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La confisca tributaria di valore tra diritto intertemporale e prescrizione: una “questione di principio… di legalità”.

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno escluso la possibilità di applicare la confisca per equivalente ai reati tributari prescritti e commessi prima dell’introduzione dell’art. 578-bis c.p.p. La soluzione adottata è apprezzabile nel fine, ma è il mezzo – l’interpretazione giurisprudenziale in chiave sostanzialistico-funzionale – che disvela la postmoderna e incessante crisi della legalità.

With the judgement under examination, the United Sections excluded the possibility of applying confiscation by equivalent to tax crimes prescribed and committed before the introduction of art. 578-bis c.p.p. The solution adopted is commendable in the end, but the means the substantialist-functional jurisprudential interpretation unveils the postmodern and never-ending crisis of legality.

Sommario: 1. Note introduttive. – 2. Il fatto. – 3. Gli orientamenti in punto di (ir)retroattività dell’art. 578-bis cod. proc. pen. per i reati tributari prescritti. – 4. La soluzione. – 5. Osservazioni a margine. – 6. La categoria delle norme processuali a effetti sostanziali nel sistema “dislivello” dei diritti. – 7. Post scriptum. “Cronaca di una morte annunciata”?

1. Note introduttive.

Con la sentenza n. 4145 del 2023, le Sezioni Unite della Cassazione tornano a pronunciarsi in tema di confisca per equivalente (o di valore), toccando, nel tentativo di scioglierlo, l’ultimo nodo di un groviglio sempre più intricato[1].

L’istituto ha determinato una scompagine nel sistema delle categorie formali[2], sollevando criticità di non poco momento nel raccordo tra il dato positivo e la sua applicazione[3].

Ebbene, la vicenda può essere esaminata da diversi punti di vista.

Sul primo versante: la specifica quaestio iuris. Il dictum si assesta nel solco formatosi in tema di “confisca senza condanna”, intendendo, con tale locuzione, l’applicazione di una misura ablatoria collateralmente a un reato ormai prescritto[4]. Un siffatto modus procedendi rinviene il proprio riscontro normativo[5] nell’art. 578-bis cod. proc. pen., che attribuisce al giudice, in (in)determinati casi, il potere di disporre alcuni tipi di confisca anche a seguito della prescrizione maturata nel corso dei giudizi di gravame.

L’oggetto del contrasto interpretativo riguarda la possibilità di estendere la confisca per equivalente, mediante il viatico dell’art. 578-bis c.p.p., a latere del reato tributario prescritto e commesso prima dell’introduzione della norma.

Le Sezioni Unite ne hanno affermato l’irretroattività, in quanto trattasi di “norma processuale a parziale efficacia sostanziale”.

La qualificazione giuridica, invero, è il prius logico-giuridico imprescindibile ai fini della determinazione della disciplina applicabile, specie in chiave di individuazione delle garanzie.

Su tali premesse abbriva l’indagine dalla seconda prospettiva.

Il fine – nel caso di specie (!) – è apprezzabile, poiché si muove nella direzione di ampliare le garanzie; il mezzo, tuttavia, suscita qualche perplessità.

Per chiarire. Si è ormai presa cognizione dell’inidoneità di talune dicotomie care al formalismo classificatorio di stampo giuspositivistico – tra tutte, quella che assoggetta al nullum crimen sine praevia lege poeneali le pene e al tempus regit actum le misure di sicurezza, le norme processuali e la disciplina dell’esecuzione penale – nel fornire alle garanzie «una protezione […] effettiva e concreta»[6].

Da qui la tendenza ermeneutica – prima con riguardo al diritto punitivo amministrativo, poi espandendosi a quello processuale e dell’esecuzione – volta a ripensare, in chiave sostanzialistico-funzionale, le nomenclature tradizionali ed estendere il raggio delle garanzie tipiche connesse alla matière pénale.

Vero è che si tratta di incertezze esegetiche che si risolvono (quasi sempre) in bonam partem[7]; ma dietro l’aspirazione di difendere e rafforzare la legalità, si celano derive a dir poco rischiose. Il riconoscimento della efficacia “sostanziale” di una norma è pur sempre rimesso a una valutazione ad arbitrium della giurisprudenza, la cui attività, sganciata da parametri certi e prevedibili, si orienta con la bussola rivolta a Strasburgo[8]. Così facendo però, si corre il rischio di alimentare un terreno fertile per i parassiti conosciuti come “truffe delle etichette” e stimolare le note e «perniciose tendenze verso forme di supplenza giudiziaria»[9].

Insomma, al di là del pregevole proposito di estendere il presidio di legalità, compreso dei suoi corollari, alle norme processuali, occorre riflettere su un sistema che sempre più eleva il diritto vivente[10]a fonte principale nella perimetrazione di ciò che è penale (sostanziale) e ciò che non lo è[11].

2. Il fatto.

La vicenda prende avvio dal ricorso di un soggetto condannato, con doppia conforme, per il reato di «Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74/2000. La fattispecie incriminatrice mira a punire la condotta del contribuente che utilizza fatture o altri documenti per dichiarare delle passività fittizie nelle dichiarazioni annuali relative all’imposta sui redditi e all’IVA, al fine di ridurre fraudolentemente l’imponibile oggetto del prelievo fiscale.

Proprio nel 2000, ossia al momento dell’introduzione della legge sui reati tributari, il legislatore prevedeva la sola possibilità di disporre la confisca diretta, mentre non era menzionata quella di valore[12]; detta misura – com’è noto – consta nell’apprensione coattiva di un valore corrispondente, ma non coincidente, al profitto[13] del reato, quando questo non sia rinvenuto o rinvenibile[14] nel patrimonio del reo (Einziehung des Wertes von Taterträgen).

Tale premessa rende evidente la “sussidiarietà”[15] della confisca per equivalente, nonché la funzione, che è quella di «privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa … nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento»[16]. Un substrato, dunque, intriso di istanze di ordine etico-sociale, giacché sarebbe intollerabile, agli occhi della collettività, che il reo si giovi del frutto del proprio crimine[17].

È evidente, quindi, la natura punitiva[18] – «eminentemente sanzionatoria»[19] – della confisca di valore: una «forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti»[20] tale da attivare le garanzie costituzionali e convenzionali connesse alle sanzioni penali.

E se il legislatore non ha optato per una disciplina generale dell’istituto, ne prevede espressamente la possibilità per le singole fattispecie di reato[21], chiaramente accomunate dalla complessità di accertare e dimostrare il nesso di derivazione causale tra la res da confiscare e il delitto. Ed è questo connotato strutturale e caratterizzare anche la categoria dei reati tributari[22], tanto che il legislatore del 2008, al fine di ampliare l’arsenale degli strumenti di contrasto all’evasione fiscale, è ricorso alla confisca per equivalente, in piena coerenza con l’annunciato fine di ablare il lucrum sceleris costituito dalle imposte evase.

In particolare, l’art. 1 co. 143 della L. Finanziaria prevedeva che «nei casi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di Iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p.».

Nel 2015, il legislatore ha “sistemato” espressamente la possibilità di procedere con la confisca per equivalente “tributaria” all’art. 12 d.lgs. n. 74/2000, poiché, prima di tale momento, vi era solo il richiamo che la L. finanziaria faceva all’art. 322-ter c.p.; tra le due norme vi è piena continuità, in quanto in rapporto di sostanziale identità.

Il dato non è di poco conto, poiché tra i motivi di gravame, il difensore censurava anche la mancata prevedibilità per il ricorrente, al tempus commissi delicti, di applicare la confisca per equivalente per il reato ascrittogli; in realtà, i fatti contestati risalivano al 2010 e, dunque, in un momento storico in cui il reo poteva ben prevedere che, se fosse stato condannato, il giudice avrebbe potuto disporre la confisca di valore per quel titolo di reato. Tale possibilità era stata sancita proprio dalla L. Finanziaria del 2008[23].

Quello che il reo non poteva sicuramente prevedere, invece, era che una siffatta possibilità restasse in piedi anche nel caso in cui il reato si fosse prescritto, difatti sancita solo con l’implementazione dell’art. 578-bis c.p.p., la cui efficacia intertemporale è oggetto della presente disputa.

3. Gli orientamenti in punto di (ir)retroattività dell’art. 578-bis cod. proc. pen. per i reati tributari prescritti.

Nel loro nucleo essenziale, le posizioni emerse in giurisprudenza possono sintetizzarsi in due orientamenti principali e antitetici, a seconda che si riconosca all’art. 578-bis cod. proc. pen. una natura sostanziale o processuale[24].

Come già premesso, l’appartenenza allo specifico settore influisce sulle regole di efficacia temporale – irretroattività / tempus regit actum – e si riflette significativamente sul piano della disciplina applicabile al singolo; nel caso di specie: sull’an dell’ablazione.

Ebbene, per un primo indirizzo ermeneutico[25], l’art. 578-bis cod. proc. pen. sarebbe una norma (solo) processuale – in sostanza, priva dell’ignoto fattore “X” – e come tale non meritevole della garanzia dell’irretroattività in peius.

Nelle pronunce afferenti a detto filone, si argomenta, a vario titolo, che:

  1. l’art. 578-bis cod. proc. pen. non avrebbe introdotto nuovi casi di confisca, ma solo definito la cornice procedimentale entro cui poterla disporre in assenza di un giudicato formale di condanna[26];
  2. la confisca di valore avrebbe una natura mista e solo in parte afflittivo-sanzionatoria[27], poiché, accanto alla funzione di neutralizzare indebiti arricchimenti (cui farebbe riscontro il principio che limita il quantum di ablazione “alla quota di prezzo o profitto conseguito effettivamente e personalmente da ciascuno degli imputati”), convergerebbero finalità ripristinatorie, di semplificazione probatoria ed esecutive;
  3. la soluzione sarebbe coerente con la giurisprudenza costituzionale e convenzionale formatasi con riguardo alla possibilità di disporre la confisca urbanistica (dunque, sanzionatoria), anche a seguito della prescrizione del reato di lottizzazione abusiva[28].

Seconda una diversa ricostruzione, invece, l’art. 578-bis cod. proc. pen. produrrebbe un effetto sostanziale tale da disinnescare il tempus regit actum e invocare l’art. 25, co. 2, Cost., proprio nella parte in cui estende il potere di disporre la confisca per equivalente a un reato prescritto.

Siffatta impostazione, postulando la natura afflittiva della confisca per equivalente, implica la necessità di garantire al destinatario una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo la norma penale. Viceversa, l’applicazione retroattiva dell’art. 578-bis c.p.p. a fatti antecedenti finirebbe per sostanziarsi in un’adozione di una pronuncia (in appello o in cassazione) impositiva di un sacrificio patrimoniale “a sorpresa”, non prevedibile per il ricorrente all’atto della commissione del reato.

4. La soluzione.

Le Sezioni Unite, aderendo al secondo dei citati orientamenti, hanno formulato il seguente principio di diritto: «la disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle altre forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale ed è, pertanto, inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 6, comma 4, d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, che ha introdotto la suddetta disposizione»[29].

Su un primo versante, la Cassazione ribadisce ancora una volta la natura afflittiva della confisca di valore. L’oggetto dell’ablazione consiste in una quota del patrimonio dell’imputato che in sé non presenta alcun collegamento con il reato: caratteristica, questa, che, pur in costanza del medesimo effetto (cioè l’espropriazione dei beni a favore dello Stato) ne implica la trasmutazione in “sanzione penale”.

Il focus si sposta poi sulla natura dell’art. 578-bis cod. proc. pen.

In primis, viene ribadita l’irrilevanza della collocazione topografica (nel caso di specie: nel Codice di procedura penale). Il fatto che una disposizione sia collocata nel Codice di rito e non presenti la paradigmatica combinazione precetto-sanzione non vale di per sé ad escludere la natura sostanziale.

Le Sezioni Unite richiamano la giurisprudenza costituzionale che riconduce le disposizioni processuali capaci di produrre effetti sostanziali all’area di applicazione del principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.[30].

In particolare il principio di prevedibilità, sancito dal combinato disposto degli artt. 25 co. 2 Cost. e 7 Cedu, non copre solo la sanzione penale stricto sensu, ma l’insieme delle conseguenze sanzionatorie riconnesse alla commissione di un fatto penalmente rilevante[31]; tra queste, anche la possibilità di disporre la confisca per equivalente a reato prescritto.

Sulla base di queste osservazioni, le Sezioni Unite pervengono al riconoscimento della natura mista dell’art. 578-bis cod. proc. pen.: sostanziale e processuale.

Tale disposizione, invero, non sarebbe meramente ricognitiva di un principio giurisprudenziale, ma sarebbe in parte costitutiva, poiché, per la prima volta, avrebbe riconosciuto il potere inedito di applicare la confisca per equivalente a un reato ormai prescritto.

5. Osservazioni a margine.

Il ragionamento delle Sezioni Unite può essere riassunto con un semplice sillogismo: premessa maggiore, una norma che produce effetti sostanziali è soggetta all’irretroattività sfavorevole; premessa minore, l’art. 578-bis è una norma a efficacia sostanziale; conclusione, l’art. 578-bis è soggetto all’irretroattività sfavorevole.

Ebbene, la pronuncia che si annota si inserisce nella categoria delle sentenze inutilmente prolisse: le Sezioni Unite molto “dicono”, ma poco “affermano”; anzi, è in quel che non dicono e che può ricavarsi a contrario che si annidano le criticità. L’essenziale è invisibile agli occhi… della Cassazione.

È sempre più frequente, ormai, uno stile della motivazione che ricorre alla plastica riaffermazione di precedenti noti, passaggi pleonastici, con l’inevitabile conseguenza di minare all’intelligibilità generale della pronuncia.

L’esegesi del giudice penale appare sempre più appiattita in una tralatizia recezione di massime giurisprudenziali elaborate in relazione a costellazioni fattuali sovente diverse e inadatte alla risoluzione del caso di specie[32].

Ebbene: per quanto estesa, la motivazione in commento non ci sembra convincente.

Si proverà allora a porre in evidenza alcuni punti su cui le Sezioni Unite soprassiedono, o trattano fugacemente, e che avrebbero meritato un maggiore sforzo argomentativo.

In primis. Le Sezioni Unite richiamano, come di routine, i criteri Engel[33] elaborati a Strasburgo – collocazione, natura dell’illecito, severità della sanzione – al fine di giustificare la qualificazione giuridica in termini di “sanzione penale” della confisca per equivalente. Nessun cenno, invece, alla sentenza Öztürk[34]che, valorizzando l’indice-criterio della “finalità” afflittivo-punitiva della sanzione, rappresenta ancor oggi il leading case di riferimento[35].

Altra questione non chiarita è l’ambito di operatività. La Corte avrebbe potuto (rectius dovuto) soffermarsi maggiormente sull’an, cioè sulla possibilità a monte di poter ricondurre la confisca tributaria per equivalente nel frastagliato perimetro dell’art. 578-bis cod. proc. pen., norma che pecca fortemente sui fronti della determinatezza e della tassatività.

Volendo andare più a fondo. L’art. 578-bis cod. proc. pen., nella sua originaria formulazione, si limitava a menzionare la confisca allargata prevista «dall’art. 240–bis e dalle altre disposizioni di legge».

Il legislatore della “Spazzacorrotti”, con l’inserimento del richiamo all’art. 322-ter cod. proc. pen. nell’alveo dell’art. 578-bis cod. proc. pen., ha per la prima volta esteso anche alla confisca per equivalente la possibilità di sopravvivere alla prescrizione.

In via preliminare, le Sezioni Unite precisano che «i reati tributari – a differenza di quelli previsti dal Codice penale e per i quali si applica la confisca di cui all’art. 322-ter cod. pen., a seguito della novella dell’art. 578-bis cod. proc. pen. introdotta dall’art. 1, comma 4, lett. f), legge n. 3 del 2019 – rientrano nel novero di quelli per i quali l’art. 578-bis cod. proc. pen. è applicabile sin dalla sua iniziale previsione»[36].

In altri termini, i giudici affermano l’irrilevanza della Spazzacorrotti, poiché la confisca di valore tributaria rientrerebbe nell’inciso «e dalle altre disposizioni di legge», contenuto sin dalla primigenia versione della norma.

A tal proposito, si richiama l’esegesi effettuata dalle Sezioni Unite Perroni[37] che, proprio mediante la sussunzione al suddetto inciso, hanno esteso il potere di disporre la confisca “urbanistica” – una misura di natura sanzionatoria – al reato di lottizzazione abusiva ormai prescritto. Ma nel riconoscere l’applicabilità dell’art. 578-bis cod. proc. pen. anche alla confisca urbanistica, le Sezioni Unite Perroni già erano incorse in una evidente forzatura del dato normativo.

Come già evidenziato, «in ossequio al criterio principe nell’interpretazione della legge codificato all’art. 12 delle Preleggi (secondo cui “nell’applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”), il riferimento alle “altre disposizioni di legge” non può che rapportarsi alle sole ipotesi di “confisca nei casi particolari” (appunto previste “da altre disposizioni di legge”), e non a qualunque confisca prevista da “da altre disposizioni di legge”, come invece sostenuto dalle Sezioni Unite. La piana lettura del dato testuale della norma rivela che la proposizione “e da altre disposizioni di legge” – considerate la congiunzione ‘e’ e la preposizione semplice ‘da’ e, quindi, secondo l’analisi logica del discorso – si lega alla proposizione precedente mediante l’aggettivo “prevista”, che segue (e non inframezza) il riferimento alla “confisca nei casi particolari”»[38].

Vero è che la forzatura operata dalle Sezioni Unite Perroni postulava una giurisprudenza, interna e convenzionale[39], che aveva ormai riconosciuto la possibilità di disporre la confisca senza condanna in caso di lottizzazione abusiva; ma, al contrario, la stessa possibilità non è stata affermata a chiare lettere per la confisca per equivalente[40].

Invero, le Sezioni Unite Lucci[41] hanno esteso i principi interpretativi sostanzialistici accreditati in sede convenzionale e costituzionale per sostenere la confisca-sanzione di cui all’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, anche in caso di prescrizione, alla sola confisca-misura di sicurezza avente ad oggetto il prezzo del reato ovvero il profitto, nel caso previsto dall’art. 322-ter cod. pen.

Stando così le cose, il richiamo ad adiuvandum del precedente “Perroni” ripropone una lettura a-tassativizzante dell’art. 578-bis cod. proc. pen. che, quale norma penale in bianco, sarebbe capace di attrarre – mediante l’inciso «e dalle altre disposizioni di legge» – tutte le forme di confisca previste ex lege nonché quelle che eventualmente saranno introdotte in futuro.

Ad aggravare il quadro, si rammenta che la confisca per equivalente non è disciplinata in via generale, ma è prevista in maniera espressa per le singole fattispecie incriminatrici e contenute sia nella parte speciale del Codice penale, sia nelle leggi complementari.

Il caos regna sovrano, come se nel sistema vi fosse un «attrattore di Lorenz»[42] capace di sconvolgere tutti gli equilibri.

Una lettura costituzionalmente orientata, invece, imporrebbe di circoscrivere l’operatività dell’art. 578-bis ai soli casi espressamente menzionati – cioè, gli artt. 240-bis e 322-ter cod. pen. – attribuendo all’inciso «e dalle altre disposizioni di legge» un significato estensivo, ma pur sempre relativo alle altre ipotesi di confisca allargata contenute nelle disposizioni speciali[43].

Stando così le cose, l’art. 578-bis cod. proc. pen. non ci sembra compatibile con il dettato costituzionale, poiché contrastante con le esigenze di determinatezza imposte dall’art. 25 Cost. e che, mediante il reticolo degli artt. 24, 111 e 112, valgono anche per le regole processuali.

A monte, si impone un recupero di determinatezza sul versante normativo, funzionale anche a contenere gli imprevedibili esiti interpretativi della giurisprudenza[44].

6. La categoria delle norme processuali a effetti sostanziali nel sistema dislivello dei diritti.

Nell’ottica di una prospettiva più ampia, la teorizzazione della categoria delle norme processuali a effetti sostanziali suscita non pochi rilievi critici.

Sul primo versante: la congenita fragilità della legalità processuale[45].

Un retaggio culturale, quello che postula l’asserita neutralità delle norme di diritto processuale penale sui diritti individuali, che la giurisprudenza tenta da tempo di spostare dall’impasse affermando l’irrilevanza della collocazione topografica.

L’impostazione ermeneutica è condivisibile. Le norme che attengono non solo al punire ma anche al procedere – in particolare al se, quando e come – contribuiscono a definire la dimensione costituzionale della punibilità[46]. Non fosse altro per l’eco mediatica e il processo mass-mediale[47], che si svolge parallelamente a quello delle aule giudiziarie.

Ciò che non convince è la logica argomentativa adottata per giungere al risultato.

Nel dichiarato fine di arginare le “frodi delle etichette”, la giurisprudenza deve pur sempre ricorrere a una etichetta – quella del “sostanziale” – per riconoscere l’operatività delle garanzie.

L’esemplificazione è offerta dalla vicenda Scoppola, nella quale l’ancoraggio all’art. 7 della Convenzione ha consentito di sottrarre al canone del tempus regit actum la modifica peggiorativa del regime sanzionatorio premiale connesso alla scelta del rito abbreviato, in quanto misura ritenuta idonea ad incidere sulla determinazione della pena[48].

Nelle medesime coordinate si ascrive la pronuncia in commento, la cui soluzione passa, ancora una volta, per una interpretazione sostanzialistico-funzionale della giurisprudenza (stavolta) di legittimità[49].

Evidente è il rischio delle strumentalizzazioni.

Volendo restare in tema di confisca. Com’è noto, l’istituto presenta una natura “proteiforme”[50] che, in taluni casi, si affranca da una configurazione di genotipo special-preventivo, per divenire una vera e propria pena accessoria, servente ad esacerbare quella applicata in via principale.

Già Manzini affermava che la confisca, più che una misura di sicurezza, fosse una vera e propria sanzione sui generis; lo stesso Beccaria si opponeva alla pratica, ritenendo che la stessa peccasse di un deficit di proporzionalità, in quanto diretta non solo verso il colpevole, ma anche nei confronti della famiglia e dei suoi discendenti, valicando i confini della punizione per il delitto commesso.

Non a caso, proprio la confisca tributaria di valore ha dato il “la” per una rimeditazione della interpretazione tradizionale dell’art. 25 Cost.[51]

Se la dottrina è sempre stata più solerte nel riconoscere una natura afflittiva alle confische, è (solo) a partire dal 2008 che la giurisprudenza ha espressamente ascritto la species “per equivalente” nel genus delle sanzioni penali[52].

Permangono ancora dei contrasti sulla latitudine delle garanzie da riconoscere[53]; ma al di là delle criticità scaturenti da una concezione dicotomica della legalità, intendiamo, per il momento, soffermarci sul “contenuto essenziale del precetto costituzionale”[54]: il principio di irretroattività in peius.

Ripercorrendo al contrario il percorso esegetico svolto, ricaviamo che in tutti i casi in cui la confisca sia priva del fattore “X” che la rende “sanzione penale”, non entra in gioco la garanzia costituzionale di cui all’art. 25, comma 2, Cost.

Calando l’asserzione nel caso di specie, se ne trae la possibilità di applicare retroattivamente l’art. 578-bis cod. proc. pen. in caso di confisca-misura di sicurezza per il reato prescritto.

Vieppiù. La vicenda assume contorni kafkiani se si richiama il diritto vivente consolidatosi sulla confisca di denaro. Invero, «deve essere tenuto ben presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma [sempre] confisca diretta»[55].

La natura fungibile del bene, a detta della Cassazione, determina un pot-pourri tale che prezzo o profitto si uniscono, sino a confondersi, con le altre disponibilità economiche del reo, perdendo qualsiasi connotato di autonomia quanto alla sua identificabilità fisica.

Rebus sic stantibus, i conti non tornano.

L’impossibilità di individuare il profitto “diretto” del reato e la conseguente ablazione del tantundem sono i tratti connotativi principali della confisca per equivalente, che ne determinano la mutazione in “sanzione penale” ex art. 25, co. 2, Cost.

Wenn A, B muss sein. Se c’è A, deve esserci B, dove A è l’impossibilità di rintracciare fisicamente il provento implicante la necessità dell’ablazione per equivalente e B è la natura punitiva della misura.

Qualora si tratti di denaro, la medesima impossibilità, dovuta alla fungibilità del denaro, determina una presunzione assoluta di pertinenzialità tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato.

Wenn A, nicht B sein muss. A e B restano identici, ma l’assioma è capovolto in nome di istanze utilitaristiche che confondono i concetti di fungibilità e pertinenzialità[56].

A rendere ancor più intricato il groviglio, si aggiungano le vette più recenti e radicali, giacché la Cassazione è arrivata ad affermare che l’eventuale allegazione o prova dell’origine lecita del denaro non ha alcuna efficacia ostativa all’adozione della confisca diretta[57].

In aliis verbis: la prova contraria non è solo superflua, è inutile.

Stando così le cose, si percepisce quanto sia sfumata la linea di confine tra una confisca per equivalente (“sanzione penale”) e una confisca diretta di denaro (“misura di sicurezza”)[58].

Un siffatto modus procedendi si risolve in un ribaltamento interpretativo in peius che, oltre a scontare gravi deficit di logicità e coerenza interna, si risolve in una violazione del divieto di analogia in malam partem e del favor rei.

A mettere in crisi il sistema è l’assenza di contorni ben definiti, tratti idiomatici propri e marcati che consentano di modulare l’area dei principi senza esitazioni; al contrario, si è dinanzi a figure translucide, le cui fattezze – opache, fluide, malleabili – si prestano alle più disparate mutazioni genetiche.

Stando così le cose, la lettura che ci sembra più coerente con la Costituzione imporrebbe di ricondurre tutte le confische – a prescindere dalle varie etichette – a una formula, che in ambito penale, dovrebbe valere incontrastata: il favor rei[59]. Da qui l’auspicata estensione della legalità, in tutte le sue articolazioni (compresa la funzione rieducativa!), per tutte le forme di confisca[60].

Tirando le somme. La crisi politica[61] – e con essa la produzione di norme connotate da un disfunzionale linguaggio giuridico – ha senz’altro contribuito al processo di patogenesi del «libertinaggio interpretativo»[62] giurisprudenziale, instillando l’idea, avallata dai mass-media, di una magistratura «correttiva degli errori del legislatore e riempitiva di lacune»[63], baluardo ultimo della Costituzione.

Ciò detto, non si dubita che la giurisprudenza abbia svolto un ruolo scomodo, in supplenza di un legislatore poco attento[64]. Ma agli iniziali sforzi ermeneutici della giurisprudenza – che ha manovrato ad hoc il paradigma classico della “sanzione penale”, onde riconoscere, ove il quadro positivo non lo permetteva, maggiori garanzie – non ha fatto seguito alcun adeguamento da parte del legislatore; e quegli sforzi, ormai sempre più degenera(n)ti in forzature, hanno portato a una radicalizzazione dell’ars interpretandi in chiave sostanzialistico-funzionale.

Allo stato attuale, invero, ci sembra che il richiamo al concetto del “sostanziale” abbia perso l’originario spirito, di antigene alle “frodi delle etichette” di matrice legislativa, per assumere un ruolo da agente patogeno: un espediente da proporre e riproporre per risolvere in maniera sbrigativa le questioni, ma al costo di allargare, sino a lacerarle, le maglie della legalità[65].

La circostanza, unita al progressivo rafforzamento del precedente mediante il viatico dell’art. 618 co. 1-bis cod. proc. pen.[66], presenta pericolose derive, tra cui quella di istituire una sorta di autodichia, per cui diviene lo stesso «potere giudiziario ad autolegittimare le proprie decisioni in merito ai confini ermeneutici della legge penale»[67].

Ma se la giurisprudenza si è fatta avanti come bastione contro le “frodi delle etichette” del legislatore, chi è che farà da bastione contro quelle della giurisprudenza?

7. Post scriptum. “Cronaca di una morte annunciata”?

Esauriti – si fa per dire – i rilievi critici, la sentenza de qua ci offre anche l’occasione per qualche rapida considerazione sulle sorti future dell’art. 578-bis cod. proc. pen.

La norma sembra(va) avere destino breve a seguito della transizione, ad opera della Riforma Cartabia[68], verso un modello cronologico “dualista”, che affianca, alla prescrizione sostanziale, una di tipo “processuale”[69], nelle forme della improcedibilità dell’azione penale per decorrenza dei termini nei giudizi di impugnazione (art. 344-bis cod. proc. pen.)[70].

In sostanza: esaurito il primo grado di giudizio, la prescrizione cessa di decorrere – non di esistere! – per fare spazio a un inedito congegno che misura il tempo del processo[71], con risvolti dogmatici[72] e pratici[73] di non poco momento.

Tra questi, un ruolo di prim’ordine è rivestito proprio dal destino della confisca.

A differenza della prescrizione sostanziale, la natura meramente processuale della declaratoria di improcedibilità ratione temporis implica, per l’orientamento tradizionale, l’effetto preclusivo rispetto a qualsiasi accertamento nel merito.

Senza dilungarsi, l’impostazione non ci trova d’accordo.

Sul piano dell’inquadramento dogmatico, l’improcedibilità di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen., pur facendo espresso riferimento all’azione, si sostanzia più correttamente in una condizione di proseguibilità[74].

La separazione tra il versante della procedibilità e quello della proseguibilità è tutt’altro che teorica, riflettendosi sulle interazioni con la regola di giudizio sancita dall’art. 129 cod. proc. pen.

La mancanza di una condizione di procedibilità inficia l’azione, che, qualora esercitata, non costituirebbe un titolo valido. In tal caso, si comprende come la decisione debba avere necessariamente ad oggetto l’accertamento della condizione impeditiva dell’azione.

L’affermazione, però, non ci sembra parimenti traslabile nell’alveo delle condizioni di proseguibilità e, a fortiori, per quanto concerne l’improcedibilità ratione temporis, la quale presuppone un’azione validamente esercitata: l’elemento impeditivo della prosecuzione sorge solo successivamente e in via del tutto eventuale.

Eppure, la qualificazione come norma “solo” processuale preclude la possibilità di essere prosciolti nel merito, anche qualora sia stata già acquisita la prova evidente dell’innocenza.

Ancora una volta, viene in rilievo una petizione di principio, giustificata dall’ennesima “truffa delle etichette” che atomizza prescrizione sostanziale e processuale[75], quando l’effetto è il medesimo: la fuoriuscita del soggetto dal circuito penale[76].

Riprendendo le fila del discorso, l’introduzione della improcedibilità ha implicato l’esigenza di coordinare la relativa disciplina con le disposizioni in tema di confisca.

A seguito della “carta bianca” fornita dal legislatore delegato[77], il d.lgs. di attuazione n. 150 del 2022 ha implementato un inedito art. 578-ter cod. proc. pen., rubricato appunto «Decisione sulla confisca e provvedimenti sui beni in sequestro nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione».

La novella ha previsto una metamorfosi drastica del sistema, prevedendo un regime differenziato a seconda del tipo di confisca.

In estrema sintesi. Se la confisca è obbligatoria, nulla quaestio. Il giudice del gravame deve disporla anche a seguito della scure della improcedibilità. La condanna è superflua, poiché trattasi di cose considerate intrinsecamente pericolose (sostanzialmente: i beni di cui all’art. 240, co. 2, n. 2, cod. proc. pen).

Fuori dai casi di obbligatorietà, invece, il giudice dell’impugnazione deve disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto o al Procuratore nazionale antimafia o antiterrorismo competenti a proporre le misure di prevenzione patrimoniali di cui al D.Lgs. 159/2011; da qui l’impulso per un inedito procedimento avente ad oggetto un vaglio, entro novanta giorni, sulla sussistenza dei presupposti per agire con la richiesta del sequestro propedeutico alla confisca antimafia[78].

Svariati i profili critici della Riforma[79], che chiamerebbero in campo le considerazioni più disparate in termini di ragionevolezza, forme, efficienza, sistematicità…

Ma non sarebbe che una fatica di Sisifo[80].

La questione prescrizione, infatti, è già tornata all’ordine del giorno nel dibattito politico; recentissima è l’approvazione della Camera alla proposta di legge C. 893, presentata in data 17 febbraio 2023, su iniziativa dei deputati Pittalis e altri, e abbinata alle proposte C. 745 e C. 1036, recante “Modifiche al Codice penale e al codice di procedura penale in materia di prescrizione”.

La proposta di legge, che risulta dall’unificazione di altre proposte di legge parlamentari e da un emendamento dei relatori Costa e Pellicini, intende abolire, dopo poco più di due anni, l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione ex art. 344-bis c.p.p., operando una retromarcia all’operatività della prescrizione sostanziale[81].

Come in un «eterno ritorno dell’uguale», Orlando, Bonafede, Cartabia, spazzati via dall’ennesima manipolazione del “tempo della giustizia”, da parte dell’ultimo di una sfilza di governi che, muovendosi sull’onda dell’improvvisazione e dell’approvazione sociale[82], non hanno favorito politiche, criminali e giudiziarie, destinate ad operare nel lungo periodo.

Verosimilmente, la retrocessione al monopolio della prescrizione sostanziale travolgerà il sistema appena inaugurato – tué dans l’oeuf – e in pratica mai entrato in azione.

L’art. 578-bis cod. proc. pen., come un’Araba fenice mai divenuta veramente cenere, tornerà a disciplinare i rapporti tra confisca ed estinzione del reato.

Cosa sarà dei fatti commessi nella vigenza (forse brevissima) dell’art. 578-ter?

Ebbene, il principio di legalità dovrebbe poter garantire al soggetto agente, al tempus commissi delicti[83], la possibilità di prevedere che l’accertamento della responsabilità e le conseguenze sanzionatorie dipenderanno da leggi prestabilite, in modo da modulare anche le relative strategie processuali[84].

Dunque, la sfera di prevedibilità di un soggetto che tiene una condotta penalmente rilevante nel 2023 dovrebbe includere: a) l’imprescrittibilità del reato a seguito della sentenza di primo grado; b) l’improcedibilità dell’azione a seguito della scadenza dei termini di due anni in appello o di un anno in Cassazione; c) fuori dai casi di obbligatorietà, la caducazione della confisca ove il giudice della prevenzione non si pronunci positivamente entro 90 giorni.

Pur stando così le cose, non confidiamo nella «cristallizzazione delle regole del gioco»[85] qualora dovesse, con tutta probabilità, venir meno il sistema fondato sul combinato degli artt. 344-bis e 578-ter cod. proc. pen.

Scetticismi a parte, è noto che nella temperie culturale postmoderna – che chiede forme di controllo penale più ‘flessibili’, più ‘dinamiche’, anche ai fini di una ‘semplificazione’ processuale – quelli ad essere sacrificati sono i principi dello Stato sociale di diritto[86].

Frattanto, inevitabile è una riflessione sull’incessante crepuscolo della prevedibilità[87] che, in un tale ginepraio di riforme, ha sempre meno le fattezze di un canone di natura precettiva e sempre più quelle di «uno spettro [che] si aggira per l’Europa».


[1] Il quesito rimesso alle Sezioni Unite era così formulato: «se, e quando, la statuizione di confisca per equivalente possa essere lasciata ferma, o debba invece essere eliminata, nel caso in cui il giudice dell’impugnazione pronunci sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato presupposto, previo accertamento della responsabilità dell’imputato, e il fatto sia anteriore all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 4, lett. f), legge 9 gennaio 2019 n. 3, che ha inserito nell’art. 578-bis c.p.p. le parole “o la confisca prevista dall’art. 322-ter c.p.”».

[2] Cfr. A. Gaito, Prefazione, in G. Napolitano, La confisca diretta o “per equivalente” del provento da reato. Profili sostanziali, processuali e tributari della confisca nei riguardi dell’ente collettivo e della persona fisica, Cedam, Milano, 2021, p. 4; V. Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in Dir. pen. contem., 13 aprile 2015, p. 2; F. Mazzacuva, Confisca per equivalente come sanzione penale: verso un nuovo statuto garantistico, in Cass. pen., 2009, 9, pp. 3420 ss.

[3] Si rinvia a G. Napolitano, La confisca diretta o “per equivalente” del provento da reato. Profili sostanziali, processuali e tributari della confisca nei riguardi dell’ente collettivo e della persona fisica, Milano, 2021, passim.

[4] Sul tema, si rinvia a T. Trinchera, Confiscare senza punire?, Uno studio sullo statuto di garanzia della confisca della ricchezza illecita, Torino, 2020; M. Panzarasa, Confisca senza condanna? Uno studio de lege lata e de iure condendo sui presupposti processuali della confisca, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010; F. Nicolicchia, Dalla confisca “senza condanna” alla confisca “senza tempo”: rilievi critici dalla prospettiva processuale, in Arch. pen., 2020, 1; L.V. Lo Giudice, Confisca senza condanna e prescrizione: il filo rosso dei controlimiti, in Dir. pen. contem., 4, 2017, pp. 243 ss.

[5] D.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, recante “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, co. 85, lett q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”.

[6] V. Manes, Retroattività, diritto e processo penale (da Scoppola a Contrada), in Quest. Giust., 2019, 1, 45, p. 303.

[7] I. Pellizzone, Garanzie costituzionali e convenzionali della materia penale: osmosi o autonomia?, Spunti di riflessione a margine di Corte cost., sent. 11 maggio 2017, n. 109, Pres. Grossi, Rel. Zanon, in Dir. pen. contem., 2017, 4, p. 172 ss. In particolare, «se si ammette che l’art. 25 co. 2 Cost. possa ricomprendere le tutele convenzionali per la materia penale, pur in spregio alla qualificazione legislativa voluta dal Parlamento, si vanifica infatti un profilo essenziale delle garanzie dello stesso art. 25 co. 2 Cost., ovvero la riserva di legge in materia penale. (…) Si potrebbe dubitare che le obiezioni a questa commistione di tutele abbiano fondamento, affermando sbrigativamente che fin tanto che essa dispiega conseguenze in bonam partem va accettata. Tuttavia, è bene sottolineare che i costi di questa operazione paiono non indifferenti, posto che la “strumentalizzazione” dell’art. 25 co. 2 Cost., al fine di applicare gli artt. 6 e 7 CEDU, porterebbe ad un vero paradosso: l’art. 25 co. 2 veicolerebbe nel nostro ordinamento violazioni di un istituto che esso stesso sancisce e protegge, cioè la riserva di legge penale, intesa come rinvio alla discrezionalità parlamentare della scelta, così come della esclusione, della sanzione penale per garantire la protezione di un bene giuridico».

[8] A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale”, tra Costituzione e CEDU, in Arch. pen., 2023, fasc. 2, passim.

[9] S. Moccia, Qualche riflessione sui fondamenti normativi dell’interpretazione in materia penale, in Dir. giust. min., 2015, 2, p. 10.

[10] L. Ferrajoli, Contro la giurisprudenza creativa, in Quest. Giust, 2016, 4, p. 13, «se chiamiamo diritto vigente l’insieme degli enunciati normativi e diritto vivente l’insieme dei loro significati quale risulta dalla loro interpretazione e applicazione, possiamo ben dire che mentre il diritto vigente è frutto della legislazione, l’intero diritto vivente è frutto della giurisdizione e perciò dell’argomentazione giudiziaria e, in particolare, di quella interpretativa». Si v. altresì P. Ferrua, La lenta agonia del processo accusatorio a trent’anni dall’entrata in vigore: trionfante nella Carta costituzionale, moribondo nel reale, in Proc. pen. giust., 2020, vol. 10, 1, pp. 7-14, secondo cui «il diritto vivente, espresso dalla giurisprudenza, che dovrebbe uniformarsi al diritto vigente, prodotto dal legislatore, se ne è progressivamente distaccato e reso autonomo; al punto che sempre più spesso è il diritto vigente ad inseguire e ratificare gli approdi innovativi del diritto giurisprudenziale». Ancora, S. Moccia, Qualche riflessione sui fondamenti normativi dell’interpretazione in materia penale, cit., p. 10, secondo cui «il segno più evidente dell’eccessivo spazio rivendicato dalla magistratura nella stessa produzione del diritto è costituito dalla valorizzazione del cosiddetto diritto vivente. La Corte costituzionale, utilizzando tale criterio per salvare la legittimità di norme carenti sul piano della determinatezza […] ha finito per svuotare di contenuto il principio di determinatezza: la cui ratio impone al legislatore il dovere di definire con chiarezza e precisione le fattispecie per limitare la discrezionalità giudiziale e, quindi, risulta violata allorché non è il legislatore, ma la giurisprudenza a definire, con interpretazioni talvolta stabili, ma molto più spesso oscillanti, la sfera del punibile». Infine, O. Mazza, Cedu e diritto interno,in A. Gaito (a cura di), I principi europei del processo penale, Roma, 2016, 12 ss.

[11] A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale”, tra Costituzione e CEDU, cit., p.4., secondo cui «non si può rimettere all’arbitrio dei giudici – neppure delle Corti supreme – il potere di stabilire che cosa sia materia penale e che cosa non lo sia: altrimenti, si tornerebbe ad un governo degli uomini anziché delle leggi, dei giudici costituzionali anziché della Costituzione»[11].

[12] Si rinvia a T. Trinchera, Confiscare senza punire?, cit., pp. 75 ss.

[13] La nozione di è stata oggetto di vivaci dispute e contrasti giurisprudenziali, la cui analisi trascenderebbe le rime serrate del presente elaborato. Ex plurimis, si rinvia ad A.M. Maugeri, La nozione di profitto confiscabile e la natura della confisca: due inestricabili e sempre irrisolte questioni, in Legisl. pen., 17 gennaio 2023, passim.

[14] L. Puccetti, La confisca per equivalente, in Montagna (a cura di), Sequestro e confisca, Torino, 2017, p. 414.

[15] Come già affermato, la confisca presuppone la prodromica impossibilità di rinvenire, interamente o parzialmente – per qualsiasi motivo – nel patrimonio del reo il provento del reato, ovvero l’esistenza certa e stimabile dell’entità che segna il limite invalicabile del quantum. Cfr. A.Gaito, Prospettive d’indagine, in Giur. It., Torino, 2009, nn. 8/9, passim.

[16] Cass. pen., Sez. Un. pen., 25 giugno 2009 (dep. 6 ottobre 2009), n. 38691, Caruso.

[17] Cfr. V. Manzini, Trattato di diritto penale, Torino, 1981, p. 369, secondo cui sarebbe immorale che «il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro ch’egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso”».

[18] Cass. pen., Sez. F., 17 agosto 2009 (ud. 28 luglio 2009), n. 33409, Alloum. Proprio in base alla siffatta natura “punitiva”, le Sezioni Unite hanno affermato che «in caso di concorso di persone nel reato, la confisca “per equivalente” prevista dall’art. 648-quater cod. pen. può essere disposta per ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto». Cfr. A.M. Maugeri, La nozione di profitto confiscabile e la natura della confisca: due inestricabili e sempre irrisolte questioni, cit., pp. 7 ss..

[19] La natura sanzionatoria è sostenuta dalla giurisprudenza unanime e dalla dottrina maggioritaria. Cfr. Corte cost. 2 aprile 2009, n. 97, in cui è possibile leggere che «la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un “rapporto di pertinenzialità” (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva». Nel panorama scientifico, la dottrina assolutamente maggioritaria è concorde. Ex plurimis, si rinvia a A. Bargi, La rarefazione delle garanzie costituzionali nella disciplina della confisca per equivalente, in Giur. it., 2009, p. 2071; S. Furfaro, La confisca per equivalente tra norma e prassi, in Giur. it., 2009, p. 2083; F. Mazzacuva, Confisca per equivalente come sanzione penale: verso un nuovo statuto garantistico, in Cass. pen., 2009, pp. 3423; M. Pelissero, Commento alla L. 29.9.2000 n. 300, in Leg. pen., 2001, pp. 1026 e 1030; C. Santoriello, La confisca del profitto del reato nel sistema punitivo nei confronti degli enti collettivi e delle persone giuridiche, in Giur. it., 2009, p. 2090; Soana, La confisca, cit., p. 11. Contra, A.M. Maugeri, La lotta contro l’accumulazione di patrimoni illeciti da parte delle organizzazioni criminali: recenti orientamenti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, p. 491; Id., voce Confisca, cit., p. 201. Le voci contrarie ritengono che sia la confisca per equivalente che quella diretta presentano una duplice componente: una «compensativo/riparatoria», per la parte in cui si colpisce il patrimonio del reo in misura corrispondente al profitto netto che questi ha ricavato dal reato, e una «punitivo/sanzionatoria», per la parte in cui si colpisce la differenza tra profitto lordo e profitto netto, così da incidere negativamente sul patrimonio del reo diminuendolo rispetto alla situazione di partenza.

[20] Cass. pen., Sez. V, 1° aprile 2004, n. 15445, Napolitano.

[21] La confisca per equivalente misura ha fatto la sua prima comparsa nel Codice penale con riferimento al reato di usura previsto dall’art. 644 c.p., cui è seguita una significativa proliferazione, tanto da essere attualmente regolata da numerose disposizioni. Si rinvia a T. Trinchera, Confiscare senza punire?, cit., pp. 77-81.

[22] Cfr. G. Giangrande, La confisca per equivalente nei reati tributari: tra legalità ed effettività, in Dir. prat. trib., 2013, 173 ss..

[23] In altri termini, non viene rievocata la vexata quaestio la sempre discussa possibilità di applicare retroattivamente le norme che prevedono la confisca, per quei reati per i quali non era prevista la possibilità di applicare la misura al tempo in cui sono stati commessi. Nel panorama scientifico, parte della dottrina ritiene che il principio di irretroattività debba operare anche per le misure di sicurezza, come per le pene, e che l’art. 200 c.p. consenta solo l’applicazione retroattiva della legge sopravvenuta che disciplini in modo diverso le modalità esecutive di una misura di sicurezza già esistente. Ex plurimis, G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2019, p. 873; G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2019, pp. 117 ss.; A. Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, pp. 120 ss.; A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale”, tra Costituzione e CEDU, cit., p. 19.

[24] Cfr. E. Florio, Sui profili intertemporali dell’art. 578-bis c.p.p. in relazione alla confisca per equivalente ex art. 322-ter c.p., in Giur. pen., 2022, 5, passim.

[25] Così Cass. pen., Sez. II, 2 aprile 2021, n. 19645.

[26] Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2019, n. 8785; Cass. pen., Sez. II, 2 aprile 2021, n. 19645, Cosentino.

[27] Cass. pen., Sez. VI, 9 gennaio 2020, n. 14041, Malvaso.

[28] Cfr. Corte cost., 2015, n. 49; Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2017, n. 31617; Corte EDU, 28 giugno 2018, n. 1828/06, G.I.E.M. e altri c. Italia.

[29] Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2023 (ud. 29 settembre 2022), n. 4145.

[30] Corte cost., 6 luglio 2021, n. 140. In tale occasione, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 83, co. 9, D.L. n. 18 del 2020, nella parte in cui prevedeva la sospensione del corso della prescrizione «per il tempo in cui i procedimenti penali [fossero] rinviati ai sensi del precedente co. 7, lett. g), e in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020». In particolare, la Corte ha ravvisato la violazione del principio di legalità sancito dall’art. 25 co. 2, perché il rinvio delle udienze, cui si ricollega la sospensione della prescrizione, costituisce il contenuto eventuale di una misura organizzativa che il capo dell’ufficio giudiziario può adottare a sua discrezione, quale facoltà solo genericamente delimitata dalla legge quanto ai suoi presupposti e alle finalità da perseguire. Il fenomeno della sospensione del decorso della prescrizione ha valenza sostanziale in quanto determina un allungamento complessivo del termine di estinzione del reato, ricadendo, dunque, nell’area di applicazione del principio di legalità che richiede – proprio perché incide sulla sfera della punibilità – che la fattispecie estintiva sia determinata nei suoi elementi costitutivi in modo da assicurare un sufficiente grado di conoscenza o di conoscibilità. La norma censurata, nel prevedere una fattispecie di sospensione del termine di prescrizione, rinvia a una regola processuale non riconducibile alle ipotesi indicate nell’articolo 159 cod. pen., in quanto il suo contenuto è definito integralmente dalle misure organizzative del capo dell’ufficio giudiziario, «così esibendo un radicale deficit di determinatezza, per legge, della fattispecie, con conseguente lesione del principio di legalità limitatamente alla ricaduta di tale regola sul decorso della prescrizione».

[31] Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, la nozione di prevedibilità della legge non osta a che la persona interessata sia indotta a rivolgersi a legali specializzati per valutare, con ragionevole grado di certezza ed in relazione alle circostanze del caso di specie, le conseguenze che possano derivare da una determinata condotta. Cfr. Corte EDU, 17 settembre 2009, n. 10249/03, Scoppola c. Italia; Corte EDU, 6 ottobre 2011, n. 50425/06, Soros c. Francia. 

[32] S. Moccia, Qualche riflessione sui fondamenti normativi dell’interpretazione in materia penale, in Dir. giust. min., cit., p. 12.

[33] Corte EDU, 23 novembre 1976, n. 5100/71, Engel e altri c. Paesi Bassi, § 82.

[34] Corte EDU, 21 febbraio 1984, n. 8544/79, Öztürk c. Germania, § 53. «Il fatto che si tratti pacificamente di un illecito minore che ben difficilmente è tale da danneggiare la reputazione dell’autore non lo pone al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 6. Non vi è infatti nulla che suggerisca che il concetto di illecito penale di cui parla la Convenzione implichi necessariamente un qualche livello di gravità […]. Per di più sarebbe contrario all’oggetto e allo scopo dell’art. 6, che protegge “chiunque sia soggetto ad un’accusa penale” il diritto a un tribunale e ad un equo processo, se allo Stato fosse consentito di sottrarre dal campo di applicazione dell’art. 6 un’intera categoria di illeciti solo per il fatto che siano qualificati come minori».

[35] Secondo F. Mazzacuva, Le pene nascoste, Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Torino, 2017, p. 21, il criterio della severità sembra ormai richiamato più che altro come «argomento ad abundantiam». Cfr. altresì A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale”, tra Costituzione e CEDU, in Arch. pen., 2/2023, pp. 28 ss.; L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, pp. 37 ss.

[36] Cass. pen., Sez. Un., 31 gennaio 2023 (ud. 29 settembre 2022), n. 4145, §1 Considerato in diritto.

[37] Cass. pen., Sez. Un., 30 gennaio 2020 (dep. 30 aprile 2020), n. 13539, con nota di A. BASSI, Confisca urbanistica e prescrizione del reato: le Sezioni unite aggiungono un nuovo tassello alla disciplina processuale della materia, in Sist. pen., 2020, 5, pp. 285 ss.; E. Addante, A. Dello Russo, Prescrizione e confisca dei suoli abusivamente lottizzati: l’intervento delle Sezioni unite sembra ristabilire gli equilibri costituzionali, in Arch. pen.; Manfrin, Confisca urbanistica in caso di prescrizione del reato e poteri dell’autorità amministrativa, in Sist. pen., 2020, 9, pp. 5 ss.;

[38] A. Bassi, Confisca urbanistica e prescrizione del reato: le sezioni unite aggiungono un nuovo tassello alla disciplina processuale della materia, cit, p. 293.

[39] Corte EDU, 28 giugno 2018, n. 1828/06, G.I.E.M. e altri c. Italia.

[40] Cfr. T. Trinchera, Rimessa alle sezioni unite una questione relativa alla definizione dell’ambito di applicazione temporale dell’art. 578 bis c.p.p. un’occasione per ripensare alla natura giuridica della confisca per equivalente?, in Sist. pen. Web, 1 agosto 2022, p. 9. «La riconosciuta applicabilità dell’art. 578 bis c.p. alla confisca urbanistica – una confisca che da sempre la corte di Cassazione ritiene possa essere applicata dal giudice penale anche in caso di proscioglimento per prescrizione del reato, laddove sia accertata la responsabilità dell’autore per un fatto di lottizzazione abusiva – non crediamo possa essere un argomento sufficiente a replicare sic et simpliciter la stessa soluzione anche con riferimento alla confisca per equivalente in materia tributaria che, all’opposto, sulla base di un principio assolutamente consolidato, almeno prima dell’introduzione dell’art. 578 bis c.p.p., non avrebbe potuto essere disposta in caso di prescrizione del reato. Le sezioni unite Perroni hanno invero individuato nell’art. 578 bis c.p.p. la base normativa di un orientamento interpretativo già ampiamente sperimentato dalla giurisprudenza in materia di confisca urbanistica».

[41] Cass. pen., Sez. Un., 30 settembre 2015 (ud. 21 luglio 2015), n. 31617, Lucci.

[42] L’attrattore di Lorenz, scoperto nel 1963, da Edward N. Lorenz del Massachusetts Institute of Technology, consta in un sistema di equazioni differenziali a bassa dimensionalità capace di generare un comportamento caotico.

[43] In maniera conforme, T. Trinchera, Rimessa alle sezioni unite una questione relativa alla definizione dell’ambito di applicazione temporale dell’art. 578 bis c.p.p. un’occasione per ripensare alla natura giuridica della confisca per equivalente?, cit., p. 9, secondo cui ’inciso si riferisce, in particolare, alla disposizione contenuta nell’art. 85 bis del T.U. in materia di stupefacenti (che ha previsto l’applicabilità della confisca allargata in caso di condanna per il reato di cui all’art. 73 del medesimo T.U.) e a quella contenuta nell’art. 301, co. 5 bis, del T.U. in materia doganale (che ha previsto l’applicabilità della confisca allargata in caso di condanna per uno dei reati contemplati dal medesimo articolo), nonché ora anche a quella di recente introduzione contenuta nell’art. 12 ter del d.lgs. n. 74 del 2000 (che ha previsto l’applicabilità della confisca allargata in caso di condanna per taluni reati in materia tributaria).

[44] Si rinvia a C. Iasevoli, L’imprevedibilità degli esiti interpretativi, in Arch. pen., 2018, 3, pp. 589 ss.

[45] Sebbene l’art. 25 Cost. non operi alcun distinguo – limitandosi a statuire che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso – al principio di legalità processuale non è riconosciuta la stessa forza di quello “sostanziale” (cioè della punibilità), né del resto postula la stessa elaborazione dottrinale. Si rinvia a C. Iasevoli, La cassazione penale ‘giudice dei diritti’, Napoli, 2018; Id., La nullità nel sistema processuale penale, Padova, 2009; D. Negri, Dallo ‘scandalo’ della vicenda Taricco risorge il principio di legalità processuale, in Arch. pen., 2017, n. 2; Id., Splendori e miserie della legalità processuale. Genealogie culturali, èthos delle fonti, dialettica tra le Corti, in Arch. pen., 2017, n. 2, 421-454; O. Mazza, Il crepuscolo della legalità processuale al tempo del giusto processo, in Criminalia, 2016, 11, 329 ss.; G. Ubertis, Equità e proporzionalità versus legalità processuale: eterogenesi dei fini?, in Arch. pen., 2017, n. 2, 389 ss.; M. Ronco, Legalità penale e legalità processuale, in Arch. pen., 2017, n. 2, 455 ss.; A. Franceschini, Per l’affermazione della legalità processuale, contro la giurisprudenza creativa, in Rass. pen., 2019, 4.

[46] In maniera conforme A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale”, tra Costituzione e CEDU, cit., p. 12, secondo cui «lo stigma, gravemente lesivo della dignità della persona, legato al procedimento penale e alla condanna stessa, configurano, nel loro insieme, un intervento sulla persona tanto invasivo da imporre l’applicazione di tutti i principi penalistici»; F. Falato, Sulla non cedibilità della unità di ordine della magistratura, in Arch. pen.,2021, 2,il cui parere è quello per cui «l’applicazione delle regole processuali concorre a definire, insieme alla qualità delle garanzie liberali, il contributo della giurisdizione alla complessiva tenuta della legalità e alla tutela degli interessi legalmente protetti». Contra, E. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, Milano, 1957, 133, secondo cui le norme che pongono e regolano le condizioni della pronuncia giurisdizionale di merito, cioè da cui non dipende il contenuto dell’accertamento giudiziale, ma il solo dovere del magistrato di emettere un accertamento di merito o astenersene, hanno natura processuale.

[47] S. Moccia, La perenne emergenza: tendenze autoritarie nel sistema penale, Napoli, 2000, 159; E. Amodio, Estetica della giustizia penale, Milano, 2016, passim.; C. Conti (a cura di), Processo mediatico e processo penalePer un’analisi critica dei casi giudiziari più recenti da Cogne a Garlasco, a cura di Conti, Milano, 2016; C.E. Paliero, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed “effetti penali” dei media), in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 467 ss.; Spangher, L’imputato è un morto che cammina, condannato prima del processo, in www.ildubbio.news, 17 maggio 2021. Se manca da parte della stampa il racconto del processo, la narrazione rimane ancorata alla formulazione dell’imputazione fatta dal P.M. durante le indagini e alla comunicazione che fa sulle fonti di prova. La gente assorbe pienamente la qualificazione giuridica data dal Pubblico Ministero che presenta come già colpevoli gli indagati. Questo inoltre va a condizionare – ed è l’aspetto ancora più grave – tutta la fase iniziale del procedimento.

[48] Corte EDU, 17 settembre 2009, n. 10249/03, Scoppola c. Italia.

[49] Già C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Milano, 1984, § IV, 153, sosteneva che «l’autorità d’interpretare le leggi penali [non] può risedere presso i giudici criminali per la stessa ragione che non sono legislatori».

[50] La nota espressione si rinviene in Cass. pen., Sez. Un., 27 marzo 2008 (dep. 2 luglio 2008), n. 26654.

[51] L. Masera, La nozione costituzionale di materiale penale, cit., p. 8.

[52] Cass. pen., Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39172. Con nota di F. Mazzacuva, Confisca per equivalente come sanzione penale: verso un nuovo statuto garantistico, in Cass. pen., 2009, 9, pp. 3420 ss.

[53] Si rinvia a F. Mazzacuva, Le pene nascoste, Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, cit., p. 106; L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, cit., p. 14 ss.

[54] Così Corte cost., sentenza n. 43 del 2017.

[55] Cass. pen., Sez. Un., 5 marzo 2014 (ud. 30 gennaio 2014), Gubert. «Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare». Principio ribadito anche in Cass. pen., Sez. Un., 30 settembre 2015 (ud. 21 luglio 2015), n. 31617, Lucci e, più di recente, Cass. Pen., Sez. Un., 18 novembre 2021 (ud. 27 maggio 2021), n. 42415, Gaeta.

[56] In maniera critica, M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1687, secondo cui «nel caso di profitto/indebito rimborso, la confisca sarà diretta, al solito, ove il denaro acquisito sia ancora identificato e rintracciabile nel patrimonio del soggetto; altrimenti (proprio perché il denaro è bene fungibile), sarà per equivalente, sia che colpisca altro denaro di cui egli disponga, sia che, non disponendone, si colpiscano beni per il corrispondente valore. Nel caso di omesso versamento, invece, mancando somme identificabili come direttamente pertinenti e provenienti dal reato, la confisca si atteggerà sempre a confisca per equivalente, disponga o non disponga il soggetto di denaro pari al suo debito». Dette affermazioni sono ribadite e condivise in R. Bartoli, Brevi considerazioni in tema di confisca del profitto, Dialogando con la sentenza Gubert e Mario Romano, in Dir. pen. contem., 20 ottobre 2016, secondo cui «risulta un’autentica forzatura ricavare dalla circostanza che un bene non possa essere “ontologicamente” rintracciato perché di per sé non marcato, il carattere necessariamente diretto della confisca, dovendo portare tale ragionamento proprio alla conclusione contraria».

[57] Il riferimento è a Cass. Pen., Sez. Un., 18 novembre 2021 (ud. 27 maggio 2021), n. 42415, Gaeta, con nota di M. Scoletta, La confisca di denaro quale prezzo o profitto del reato è sempre “diretta” (ancorché il denaro abbia origine lecita). Esiste un limite azionabile alla interpretazione giudiziaria della legge penale?, in Sist. pen. Web, 23 novembre 2021. L’A. critica il ragionamento delle Sezioni Unite che, nell’attribuire rilevanza generalizzata (ed assoluta) alla confusione patrimoniale come effetto normativo automatico dell’accrescimento monetario conseguente alla ricezione del profitto o del prezzo del reato, non tiene adeguatamente conto dell’autonomia del diritto penale e dei limiti funzionali entro i quali gli istituti e i concetti civilistici – come quello di fungibilità del bene e di confusione patrimoniale – possono essere utilizzati nell’articolazione del ragionamento giuridico nella materia penale. Contra, Cass. pen., Sez. VI, 1 luglio 2020 (ud. 11 dicembre 2019), n. 19766, Salina, secondo cui «in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca del prezzo o del profitto del reato eseguito su conto corrente cointestato all’indagato ed a soggetto terzo, è necessario accertare la derivazione del denaro dal reato e la sua provenienza dall’indagato dovendosi verificare, anche solo a livello indiziario, se ed in che misura il conto sia stato alimentato con risorse derivanti dalla commissione del reato».

[58] R. Borsari, Percorsi interpretativi in tema di profitto del reato nella confisca, in Legisl. pen., 8 settembre 2019, pp. 14 ss., secondo cui, così facendo, si addiviene alla sostanziale abolizione della distinzione tra confisca diretta e confisca per equivalente.

[59] Già F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Parte generale, Lucca, 1867, 471 ss., sosteneva, proprio in tema di prescrizione, che quando le norme incidono direttamente sul rapporto di garanzia tra Stato e individuo, la qualificazione diventa irrilevante, perché in questi casi, la formula che offre la soluzione è quella di far «prevale[re] sempre ciò che più torna in favore dell’accusato». In maniera conforme, Manes, secondo cui, a prescindere da ogni valutazione in chiave di prevedibilità soggettiva – lo Stato non “cambi le carte in tavola” alle spalle (e a detrimento) degli individui, dovendo sempre garantire – in un sistema basato sul principio di prééminence du droit e sulla rule of law – una fairness, sostanziale o processuale.

[60] In maniera conforme, A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale” tra Costituzione e Cedu, cit., p. 19, secondo cui «se la misura di sicurezza è sostanzialmente una pena, cade qualsiasi ragione pure per interpretare in modo differenziato il principio di legalità: anche le misure di sicurezza devono essere conformi a determinatezza ed anche per esse deve valere, senza limitazioni arbitrarie, il principio di irretroattività».

[61] L. Ferrajoli, Contro la giurisprudenza creativa, cit., p. 14, secondo cui «l’espansione della giurisdizione e del potere dei giudici è dovuta a molteplici fattori. Il primo di questi fattori è riconducibile alla responsabilità della politica. Consiste nell’incapacità del legislatore di fare il suo mestiere, quale si manifesta nel dissesto della produzione legislativa, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo: innanzitutto nella sovra-produzione delle leggi, che in Italia si contano ormai in decine di migliaia; in secondo luogo nella disfunzione del linguaggio legale, che ha raggiunto forme di vera inconsistenza a causa della crescente oscurità, tortuosità, vaghezza e talora contraddittorietà dei testi legislativi; in terzo luogo nella crisi della forma generale ed astratta delle norme di legge e nella prevalenza delle leggi-provvedimento, molto spesso a tutela di interessi particolari e clientelari. Perduta da tempo la centralità dei codici, la legislazione si è oggi tramutata in un’“accozzaglia di leggi speciali”, composte di solito da innumerevoli articoli e commi che rinviano spesso ad altre leggi, dando luogo a interminabili labirinti normativi e a intricati sistemi di scatole cinesi nei quali si smarrisce qualunque interprete. Si aggiungano i processi di de-regolazione, di delegificazione e di privatizzazione che in questi anni hanno allargato gli spazi del mercato in danno dei diritti sociali e del lavoro. Il risultato è una crisi della capacità regolativa della legislazione – per eccesso o per difetto di regole – che sta minando alle radici la soggezione dei giudici alla legge, snaturando il ruolo sia pure solo tendenzialmente cognitivo della giurisdizione e così deformando l’assetto dello stato di diritto. In breve, l’espansione del cosiddetto diritto giudiziario è soprattutto l’effetto inevitabile dell’espansione e delle disfunzioni non meno patologiche del diritto legislativo».

[62] A. Gentili, Il diritto come discorso, Milano, 2013, p 86, richiamato da L. Ferrajoli, Contro la giurisprudenza creativa, cit., nota 39.

[63] S. Moccia, Sistema penale e principi costituzionali: un binomio inscindibile per lo stato sociale di diritto, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2018, 3, pp. 1720 ss. In maniera conforme, V. Manes, F. F. Mazzacuva, Irretroattività e libertà personale: l’art. 25, secondo comma, Cost., rompe gli argini dell’esecuzione penale, in Dir. pen. contem., 2020, 1, p. 24, secondo cui «sono diverse le pronunce con cui la Corte costituzionale, di recente, ha impresso una evoluzione significativa alla propria giurisprudenza, e molte quelle che hanno affrontato – anche in materia penale – temi tradizionali in modo innovativo1 , promuovendo un deciso innalzamento nella tutela di principi e valori che contrassegnano il “volto costituzionale” del sistema penale, e un maggior rigore nel controllo di legittimità, quasi a contraltare delle lacerazioni – sempre più frequenti – inferte da leggi incalzate ed approvate, ormai, “a furor di popolo”».

[64] Cfr. Cass. pen, Sez. Un., 31 marzo 2011, n. 27919, richiamata da V. Manes, F. F. Mazzacuva, Irretroattività e libertà personale: l’art. 25, secondo comma, Cost., rompe gli argini dell’esecuzione penale, cit., p. 34. Vale la pena di ricordare, in proposito, che nella stagione delle “presunzioni di adeguatezza” della misura cautelare custodiale […] già prima dell’intervento della Corte costituzionale, e pur non rinnegando in via di principio la regola del tempus regit actum, con un significativo revirement giurisprudenziale le Sezioni Unite avevano posto dei limiti alla retroattività di tale disciplina, individuando nel momento genetico della misura il parametro temporale rispetto al quale limitare l’efficacia delle riforme sfavorevoli.

[65] A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale” tra Costituzione e Cedu, cit., p. 4, secondo cui «la necessità del riferimento ad un concetto sostanziale di reato e di sanzione penale va, ad ogni modo, bilanciata con l’esigenza imprescindibile della certezza del diritto, connessa al concetto formale: l’individuazione del concetto ‘sostanziale’ è pur sempre rimessa ad un interprete (magari dottrinale) e la sua applicazione ad un giudice. Un’interpretazione costituzionalmente orientata e ancor più una prevalenza del concetto sostanziale, costituzionalmente o convenzionalmente fondato, su quello formale, sancita attraverso una pronuncia di illegittimità costituzionale o di incompatibilità con la CEDU, richiede, in tale prospettiva, solidità e controllabilità razionale del relativo impianto argomentativo. […] In altri termini, non si può rimettere all’arbitrio dei giudici – neppure delle Corti supreme – il potere di stabilire che cosa sia materia penale e che cosa non lo sia: altrimenti, si tornerebbe ad un governo degli uomini anziché delle leggi, dei giudici costituzionali anziché della Costituzione». Contra, F. Mazzacuva, Le pene nascoste, Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, cit., p. 55, per il quale «i timori secondo cui una dilatazione del concetto di materia penale comporterebbe fatalmente un affievolimento di determinate garanzie, quasi come se si trattasse di materiale plastico alla cui estensione corrisponderebbe una diminuzione del relati- vo spessore, si dimostrano infondati proprio in quanto riferiti a principi che, in realtà, sono estranei al tema della colpevolezza e che attengono piuttosto alla legittimazione ed alla giustificazione delle scelte punitive».

[66] Si rinvia a Iasevoli, L’imprevedibilità degli esiti interpretativi, cit., pp. 607 ss.

[67] Così M. Scoletta, La confisca di denaro quale prezzo o profitto del reato è sempre “diretta” (ancorché il denaro abbia origine lecita). Esiste un limite azionabile alla interpretazione giudiziaria della legge penale?, cit., p. 10.

[68] L. 27 settembre 2021, n. 134 recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.

[69] L’improcedibilità ratione temporis era stata già proposta dalla Commissione Riccio per la riforma del codice di procedura penale. Cfr. Aa.Vv., Azione civile e prescrizione processuale nella bozza di riforma della commissione Riccio, a cura di Menna-Pagliano, Torino, 2010, pp. 55 ss.

[70] Si rinvia a P. Ferrua, Improcedibilità e ragionevole durata del processo, in Cass. pen., 2022, 2; Id., La singolare vicenda della “improcedibilità”, in www.ilpenalista.it, 27 agosto 2021; Negri, Dell’improcedibilità temporale. Pregi e difetti, in Sist. Pen., 2022, 2, 51 ss.; G. Canzio, Il modello “Cartabia”. Organizzazione giudiziaria, prescrizione del reato, improcedibilità, in www.sistemapenale.it, 14 febbraio 2022; O. Mazza, A Midsummer Night’s Dream: la riforma Cartabia del processo penale (o della sola prescrizione?), in Arch. pen., 2021, n. 2; Id., Fenomenologia dell’improcedibilità cronologica, in www.penaledp.it, 23 febbraio 2022; Id, Inammissibilità versus improcedibilità: nuovi scenari di diritto giurisprudenziale, in www.discrimen.it, 2 gennaio 2022; G. Spangher, L’improcedibilità non è la soluzione, in www.giustiziainsieme.it, 19 luglio 2021; Id., Questioni in tema di sistema bifasico (prescrizione/improcedibilità), in Dir. pen. proc., 2021, n. 11, 1444 s.; M. Daniele, La limitata retroattività in bonam partem dell’improcedibilità dell’impugnazione, in Cass. pen., 2022, n. 3, 1031 ss.; A. Nappi, Appunti sulla disciplina dell’improcedibilità per irragionevole durata dei giudizi di impugnazione, in www.questionegiustizia.it, 9 dicembre 2021; A. De Caro, La riforma della prescrizione e il complesso rapporto tra tempo, vicende della punizione e processo: le eccentriche soluzioni legislative e le nuove proiezioni processuali sulla prescrizione dell’azione e l’estinzione del processo, in Arch. pen., 2020, n. 1; G. De Francesco, Riforma e tempi della giustizia: considerazioni generali su prescrizione e improcedibilità, in Leg. pen., 2022, n. 1, 171 ss.; L. Di Bitonto, Osservazioni “a caldo” sulla improcedibilità dell’azione disciplinata dall’art. 344-bis c.p.p., in Cass. pen., 2021, n. 12, 3852 ss.; L. Siracusa, Note brevi a margine della proposta “Cartabia” di riforma della prescrizione penale, in www.giustiziainsieme.it, 23 luglio 2021. Si v. altresì il Documento a firma di Daniele-Ferrua-Orlandi-Scalfati-Spangher, Improcedibilità: la preoccupazione dell’Accademia, in www.Ilpenalista.it, 31 agosto 2021.

[71] La scelta di confinare il meccanismo ai soli giudizi di impugnazione è stata ampiamente criticata. L’esigenza di contemperare contrapposte istanze politiche ha prodotto un sistema disorganico, poiché si prevede l’arresto del processo quando la potestà punitiva statuale è ancora in vigore, cioè, a reato non prescritto. Non si velocizza, bensì si rallenta il giudizio di prime cure, potendo il giudice sfruttare l’intero periodo prescrizionale, con la contrazione, invece, dei gradi successivi. Così G. Spangher, L’improcedibilità dei giudizi di impugnazione per mancata definizione nei termini di legge, in Marandola (a cura di), “Riforma Cartabia” e rito penale, La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, Milano, 2022, p. 284. In maniera conforme, cfr. A. Marandola, Gli incerti orizzonti dell’improcedibilità per decorrenza dei termini “ragionevoli” nei giudizi d’impugnazione, in Aa.Vv., La Riforma Cartabia. La prescrizione, l’improcedibilità e le altre norme immediatamente precettive, cit., p. 77.

[72] Sia consentito rinviare a I. Piccolo, Le temps de l’oubli et le temps de l’action. Una prospettiva di diritto comparato tra Italia e Francia, in Arch. pen., 2023, 3, pp. 10-19.

[73] Si rinvia a Romano-Marandola (a cura di), La riforma Cartabia. La prescrizione, l’improcedibilità e le altre norme immediatamente precettive, Pisa, 2021; E.N. La Rocca, La delega per la Riforma: genesi e principi, in Marandola (a cura di),“Riforma Cartabia” e rito penale. La legge delega tra impegni europei e scelte valoriali, Milano, 2022, p. 6.

[74] In maniera conforme, F. Falato, Immediata declaratoria e processo penale, Padova, 2010, pp. 119 ss., secondo cui l’azione penale non si identifica nemmeno col processo; che implica un più ampio complesso di elementi tendenti all’accertamento del fatto-reato; alla applicazione della pena che consegue alla verifica positiva della responsabilità dell’imputato; all’esercizio dell’azione civile e alla applicazione delle misure di sicurezza. Il processo include non solo l’idea della esistenza di un potere di azione per l’esercizio della giurisdizione, ma anche un potere-dovere del pubblico ministero di attuare le condizioni per ottenere dal giudice una decisione sulla realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato, derivante da un fatto che la legge prevede come reato. Così intesa, l’azione penale può essere considerata secondo un duplice aspetto: come espressione di un obbligo funzionale del pubblico ministero e come manifestazione di una dichiarazione di volontà riservata all’apprezzamento. e alla valutazione dell’organo dell’accusa, non discrezionale, ma vincolata a regole di comportamento (art. 125 Disp. Att.) che ne determinano la possibilità di esercizio.

[75] Il problema dei confini “interni” della materia penale, ossia delle partizioni tra la disciplina sostanziale e quella del processo, si è concentrato proprio sull’istituto della prescrizione, in particolare a seguito della vicenda Taricco. Cfr. Corte giust., Grande sezione, 8 settembre 2015, C-105/14.

[76] L’approfondimento esorbiterebbe i limiti del presente contributo. Si rinvia a I. Piccolo, Le temps de l’oubli et le temps de l’action. Una prospettiva di diritto comparato tra Italia e Francia, in Arch. pen., 2023, 3, pp. 10-19.

[77] L’art. 1, co. 13, lett. d), L. n. 134/2021, si limitava a delegare di «disciplinare i rapporti tra l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione e (…) la confisca disposta con la sentenza impugnata».

[78] Che non si tratti di una prosecuzione è confermato dal raffronto strutturale con il rinnovato art. 578 cod. proc. pen., che, per quanto concerne il destino dell’azione civile, utilizza la locuzione ‘prosecuzione’. Da ciò si desume che il giudice civile di rinvio, a differenza di quello della prevenzione, non decide ex novo, ma come giudice dell’impugnazione rispetto alle statuizioni civili contenute nella sentenza penale. In tema, sia consentito rinviare a I. Piccolo, Azione civile e processo penale. (Ri)componimenti, snodi e prospettive, in Arch. pen., 2022, fasc. 3.

[79] Su quali si rinvia a E.N. La Rocca, Improcedibilità e confisca, in Dir. pen. proc., 2023, 1, p. 213; V. Mazzotta, L’improcedibilità e le sorti della confisca. Il paracadute (apparente) del procedimento di prevenzione, in Il Processo, 2023, fasc. 1, pp. 341 ss.

[80] Nell’Odissea (XI Libro) Sisifo è un personaggio mitologico condannato a spingere per l’eternità un enorme masso fino alla vetta dove questo, come spinto da una forza divina, finisce per rotolare di nuovo giù a valle.

[81] Più in particolare, il testo prevede un’ulteriore causa di sospensione della prescrizione – inserita con un nuovo art. 159-bis c.p. – a seguito della (sola) sentenza di condanna, stabilendo che il corso della prescrizione rimanga sospeso per un tempo non superiore a due anni in appello e un anno in cassazione. La sospensione decorrerebbe dal termine per il deposito delle motivazioni (art. 544 cod. proc. pen.) e si cumulerebbe con eventuali diverse cause sospensive previste dall’art. 159 c.p.

[82] Per quanto concerne i riverberi della cronica instabilità politica nel settore criminale, si rinvia a S. Moccia, La perenne emergenza, Napoli, 2000, passim.

[83] Ex plurimis, cfr. Cass., Sez. un., 24 settembre 2018 (ud. 19 luglio 2018), n. 40986, Pittalà, che, pronunciandosi sulla successione di leggi penali in caso di reati c.d. ad evento differito, hanno ribadito la condotta quale «punto di riferimento temporale essenziale a garantire la “calcolabilità” delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona»; al contrario, riferire l’operatività del principio di irretroattività al momento dell’evento comporta l’applicazione retroattiva del jus superveniens sfavorevole intervenuto dopo l’esaurimento della condotta, «con l’inevitabile svuotamento dell’effettività della garanzia di autodeterminazione della persona e della ratio di tutela del principio costituzionale di irretroattività».

[84] Cfr. F.R. Dinacci, I valori della Costituzione a presidio dell’esigenza di certezza e “prevedibilità” (La difficoltà di una corretta esegesi tra nova fenomenici, ordinamento “liquido” e norme diluite), in Arch. pen., 2022, 2, p. 9, non deve infatti trascurarsi come la nozione di prevedibilità sia connaturata alle regole del processo, dove “l’indagato” o “l’accusato” è chiamato ad effettuare scelte “consapevoli” che attengono non solo all’eventuale rilascio di dichiarazioni ma anche a più ampie opzioni di strategia processuale.

[85] L’espressione è di C. Iasevoli, La Cassazione penale «giudice dei diritti», Napoli, 2018, p. 158.

[86] Così S. Moccia, Sistema penale e principi costituzionali: un binomio inscindibile per lo stato sociale di diritto, cit., pp. 1720 ss. Secondo l’A. le esigenze della postmodernità, con la fine dello storicismo, hanno determinato la perdita dell’idea di fondamento, che ha spinto all’adozione di canoni ‘deboli’ di comprensione ed interpretazione della realtà, con il ricorso, nell’esperienza giuspenalistica, a logiche, miopi, d’immediatezza; queste, tuttavia, mal si adattano alla ‘forza’, alla sostanza dei diritti fondamentali, quali vengono normalmente in discussione con il controllo penale.

[87] F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Paliero-Moccia-Defrancesco-Insolera-Pelissero-Rampioni-Risicato (a cura di), La crisi della legalità. Il sistema vivente delle fonti penali, Atti del Convegno Napoli 7-8 novembre 2014, Napoli, 2016, p. 213.

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