Abstract: Nel presente contributo l’Autore effettua una disamina del D.D.L. in materia di “femminicidio”, ripercorrendo le osservazioni a prima lettura della dottrina penalistica e analizzando le più evidenti criticità del testo normativo in esame. La valutazione in merito all’opportunità o meno di un siffatto intervento, come si avrà modo di vedere, è assai critica tanto in relazione alle ragioni fondanti la proposizione della introduzione della nuova fattispecie e delle circostanze aggravanti, quanto in relazione alle possibili conseguenze correlate all’eventuale approvazione dello stesso.
In this article the Author examines the D.D.L. on “femminicidio”, reporting the observations of the criminal doctrine and analyzing the most evident critical points of the legislative text under examination. The evaluation regarding the intervention is very severe both in relation to the reasons underlying the proposal for the introduction of the new offence and the aggravating circumstances, and in relation to the possible consequences related to the eventual approval of this text.
Sommario: I. “Quer pasticciaccio brutto” del D.D.L. “femminicidio”: breve panoramica del disegno di legge – II. Le osservazioni a caldo da parte della dottrina – III. Le ragioni fondanti l’intervento normativo – IV. – Le evidenti frizioni del D.D.L. femminicidio con i principi costituzionali. – V. La miope finalità retributiva e l’inutilità general-preventiva del D.D.L. femminicidio – VI. Chiose finali.
I. “Quer pasticciaccio brutto” del D.D.L. “femminicidio”: breve panoramica del disegno di legge.
Nell’ultimo decennio e, in particolar modo, negli ultimi anni, abbiamo assistito al proliferare di (spesso non necessarie) novelle ed interventi normativi in materia penale.
Detti interventi, tuttavia, molto spesso non appaiono, tanto ad avviso degli accademici quanto dei pratici, volti a sopperire ad effettive lacune dell’ordinamento o a vuoti di tutela in relazione a rilevanti beni giuridici, quanto piuttosto il frutto di una spasmodica ricerca del consenso da parte della politica, figli di istanze populiste e di un diritto penale a la carte o “per acclamazione”.
In altri termini, si ha la sensazione che l’agenda della politica legislativa in materia penale sia dettata dalle richieste e dai desiderata della c.d. “pancia del paese” e dai trend topic dei talk show televisivi.
Va, peraltro, osservato come l’abuso del “diritto penale simbolico”, non abbia colore politico (si pensi al D.D.L. Zan in materia di omo-trans fobia, al D.D.L. Salvini[1] in materia di legittima difesa, al D.D.L. Fiano, in materia di apologia del fascismo) e sia trasversalmente ricorrente nelle scelte politico-legislative dei Governi che si sono susseguiti negli ultimi lustri.
Un ultimo fulgido esempio di tale tendenza pare essere il recentissimo D.D.L. (S. n.1143) in materia di femminicidio che, traendo spunto dal capolavoro di C.E. Gadda, nel titolo del presente paragrafo si osa – provocatoriamente – definire “pasticciaccio brutto”, per le ragioni di seguito illustrate.
Per quanto colorita, l’espressione appena citata, fa pendant con le locuzioni utilizzate da numerosi illustri commentatori della prim’ora, i quali hanno definito la bozza di testo normativo in esame “una mimosa appassita che emana il maleodorante odore di populismo penale[2]” o un intervento per cui ci sarebbe “da mettersi le mani ai capelli[3]”.
Entrando nel merito di alcune delle modifiche ad opera del disegno di legge in esame, senza pretese di completezza, va segnalato che lo stesso apporta svariate novelle al codice penale e, segnatamente, all’art. 1 dello stesso si prevede l’introduzione, all’art. 577-bis del codice penale, del delitto di “Femminicidio”, per cui “chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo”.
Il medesimo articolo, propone altresì l’introduzione di aggravanti ad effetto speciale per i delitti previsti e puniti dagli artt. 572, 585, 593-ter, 609-ter, 612-bis e 612-ter, laddove commessi “come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”.
Ciò chiarito, nei paragrafi che seguono si avrà cura di analizzare quali paiono essere le maggiori criticità di una simile proposta di legge.
II. Le osservazioni a caldo da parte della dottrina.
Come anticipato nel paragrafo che precede, il giudizio di chi scrive in merito ad un siffatto intervento è assai severo.
Va rilevato come – sin da subito – il disegno di legge de quo abbia determinato una levata di scudi di studiosi di diritto penale di prim’ordine e, dunque, parrebbe che le perplessità dello scrivente Autore trovino conforto nelle osservazioni dei più illustri esponenti dell’accademia.
Basti pensare che ad avviso di taluno il disegno di legge de quo sarebbe persino “un insulto ai princìpi di un diritto penale costituzionalmente orientato[4]”.
È stato, infatti, a buon diritto, osservato[5] che dalla lettura della norma e delle aggravanti ipotizzate dalla proposta de iure condendo emergerebbe un elevatissimo grado di indeterminatezza della formulazione normativa, il che esporrebbe la stessa ad (opportune) obiezioni di incostituzionalità, avendo i redattori violato uno dei più basilari corollari del principio di riserva di legge.
Un secondo tema che lascia perplessi i primi accorti ermeneuti[6] del testo attiene alla evidente declinazione in chiave psicologica e di censura morale del disvalore del femminicidio, che si presume, in ogni caso, più grave di quello relativo all’omicidio comune.
La proposta di legge parrebbe, infatti, demandare al giudicante l’accertamento giudiziale, pur sempre nel rispetto dei criteri b.a.r.d., del movente discriminatorio o del sentimento di odio sottostante all’atto omicidiario.
Appare evidente che laddove il legislatore attribuisse ai giudici l’onere di un simile accertamento finirebbe, inevitabilmente, per chiedere loro una decisione basata su mere impressioni soggettive o suggestioni, magari indotte dall’attenzione mediatica relativa ai casi di tal fatta, il che, inutile dirlo, non sarebbe in alcun modo ammissibile e, men che meno, auspicabile.
Ma v’è di più.
È stato – correttamente – osservato che, nella sostanza, il reato di femminicidio esista già al giorno d’oggi, pur non essendo “pubblicizzato in modo nominale”[7], sicché un simile intervento de lege ferenda non risponderebbe ad alcuna effettiva e concreta esigenza di politica legislativa penale.
D’altra parte, sebbene non esista una fattispecie autonoma, grazie alle modifiche normative intervenute negli ultimi anni, la disciplina attuale, almeno sul piano sanzionatorio, già ad oggi consente di applicare la pena dell’ergastolo all’uccisione di una donna per motivi di genere[8].
Alcuni esponenti del Governo hanno, ciononostante, inteso ipotizzare l’introduzione del femminicidio come titolo autonomo di reato e a pena fissa dell’ergastolo, con limiti alla riduzione della pena in caso di riconoscimento della prevalenza delle attenuanti.
Per tali ragioni si ritiene, come anticipato in premessa, che la novella ipotizzata sia il frutto di istanze populiste[9] che conducono alla proliferazione di un diritto penale meramente simbolico, privo di una base criminologica adeguata nella realtà nazionale, che effettua una (incostituzionale!) differenza tra i generi e, infine, aggrava senza nessuna necessità pene già elevatissime[10].
Assai meno critica è la valutazione del disegno di legge in esame da parte di alcuni rappresentanti della magistratura[11] che, tuttavia, hanno osservato come, in ogni caso, occorrerebbe riflettere sul fatto che la mancata previsione di un’analoga fattispecie (o aggravante) nel caso di discriminazione o odio per motivi di genere o identità di genere potrebbe determinare delle violazioni del principio di uguaglianza.
Quel che è certo è che chi ha redatto il disegno di legge è rimasto del tutto refrattario al monito del compianto Papa Francesco agli studiosi di diritto penale[12], laddove osservava come negli ultimi decenni si sia diffusa la convinzione che “attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale”.
Contrariamente rispetto a quanto auspicato dal Pontefice, il disegno di legge in materia di femminicidio è il più fulgido esempio della cieca ipertrofia normativa in materia penale degli ultimi tempi: attraverso la coatta imposizione di pene più elevate si ritiene possibile “guarire” l’immatura e imperfetta società che ci circonda.
Il tutto, ut amplius infra, con buona pace dei principi costituzionali.
III. Le ragioni fondanti l’intervento normativo.
Nel presente paragrafo si intende analizzare funditus le ragioni fondanti l’intervento normativo in parola, onde comprenderne la coerenza rispetto ai principi ispiratori dell’ordinamento penale e rispetto ai principi costituzionali.
Il primo tema oggetto d’analisi attiene, come detto, alle ragioni fondanti il D.D.L. in esame.
L’esigenza parrebbe quella di fronteggiare gli “innumerevoli” femminicidi che i media, quotidianamente, sottopongono all’attenzione dei cittadini.
Occorre, tuttavia, rilevare come non si possa in alcun modo parlare di “emergenza femminicidi”, atteso che come emerge dal report annuale sulla violenza di genere relativo al 2024, presentato dalla Direzione centrale della Polizia criminale presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, a fronte di un progressivo e costante aumento negli ultimi anni del numero dei reati c.d. sentinella quali maltrattamenti, stalking e violenze sessuali, nel biennio 2023-2024 si è registrato il dato più basso relativo al numero di omicidi con vittime donne (sic!), con un progressivo decremento a partire già dal 2021 per quelli commessi in ambito familiare/affettivo e ad opera di partner/ex partner[13].
Peraltro, se guardiamo al report sugli omicidi di vittime di genere femminile relativo al I trimestre 2025, si osserva un (ulteriore) netto calo rispetto all’anno precedente: -35% rispetto al primo trimestre del 2024[14].
L’“emergenza” è, dunque, frutto di una dispercezione collettiva correlata alla brutalità o assoluta irrazionalità di taluni dei crimini qualificabili come “femminicidi”.
Sicché, in assenza di effettivi vuoti di tutela – essendo l’omicidio già opportunamente sanzionato con pene debitamente gravi – e in assenza di una vera e propria “emergenza” non si rinviene alcuna ragionevole motivazione per auspicare un simile intervento di novella.
Onde parrebbe che, come detto a più riprese, l’intervento sia dettato dalla – sola – sovraesposizione mediatica dell’odioso fenomeno degli omicidi ai danni di donne e dalla necessità del legislatore di appagare il desiderio di “pene esemplari”e di “carcere a vita”della c.d. “pancia del paese”[15].
Ad avviso di chi scrive, il fenomeno de quo, contrariamente rispetto a come sta avvenendo, andrebbe fronteggiato pro futuro soprattutto mediante una seria e capillare attività di “educazione” delle future generazioni al rispetto del prossimo e specie dei soggetti più deboli e, nel presente – essendo evidente che, ad oggi, alcuni consociati siano ancora del tutto refrattari ai doveri civici e ai principi di ius naturale più basilari (si pensi al neminem laedere) – mediante l’applicazione delle già debitamente severe norme penali oggi vigenti.
IV. Le evidenti frizioni del D.D.L. femminicidio con i principi costituzionali.
Ciò chiarito, preme entrare nel merito della tenuta costituzionale di una simile proposta di novella del codice penale.
Il primo evidente vulnus del testo in esame è così evidente da mostrarsi anche agli occhi del lettore meno accorto: si riscontra una netta difficoltà di dare concretezza al contenuto della norma[16].
Occorre, infatti, interrogarsi su cosa intendesse il legislatore laddove ha fatto riferimento a fatti commessi “per reprimere la personalità della donna”.
La assoluta vaghezza di una simile locuzione mal si concilia con il principio di determinatezza della norma penale, corollario del principio di legalità e garanzia costituzionale ineludibile, riconosciuta anche dalla CEDU.
È stato, infatti, osservato come una modalità di tipizzazione di tal fatta rappresenti un assoluto inedito nella costruzione del tipo normativo[17]. D’altra parte, l’ideata norma incriminatrice è tecnicamente opinabile in quanto imperniata su concetti piuttosto vaghi che rischiano di sovrapporsi ad altri elementi della fattispecie o a circostanze aggravanti già previste dal legislatore[18].
Né convincono le osservazioni di taluni, per cui la norma non sarebbe problematica in quanto “la giurisprudenza ha adottato interpretazioni adeguate in presenza di formule che potevano apparire prive di un adeguato tasso di prevedibilità[19]”.
Un ragionamento di tal guisa sembra, infatti, attribuire alla giurisprudenza il compito di sopperire al nativo ed evidente vulnus del testo normativo che, ictu oculi, si presenta di difficile intellegibilità al consociato chiamato a rispettarlo ed al giudice chiamato a verificare la sussumibilità del fatto concreto nella peculiare norma incriminatrice.
Parrebbe, dunque, sussistere un primo profilo di incostituzionalità della norma, per violazione dell’art. 25, co.2, della Carta costituzionale.
La seconda, evidente, criticità[20] della proposta de lege ferenda attiene alla disparità di trattamento connaturata ad una fattispecie così articolata.
Non v’è, infatti, chi non veda l’assoluta irragionevolezza della inapplicabilità della norma incriminatrice laddove sia un uomo ad essere vittima di omicidio per motivi di discriminazione, di odio o di repressione correlati al sol fatto di “essere maschio”.
Detta opzione legislativa appare violare grossolanamente il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., che vieta qualsiasi distinzione tra gli individui basata sul sesso, e che vieta che situazioni analoghe vengano trattate dal legislatore in maniera difforme.
Non si comprende, infatti, perché l’omicidio di una donna, se peculiarmente connotato, assuma un disvalore differente rispetto all’omicidio di un uomo, ove parimenti connotato, e perché non si introduca allora anche una fattispecie ad hoc per le ipotesi di omicidio dettate da ragioni di omofobia[21].
D’altra parte, nei plurimi interventi legislativi contro le discriminazioni di genere, negli anni addietro, il legislatore è sempre intervenuto senza effettuare inopportune differenziazioni tra i generi.
Si pensi alle modifiche apportate al delitto di omicidio laddove, nel 2009, il Governo Berlusconi IV ha previsto la pena dell’ergastolo ove il fatto sia commesso in occasione di altre gravi fattispecie di reato nei confronti della stessa persona offesa[22].
Altro profilo di dubbia costituzionalità attiene all’introduzione della pena dell’ergastolo, “cioè alla pena perpetua, nonostante le critiche costituzionali che da sempre coinvolgono questa tipologia di pena[23]”.
Infatti, parrebbe che il legislatore abbia obliterato i plurimi moniti della Corte costituzionale che, negli ultimi anni, ha costantemente evidenziato l’inopportunità di comminatorie di sanzioni in penali maniera fissa.
Il D.D.L. in esame si è, infatti, fatto anche carico di disciplinare l’effetto della ricorrenza di circostanze attenuanti edelle specifiche circostanze aggravanti indicate negli articoli 576 e 577 del codice penale, allo scopodi garantire un equilibrio tra la sanzione finale prevista per queste gravissime condotte rispetto aquella già oggi ricavabile dalla disciplina degli articoli 575 e seguenti.
Per tale ragione, si è postoun limite all’operatività delle attenuanti in conformità allo schema degli articoli 65 e 67 del codicepenale, ma con limiti più restrittivi, in ragione della maggiore gravità della condotta in esame.
La norma specifica poi l’incidenza sul piano del trattamento sanzionatorio delle aggravanti già previste per il delitto di omicidio, che sarà limitata al bilanciamento con eventuali attenuanti, non potendo invece comportare alcun aumento di pena, per il fatto di essere già fissata la pena nel massimo possibile.
Un siffatto operato dimostra assoluto spregio dei principi statuiti dalla Corte costituzionale.
Infatti, vero è che, la Consulta ha più volte affermato in via di principio, che non possa ritenersi precluso al legislatore introdurre deroghe al regime del bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69 c.p., nell’esercizio della propria discrezionalità[24]
Tuttavia, le eventuali deroghe non debbono risultare in contrasto con i principi costituzionali: il che invece accade con la disposizione ora censurata, sotto più concorrenti profili.
La norma in esame viola, in primo luogo, il principio di eguaglianza davanti alla legge di cui all’art. 3 Cost., che vieta non solo irragionevoli disparità di trattamento tra situazioni analoghe, ma anche irragionevoli equiparazioni di trattamento tra situazioni tra loro dissimili[25].
In materia di commisurazione della pena, tale divieto deve essere altresì letto alla luce del principio di “personalità” della responsabilità penale sancito dall’art. 27, primo comma, della Costituzione, il quale esige che la pena costituisca una risposta il più possibile “individualizzata” rispetto alla situazione del singolo condannato[26].
La disposizione in analisi, per converso, impone al giudice di applicare – anche in caso di bilanciamento – una pena non inferiore a ventiquattro anni di reclusione in caso di prevalenza di una sola attenuante e ad anni quindici in caso di prevalenza di più attenuanti.
A sostegno della irragionevolezza di quanto previsto dal testo in esame, basti rammentare che la Consulta, nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 577, terzo comma, del codice penale, inserito dall’art. 11, comma 1, lettera c), della legge 19 luglio 2019, n. 69, ha chiarito che una previsione normativa di tal fatta impedisce “che le differenze di disvalore soggettivo tra più fatti di omicidio, e tra i diversi livelli di pericolosità di più autori, possano concretamente riflettersi nella misura della pena a ciascuno applicabile”[27].
Prosegue la Corte, evidenziando che così operando si determina “una irragionevole disparità di trattamento tra gli omicidi commessi all’interno di contesti familiari e affettivi e la generalità degli omicidi volontari, ai quali il divieto di prevalenza delle attenuanti previsto dalla disposizione censurata non è applicabile: ciò che ridonda in un ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 Cost. Non v’è infatti alcuna ragione plausibile per considerare sempre e necessariamente più grave un fatto riconducibile a questa specifica tipologia di omicidi rispetto a ogni altra condotta omicida. Non coglie nel segno, sotto questo profilo, l’argomento speso – nelle proprie difese scritte e in udienza – dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la particolare gravità degli omicidi intrafamiliari deriverebbe, in sostanza, dalla violazione del divieto ancestrale di versare sangue all’interno della propria stirpe. All’argomento della intrinseca maggiore gravità degli omicidi intrafamiliari – o comunque commessi all’interno di relazioni affettive – può in effetti agevolmente replicarsi che proprio in questi contesti non infrequentemente maturano tensioni, risentimenti, frustrazioni determinati da comportamenti aggressivi di taluno dei protagonisti della relazione, che sono alla base della reazione omicida”.
Se i redattori della novella avessero prestato la debita attenzione ai principi statuiti dalla Corte Costituzionale appena pochi anni or sono, si sarebbero immediatamente avveduti della inconciliabilità dell’ipotizzata norma con l’impianto costituzionale.
Concludendo, il D.D.L. in esame pare confliggere con i principi enunciati dalla Carta costituzionale sotto vari profili.
.V. La miope finalità retributiva e l’inutilità general-preventiva del D.D.L. femminicidio.
È di palmare evidenza che il legislatore, nell’ipotizzare una simile fattispecie, abbia messo da canto l’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza penalistica e costituzionale in materia di pena.
È, infatti, oramai pacifico e innegabile il carattere “polifunzionale” della pena.
La stessa, infatti, deve ispirarsi non solo alla funzione retributiva, che connota chiaramente l’intervento de quo, ma anche a quelle special-preventiva e general-preventiva.
Tra dette finalità della pena non esiste una “gerarchia statica”, sicché il legislatore, nei limiti della ragionevolezza, può far prevalere, di volta in volta, l’una o l’altra di esse, a patto, però, che nessuna risulti obliterata.
Nell’intervento che ci occupa non viene obliterata in toto la finalità special-preventiva: l’ergastolo, infatti, porta alla neutralizzazione del reo ma, tuttavia, minimizza le possibilità rieducative e di reinserimento sociale, costituzionalmente previste e tutelate.
La finalità general-preventiva, invece, appare solo formalmente perseguita dall’intervento di novella in esame: la previsione di una pena più grave, infatti, non determina un effettivo disincentivo nei confronti dei soggetti che si rendono responsabili di così efferati crimini.
Infatti, empiricamente, sugli autori di femminicidio la misura della pena non esercita alcuna deterrenza, come dimostrato dagli innumerevoli casi di suicidio post-omicidio del reo[28].
È, d’altra parte, innegabile che colui che non abbia interiorizzato il valore della libertà femminile e il principio del rispetto della persona non si farà “intimidire” da una pena più elevata[29].
Ciò è confermato dallo studio del diritto comparato, atteso che nelle esperienze degli Stati Sudamericani, che hanno variamente incriminato il reato di femminicidio, hanno visto permanere un numero elevatissimo di donne assassinate[30].
Sicché la finalità di “general-prevenzione”, ovverosia di “evitare altri omicidi” appare minimamente assolta dall’intervento normativo oggetto d’esame.
In sintesi, la prevista pena dell’ergastolo pare obliterare la finalità rieducativa della pena e pare non essere affatto impattante sul piano general-preventivo.
VI. Chiose finali.
Alla luce delle osservazioni sin qui rese, appare chiaro che il D.D.L. femminicidio non possa trovare il favore della dottrina penalistica e dell’avvocatura che, nel corso dei decenni, hanno potuto sperimentare come, pur se mossi dai più nobili motivi e dai migliori intenti, gli interventi normativi “simbolici” portano unicamente ad un “imbarbarimento” dell’ordinamento, asservito alla volontà del pubblico dei talk show e non più garante dello Stato di Diritto.
[1] Sul punto cfr. M. Romano, La difesa è “sempre” legittima?, in Illyrius – International Scientific Review, n.11, II 2018.
[2] A. Pugiotto, La mimosa all’occhiello del populismo penale (prima parte), in Sistema Penale, 2 aprile 2025.
[3] G. Fiandaca, Cari prof. di diritto penale, è ora di protestare contro il delitto di femminicidio, in Sistema Penale, 14 marzo 2025.
[4] G. Fiandaca, Cari prof. di diritto penale, è ora di protestare contro il delitto di femminicidio, in Sistema Penale, 14 marzo 2025.
[5] Idem.
[6] Idem.
[7] M. Donini, Perché non introdurre un reato di femminicidio che c’è già, in Sistema Penale, 18 marzo 2025.
[8] AA.VV., Il reato di femminicidio presentato dal Governo: le ragioni della nostra contrarietà, documento a firma di numerose docenti universitarie, pubblicato su Penale Diritto e Procedura.
[9] F. Compagna, Femminicidio, o il diritto penale della propaganda, su Il Foglio, 10 marzo 2025.
[10] M. Donini, Perché non introdurre un reato di femminicidio che c’è già, in Sistema Penale, 18 marzo 2025.
[11] F. Menditto, Riflessioni sul delitto di femminicidio, in Sistema Penale, 4 aprile 2025. Si segnala, in senso apertamente favorevole alla novella P. Di Nicola Travaglini, Il femminicidio esiste ed è un delitto di potere, in Sistema Penale, 2 maggio 2025.
[12] J.M. Bergoglio, Discorso del Santo Padre Francesco alla delegazione dell’associazione internazionale di diritto penale, Sala dei Papi, 23 ottobre 2014, disponibile su Giurisprudenza Penale, 25 aprile 2025.
[13] G. Pestelli, Il nuovo d.d.l. su femminicidio e codice rosso: sarà vera gloria?, in Quotidiano Giuridico, 4 aprile 2025.
[14] https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2025-04/report_omicidi_-_i_trimestre_2025.pdf.
[15] È stato, peraltro, osservato che la norma in questione parrebbe «capolavoro di contorsione concettuale e approssimazione descrittiva, ispirata al linguaggiomassmediatico», cfr. F. Giunta, Il Riformista, 17 marzo 2025.
[16] M. Pellissero, Nuovo reato di femminicidio, le criticità del disegno di legge, in Otto: discorsi diretti, 12 marzo 2025.
[17] G. Pestelli, Il nuovo d.d.l. su femminicidio e codice rosso: sarà vera gloria?, in Quotidiano Giuridico, 4 aprile 2025.
[18] Idem. Cfr. anche A. Massaro, Riflessioni sul disegno di legge in materia di femminicidio,in Sistema Penale, 25 giugno 2025.
[19] F. Menditto, Riflessioni sul delitto di femminicidio, in Sistema Penale, 4 aprile 2025.
[20] Rilevata altresì da M. Pellissero, Nuovo reato di femminicidio, le criticità del disegno di legge, in Otto: discorsi diretti, 12 marzo 2025.
[21] In tal senso, v. G. Pestelli, Il nuovo d.d.l. su femminicidio e codice rosso: sarà vera gloria?, in Quotidiano Giuridico, 4 aprile 2025.
[22] M. Donini, Perché non introdurre un reato di femminicidio che c’è già, in Sistema Penale, 18 marzo 2025.
[23] V. Manes, in E. Antonucci, Perché il reato di femminicidio non sta in piedi. Parla il prof. Vittorio Manes, su Il Foglio, 11 marzo 2025.
[24] C. Cost., n. 143 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto; C. Cost., n. 205 del 2017, punto 4 del Considerato in diritto.
[25] In questo senso, in materia di sanzioni penali, cfr. C. Cost., n. 26 del 1979, punto 1 del Considerato in diritto)
[26] In tal senso, cfr. C. Cost., n.197 del 2023.
[27] C. Cost., n. 197 del 2023.
[28] A. Pugiotto, La mimosa all’occhiello del populismo penale (prima parte), in Sistema Penale, 2 aprile 2025.
[29] AA.VV., Il reato di femminicidio presentato dal Governo: le ragioni della nostra contrarietà, documento a firma di numerose docenti universitarie, pubblicato su Penale Diritto e Procedura.
[30] AA.VV., Il reato di femminicidio presentato dal Governo: le ragioni della nostra contrarietà, documento a firma di numerose docenti universitarie, pubblicato su Penale Diritto e Procedura.