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Mandato d’arresto europeo: la prima pronuncia sulla nuova disciplina

Cass., sez. VI, 14 aprile 2021 (dep. 15 aprile 2021), n. 14220, Fidelbo, Presidente, Di Geronimo, Relatore, Molino, P.m. (concl. diff.)

1. Premessa.

La sentenza in rassegna costituisce la prima applicazione in sede di legittimità della nuova disciplina del mandato d’arresto europeo. 

Il recente d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, ha apportato cospicue modifiche alla l. 22 aprile 2005, n. 69 al dichiarato scopo di allineare la disciplina interna alla decisione quadro 584/2002/GAI (per l’analisi del nuovo testo legislativo, Lattanzi – Lupo, Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. VI, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021, p. 517 e ss.). 

Come noto, la legge italiana si caratterizzava per la divergenza rispetto al modello predisposto dal legislatore europeo ed era stata bersaglio di veementi critiche, nonostante la ragione di tale impostazione risiedesse nella volontà di tutelare i diritti della persona richiesta in consegna, asseritamente compressi dalla semplificazione e dallo snellimento delle procedure di consegna che il nuovo strumento di cooperazione mirava a realizzare (per una panoramica sul punto e ulteriori citazioni di dottrina, Colaiacovo, sub art. 1, in Lattanzi – Lupo, Codice di procedura penale, cit., p. 519).

La novella interviene proprio su tali profili, eliminando le previsioni estranee allo spirito della decisione quadro e imprimendo alle procedure un’ulteriore accelerazione. 

A tale scopo, per molti aspetti, la riforma recepisce le interpretazioni elaborate nel corso dei quindici anni di vigenza della legge sull’euromandato e tese ad evitare tanto il contrasto con le prescrizioni sovranazionali, tanto la violazione dei diritti fondamentali. Sotto altri aspetti, invece, introduce significative innovazioni. A titolo esemplificativo, possono iscriversi nel primo scenario le disposizioni che riguardano i requisiti contenutistici dell’euromandato (art. 6) e alcuni elementi del procedimento cautelare (art. 9), mentre sono riconducibili al secondo, gli interventi che rimodellano le disposizioni di principio (art. 1), orientandole in senso europeo, e quelli che contraggono – probabilmente in maniera eccessiva – i tempi per definizione della procedura (artt. 14, 17 e 22).

I punti di interesse della sentenza sono tre e attengono, secondo l’ordine con il quale sono affrontati dalla Suprema Corte, alla disciplina di diritto intertemporale, alla natura della sentenza alla base dell’euromandato e, infine, al nuovo assetto dei motivi di rifiuto della consegna.

2. I profili di diritto intertemporale.

Il d. lgs. 2 febbraio 2021, cit. è entrato in vigore il 20 febbraio 2021 e, in ossequio al principio che governa la successione di leggi processuali nel tempo (tempus regit actum), le sue disposizioni sostituiscono le precedenti e si applicano ai mandati di arresto emessi e ricevuti a partire da tale data. In questa ottica, l’unica disposizione di diritto intertemporale – l’art. 28 – contiene una importante precisazione poichè afferma che i procedimenti relativi alle richieste di esecuzione di mandati di arresto europeo in corso alla data di entrata in vigore della novella proseguono con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti quando a tale data la corte d’appello abbia già ricevuto il mandato d’arresto europeo o la persona richiesta in consegna sia stata già arrestata.

Tale impostazione costituisce – come sottolinea la Suprema Corte – esercizio della discrezionalità del legislatore e non è sindacabile in sede giurisdizionale in difetto di profili di palese irragionevolezza. In questa prospettiva, si legge ancora in sentenza, non sarebbe rilevante una disparità di trattamento tra fatti coevi, poichè si tratterebbe di una fisiologica conseguenza del mutamento normativo. Del resto, il diverso trattamento sarebbe limitato alla materia processuale – ovvero ai presupposti per la consegna e ai meccanismi procedimentali – e non inciderebbe, pertanto, sul rispetto del principio di legalità penale.

L’affermazione stimola una riflessione che, nella dimensione intertemporale, suggerisce di distinguere le numerose disposizioni attinte dalla riforma. 

In effetti, la statuizione si attaglia perfettamente alle norme che regolano profili prettamente procedurali, come, ad esempio, i termini per la decisione, i requisiti contenutistici dell’euromandato e l’eliminazione del vaglio nel merito della Suprema Corte, ma richiede un approfondimento per tutte le altre previsioni che, invece, regolano i presupposti per la consegna e incidono perciò sulla libertà personale.

L’esecuzione di un euromandato è il preludio alla privazione della libertà personale e, pertanto, l’ipotesi in cui siano rimossi ostacoli che in precedenza avrebbero escluso la consegna potrebbe essere governata dalle norme che disciplinano la successione di leggi penali sostanziali.

La questione, per molti versi, presenta punti di contatto con la “storica” decisione di C. cost. 26 febbraio 2020, n. 32, in Giur. cost., 2020, p. 224 in tema di diritto penitenziario e successioni di leggi nel tempo. 

In questo senso, rivolgendo l’attenzione verso le conseguenze di alcune modifiche legislative, emerge che da queste discende una privazione della libertà personale che in precedenza non sarebbe stata possibile. Un esempio può essere utile per sostenere l’affermazione: l’art. 18-bis, comma 2, relativamente al rifiuto della consegna del cittadino europeo residente in Italia, richiede ora un ulteriore requisito, integrato dalla durata della permanenza in Italia per un periodo non inferiore a cinque anni. In precedenza, il giudice avrebbe dovuto soltanto valutare l’effettivo radicamento della persona, senza essere vincolato irrimediabilmente al dato cronologico. Dunque, dalla nuova formulazione e dalla sua applicazione secondo il principio tempus regit actum, consegue che, a fronte di un euromandato spiccato nella medesima data, una persona effettivamente radicata nel territorio dello Stato, ma da meno di cinque anni, avrà una sorte differente sulla base del momento della ricezione dell’euromandato o dell’arresto. A rafforzare tale convinzione è anche la considerazione che il legislatore è intervenuto sulla disciplina della previsione bilaterale del fatto, eliminando anche presidi che rendevano più stringenti i presupposti per la consegna (qui, peraltro, il legislatore ha modificato anche l’assetto originario delle disposizioni intertemporali contenute nell’art. 40; sul punto De Amicis, sub art. 40, in Lattanzi – Lupo, Codice di procedura penale, cit., p. 675 e ss.). 

La conclusione, dunque, è che le modifiche che incidono direttamente sulla libertà personale – poichè consentono o agevolano la consegna laddove prima non era permessa ovvero era subordinata a presupposti più rigorosi – devono essere applicate soltanto ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della novella (una simile opzione, del resto, era già contenuta nel comma 3 dell’art. 40 sull’eliminazione del requisito della previsione bilaterale).

3. La natura della sentenza posta alla base dell’euromandato.

L’art. 1, comma 1, lett. b), d. lgs. 2 febbraio 2021, cit. ha modificato il terzo comma dell’art. 1 anche nella parte in cui richiedeva che la sentenza posta alla base dell’euromandato esecutivo fosse irrevocabile. È necessario, ora, che la sentenza sia esecutiva. È una modifica che, come segnala la sentenza in rassegna, recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex plurimis, Cass., sez. VI, 16 novembre 2010, n. 42159, in Cass. pen., 2011, p. 3942) e si rendeva necessaria alla luce del fatto che molti ordinamenti processuali di Stati membri dell’Unione europea  (Romania e Francia, ad esempio) consentono l’esecuzione di sentenze che non hanno ancora acquisito il carattere dell’irrevocabilità (sul punto, Colaiacovo, sub art. 1, in Lattanzi – Lupo, Codice di procedura penale, cit., p. 523).

4. La nuova configurazione dei motivi di rifiuto della consegna.

Ultimo profilo di interesse riguarda, come accennato, la materia dei motivi di rifiuto della consegna, oggetto di una ampia manovra di ristrutturazione, all’esito della quale molte cause ostative sono state eliminate e quelle residue sono state comunque rimodulate, anche attraverso la loro trasformazione da obbligatorie in facoltative (artt. 18 e 18-bis).

Tra quelle espunte dal testo figura la lett. h) dell’art. 18, incentrata sul divieto della pena di morte ovvero della tortura e di trattamenti inumani e degradanti. 

In passato, tale disposizione aveva consentito di fronteggiare il pericolo che dalla consegna allo Stato membro di emissione derivasse la detenzione in condizioni di sovraffollamento e, quindi, la violazione dell’art. 3 CEDU (in tema, Cass., sez. VI, 1 giugno 2016, n. 23277, in Cass. pen., 2016, p. 3804, con nota di Abate, Il sovraffollamento delle carceri come motivo di non esecuzione del mandato di arresto europeo; Martufi, La Corte di giustizia al crocevia tra effettività del mandato d’arresto e inviolabilità dei diritti fondamentali, in Dir. pen. e proc., 2016, p. 1243; più di recente, C. giust. UE, 25 luglio 2018, C-220/18, in Cass. pen., 2018, p. 3919).

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, l’abrogazione della previsione non comporta l’eliminazione della possibilità di valutare situazioni simili ai fini del rifiuto della consegna, essendo soltanto mutata la previsione di riferimento, individuata ora nell’art. 2 (pure richiamato nell’incipit dell’art. 18), in forza del quale, sintetizzando estremamente, l’esecuzione dell’euromandato non può comportare la violazione dei diritti fondamentali della persona.

La statuizione è coerente con quanto si legge anche nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo, secondo la quale l’eliminazione delle previsioni contenute nell’art. 18, lett. a), d), e), f), g) h), p), q) e s) in una con la riaffermazione della immanente applicabilità delle disposizioni di principio e delle garanzie costituzionali «restituisce ai fondamentali diritti e principi di tutela della persona la potenzialità applicativa e capacità espansiva che è loro propria, affrancandole dall’ingiustificata, tecnicamente non condivisibile, e, soprattutto, pericolosamente riduttiva indicazione casistica adottata dal legislatore del 2005: una tecnica di normazione che, come in precedenza notato in relazione alla riformulazione dell’art. 2, richiamando l’uno piuttosto che l’altro dei diritti protetti dalla Convenzione EDU rischiava unicamente di occultare agli occhi dell’interprete il generale riconoscimento di quei diritti nell’ambito della procedura di consegna su mandato d’arresto europeo» (p. 27).

In altre parole, i motivi di rifiuto in parola sono espunti fisicamente dal testo, ma possono essere presi in considerazione, anche in una più ampia portata applicativa, alla luce dell’art. 2, che agirebbe ora come una sorta di “trasformatore permanente” (per riprendere una espressione tipica del diritto internazionale: Perassi, La Costituzione italiana e l’ordinamento internazionale, in Scritti giuridici, Giuffrè, 1958, p. 433).

Rilevata la continuità normativa tra le due previsioni, la Suprema Corte applica ancora i principi enunciati in precedenza, annullando con rinvio la sentenza per un approfondimento istruttorio teso a verificare il trattamento al quale sarà eventualmente sottoposta la persona richiesta in consegna. 

Per quanto ispirata dalla volontà di estendere l’ambito delle tutele, la scelta del legislatore presta il fianco almeno a due rilievi. In primo luogo, il rifiuto del metodo casistico rischia di rendere più complessa l’interpretazione: l’individuazione dei casi di rifiuto risente della discrezionalità e della sensibilità del giudicante che possono determinare applicazioni difformi della medesima disposizione. In secondo luogo, l’affermazione secondo la quale il nuovo assetto escluderebbe una lettura riduttiva appare in controtendenza rispetto allo scopo di accelerare e semplificare le procedure. Infatti, il controllo sulla sussistenza di cause ostative diverrebbe più complesso e richiederebbe un approfondimento oramai precluso – ovvero fortemente limitato – dalle serrate cadenze temporali e, in fase di impugnazione, dall’eliminazione della cognizione nel merito da parte della Suprema Corte (nel senso che tale ultima innovazione era giustificata anche dalla nuova perimetrazione dei motivi di rifiuto, si veda la citata Relazione – p. 53 – secondo la quale la modifica dell’art. 22 «si pone in linea con la significativa riduzione del materiale sottoposto al vaglio di detta corte e dei ridisegnati confini della sua valutazione»).

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