Cerca
Close this search box.

Le Sezioni unite sul falso finalizzato all’indebito ottenimento del reddito di cittadinanza

Cassazione penale, sezioni unite, 13 dicembre 2023 (ud. 13 luglio 2023), n. 49686
Presidente Cassano, Estensore Aceto, Imp. Giudice, P.M. Gaeta
1. La questione di diritto: le false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza e il giudizio di spettanza.

Con la sentenza che qui brevemente si annota, la Corte di cassazione interviene a sezioni unite a comporre una diatriba giurisprudenziale sulla questione «se le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza integrino il delitto di cui all’art. 7 del d.l. 28 gennaio 2019 , n. 4, convertito in l. 28 marzo 2019, n. 26, indipendentemente dall’effettiva sussistenza o meno delle condizioni patrimoniali stabilite per l’ammissione al beneficio».

Giova preliminarmente rammentare che, ai sensi dell’art. 7 co. 1 del d.l. n. 4 del 2019, «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni». La fattispecie interviene dunque a disciplinare il momento patologico relativo all’inoltro dell’istanza per il riconoscimento del reddito di cittadinanza, punendo le falsità e l’omissione di informazioni dovute, quando la condotta sia orientata a conseguire “indebitamente” il reddito. In relazione a questa fattispecie, oggetto specifico del quesito giurisprudenziale, va anche osservato che in concreto potrebbero manifestarsi nella realtà tre ipotesi di rilievo: a) il mendacio o la mancata enunciazione di dati e informazioni dal quale derivi una erogazione del reddito che non sarebbe affatto stata eseguita ove l’agente avesse dichiarato la verità sulle proprie condizioni personali e reddituali; b) il mendacio o la mancata enunciazione di dati e informazioni dal quale derivi una erogazione del reddito che sarebbe stata eseguita in misura inferiore ove l’agente avesse dichiarato il vero sulle proprie condizioni personali e reddituali; c) il mendacio o la mancata enunciazione di dati e informazioni dal quale derivi una erogazione del reddito che sarebbe stata eseguita nei medesimi termini ove l’agente avesse dichiarato il vero sulle proprie condizioni personali e reddituali.

Diversamente, il secondo comma dell’articolo 7 cit., punisce «l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio […] nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio», intervenendo dunque sulla fase successiva all’erogazione già avvenuta, col fine di tutelare l’interesse dell’amministrazione a interrompere l’erogazione quando essa non sia più assistita dai requisiti di legge o a ridimensionarla in proporzione agli stessi.

Nel caso concreto l’imputato, condannato in primo e in secondo grado per i reati di cui agli artt. 7 del d.l. n. 4 del 2019 e 640, co. 2, n. 1, c.p., avrebbe fruito del reddito di cittadinanza anche ove avesse dichiarato il vero (un valore del proprio patrimonio immobiliare superiore a quello indicato nell’istanza). Da qui muove il ricorso del difensore, che, recepito dalla terza sezione della Corte di legittimità, ha portato alla rimessione della questione alle Sezioni unite, alla luce di un contrasto giurisprudenziale in atto.

2. Il contrasto giurisprudenziale sul tema e la decisione delle Sezioni unite.

Secondo un primo orientamento, il delitto di cui all’art. 7 co. 1, d.l. n. 4 del 2019 appartiene al genus dei reati di falso e costituisce applicazione di un generale principio antielusivo agganciato al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni, in maniera non difforme da quanto si ritiene in ordine alla fattispecie ex art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 in tema di patrocinio a spese dello Stato; il legislatore mirerebbe con entrambe le figure delittuose a tutelare l’amministrazione contro falsità e omissioni circa la situazione economica del richiedente, nella logica del pericolo astratto.

Le precedenti argomentazioni non risulterebbero sminuite dal fatto che l’art. 7 co. 2 del d.l. n. 4 del 2019 ricollega la rilevanza penale all’omessa indicazione delle variazioni «dovute e rilevanti ai fini della revoca o riduzione del beneficio», siccome tale circostanza può comunque essere letta alla luce dell’obbligo di lealtà del consociato richiedente, quale rimedio alla trasgressione di quel dovere.

Da queste premesse discende che il reato si configura a prescindere dalla retrostante sussistenza dei requisiti per l’accesso al beneficio, incentrandosi sulla discrasia tra la realtà economico-finanziaria e quanto oggetto di dichiarazione (in questi termini, Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 2019, dep. 2020, n. 5289, CED 278573; Cass. pen., sez. III, 15 settembre 2020, n. 30303; Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2021, n. 5309).

Secondo altro orientamento più recente, la prospettazione ermeneutica poc’anzi enucleata scricchiola a cagione del forzato parallelismo con il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, il quale nella sua formulazione non menziona il fine di accedere “indebitamente” al beneficio, bensì individua quale elemento sufficiente il mendacio. La fattispecie di cui all’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019 richiede un elemento aggiuntivo, vale a dire l’assenza degli elementi sostanziali per il riconoscimento del reddito di cittadinanza: il dolo specifico assumerebbe «il compito di restringere l’area della penale rilevanza alle sole condotte finalizzate all’ottenimento di un beneficio altrimenti non dovuto» (cfr. Cass. pen., sez. III, 15 settembre 2021, n. 44366, CED 282336; Cass. pen., sez. II, 8 giugno 2022, n. 29910, CED 283787).

Le Sezioni unite aderiscono al secondo orientamento.

In primo luogo, evidenziano le diversità strutturali tra le fattispecie di cui agli artt. 7 del d.l. n. 4 del 2019 e 95 del d.P.R. 115 del 2002 e quelle tra i procedimenti che si snodano in seguito alle richieste del reddito di cittadinanza e alle istanze di ammissione al gratuito patrocinio. Il reato di falso nella materia del patrocinio a spese dello Stato, sul piano soggettivo, si regge sul dolo generico che caratterizza il mendacio, non essendo richiesta la specifica volontà di ottenere indebitamente il beneficio; questo, qualora ottenuto per effetto del mendacio, costituirà il presupposto per l’aggravio di pena ex art. 95, co. 1, secondo periodo del d.P.R. n. 115 del 2002.

Le Sezioni unite ritengono che il mancato rilievo attribuito dal legislatore alla causalità tra mendacio e beneficio, o comunque allo scopo di conseguire un vantaggio altrimenti non dovuto, sia per certi versi giustificato dalle peculiarità procedimentali in tema di ammissione al gratuito patrocinio, sotto il profilo della maggiore speditezza della procedura e del ruolo assorbente assunto dalla dichiarazione dell’istante. In ciò risiede la «evocazione del dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali egli riceve un beneficio economico».

Detto dovere di lealtà non è invece riscontrabile nella fattispecie ex art. 7 del d.l. n. 4 del 2019 che, proprio a cagione della struttura letterale sulla quale poggia, e dell’inclusione in essa dello scopo di ottenere indebitamente un beneficio, intende porsi nella dimensione del reato di pericolo concreto a consumazione anticipata, posto a tutela del patrimonio dell’ente erogante. Il legislatore non ha reputato sufficiente che la falsità o l’omissione fosse retta dallo scopo di ottenere il sostegno economico, altrimenti ben avrebbe potuto limitarsi a fondare la punibilità sul solo mendacio; l’articolazione di un dolo specifico che annovera la natura indebita dell’erogazione induce, all’opposto, a ritenere che quella punibilità dipenda anche dalla non spettanza, in tutto o in parte, del vantaggio anelato.

Il dolo specifico assume in altri termini la funzione di qualificare la condotta, restringendo l’area della tipicità e disvelando la categoria di offesa che si intende prevenire, vale a dire l’aggressione alle risorse pubbliche destinate all’erogazione del beneficio.

D’altronde, l’adesione a questa opzione esegetica consente – sul piano sistematico – la migliore armonizzazione delle due fattispecie di cui all’art. 7, co. 1 e 2, del d.l. n. 4 del 2019, poiché più limpidamente spiega il motivo per cui il legislatore abbia deciso di punire la mancata comunicazione delle variazioni soltanto quando esse siano di rilievo ai fini dell’interruzione o del ridimensionamento dell’erogazione. Tale scelta, aggiungono le sezioni unite, è del tutto coerente con la mancata coincidenza del bene tutelato col dovere di lealtà del richiedente, che altrimenti avrebbe pure imposto il recupero totale della somma erogata e non il recupero di «quanto versato in eccesso» ai sensi dell’art. 7, co. 6, d.l. n. 4 del 2019.

Ecco perché, chiosano le Sezioni unite, «le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, conv. in legge 28 marzo 2019 n. 26 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge».

3. Osservazioni finali tra detto e non detto

La soluzione sposata dal supremo consesso riunito va salutata con favore, siccome rende giustizia al dato letterale della fattispecie e valorizza la tutela che il legislatore appronta alle risorse finanziarie destinate al sostegno in parola, nella logica del reato di pericolo contro il patrimonio.

Il delitto in esame poggia su una componente oggettiva costituita dalla dichiarazione falsa o artatamente lacunosa e dallo scopo di conseguire il reddito di cittadinanza in maniera indebita. Come ogni fattispecie criminosa, anche l’ipotesi in esame deve essere letta nel prisma del principio di offensività, che opera per il legislatore in sede di redazione della fattispecie, la quale deve sin dall’inizio essere pensata e plasmata in modo da punire comportamenti realmente offensivi di beni giuridici costituzionalmente rilevanti; e opera altresì per l’interprete, che dovrà in sede applicativa attribuire al reato un significato coerente con una aggressione a detti interessi giuridici. 

È opportuno osservare che la fattispecie criminosa in parola è stata costruita dal legislatore in maniera del tutto peculiare. Sebbene la clausola di antigiuridicità espressa “indebitamente” rimandi alla necessità di una verifica circa la spettanza dell’erogazione, essa, in maniera di certo inusuale, è stata introdotta non nell’impalcatura oggettiva della fattispecie bensì nelle trame lessicali che descrivono il coefficiente psichico, riconnettendo il pericolo per il patrimonio pubblico al connubio tra il mendacio e la volontà di ottenere un indebito.

Se il bene giuridico da tutelare è individuabile nella corretta allocazione delle risorse pubbliche, la fattispecie svela un nervo scoperto quando il giudizio di spettanza sia comunque favorevole al richiedente a prescindere dal mendacio. A queste condizioni – in disparte l’ipotesi nella quale difetti il dolo di falso per errore nella esposizione dei dati, fattispecie nella quale verrebbe logicamente meno anche il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice – risulta degno di attenzione il caso in cui il soggetto agente abbia profuso le false dichiarazioni nella domanda di reddito nell’erronea convinzione che solo mediante quel mendacio egli avrebbe ottenuto l’indebito arricchimento in danno dell’ente pubblico erogante.

Risulterebbe in altri termini configurato il reato sul piano della rispondenza della condotta al testo della norma incriminatrice, anche nel caso in cui il richiedente avesse trasmesso l’istanza mendace pensando erroneamente che il vantaggio economico, altrimenti, non gli sarebbe spettato. Ecco perché la non punibilità è conseguenza dell’applicazione del principio di offensività: l’offesa non è in grado di originare dall’asettico concatenarsi della falsa dichiarazione con la volontà di ottenere un indebito, ma richiede anche un elemento aggiuntivo costituito dal giudizio di spettanza sfavorevole, unica circostanza in grado di far assumere al falso e alla proiezione finalistica l’idoneità a porre seriamente a repentaglio le risorse patrimoniali pubbliche.

Va anche rilevato che, ove il giudizio di spettanza si risolvesse in maniera positiva, apparirebbe priva di fondamento anche l’eventuale contestazione della truffa in concorso con le false dichiarazioni ex art. 7 del d.l. n. 4 del 2019. La non punibilità per il primo reato dipenderà dalla mancata configurazione di due elementi del delitto ex art. 640 c.p., vale a dire, da un lato, la causalità tra artificio e atto dispositivo patrimoniale della pubblica amministrazione (c.d. elemento implicito), che sarebbe comunque stato compiuto dal soggetto passivo e, dall’altro, l’ingiustizia del profitto, che anzi dovrà ritenersi dovuto.

Le peculiarità della fattispecie criminosa non terminano qua.

Se è vero che l’interprete dovrà tenere in debito conto la sussistenza dei requisiti di legge in capo al richiedente a prescindere dal suo mendacio, tale analisi non restituirà il risultato finale della ricerca, bensì rappresenterà un momento di transito per la successiva valutazione del dolo specifico. Ciò deve necessariamente indurre l’operatore ad una particolare cautela sul piano valutativo, non tanto nel caso in cui il mendacio sia stato posto in essere in carenza assoluta dei requisiti, circostanza che proverà più agevolmente l’esistenza dello scopo di vantaggio indebito, quanto nel caso in cui la falsità abbia consentito la maggiore corresponsione pecuniaria; in questa seconda ipotesi, infatti, deve scongiurarsi il rischio della meccanicistica equazione tra oggettiva spettanza del beneficio in misura minore e soggettivo scopo di conseguire il beneficio maggiore.

In altri termini, se è vero che chi artificiosamente afferma la sussistenza dei requisiti di legge per il reddito di cittadinanza e ottiene così il beneficio senza averne affatto diritto può dirsi, con maggiore serenità, assistito dallo scopo vietato, non spiegandosi altrimenti il movente della richiesta mendace, non con la stessa agilità di pensiero può affermarsi che chi abbia dichiarato il falso ottenendo una maggiorazione economica sia per ciò solo assistito dal peculiare scopo illecito, conclusione alla quale potrà pervenirsi soltanto previa ponderata analisi di tutti i connotati dell’azione.

Le statuizioni della suprema Corte nella sua più autorevole composizione e le riflessioni che esse hanno innescato soccorreranno in futuro nel passaggio dal “reddito di cittadinanza” al nuovo “reddito di inclusione”, disciplinato dal decreto-legge n. 48/2023, il quale ripropone all’art. 8 due fattispecie penali strutturalmente e lessicalmente analoghe a quelle disciplinate dall’art. 7, d.l. n. 4 del 2019.

Condividi su:

Articoli Correlati
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore