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Nella truffa contrattuale rileva sempre il dolo iniziale

Cass., Sez. II, 3 dicembre 2020 (dep. 2 febbraio 2021), n. 4039

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II, 03/12/2020, (dep. 02/02/2021), n. 4039, CAMMINO Presidente – FILIPPINI Relatore

In tema di reati contro il patrimonio, la Corte di Cassazione è stata chiamata a rispondere sulla configurabilità del reato di truffa (art. 640 c.p.) nei confronti di un idraulico, che aveva indotto un cliente a far credere che la caldaia non fosse più funzionante, così da ottenere la sottoscrizione di un preventivo per la sostituzione della stessa ed il montaggio di una nuova, ricevendo un acconto ma non ultimando il lavoro, adducendo varie scuse al cliente.

La Corte specifica come non si possa dubitare della “idoneità del mendacio” per integrare gli artifici o raggiri che l’imputato ha posto in essere, sfruttando la fiducia e l’affidamento che la persona offesa riponeva in lui, essendo un suo cliente da molto tempo.

Nel risolvere il caso di specie, la Corte ha ripercorso il proprio consolidato orientamento in tema di truffa contrattuale, ribadendo che ciò che rende penalmente rilevante l’inadempimento di un contratto è il dolo iniziale, insito in uno dei contraenti che riesce ad alterare il processo volitivo della controparte, facendogli sottoscrivere un contratto, attraverso degli artifizi o raggiri, ottenendo un ingiusto profitto e un danno per il cliente (Cass. Sez. II,  20/12/2019, (dep. 27/02/2020), n. 7812, in C.E.D. Cass. n. 278087; Cass, Sez. III, 28/06/2017, (dep. 18/01/2018), n. 1960, in C.E.D. Cass. n. 272093).

Per essere configurato il reato di truffa è sufficiente che sussista il dolo iniziale del reo, che tramite artifizi o raggiri, abbia modificato la volontà del soggetto offeso (nel caso di specie: ha convinto il cliente a sostituire una caldaia funzionante, anziché proporgli una semplice riparazione).

Applicando la giurisprudenza richiamata la Cassazione ha, quindi, affermato che non risultava necessario, ai fini della configurabilità della responsabilità penale in capo all’imputato, modificare materialmente la caldaia, vale a dire effettuare il lavoro che era stato ottenuto tramite il raggiro, ma rilevava fondamentalmente la volontà di truffare, posta in essere tramite il dolo iniziale: rappresentazione e volontà di raggirare una persona per cagionargli un danno e, allo stesso tempo, ottenere un vantaggio, grazie al compimento di un atto dispositivo del proprio patrimonio da parte del truffato.

In tal modo sono stati integrati tutti gli elementi della fattispecie di cui all’art 640 c.p. e, quindi, l’imputato non è stato chiamato a rispondere di tentativo ex art. 56 c.p., ma soltanto del reato consumato.

La condotta ingannatoria iniziale del caso di specie non si configura quale un atto idoneo, diretto in modo non equivoco a commettere un delitto, ma quale una vera e propria condotta integrativa del reato consumato.

La Corte evidenzia inoltre come, rispetto alla fattispecie in esame, la mancanza di diligenza della persona offesa non rilevi, potendo la stessa essere ritenuta una mera mancanza di attenzione che non è altro che il prodotto della fiducia carpita dal reo attraverso condotte di artifizi o raggiri, soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui la persona offesa è cliente di lunga data che nutre stima e fiducia nella persona del colpevole.

La Cassazione conferma quindi che il livello di diligenza del soggetto truffato non è rilevante, perché il reato di truffa è un delitto a cooperazione necessaria della persona offesa, e non rilevano pertanto le sue condizioni, piuttosto l’idoneità del mezzo posto in essere dal truffatore che modifica la volontà dell’altro contraente, così da ritenere la condotta della persona offesa come una mera mancanza di attenzione, determinata dalla fiducia ottenuta tramite artifizi o raggiri (Cass. Sez. II, 20/11/2019, (dep. 20/12/2019), n. 51538, in C.E.D. Cass n. 278230; Cass. Sez. II, 25/09/2014, (dep. 14/10/2014) n. 42941, in C.E.D. Cass. n. 260476).

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