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Imputato infermo di mente e rito abbreviato per delitti puniti con ergastolo: non fondata la q.l.c.

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1. Segnaliamo ai lettori la sentenza della Corte Costituzionale con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, (come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 – Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, «laddove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo».

Il rimettente muove dall’assunto secondo cui «una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. potrà essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa.  Il giudice a quo ritiene che la regola della celebrazione di un dibattimento pubblico in corte d’assise non abbia alcuna ragione giustificativa, risolvendosi in un allungamento dei tempi processuali non funzionale ad alcuna esigenza della difesa dell’imputato nonché, dal punto di vista dell’intero ordinamento, in un «inutile dispendio di preziose risorse organizzative».

2. Invero, la sentenza n. 260 del 2020 ha già affrontato, e risolto negativamente, la questione se la disposizione all’esame violi l’art. 111, secondo comma, Cost., confrontandosi specificamente con l’argomento dell’asserita inutilità di un dibattimento pubblico nell’ipotesi in cui i fatti siano di agevole accertamento, ad esempio per essere intervenuta la piena confessione dell’imputato. L’ipotesi ora all’esame del giudice rimettente è parimenti caratterizzata da fatti agevolmente accertabili, sebbene il prevedibile esito del processo in questo caso sia l’assoluzione dell’imputato per vizio totale di mente, sulla base delle risultanze della perizia assunta in incidente probatorio. Ciò, ad avviso del rimettente, priverebbe di senso l’obbligo di celebrare il dibattimento anche sotto il profilo del quantum della sanzione, posto che all’imputato dovrebbe al più essere applicata una misura di sicurezza, la cui durata non dipende dalla tipologia del rito con il quale il processo sarà celebrato.

La sentenza n. 260 del 2020 ha peraltro già sottolineato come tra le finalità ispiratrici della legge n. 33 del 2019 non vi fosse solo quella di conseguire un generale inasprimento delle pene concretamente inflitte per reati punibili con l’ergastolo, ma anche quella  che rispetto ai reati più gravi previsti dall’ordinamento sia celebrato un processo pubblico innanzi alla corte di assise e non a un giudice monocratico, «con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime, di partecipare all’accertamento della verità». Quest’ultima finalità non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l’imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile – in particolare perché non imputabile –, ma rispetto ai quali l’ordinamento può comunque avere interesse a svolgere un processo pubblico avanti a una corte a composizione mista, con «partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia». Il perseguimento di tale finalità rientra nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, rispetto alle quali non è consentito a questa Corte sovrapporre la propria autonoma valutazione.

3. La Corte, nella sentenza in esame, ribadisce come «non possa qualificarsi in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà la scelta legislativa – magari discutibile sotto vari profili, e certo foriera di aggravi processuali – di prevedere comunque la celebrazione di un pubblico dibattimento, nel quale trova piena garanzia il “diritto di difendersi provando”, per accertare il fatto e ascrivere le relative responsabilità», restando ferma la possibilità per la corte d’assise di celebrare e concludere il dibattimento in modo spedito, sulla base dell’eventuale consenso dell’imputato all’acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento.

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