimento, aveva diritto incondizionato al nuovo processo. Era chiara, quindi, la innovazione nel senso dell’assoluta prevalenza del dato della conoscenza effettiva, sul dato formale della regolarità della notifica.

L’altra, ed importante, ragione della sostanziale revisione del processo in contumacia, era la necessità di adeguamento del nostro modello processuale per rendere operativo il mandato di arresto europeo: la Decisione Quadro n. 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, in tema di mandato di arresto europeo, prevedeva che la legge di esecuzione dello Stato membro potesse escludere la consegna della persona condannata in base ad decisione in absentia, quando l’interessato non è stato citato personalmente né altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza, o non fosse comunque riconosciuto un diritto incondizionato ad essere sottoposto ad un nuovo processo.

Questo primo passo verso la regola della necessaria dimostrazione della conoscenza del processo da parte dell’imputato, realizzato con la regola “restitutoria”, del nuovo grado di giudizio, vedeva ancora un limite alle effettive possibilità di una restituzione nelle condizioni iniziali.

Innanzitutto, al contumace per il quale le notifiche erano state formalmente regolari, si consentiva la proposizione dell’appello e non la ripetizione del giudizio di primo grado. Inoltre, non veniva adeguato l’art. 603, n. 4, c.p.p., in tema di rinnovazione dell’istruttoria, per cui il giudizio di appello era solo cartolare, salvo che il contumace provasse di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore, o per non avere avuto conoscenza del decreto di citazione.

La possibilità del giudizio di appello per il contumace, che scopriva tardivamente di essere stato processato, era poi precluso nel caso in cui l’impugnazione fosse stata proposta dal difensore di ufficio, con tutti i limiti della mancanza di intesa sulla linea difensiva con l’interessato. Tale ultima conseguenza, però, era risolta dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, c.p.p. di cui alla sentenza Corte Cost., n. 317/09, con la quale era riconosciuto in favore del contumace “inconsapevole” il diritto ad una nuova impugnazione, pur se sia già stata proposta dal difensore.

In definitiva, la nuova disciplina della restituzione in termini introduceva il diritto incondizionato alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza resa in contumacia, essendo possibile negarla solo in caso di prova positiva della conoscenza “effettiva” del procedimento o del provvedimento.

Quindi si era in presenza di una presunzione relativa a favore del contumace, che prevaleva comunque sul mero dato formale della regolarità della notifica. Si superava, evidentemente, il principio della conoscenza legale.

Restavano, comunque ferme le regole del processo in contumacia. La Corte EDU, 25 novembre 2008, Cat Berro c. Italia, si pronunciava sul nuovo sistema di restituzione nel termine, affermando che, con la riforma del 2005, l’ordinamento italiano aveva risolto i punti critici della precedente disposizione, risultando quindi idonea a tutelare le esigenze di difesa del soggetto condannato in contumacia.

La riforma di cui alla legge 28 aprile 2014, n. 67 è quindi in dichiarata continuità con la introduzione di maggiori garanzie di effettività della partecipazione al processo, superando definitivamente il processo in contumacia.

In conformità al tradizionale principio dell’ordinamento interno, che riconosce anche il pieno diritto di non partecipare al processo, è stato introdotto il processo in assenza “volontaria” dell’imputato.

Sul piano generale il modello è semplice e chiaro: nel rispetto dei principi generali già introdotti nel 2005, l’imputato deve essere portato, direttamente e personalmente, a conoscenza della vocatio in ius, restando in sua facoltà il non partecipare al processo. Solo in tale caso, il processo si svolge in sua assenza, venendo rappresentato dal suo difensore. Nel caso in cui, invece, non sia acquisita la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio, il processo verrà sospeso.

Questo è il rilevante punto di diversità rispetto al processo in contumacia, che si svolgeva comunque, sulla sola base della notifica formalmente regolare, riconoscendosi all’imputato inconsapevole il solo diritto alla impugnazione.

Il sistema è sostanzialmente lineare, il giudice procede in quanto abbia la prova che l’imputato non si è presentato in udienza per sua libera scelta, conoscendo il contenuto delle accuse, nonché la data ed il luogo del processo, aggiungendosi ipotesi mirate ad impedire “false irreperibilità” e a facilitare per il giudice l’accertamento della conoscenza della vocatio in ius. Si prevedono situazioni che, nell’ottica della semplificazione dell’accertamento della consapevolezza della assenza, consentono di ritenerla, anche senza avviso personale a mani dell’imputato.

Si equipara alla conoscenza del contenuto del processo e del tempo e luogo di fissazione, la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o dei suoi atti.

Da ultimo, poi, la Direttiva 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, rafforzando ulteriormente l’interpretazione della novella legislativa del 2014, prevede norme minime comuni affermando che il processo in assenza è consentito solo qualora l’indagato, o l’imputato, sia stato informato in tempo utile del processo, nel senso che l’interessato è citato personalmente, o è informato ufficialmente con altri mezzi della data e del luogo fissati per il processo.

La successione di leggi nel tempo rende chiaro come, nel nostro ordinamento, vi sia stato un lento e graduale mutamento del pensiero giuridico, in ordine alla posizione dell’imputato che non partecipi al processo, delineandosi una netta differenziazione tra la posizione del soggetto che decide di non partecipare, e colui che incolpevolmente non partecipa.

 

  1. Gli orientamenti giurisprudenziali sulla dichiarazione d’assenza

Le problematiche evidenziate nell’evoluzione legislativa, hanno portato ad un contrasto di giurisprudenza, in ordine alla possibilità di celebrare il processo in assenza, nei confronti dell’imputato che abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio al momento della identificazione da parte della polizia giudiziaria e, poi, non sia stato più reperito.

In base ad un primo orientamento la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale, non può essere desunta da una elezione di domicilio effettuata in sede di identificazione di iniziativa della polizia giudiziaria, prima della formale instaurazione del procedimento con l’iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. (Cass. Sez. I, n. 3262 del 18.12.2019 dep. 2020, Singh; Cass. Sez. II, n. 3440 del 27.11.2019, dep. 2020, Bance; Cass Sez. II, n. 9441 del 24/1/2017, Seli; Cass. Sez. I, n. 16416 del 2/3/2017, Somai).

La ratio a base delle pronunce è chiara, con la legge 67/14 non è stato introdotto un formalismo giuridico: il sistema di conoscenza legale in base a notifiche regolari, non incide sulla questione della conoscenza effettiva del procedimento (Cass. Sez. 6, n. 43140 del 19/9/2019, Shimi Limam, in tema di rescissione del giudicato).

La notifica dell’atto introduttivo del giudizio presso il difensore di ufficio domiciliatario, è quindi inidoneo a determinare la conoscenza effettiva dell’esistenza del procedimento, a meno che non si dimostri che il difensore di ufficio è riuscito a rintracciare il proprio assistito, e ad instaurare un effettivo rapporto professionale con lui (Cass.Cass. Sez. V, n. 10443 del 7/2/2019, Nguia, Cass. Sez. I, n. 6479 del 11/10/2017, dep. 2018, Tulan; Cass. Sez. IV, n. 991 del 18/07/2013, dep. 2014, Auci; Cass. Sez. I, n. 8225 del 10/02/2010, Zamfir).

Secondo un diverso orientamento, invece, è valida la notificazione all’imputato presso il difensore d’ufficio domiciliatario, indicato nel corso delle indagini preliminari, in ragione della presunzione di conoscenza del procedimento prevista dall’art. 420 bis comma 2, c.p.p., la quale è superabile soltanto nel caso in cui risulti, ai sensi del successivo art. 420 ter, comma 1, c.p.p., che l’assenza è stata determinata da assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento (Cass. Sez. V, n. 40848 del 13/7/2017, Fanici e altro).

Si sostiene essenzialmente che con l’art. 420 bis c.p.p. il legislatore ha introdotto dei casi di presunzione di conoscenza del processo, comportando quindi che l’imputato abbia avuto con certezza conoscenza del procedimento, ovvero si sia volontariamente sottratto a tale conoscenza. Sull’imputato, quindi, grava l’onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento (Cass. Sez. IV, n. 49916 del 16/10/2018, F.; Cass. Sez. II, n. 25996 del 23/05/2018, Geusa; Cass. Sez. II, n. 39158 del 10/09/2019 Hafid Aiumin; Cass. Sez. IV, n. 32065 del 07/05/2019 Cc. Bianchi; Cass. Sez. V, n. 36855 del 07/07/2016, Baron; Cass. Sez. V, n. 12445 del 13/11/2015 (dep. 2016), Degasperi; Cass. Sez. II, n. 14787 del 25/1/2017, Xhami; Cass. Sez. II, n. 33574 del 14/07/2016 – dep. 01/08/2016, Suso).

 

  1. La soluzione adottata dalla Sezioni Unite

Il contrasto risolto dalle sezioni unite ha investito quindi l’interpretazione di tutte le condizioni, indicate nell’art. 420 bis, comma 2, c.p.p.: ovvero se la dichiarazione od elezione di domicilio, la previa applicazione di misura cautelare o precautelare, la nomina del difensore di fiducia, consentano che il processo prosegua in absentia, anche quando l’imputato non abbia ricevuto personalmente notifica dell’udienza.

La soluzione cui giunge la Corte ha quale punto di partenza i principi generali introdotti nel 2005, sostanzialmente gli stessi sottesi all’assetto conseguente alla riforma del processo in assenza (Cass. S.U., n. 28912 del 28/02/2019, Innaro).

Il presupposto è, quindi, la discontinuità nel nuovo sistema di processo in absentia rispetto all’ordinamento che valorizzava principalmente la regolarità formale delle notifiche. Si deve procedere soltanto nel caso di prova della piena consapevolezza dell’imputato, seguendo le affermazioni della Corte EDU nelle decisioni che hanno riguardato il nostro ordinamento.

Nella linearità di tale sistema si inseriscono quei particolari “indici di conoscenza” del processo. Si tratta di situazioni che necessitano di caratteri di effettività rispetto alle modalità con cui sono realizzate. É necessario far riferimento ad aspetti quali la efficacia della scelta del domicilio, al consentire la misura cautelare l’effettiva conoscenza del procedimento, alla realizzazione del rapporto con il difensore di fiducia che accetti la nomina.

La soluzione adottata è in linea con lo spirito delle riforme: il giudice deve accertare, attraverso un giudizio fattuale e logico,  che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’imputato e, quindi, se si siano o meno realizzate le condizioni da cui dedurre l’esistenza di un rapporto di informazione tra il legale, benché nominato di ufficio, e l’assistito (Corte Cost. 31/2017).

L’elezione domicilio deve essere seria e reale, dovendo essere apprezzabile un rapporto tra il soggetto ed il luogo presso il quale dovrebbero essere indirizzati gli atti.

Negli altri casi previsti, il procedimento cautelare o precautelare, deve concludersi regolarmente, prevedendo sempre il contatto con il giudice e la contestazione specifica degli addebiti.

La nomina del difensore di fiducia, poi, va letta nel senso di effettività: affinché abbia rilievo, dovrà esserci un regolare rapporto informativo tra difensore ed assistito, quindi una nomina accettata.

Il fondamento del sistema è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell’accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi, il processo in assenza è ammesso solo quando si sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell’imputato. Questa, del resto, è la ragione per la quale il sistema, introducendo la regola di certezza della conoscenza del processo, ha escluso il diritto incondizionato al nuovo giudizio di merito in favore del soggetto giudicato in assenza. Si noti, sul punto, che l’art. 420 quater c.p.p. prevede che, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell’imputato, deve disporre la notifica personalmente ad opera della polizia giudiziaria. La disposizione, quindi, dimostra come il sistema sia incentrato esclusivamente sulla effettività di tale conoscenza, senza alcuna presunzione.

Proprio nell’ottica di una comprensibile facilitazione del compito del giudice, il legislatore ha tipizzato dei casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell’imputato. Letto nel contesto della disposizione, quindi, l’aver eletto domicilio, l’essere stato sottoposto a misura cautelare, aver nominato il difensore di fiducia, sono situazioni che consentono di equiparare la notifica regolare, ma non a mani proprie, alla effettiva conoscenza del processo.

Non si tratta, comunque, di una presunzione che consenta di ritenere conosciuto il processo e non più necessaria la prova della notifica, ma di casi in cui, nelle date condizioni, è ragionevole ritenere che l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificato secondo le date modalità.

 

  1. Riflessioni conclusive

La pronuncia in commento è applicabile alle situazioni verificatesi antecedentemente  alla legge n. 103 del 2017, che ha inserito nell’art. 162 c.p.p. il comma 4 bis, con il quale è stato disposto che l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario.

La disposizione ha sostanzialmente inteso ridurre al minimo, un tipico ambito di possibili elezioni di domicilio disattente, ma non ha comportato una soluzione definitiva alla problematica.

Restano aperte ulteriori problematiche: il nuovo meccanismo dell’accettazione dell’elezione di domicilio, che avviene telefonicamente, da parte del difensore d’ufficio, non può comportare, infatti, una presunzione di conoscenza del procedimento. Diversamente opinando si arriverebbe al paradosso di spostare la problematica risolta con la pronuncia in commento, semplicemente dall’art. 420 bis c.p.p., all’art. 162, comma 4 bis c.p.p.

Anche in caso di accettazione dell’elezione di domicilio da parte del difensore d’ufficio, negozio giuridico unilaterale, contenente una dichiarazione di volontà del terzo, comunque revocabile, sarà necessario accertare da parte del giudice, attraverso elementi fattuali, l’effettiva conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.

Non vi è spazio per soluzioni differenti: è irragionevole pensare che la dichiarazione del difensore d’ufficio, che accetti l’elezione di domicilio telefonicamente, in una fase antecedente all’iscrizione della notizia di reato ai sensi dell’art. 335 c.p.p., possa comportare nei confronti dell’imputato una impossibilità di poter ottenere la rescissione del giudicato.

La soluzione è chiara, a parere di chi scrive: l’imputato non può essere dichiarato assente se nomina un difensore di fiducia ma quest’ultimo non accetta il mandato, o vi rinuncia all’inizio del processo. Parimenti l’imputato non potrà essere dichiarato assente nel caso in cui un difensore d’ufficio domiciliatario, in fase d’indagini, dichiari successivamente, all’inizio del processo, di non avere avuto rapporti con il proprio assistito: in caso contrario potrebbero porsi dei dubbi di costituzionalità della norma, in quanto lesiva del diritto di difesa e del diritto ad un processo equo, all’interno dei quali rientra il diritto alla partecipazione al processo.

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