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L’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al reato continuato: la parola alle Sezioni Unite.

Cass., sez. V, 8 ottobre 2021 (dep. 25 ottobre 2021), n. 38174, Pezzullo, Presidente, Carusillo, Relatore, Loy, P.m.

1. Il caso

La vicenda concerneva una serie di prevaricazioni, realizzate dal prevenuto in danno del fratello, titolare di un distributore di carburante. 

Il reo, nel 2016, s’era recato presso l’esercizio commerciale della vittima in più occasioni nell’arco di un mese, posizionando la propria auto sulle corsie di accesso all’area di rifornimento, impedendone o ostacolandone l’utilizzo da parte dei clienti. 

La Corte d’Appello aveva riformato parzialmente la decisione di primo grado, confermandola in punto di responsabilità, ma sostituendo integralmente la pena detentiva irrogata nella corrispondente sanzione pecuniaria. 

Ricorreva per Cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, deducendo con due separati motivi: carenze motivazionali ed erronea applicazione della legge penale, per non aver ricondotto la fattispecie nell’alveo dell’art. 131-bis c.p., giudicato incompatibile con il vincolo della continuazione da cui erano avvinti gli eventi contestati; error in iudicando, poiché i giudici non avrebbero considerato, la dimostrata abitudine, da parte del ricorrente, invalido, di parcheggiare i veicoli che utilizzava, in un’area prospiciente l’ingresso della sua abitazione, per mera comodità e senza con ciò voler limitare la libertà di alcuno. 

2. Brevi considerazioni sull’istituto previsto dall’art. 131-bis

Innanzitutto occorre sinteticamente inquadrare la norma ex art. 131-bis.

Nell’intenzione del Legislatore la ratio fondante dell’istituto è quella di perseguire obiettivi di ultima ratio della sanzione penale, se non addirittura di proporzione tra il disvalore del fatto e la risposta sanzionatoria, attraverso l’espunzione dall’area della punibilità di quei fatti storici che ne appaiano “immeritevoli” (nella manualistica, per un inquadramento sistematico ed approfondito dell’istituto in parola, si vedano, ex plurimis, Fiandaca-Musco, Diritto penale – Parte Generale, 8° ed., Bologna, 2019, 826 ss.;  Manna, Corso di diritto penale – Parte Generale, 5° ed., Milano, 2020, 440 ss.; Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale – Parte Generale, 10° ed., Milano, 2021, 489 ss.). 

La quinta sezione della Corte, nello svolgimento della sua dettagliata analisi della fattispecie, richiama la sentenza Tushaj (Cass., Sez. Un., 6 aprile 2016 n. 13681), con la quale i Giudici, approfondendo l’esame della natura giuridica dell’istituto evidenziano che la tenuità del fatto, definita e disciplinata come causa di non punibilità, costituisce una figura di diritto penale sostanziale che opera su un piano diverso rispetto al principio di offensività (sulla sentenza Tushaj, ex alia, Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, 6, 659; Amarelli, La particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. si applica ai reati con soglie di punibilità, in Giur. it., 2016, 3, 709).

Mentre l’offensività attiene all’essere o non essere di un reato o di una sua circostanza, la non punibilità per tenuità del fatto – riguardando fatti che sicuramente rientrano nella fattispecie tipica, in quanto offensivi del bene giuridico tutelato -, è applicabile a qualsivoglia fattispecie di reato – sia essa commissiva od omissiva, di evento ovvero di pericolo -, rispetto alla quale può sempre operarsi una valutazione in concreto della gravità della condotta posta in essere. La non punibilità, dunque, deriva, non già dalla non offensività della condotta, bensì dal riconoscimento di un grado minimo dell’entità dell’aggressione al bene giuridico protetto, a fronte del quale il Legislatore ritiene non necessaria l’irrogazione della sanzione penale. 

Presupposti applicativi cumulativamente necessari, sono la particolare tenuità dell’offesa, – di natura oggettiva, riguardante il fatto di reato e la cui sussistenza si desume dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, – e la non abitualità del comportamento – di natura più soggettiva, inerente all’autore (sull’ambito di applicazione ed i criteri di strutturali, si veda Gullo, sub art. 131-bis, in Codice penale commentato, diretto da Dolcini – Gatta, Milano, 2021, 1975 ss.). 

La locuzione, “più reati della stessa indole”, va intesa nel senso che «il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. Ne deriva che, ai fini della valutazione del presupposto indicato – la “non abitualità” del comportamento -, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione- nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui -, ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131-bis c.p.» (si veda il § 5.2. del considerato in diritto, Cass., sez. V, 25 ottobre 2021, ord. n. 38174).

Con riferimento alle ipotesi di condotta abituale tipizzate dalla norma, le Sezioni Unite, hanno evidenziato che l’art. 131-bis c.p., nella parte in cui indica quale causa ostativa la commissione di condotte abituali e reiterate, ha inteso riferirsi alle ipotesi di reati abituali ed a quelli che prevedono la serialità quale elemento della fattispecie, rispetto ai quali la ripetitività delle condotte, proprio perché è elemento costitutivo del reato, consente di per sé di configurare l’abitualità che esclude l’applicazione della disciplina, senza che occorra verificare la presenza di distinti reati.

Quanto alla previsione delle “condotte plurime”, la decisione Tushaj ha negato che la locuzione rappresenti una mera ripetizione delle condotte già indicate come abituali o reiterate, ritenendo, invece, che la previsione normativa abbia un’autonoma portata precettiva, ragion per cui nel novero delle “condotte plurime” ben potranno essere ricondotte quelle ipotesi in cui il reato sia conseguito al compimento di “ripetute e distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti”, nel qual caso la «pluralità e, magari, la protrazione dei comportamenti colposi imprime al reato un carattere seriale, id est abituale» (si veda il § 5.3. del considerato in diritto, Cass., Sez. V, 25 ottobre 2021, ord. n. 38174).

Tuttavia, occorre osservare come, con la sentenza Tushaj, le Sezioni Unite, pur avendo preso posizione in ordine alle diverse ipotesi di abitualità della condotta, disciplinate dall’art. 131-bis c.p., non hanno affrontato la tematica concernente il reato continuato, nonostante la compatibilità della tenuità del fatto con la continuazione fosse stato indicato come uno degli aspetti maggiormente problematici fin dai primi commenti sulla riforma, così lasciando sostanzialmente aperta la questione in merito alla compatibilità della continuazione con la tenuità del fatto, in relazione alla quale si agita il ravvisato contrasto tra due opposti orientamenti di legittimità. 

3. I termini del contrasto giurisprudenziale

Secondo un primo orientamento, che fa leva sul tenore letterale della norma, a cui sentiamo di aderire, lo sbarramento deve ritenersi operante non solo nel caso di pregresso accertamento in sede giudiziaria dell’abitualità, ma anche con riferimento a condotte prese in considerazione nell’ambito di un medesimo procedimento e, quindi, anche con riferimento ai reati avvinti dal vincolo della continuazione (si veda Cass., Sez. III, 13 luglio 2015, n. 29897 in Danno e resp, 2015, 11, 1079; Cass., Sez. V, 20 ottobre 2017, n. 48352 con nota di Chiari, Lite tra automobilisti: motivi banali e atti violenti escludono la particolare tenuità, in Quot. Giur, 6 novembre 2017).

In particolare, la Corte esclude l’applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. nel caso di più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso che, pur unificati al fine del trattamento sanzionatorio, appaiono espressione di un “comportamento abituale, di una devianza non occasionale”. Il riconoscimento della continuazione, che pure incide sul trattamento sanzionatorio nella misura in cui segnala la minore intensità del dolo espresso nel corso della progressione criminosa, non consentirebbe di ritenere il fatto come una devianza occasionale, ovvero non reiterata (sul punto si veda, Cass., sez. VI, 12 dicembre 2017, n. 3353 in CED Cass. 272123).

Altre pronunce, invero, hanno evidenziato che l’incompatibilità del reato continuato con il riconoscimento della tenuità del fatto è in linea con il principio di non meritevolezza della pena per un fatto oggettivamente tenue che innerva l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., in ragione del fatto che il soggetto, che abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio, non possa avvantaggiarsi della menzionata causa di non punibilità perché, in tale evenienza, è la norma stessa a considerare il “fatto” secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola e prevale la sua dimensione “plurima” e la sua gravità (Cass., Sez. V, 14 novembre 2017, n. 4852 con nota di Scarcella, Falsifica due bollettini di pagamento del canone RAI: no alla particolare tenuità del fatto, in Quot. giur., 9 febbraio 2017; nonché in Dir. pen. e proc., 2017, 4, 450).

In posizione diametralmente opposta, si pongono altre pronunce di legittimità secondo le quali, invece, è sostenibile, sia pur a determinate condizioni (ed a nostro avviso con qualche remora), la compatibilità tra il reato continuato ed il riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
Valorizzando la gravità del reato, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata temporale della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi o perseguiti dal reo e le motivazioni, anche indirette, sottese alla condotta, sarebbe possibile escludere, secondo il predetto orientamento, l’abitualità della condotta nel caso della mera continuazione, sicché la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto potrebbe essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine (si veda,  Cass. Sez. II, 26 aprile 2017, n. 19932 in Dir. pen proc., 2017, 7, 874).

Possiamo concludere che, per tale indirizzo ermeneutico, il solo fatto che il reato, per il quale si chiede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sia stato posto in continuazione con altri non è di ostacolo, in astratto, all’operatività dell’istituto occorrendo valutare, in concreto, se il fatto nella sua globalità, avuto riguardo alla natura degli illeciti unificati, alle modalità esecutive della condotta, all’intensità dell’elemento psicologico, al numero delle disposizioni di legge violate, agli interessi tutelati, sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità (a titolo paradigmatico, di recente, Cass., Sez. II, 7 febbraio 2018 n. 9495, in CED Cass. 272523- 01; Cass., Sez. V, 26 marzo 2018 n. 32626 in CED Cass. 274491-01).

4. La questione devoluta alle Sezioni unite 

La Corte di Cassazione penale, preso atto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, ha ritenuto di dover rimettere alle Sezioni Unite della Corte di cassazione la seguente questione giuridica controversa: “Se, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., sia di per sé ostativa la continuazione tra i reati”. Al netto delle convincenti spiegazioni dogmatiche a sostegno di entrambe le posizioni in campo, a nostro avviso non sfugge quanto il futuro carico giudiziale sarebbe influenzato dall’eventuale dichiarazione di compatibilità tra la continuazione e la particolare tenuità, anche in ragione della moltiplicazione degli epiloghi pre-dibattimentali prevedibili a seguito della riforma della giustizia. 

L’udienza è fissata per il 27 gennaio 2022 e il relatore designato è il Consigliere De Amicis

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